Comunicazione e nuove tecnologie
Le straordinarie potenzialità offerte dalle tecnologie della comunicazione, per essere sfruttate appieno, devono essere considerate in relazione ai rischi connessi a un loro inappropriato utilizzo. Il discorso sulla tecnica è sempre molto polarizzato: o mette in luce, in maniera acritica, il suo potere quasi taumaturgico, oppure rievoca angosce e paure. Il timore che la tecnologia possa sfuggire di mano è infatti sempre in agguato e ha radici profonde: basti pensare al mito di Prometeo − responsabile di hýbris verso le divinità − o a figure come il Golem o Frankenstein. Raramente però i profeti delle nuove tecnologie parlano del loro lato oscuro anche se ciò sarebbe certamente utile: non si può, infatti, lasciare questo importante compito nelle mani di demonizzatori e catastrofisti.
Non sono però solo il nucleare, la chimica e la manipolazione genetica a rivelarsi pericolosi; possono diventarlo anche le tecnologie digitali e alcuni fenomeni culturali spesso sottovalutati, come l’esplosione informativa. Mentre la biblioteca di Alessandria, con i suoi circa 700.000 rotoli di papiro e pergamena, conteneva tutto il sapere del mondo occidentale antico, il patrimonio librario della Bibliothèque Nationale de France occupa oggi oltre 400 chilometri di scaffali. All’inauguarazione della nuova sede, nel 1997, erano già presenti 10 milioni di volumi, 350.000 periodici, 76.000 microfilm. Questa moltiplicazione delle informazioni, che diventa addirittura esponenziale con Internet e la telefonia cellulare, sta generando due fenomeni pericolosi: l’anoressia informativa e il suo contrario, l’obesità. In entrambi i casi il crescente proliferare dell’informazione riduce la capacità dell’uomo di assimilare in maniera sana nuova conoscenza, spingendo i giovani ad assorbire in maniera ossessiva, e spesso acritica, informazioni ‘non nutrienti’.
A ciò si aggiunge il cosiddetto ‘sporco digitale’: le tracce che lasciamo sulla rete tendono progressivamente a diventare indelebili. I motori di ricerca registrano tutto, ma non esiste un processo condiviso che elimina dalle liste dei motori le informazioni non più attendibili o invecchiate.
Anche strumenti rivoluzionari e apparentemente democratici come l’enciclopedia online Wikipedia vanno usati con grande cautela. Poiché è la massa dei lettori che decide circa la veridicità dell’informazione, si tende a riportare solo fatti banali e dati oggettivi, eliminando giudizi e opinioni.
Questo processo di gestione del consenso tende a creare un’unica base condivisa e massificata di conoscenza, eliminando le differenze, le ambiguità e le incertezze. Da occasione democratica, Wikipedia potrebbe trasformarsi in pericoloso strumento di omogeneizzazione culturale. Si dovrebbe pertanto usare con meno ottimismo l’etichetta di società dell’informazione o della conoscenza. Probabilmente ‘società del rumore’ meglio si adatterebbe a descrivere le mutazioni in atto.
Il medium digitale è doppiamente pervasivo: è presente in modo sempre più diffuso negli spazi dove viviamo, ma soprattutto tende a interagire con tutti gli aspetti del nostro vivere: lavoro, studio, divertimento, sessualità, religione. Ciò facilita l’emergenza di un’identità digitale che ci renda riconoscibili e unici anche all’interno di questa sfera e ci permetta di costruire relazioni virtuali durature con altre identità digitali.
Questo processo che consentirà a ciascun cittadino di costruirsi una vera e propria ‘identità di rete’ sta subendo negli ultimi anni una vera e propria accelerazione. Uno dei fenomeni più interessanti è la nascita dei cosiddetti siti personali. Il concetto non è nuovo. I primi siti personali – spazi web in server pubblici gestiti da utenti che immettono i propri contenuti personali – risalgono ai primi anni Ottanta del Novecento. L’esempio più noto è Geocities, dove gli utenti compravano a basso prezzo uno spazio e un indirizzo da cui accedervi. Questi indirizzi erano organizzati come città, con nomi di quartieri (le aree tematiche) e numeri civici (i singoli siti personali). Il tipico utente era però un addetto ai lavori e il fenomeno restò di nicchia.
