commercio
Dal baratto al commercio via Internet
Per commercio si intende l'acquisto e la vendita di merci e di servizi in cambio di denaro. Nella sua accezione più ampia, il commercio comprende lo scambio di denaro e di titoli, per esempio i titoli di credito. Quando è realizzato tra persone o imprese di paesi diversi si definisce commercio internazionale, mentre il commercio interno riguarda lo scambio nello stesso paese. Il commercio ha origini storiche molto lontane; nel corso dei secoli, grazie allo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione che hanno reso più facili e veloci gli scambi, sono mutate le abitudini di acquisto e di vendita
I primi commerci, che risalgono alla preistoria, avvenivano sotto forma di baratto, ossia mediante lo scambio di un oggetto con un altro. Anche dalle antiche civiltà degli Egizi giungono testimonianze sulla grande importanza di questa forma di scambio. I più famosi commercianti dell'antichità furono tuttavia i Fenici, che si distinsero per la loro abilità nel baratto già nel 16° secolo a.C. In epoca greca e romana il commercio si sviluppò di pari passo con le conquiste e l'espansione territoriale.
Nei secoli precedenti il primo millennio, mentre i mercati orientali diventavano sempre più importanti per la quantità e la qualità delle merci scambiate, l'economia feudale, autonoma e caratterizzata da pochi scambi di natura commerciale, portò all'isolamento di numerosi Stati europei. Solo nel 12° secolo le crociate favorirono gli scambi fra i paesi d'Occidente e quelli del Mediterraneo orientale e meridionale. L'età moderna, accompagnata dalla scoperta di nuove e vastissime terre e dall'apertura di importanti rotte commerciali, segna l'inizio di una nuova era negli scambi. Gli ostacoli legati alla lentezza e alla difficoltà dei trasporti vengono progressivamente abbattuti, i governi elaborano modi diversi per pagare le merci scambiate e innovativi mezzi di comunicazione consentono di acquistare e vendere le merci anche in paesi lontanissimi. Si aprono quindi le porte al commercio internazionale, che diventa un fenomeno molto importante dell'economia moderna.
Grazie al commercio si possono trovare sul mercato beni diversi, con caratteristiche di qualità e di prezzo differenti. Per chi acquista, il vantaggio principale è quello di poter scegliere il prodotto che soddisfa di più le sue esigenze di consumatore e più si avvicina ai suoi gusti. La presenza in un paese di un gran numero di merci prodotte da imprese nazionali ed estere assicura inoltre una specie di gara, cioè la concorrenza, tra i produttori: chi produce le merci che incontrano di più i gusti degli acquirenti risulta vincente, chi invece offre merci inutili o troppo care o di qualità troppo scadente risulta perdente.
Il commercio comporta vantaggi anche per chi produce e vende le merci. Difatti, grazie all'opportunità di vendere i propri prodotti in molte città, in molte regioni e perfino in molti paesi, le imprese possono aumentare la loro offerta e gli impianti che venivano utilizzati solo per produrre beni destinati al mercato locale possono essere utilizzati anche per la produzione di beni venduti in tutto il paese e all'estero. Il commercio rappresenta inoltre un'occasione di confronto culturale, sociale e politico.
Esistono diversi metodi o strumenti per limitare o regolare gli scambi commerciali internazionali. Le tariffe o dazi doganali sono delle vere e proprie tasse sulle importazioni: l'esportatore, ossia chi vende prodotti a un paese estero, è costretto a pagare una certa somma di denaro in base al valore o alla quantità dei beni esportati. Oltre a incrementare le entrate dello Stato, i dazi contribuiscono però ad aumentare il prezzo del prodotto importato. I contingentamenti sono dei limiti imposti alle quantità di importazioni di un certo bene.
Per quanto riguarda i cambi, il governo può fissare la quantità massima di moneta estera a disposizione degli operatori per pagare le importazioni o imporre costi elevati per l'acquisto di moneta estera. Un altro modo per limitare il commercio è quello di richiedere all'esportatore un documento, detto licenza, rilasciato da uffici particolari. Molto spesso, quando si verificano guerre o crisi politiche, i governi impongono delle forme di embargo, veri e propri divieti di esportazione di beni verso alcuni paesi.
Altri strumenti di restrizione del commercio sono: le imposte sulle esportazioni; le barriere amministrative che impongono pratiche burocratiche lunghe e complesse per gli scambi; le politiche di acquisto del governo e degli uffici pubblici volte a favorire i produttori nazionali a scapito di quelli esteri. Nel momento in cui adotta una qualsiasi di queste misure, dette protezionistiche, il paese importatore deve tener conto della possibilità di incorrere nel rischio di essere a sua volta oggetto di restrizioni commerciali da parte dei paesi con cui intrattiene scambi.
