comunismo
Complesso di dottrine politiche e sociali che, rifiutando la proprietà privata, propugnano un sistema sociale fondato sulla proprietà collettiva dei beni e dei mezzi di produzione. Per estensione, movimenti e regimi che hanno fatto propria tale dottrina.
Idee favorevoli a una società comunista sono state sempre presenti nella storia: fin dall’antica Grecia, filosofi come Platone tratteggiarono una società ideale caratterizzata da condivisione dei beni e assenza di proprietà privata, seppur limitata alle classi dei guerrieri e dei governanti. Ideali e pratiche di condivisione dei beni possono essere rintracciati nel cristianesimo primitivo, nel monachesimo, in movimenti millenaristici di matrice secolare, più di recente nei kibbuz dello Stato d’Israele. Se T. More in Utopia (1516) tratteggiò un modello sociale basato sull’assenza di proprietà privata e sulla condivisione dei beni, T. Campanella nella Città del sole (1602) estese tale condivisione alle donne e ai figli. Ideali comunistici ispirarono nel 16° sec. movimenti di rivolta sociale, come quelli di T. Münzer e, un secolo più tardi, dei ‘livellatori’ e degli ‘zappatori’ inglesi.
L’epoca dei lumi vide in J.-J. Rousseau e altri autori la presentazione di idee egualitarie e vagamente comuniste. Dopo la Rivoluzione francese, il movimento egualitario di F. Babeuf, S. Maréchal e F. Buonarroti preconizzò la redistribuzione della ricchezza e della terra fra piccole unità contadine e artigiane. Con lo sviluppo del socialismo utopistico, riformatori sociali, quali C.-H. Saint-Simon, F-M.C. Fourier e R. Owen, progettarono e tentarono di realizzare, pur su scala limitata, modelli di società fondati sulla proprietà comune dei mezzi di produzione.
Con la pubblicazione, nel 1848, del Manifesto del Partito comunista, K. Marx e F. Engels fecero del c. un metodo di lotta politica fondato su un’articolata concezione della storia come lotta di classe. Il c. divenne la nuova modalità di organizzazione dei rapporti sociali di produzione, una volta che il superamento del capitalismo da parte della classe operaia avesse consentito a quest’ultima di impadronirsi dei mezzi di produzione. ● Sui tempi e le modalità di attuazione del c. ‒ concepito non come un ‘ideale’, ma come un processo storicamente necessario ‒ si confrontarono, nelle organizzazioni sindacali e politiche del movimento operaio, posizioni rivoluzionarie e riformiste. In Russia, il c. si impose con V.I. Lenin, il quale sostenne la necessità di giungere direttamente alla fase socialista, saltando quella democratico-borghese: a tal fine egli elaborò la teoria del partito rivoluzionario, composto di militanti di professione, il cui scopo era impadronirsi del potere. La Rivoluzione d’ottobre (1917) e la successiva dittatura del Partito comunista tradussero in pratica la prospettiva di Lenin. Il mancato estendersi della rivoluzione in Occidente riaccese il dibattito nella stessa dirigenza comunista, che si spaccò tra sostenitori della rivoluzione permanente da estendersi in ogni Paese (L.D. Trockij) e fautori del ‘socialismo in un solo Paese’ (I.V. Stalin): questi ultimi prevalsero e l’URSS diventò il Paese-guida del movimento comunista mondiale. ● Dopo la Seconda guerra mondiale, i regimi comunisti dell’Europa orientale nello scenario della guerra fredda e la Repubblica Popolare di Cina, guidata da Mao Zedong, rappresentarono le principali novità.
Tra gli anni 1960 e 1970, il richiamo al c. venne espresso, con forte carica utopica, anche dai movimenti di contestazione studentesca e operaia sviluppatisi in alcuni Paesi occidentali. Negli anni 1970, la messa in discussione del modello politico sovietico trovò espressione nel cosiddetto eurocomunismo, teorizzato da alcuni partiti comunisti europei (soprattutto quello italiano). Il crollo del muro di Berlino (1989), dei regimi comunisti dell’Est europeo e infine la dissoluzione dell’URSS (1991) hanno segnato una svolta epocale, decretando la fine dell’esperienza iniziata con la Rivoluzione bolscevica del 1917.