Legato alla creazione dei siti personali, vi è un aspetto generalmente trascurato, che sta assumendo – con la progressiva diffusione di Internet – grande importanza nell’interazione fra utenti: la necessità di rappresentarsi bene in rete, cioè di dare una buona immagine di sé. I momenti di imbarazzo in cui si teme di perdere la faccia, tipici delle interazioni faccia-a-faccia, tendono per esempio a ridursi fino quasi a scomparire quando l’incontro è virtuale. La mediazione giocata dal computer, che non si limita a nascondere il volto ma maschera anche la voce, consente la creazione di spazi protetti in cui possiamo sperimentare il nostro modo di relazionarci con gli altri.
Una delle tecniche emergenti di ‘presentazione del sé’ sulla rete sono gli , che possono essere pensati come una vera e propria maschera digitale che si indossa per identificarsi e collocarsi, in piena vista sullo schermo, nei nuovi ambienti virtuali 3D creati in rete. Gli avatar sono un vero e proprio simbolo dell’identità contemporanea; un’identità sfuocata, poco definita, transitoria, condannata a non raggiungere mai la sua forma compiuta.
Questo uso delle tecnologie digitali non consente solo un’estensione e un potenziamento delle nostre capacità mentali, ma in prospettiva provoca un vero e proprio sdoppiamento della nostra personalità: la creazione di un nostro alter ego nel mondo digitale. Ciò è reso possibile dal fatto che la nuova generazione di siti personali può avere vita propria. Questi siti possono infatti venire consultati da terzi senza che i proprietari siano in quel momento collegati online. L’impiego di nuove tecnologie consente a questi siti di raccogliere automaticamente certi tipi di informazioni, segnalare eventi interessanti, rispondere a richieste esterne per nostro conto nel modo in cui lo faremmo noi. Pensiamo, per esempio, alle nuove tecnologie vocali che permettono ai computer o alle segreterie telefoniche non solo di parlare e leggere i messaggi, ma anche di capire quello che gli chiediamo. Oppure alle tecnologie di personalizzazione che consentono di lasciare tracce in ambienti digitali pubblici, consentendo all’utilizzatore di essere riconosciuto, di riprendere il lavoro fatto fino all’ultimo collegamento, di ricordare le preferenze manifestate.
Tutti questi contenuti richiedono però un luogo personale di archiviazione che potremmo chiamare personal digital space e i cui aspetti innovativi non sono legati tanto alla dimensione tecnica, quanto alle potenzialità rese disponibili come strumento conoscitivo, che consentono di realizzare una vera e propria memoria estesa, a complemento e integrazione di quella fisiologica. Ogni riflessione sulla comunicazione digitale non può prescindere da questa trasformazione dei recettori dei messaggi comunicativi.
Tra i numerosi benefici di questi spazi digitali personali, uno è la sua proprietà di forzare la sintesi, la strutturazione e l’organizzazione dell’informazione consentendo un’archiviazione orientata al riutilizzo. Il riassunto (o la selezione) di un saggio in forma cartacea non è riutilizzabile: si può solo rileggere. Se il riassunto è in forma elettronica, si può riutilizzare (tutto o in parte) e anche integrare con altri contenuti.
Oltretutto la stessa letteratura si può definire un’arte combinatoria: gettoni lessicali, grammaticali e semantici ereditati vengono continuamente combinati e ricombinati in sequenze di espressioni. Una parte importante della letteratura, delle arti e della musica è infatti costruita su citazioni e reiterazioni più o meno vivificanti e metaforiche. Il poter disporre quindi in forma digitale di citazioni, frasi, tabelle numeriche, concetti provenienti da saggi e soprattutto di strumenti che ne facilitano il riuso combinatorio diventa uno straordinario strumento per potenziare il processo creativo.
Inoltre l’esplicitazione dei collegamenti associativi contenuti rende evidente (e più duraturo) sul sito ciò che accade anche nella nostra memoria. Per questo il web può trasformarsi anche in una vera e propria ‘memoria estesa’. Ogni volta che viene inserita nel sito personale un’informazione, vengono forzate due operazioni cognitive: la definizione dell’area tematica prevalente relativa all’informazione e la messa in coerenza (talvolta un vero e proprio riallineamento) di tale informazione con gli altri elementi informativi presenti nell’area (per es., usando lo stesso schema rappresentativo).