Nonostante siano numerosi i vantaggi del libero commercio, vi sono diversi motivi per i quali un paese potrebbe voler ridurre gli scambi internazionali. Alcuni Stati tendono a 'proteggere' le industrie di recente formazione con interventi (di natura appunto protezionistica) volti a garantire condizioni favorevoli ad aumentare le dimensioni dell'azienda e a promuovere la professionalità dei lavoratori, assicurando al tempo stesso le necessarie strutture e infrastrutture (strade, centri di ricerca, e così via). Queste stesse forme di protezione sono state a volte offerte anche a settori industriali maturi, come è successo negli Stati Uniti per l'industria automobilistica e siderurgica, per far fronte alla crescente concorrenza proveniente dalle imprese asiatiche.
Si possono anche praticare forme di limitazione agli scambi commerciali quando un paese, per rendere più convenienti le proprie esportazioni, fissa il prezzo del prodotto esportato a un valore inferiore al prezzo dello stesso bene sul mercato interno, il cosiddetto dumping. In questo caso, i governi dei paesi che importano il prodotto applicano misure protezionistiche tali da aumentare il prezzo di vendita del prodotto estero sul mercato nazionale. Per favorire lo sviluppo di settori industriali importanti e ridurre la dipendenza per la produzione di alcuni beni da altri paesi in genere più sviluppati, alcuni Stati poco industrializzati adottano forme di protezionismo commerciale volte a favorire la crescita delle imprese nazionali. Altri governi, infine, adottano politiche protezionistiche per motivazioni di carattere non economico: privilegiare lo scambio commerciale solo con paesi con i quali vi è accordo politico, tutelare culture e tradizioni nazionali, garantire la produzione di beni considerati fondamentali.
Nel corso dell'ultimo secolo il commercio internazionale ha subito forti cambiamenti qualitativi e quantitativi. Nel secondo dopoguerra, ha iniziato a diffondersi l'idea che una maggiore libertà degli scambi avrebbe contribuito a migliorare la ricchezza di tutti i paesi. L'aumento degli scambi è stato favorito anche dalla riduzione dei costi di trasporto e di comunicazione e dalla graduale riduzione dei dazi doganali. Nel 1947 ventitré paesi hanno siglato un accordo sulle tariffe e sul commercio, noto come GATT (General agreement on tariffs and trade), allo scopo di promuovere e rendere libero il commercio internazionale. La crescita della ricchezza di molti paesi, l'apertura agli scambi commerciali coi paesi dell'Est europeo, l'autonomia politica raggiunta da quasi tutte le ex colonie e il regime favorevole dei cambi sono stati fattori determinanti per lo sviluppo del commercio internazionale.
Intorno agli anni Ottanta, in seguito alla crisi petrolifera, si è verificato un passo indietro e sono state nuovamente adottate politiche protezionistiche allo scopo di limitare la dipendenza delle economie nazionali dalle importazioni di petrolio. Solo nel 1993, in Uruguay, si è riaperto il confronto tra i paesi membri del GATT con l'obiettivo di ridurre le tariffe doganali. In tale sede si sono poste le basi per la creazione, sancita nel 1995, dell'Organizzazione per il commercio mondiale (WTO, World trade organization), che nel 2004 contava 147 paesi membri.
Lo sviluppo del commercio internazionale ha portato alla formazione in tutto il mondo di veri e propri blocchi commerciali, ossia di raggruppamenti di paesi geograficamente vicini (detti paesi membri) che si organizzano per favorire il commercio nell'area di appartenenza. Nel 2004 i maggiori blocchi commerciali sono l'Unione europea, che riunisce venticinque paesi dell'Europa, l'ASEAN (Association of South East Asian nations), a cui aderiscono otto paesi della regione asiatica, il NAFTA (North American free trade agreement), accordo commerciale siglato da Stati Uniti, Canada e Messico, il MERCOSUR (Mercado común del Sur), che riunisce quattro Stati sudamericani, e infine l'ECOWAS (Economic community of West African States), che conta sedici paesi dell'Africa occidentale.
Si parla di area di libero scambio quando i paesi che fanno parte del blocco rimuovono le restrizioni commerciali tra loro, ma sono liberi di adottare misure protezionistiche diverse con i paesi non membri. L'unione doganale è un'area di libero scambio in cui le politiche protezionistiche nei confronti dei paesi non membri sono uguali per tutti. Il mercato comune è un'unione doganale particolare: i paesi che vi aderiscono hanno regole comuni anche per quanto riguarda le tasse; i lavoratori possono andare a lavorare in uno qualsiasi dei paesi membri alle stesse condizioni offerte ai lavoratori nazionali; il denaro, i beni e i servizi possono essere scambiati liberamente; alcune leggi che riguardano le industrie, i lavoratori e il commercio sono uguali per tutti i membri.
Il mercato comune assume la forma di unione economica e monetaria quando vi è un sistema di cambi fissi tra i paesi membri e quando sono comuni o condivise alcune importanti decisioni circa le tasse, la spesa pubblica ‒ ossia gli acquisti dello Stato ‒ e la quantità di moneta offerta.
