In Roma antica, il luogo alle pendici del Campidoglio, all’angolo nord del Foro, dove si adunavano i cittadini divisi per curie. La parola (al pl. comitia) passò poi a significare le assemblee dell’intero popolo, che contrariamente ai concilia riunivano sia patrizi sia plebei. Secondo che il popolo vi partecipasse diviso per curie, centurie, tribù, si avevano i c. curiati, centuriati, tributi. I c. curiati furono i più antichi e la loro competenza andò poi sempre limitandosi; presieduti dal re, poi da un console o da un dittatore, investivano del potere il re e i magistrati con la lex curiata de imperio, erano interpellati in caso di dichiarazione di guerra e per alcune questioni religiose. I c. centuriati, che la tradizione riporta all’età regia, ma probabilmente posteriori a essa, erano presieduti da magistrati con imperio e perciò erano tenuti fuori del pomerio, di regola nel Campo Marzio. Assursero subito a grande importanza: spettava a loro l’elezione dei magistrati, l’approvazione delle leggi, il giudizio di speciali processi. Nei c. si esplicava la sovranità formale del populus Romanus, essendo il potere sostanziale nelle mani dell’aristocrazia senatoriale, cui appartenevano i magistrati. Senza l’iniziativa di questi ultimi, infatti, i c. non potevano essere convocati. Inoltre, le delibere che venivano adottate nei c. non avevano valore immediato dal momento che, almeno fino al 4° sec. a.C. dovevano essere ratificate dal senato. La votazione avveniva all’interno di ogni centuria; il voto della maggioranza costituiva il voto della centuria, i voti delle centurie determinavano il risultato finale. Le operazioni si concludevano non appena veniva raggiunta la maggioranza prescritta, con il voto favorevole delle prime centurie chiamate a votare, che erano poi quelle afferenti alle classi dei più ricchi. I c. tributi erano presieduti da un magistrato curule, avevano il compito di eleggere i magistrati minori, approvare talune leggi, e giudicare particolari processi; la votazione avveniva per tribù. Il nome di c. tributi ebbero anche le riunioni della plebe (concilia plebis): anche in esse si votava per tribù, le loro deliberazioni non erano leges, ma plebis scita (dal 287 a.C. parificati alle leggi), a esse spettava l’elezione dei tribuni della plebe e degli edili plebei.
I c. furono espressione caratteristica dello Stato cittadino e quando, con l’estensione del territorio romano, fu impossibile a gran parte dei cittadini di parteciparvi, ebbe inizio la loro decadenza. Con Augusto la funzione dell’elezione dei magistrati da parte dei c. divenne una pura formalità; Tiberio tolse loro del tutto tale prerogativa, trasferendola al senato; anche i compiti legislativi e giudiziari scomparvero del tutto durante l’impero, benché formalmente i c. siano sopravvissuti fino al 3° sec. d.C. C. calati Erano così chiamate le assemblee popolari, dirette dai pontefici e radunate per motivi religiosi, per le arrogazioni e per la presentazione dei testamenti. Morbo comiziale Antica definizione dell’epilessia, perché l’entrata in convulsioni durante un c. era ritenuta di malaugurio.