Poiché più si riutilizzano i contenuti più la conoscenza viene assorbita, diventa fondamentale – per una reale padronanza di un argomento – poter rivisitare lo stesso materiale in tempi differenti e in contesti modificati. Tutto ciò facilita il ripasso ‘narrato’ della conoscenza, combattendone l’oblio causato dalla labilità della memoria.
Il personal digital space consente anche il cosiddetto dimenticare consapevole, risparmiando alla memoria lo sforzo di memorizzare informazioni in quel momento non rilevanti. Quando un’informazione curiosa (ma di cui non ci è chiara l’utilità) viene inserita nel sito in un punto dove sia naturalmente facile recuperarla nel futuro, la nostra memoria si occupa di qualcosa d’altro e può rilasciare quell’energia di memorizzazione. Senza questo strumento, la memoria rimane ingaggiata nel ricordare l’informazione e nel tentare – spesso senza elementi di contesto o di finalità – di collocarla in una qualche unità di senso.
Il fenomeno dei siti personali è ancora agli inizi, anche se la sua componente più narcisistica, il blog, sta esplodendo. I blog si occupano più di rendere disponibili i punti di vista di chi vi scrive che non di organizzare la propria conoscenza per un facile riutilizzo. Infatti i contenuti dei blog sono pubblici, mentre le memorie estese tendono a essere protette da password.
2. I nuovi linguaggi digitali
Le mutazioni originate dalla crescente disponibilità di banda trasmissiva tecnologica stanno rendendo possibili nuovi servizi e nuove tipologie di contenuti audiovisivi. Il passare dal testo ai linguaggi visivi aumenta il potenziale espressivo e consente letture più ricche (per es., multiple). Infatti un testo ha un inizio, una fine e un percorso obbligato di lettura, mentre un’immagine no. Inoltre, al contrario delle parole, le immagini posseggono una capacità di estensione verbale quasi infinita, in quanto l’osservatore deve trasformarsi a sua volta in narratore. L’alfabeto visivo possiede infine anche un valore emozionale. Wassily Kandinski in Punto, linea, superficie affermava: «La linea orizzontale è fredda e quella verticale è calda». L’analisi delle immagini può dunque consentire una comprensione del profondo di chi le ha create. È stato per esempio sviluppato un sistema diagnostico che utilizza varie tipologie di disegni dei pazienti e ne interpreta i significati profondi.
Spesso l’innovazione è riutilizzo, ricontestualizzato, di idee e soluzioni già inventate e utilizzate per altri scopi o addirittura dimenticate. Le nuove forme espressive e comunicative del XXI sec. non saranno pertanto solo inventate; molte nasceranno da un utilizzo innovativo di modalità già sperimentate in passato. Come non pensare ai calligrammi di Apollinaire o alle parole in libertà futuriste osservando la cosiddetta ASCII Art oppure come non ripensare al linguaggio epigrafico latino e alle sue espressioni compresse per occupare il minor spazio possibile quando si leggono le comunicazioni che avvengono nelle chat di Internet.
Il web 2.0 rappresenta un nuovo approccio alla realizzazione di applicazioni web che favorisce un’aggregazione dei contenuti maggiormente dinamica, interattiva e partecipativa grazie all’uso di diverse tecnologie e in differenti ambiti applicativi. L’aspetto specifico è che queste tecnologie permettono ai dati di diventare indipendenti dal sito in cui sono stati creati, facilitandone la diffusione e il riuso. Il web 2.0 si contrappone alla versione 1.0 dove Internet è sostanzialmente un grande contenitore di dati (pagine web per lo più statiche) e le applicazioni più importanti consistono nell’uso di motori di ricerca e la navigazione fra siti.
Queste tecnologie attribuiscono anche un crescente potere al consumatore, che esce dalla sua tradizionale passività per trasformarsi in attore del processo di consumo. Concetti come la dittatura dello spettatore o come prosumer (espressione nata dalla crasi di producer e consumer, coniata da Alvin Toffler per indicare che i consumatori dell’era postindustriale non sono più semplici consumatori passivi, ma diventano veri e propri consumatori consapevoli o consumATTORI/spettAUTORI) indicano chiaramente questa tendenza. In tale contesto, è evidente che la creatività e l’inventiva non sono più appannaggio esclusivo dei laboratori delle aziende ma diventano un processo mediato – anzi spesso condizionato – dall’utilizzatore finale. Questa sovrapposizione tra produttori e utilizzatori è esemplificata chiaramente nei videogiochi per computer. Le cosiddette game patche e i mod sono aggiunte che alterano il gioco originario in termini di grafica, personaggi, architettura, suono e regole, e vengono creati sia dalle case di produzione, sia dagli stessi utenti per sfruttare i limiti, le carenze o i punti deboli del testo e per trasformarlo in modo creativo; al giocatore viene lasciata la possibilità di decidere in modo autonomo in quale direzione sviluppare il suo gioco.