La costituzione di blocchi commerciali contribuisce in genere a favorire il commercio fra i paesi membri. Tuttavia può comportare degli svantaggi importanti per i paesi non membri i cui prodotti vengono a costare di più nei paesi del blocco solo a causa dei dazi doganali (dogana). È per questo motivo che la creazione di aree commerciali limita a volte la concorrenza tra imprese nazionali ed estere, e riduce i vantaggi per chi acquista e per chi vende. In questi casi, infatti, le imprese dei paesi membri non sono stimolate più di tanto a soddisfare i consumatori nazionali e tendono a ridurre gli investimenti per la ricerca, per ridurre i costi di produzione o per inventare nuovi prodotti.
Per decidere se acquistare uno stesso bene nel nostro paese o all'estero, poiché i prezzi dei due beni sono espressi in monete diverse ‒ per esempio in euro e in yen, la valuta giapponese ‒ abbiamo bisogno di conoscere il tasso di cambio, ossia il prezzo della moneta nazionale (euro) in moneta estera (yen). Se per esempio 1 euro vale 135 yen, allora l'orologio comprato in Italia vale 100×135 yen, cioè 13.500 yen. Poiché il prezzo nella stessa moneta (yen) dell'orologio è inferiore in Giappone, conviene acquistarlo lì. Se invece il tasso di cambio fosse stato di 1 euro per 110 yen, il prezzo in yen dell'orologio in Italia (100×110=11.000 yen) sarebbe stato inferiore rispetto a quello in Giappone. La scelta tra i due orologi è quindi determinata sia dai prezzi dell'orologio nelle due monete, sia dal tasso di cambio.
Il valore di questo dipende dalla domanda e dall'offerta delle due monete. Tenendo conto che le esportazioni sono pagate nella moneta del paese esportatore, quando in un paese (per esempio, il Giappone) il valore delle esportazioni supera quello delle importazioni, aumenta il valore della moneta (yen) di tale paese. Infatti i paesi importatori si rivolgono al mercati delle monete richiedendo la moneta dell'esportatore (il Giappone). Come per qualsiasi bene, un aumento della domanda, se non è seguito da un incremento dell'offerta, provoca un aumento del prezzo. Mentre alcuni paesi decidono il valore del tasso di cambio che desiderano e aumentano o diminuiscono la quantità di moneta offerta per mantenere il cambio fisso, altri lasciano che il suo valore sia 'flessibile' in funzione della domanda e dell'offerta di moneta.
In conclusione, il commercio rappresenta un vero e proprio motore di sviluppo per le moderne economie. I paesi più ricchi hanno saputo cogliere per tempo questa occasione di crescita. Altri, di recente industrializzazione e prevalentemente localizzati nel Sud-Est asiatico, sono ora temuti concorrenti nel commercio mondiale.
I paesi più poveri, tuttavia, stentano ancora a emergere. Per assicurare loro maggiore ricchezza e benessere è necessario che i governi definiscano strategie commerciali in grado di valorizzare le risorse nazionali disponibili in modo da limitare la dipendenza dall'estero.
La bilancia dei pagamenti misura il valore degli scambi commerciali di beni, denaro e titoli di un paese con gli altri. Gli scambi di beni sono registrati nella bilancia commerciale che riporta le importazioni, ossia il valore dei beni esteri comprati nel paese, e le esportazioni, che rappresentano il valore dei beni nazionali venduti all'estero. Il confronto tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni è molto importante. Un paese in cui le importazioni sono maggiori delle esportazioni è più debole poiché dipende dall'estero per la fornitura di uno o più beni. La sua situazione è ancora più grave se questo paese deve importare prodotti necessari come, per esempio, il petrolio. Un paese, invece, le cui esportazioni sono maggiori rispetto alle importazioni è considerato meno vulnerabile. La bilancia dei pagamenti registra inoltre il trasferimento di denaro da un paese all'altro. Pensiamo per esempio al denaro spedito dall'emigrato al suo paese di origine. Infine, la bilancia dei pagamenti misura il valore degli acquisti e delle vendite di titoli tra paesi diversi.
Nel 2003 si sono registrate esportazioni di beni nel mondo per circa 5.000 miliardi di euro, mentre le importazioni sono state pari a 5.200 miliardi di euro. Le economie avanzate - Unione europea, Australia, Canada, Giappone, Islanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Svizzera - hanno contribuito al totale delle importazioni per circa il 62%. Tra i principali importatori troviamo gli Stati Uniti (circa 17% delle importazioni mondiali), la Germania (7,7%), la Cina (5,3%), la Francia e il Regno Unito (5%). Sempre nel 2003 i primi paesi per valore delle esportazioni sono stati la Germania (10% delle esportazioni mondiali), gli Stati Uniti (9,7%), la Cina (7,1%), il Giappone (6,3%). L'Italia si attesta al settimo posto tra i maggiori importatori (3,7% del valore mondiale) e all'ottavo tra i maggiori esportatori (3,9% del valore mondiale). Il nostro paese presenta nel 2003 una differenza tra esportazioni e importazioni di poco meno di 8.800 milioni di euro, valore che nel corso degli ultimi anni ha subito una consistente riduzione. L'Unione europea rappresenta la principale area di provenienza delle importazioni italiane (circa 57%) e di destinazione delle merci nazionali (53,5% delle esportazioni).