In questa esplosione della banda larga, uno degli aspetti più interessanti è la progressiva diffusione di rappresentazioni tridimensionali (3D) che non si limitano a dare maggiore verosimiglianza agli oggetti, ma consentono allo spettatore di immergersi in tali rappresentazioni e di interagire con esse. Dai modelli CAD (Computer-aided design) – sviluppati prevalentemente nell’ambito professionale dell’ingegneria e dell’architettura – fenomeni come Second life stanno aprendo al grande pubblico la possibilità di costruirsi realtà tridimensionali e di interagire con esse. Anche l’evoluzione delle mappe geografiche resa possibile da iniziative come Google Earth e sue implementazioni rende possibile una nuova lettura e comprensione dei luoghi. Non solo si possono osservare le città a volo d’uccello – dando tra l’altro alle coperture degli edifici una nuova centralità estetica – e giocare con la distanza di osservazione, ma si può addirittura atterrare in specifici luoghi e improvvisamente vedere gli edifici che si alzano, consentendoci di camminare tridimensionalmente in quel luogo.
Una delle nuove frontiere della tridimensionalità sarà però il suo utilizzo nei luoghi pubblici, in primis al cinema. Le nuove o toglieranno l’esigenza di utilizzare gli occhialini offrendo agli spettatori una reale esperienza immersiva.
Queste tecnologie aprono straordinarie possibilità espressive e comunicative, ma richiedono nuove capacità narrative.
La banda larga, consentendo in maniera diffusa la distribuzione di contenuti audiovisivi, apre quindi concretamente nuove frontiere all’espressività e alla rappresentazione della conoscenza. Tali forme comunicative (tra i quali linguaggi, format narrativi, logiche di interazione), superando la struttura testuale che ha caratterizzato le origini di Internet, daranno vita a forme espressive contaminate e complesse.
Le complessità e potenzialità legate ai nuovi linguaggi digitali abilitati dalla banda larga richiederanno pertanto uno studio sistematico e continuativo che dovrà fare leva su diversi saperi. Il punto di partenza sono certamente i linguaggi cinematografici e quelli della Rete ma devono essere considerate anche le numerose altre forme espressive non testuali che si stanno gradualmente digitalizzando: fotografia, videogiochi, spot e linguaggi promopubblicitari, arte digitale, contenuti per terminali mobili, fumetti e animazioni, rappresentazione dati complessi, nuovi alfabeti grafico/testuali (come per es., gli e gli ), ma anche mappe satellitari, motori visuali e realtà immersive come Second life. I componenti di questo nuovo corpus espressivo stanno creando, in maniera indipendente, le proprie grammatiche e retoriche.
Anche i terminali si stanno moltiplicando: non solo TV e schermi cinematografici, ma anche i sistemi domestici di home-theater, i lettori MP3, i nuovi palmari, i navigatori satellitari e così via.
È quindi necessario fare emergere un esperanto digitale che possa essere diffuso su molti media differenti e che possa adattare i singoli contenuti alle più diversificate esigenze di comunicazione.
3. Tutto è comunicazione
Il settore dei servizi è in continua e inarrestabile crescita. Il fenomeno è costante e visibile da oltre un secolo. Le tecnologie digitali stanno dando un ulteriore contributo a questa tendenza in quanto realizzano una condizione nella quale il reale si integra con il virtuale, creando un melting pot esperienziale completamente nuovo. I primi timidi segnali sono sotto gli occhi di tutti, ma il risultato di questa dialettica è ancora da esplorare. Virtuale non vuol dire necessariamente privato della materia e della corporeità. Nel caso delle emozioni fisiche, per esempio, la loro virtualizzazione spesso implica una compressione del segnale che le rappresenta con l’unico fine di consentirne una trasmissione telematica, nulla togliendo però alla fisicità delle emozioni codificate.
Inoltre, l’anima digitale – sempre più diffusa nei prodotti usati nella vita quotidiana – non è semplicemente un modo per utilizzare in maniera più efficace o personalizzata tali oggetti, ma diviene, di fatto, una vera e propria forma di comunicazione.
Ciò implica che la progettazione di un prodotto e delle sue prestazioni sia sempre meno separabile dai processi di comunicazione di tale prodotto. La comunicazione pubblicitaria viene sempre più integrata – talvolta addirittura sostituita – dalla comunicazione su web o da quella che il prodotto stesso genera durante il suo utilizzo.
L’attenzione crescente dei designer verso le interfacce nasce da queste considerazioni: l’interfaccia non è più solo il luogo dove si attivano le funzionalità del prodotto, ma tende a diventare il luogo dove si scambiano informazioni e comunicazioni fra il prodotto e il suo utilizzatore. Pierre Lévy ha osservato più volte che l’uso sociale di una tecnologia deriva dalla sua interfaccia. In pratica non è il principio costitutivo di una macchina a determinarne l’uso, ma le modalità attraverso cui questo principio viene articolato nel rapporto tra uomo e macchina e cioè nell’interfaccia.
In una società che sembra trasformare tutto in virtuale, la dimensione corporea ritorna a essere centrale, quasi per una sorta di bilanciamento fra aspetti spirituali e aspetti materiali. La crescente importanza – anche dal punto di vista dello studio e della rilevanza attribuitagli dal pensiero manageriale – della comunicazione extralinguistica e in particolare il cosiddetto linguaggio del corpo, per esempio, va in questa direzione.
Ma forse il luogo più interessante ed esplicito dove questo recupero del corpo sta avvenendo è nel mondo dell’arte. Le evidenze sono molte: Man Ray, per esempio, ha realizzato con il collage un’opera dove inscrive parole sul corpo di una modella. Nell’assemblare corpo e parole, egli sviluppa un significato che modifica entrambi: le parole sono composte non solamente da lettere, ma anche da zone corporali della donna trasformate in alfabeto, come se tra gli interstizi di un corpo fossero celate lettere dal significato sessuato. Vanno inoltre segnalati i casi estremi rappresentati dalle chirurgie plastiche pubbliche di Orlan o dalle performance di Stelarc, considerato il massimo esponente teorico dell’estetica postumana.
Le nuove esigenze dei giovani di comunicare tramite il corpo, non tanto vestendosi in un certo modo, ma utilizzando in maniera diffusa tatuaggi e piercing, sottolineano nuovamente questa dimensione. L’utopia cyborg di fondere la tecnologia con il corpo – che ha visto nel Futurismo una lucida e anticipatoria concettualizzazione – sta uscendo dalle avanguardie artistiche e dall’impegno politico per farsi linguaggio quotidiano.
Un altro protagonista di questa nuova centralità del corpo, visto sia come medium sia come contenuto, è certamente la medicina. Le nuove tecniche diagnostiche rendono, come nel caso dell’ecografia preparto, l’indagine un vero e proprio momento di comunicazione e di condivisione collettiva. Il proliferare di questi strumenti diagnostici soprattutto se collegati a sensori permanenti per i pazienti che richiedono monitoraggi continui, sta creando una vera e propria rivoluzione informativa nel mondo della salute dove la comunicazione tempestiva e corretta dei dati clinico-sanitari risulta fondamentale non solo per intervenire correttamente ma anche per analizzare – ex post – l’efficacia di specifici farmaci o terapie e poter quindi disporre di dati oggettivi per guidarne il miglioramento.
Paradossalmente anche la più antica – forse archetipica – forma di comunicazione, quella della vita che sta alla base della nostra riproduzione, sta vivendo una vera e propria rivoluzione comunicativa. Il matrimonio tra le scienze chimiche e biologiche e quelle informatiche ha fatto nascere una nuova disciplina, la genomica, che sta mettendo in luce le modalità di quella che possiamo considerare la base generativa di tutte le forme di comunicazione contemporanee: il codice della vita.
Le utilizzazioni primarie della luce sono sempre state il fornire energia, e quindi vita, alla natura e illuminare i luoghi bui. Una terza utilizzazione, già consolidata nella storia, è anche quella di decoro: la luce si trasforma in arredo urbano e caratterizza le città in momenti specifici dalla loro vita (per es., le famose luminarie, in particolare quelle della scuola palermitana, che la tradizione vuole iniziate nel 1752 in occasione del Festino di Santa Rosalia).
Ma la luce sta anche diventando un ausilio alla conoscenza (e spiegazione) delle opere d’arte. L’iniziativa «Conoscere la forma», allestita nel 2007 presso il Louvre, per esempio, usa la luce per svelare aspetti nuovi di un capolavoro: il Satiro Danzante di Mazara del Vallo. È stato infatti chiesto a tre studiosi di usare la luce per scoprire e illustrare – quasi interpretare – aspetti non immediatamente comprensibili dell’opera.
La luce può anche aiutare a ripensare gli spazi architettonici, trasformandoli in schermi di pietra; gli esempi sono moltissimi e queste applicazioni stanno diventando sempre più sofisticate ed evocative. Un esempio interessante è avvenuto nel 2007 a Firenze, dove sono stati proiettati i disegni originali di Michelangelo sulla facciata – oggi nuda in quanto incompleta – di San Lorenzo; questa realizzazione (ispirata alle disposizioni testamentarie di Anna Maria Luisa de’ Medici per il completamento di quella facciata) ha avuto un enorme successo.
Se poi la luce si veste non solo di colori ma di bit informativi, le possibilità narrative si moltiplicano. Tra le applicazioni più interessanti, vi sono i cosiddetti ambienti sensibili progettati da Studio Azzurro. La proiezione di contenuti audiovisivi all’interno di spazi architettonici e l’uso di sensori per catturare i movimenti, i suoni, il calore del pubblico consente di creare luoghi di dialogo e di socialità, di scambio e di esperienza, che fanno leva sulla capacità di relazionarsi con la complessità delle tecnologie e dei suoi effetti.
Viste le complessità legate al fenomeno luce, il suo impiego non è banale: servono infatti nuove sensibilità e nuove competenze che stanno a cavallo fra la tecnologia e l’arte, fra il mondo del design e quello del cinema. Bisogna certamente andare oltre l’illuminotecnica: sapere è importante ma non più sufficiente per progettare (con) la luce.
La lettura è dai suoi albori considerata una tecnologia da maneggiare con cura e non per tutti. Da Dante (il suo incipit del canto di Paolo e Francesca) al Don Chisciotte, serpeggia l’idea che la diffusione dei romanzi possa diffondere anche la mania di un rapporto fittizio che non esiste. C’è sempre stata quindi una sorta di paura per i fantasmi che la lettura può risvegliare, fantasmi nocivi per la salute mentale e morale.
Lo storico della cultura Roger Chartier, nel suo Inscrivere e cancellare. Cultura scritta e letteratura, ricorda che già nel XVIII sec. la lettura era guardata con sospetto. Anzi l’eccesso di lettura viene «considerato una malattia individuale o un’epidemia collettiva. La lettura senza controllo è ritenuta pericolosa perché unisce l’immobilità del corpo e l’eccitazione dell’immaginazione, provocando così i mali peggiori: ostruzione dello stomaco e dell’intestino, disturbi ai nervi, spossamento fisico […] l’esercizio solitario della lettura porta allo sviamento dell’immaginazione, al rifiuto della realtà, alla preferenza accordata alle chimere. Ne deriva una vicinanza tra eccesso della lettura e masturbazione, perché entrambe le pratiche provocano gli stessi sintomi: pallore, inquietudine, prostrazione».
Oltretutto, partendo dalle classiche forme di intrattenimento elettronico quali cinema e TV per arrivare alle modalità immersive tipiche della nuova ondata di tecnologie digitali, si assiste a un aumento delle capacità fabulatorie e oniriche di questi mezzi, che richiede una crescente attenzione da parte dei progettisti per evitare effetti indesiderati.
La narrazione, ormai uscita dalla sua dimensione mitica, non è più solo oggetto della produzione colta. È divenuta infatti uno degli strumenti più potenti per ottenere risultati sorprendenti, anche nel mondo delle imprese. I leader aziendali, per esempio, ne fanno spesso uso sia per una pubblicità efficace, sia per il raggiungimento di obiettivi e risultati concreti.
Bolter, Grusin 2002: Bolter, Jay D. - Grusin, Richard,Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchie nuovi, Milano, Guerini, 2002.
Chartier 2006: Chartier, Roger, Inscrivere e cancellare. Cultura scritta e letteratura dall’XI al XVIII secolo, Roma-Bari, Laterza, 2006.
Lévy 1997: Lévy, Pierre, Il virtuale, Milano, Cortina, 1997.
Turkle 1997: Turkle, Sherry, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet, Milano, Apogeo, 1997.