Lateranense IV, concilio
Nei Dictatus papae di Gregorio VII, la XVI proposizione prescrive che "nessun concilio possa essere chiamato generale senza l'autorizzazione del papa". Si riferisce evidentemente ai concili di più provincie ecclesiastiche. I primi otto concili "ecumenici", contraddistinti fin dal sec. IX dal numero ordinale, che assegnava a ciascuno di essi il posto nella serie, erano stati indetti e presieduti da imperatori. Benché regolarmente invitati a prendervi parte, i papi li disertarono tutti, adducendo talvolta come motivo che non potevano allontanarsi dalle "tombe degli apostoli". Sei anni prima del Natale dell'800, il sovrano dei franchi indisse e presiedette a Francoforte (giugno 794) un concilio cui presero parte vescovi delle provincie a lui soggette, legati papali e rappresentanti della Chiesa anglosassone. In quella sede fu contestata l'universalità del secondo concilio di Nicea (787), settimo degli ecumenici, che era stato presieduto dalla basilissa Irene e da suo figlio Costantino IV. Ma Francoforte non inaugurò una nuova serie di concili ecumenici imperiali, questa volta occidentali. Solo in un primo momento la restaurazione dell'Impero in Occidente sembrò a tratti sul punto di riproporre il modello tardoantico della "Chiesa imperiale". In seguito, il costante accrescimento dell'estensione della giurisdizione papale rese naturale che la serie dei concili ecumenici "imperiali", rimasta interrotta dall'869-870 (ottavo concilio ecumenico e quarto di Costantinopoli), fosse ripresa con concili ecumenici "papali", cioè indetti e presieduti da pontefici romani. Ancora nell'865, papa Niccolò I, se negava che gli imperatori potessero avere parte nei concili che trattavano solo di affari ecclesiastici, riconosceva che potessero averla nei concili de fide, come erano di norma gli ecumenici.
Il primo dei nuovi concili "papali" è stato, appunto, il Concilium Lateranense IV, che fu convocato da papa Innocenzo III il 19 aprile 1213, ebbe inizio con il discorso inaugurale del papa l'11 novembre 1215 e si concluse con la terza sessione del 30 dello stesso mese. Se esso figura solo come il dodicesimo della serie degli ecumenici è perché, benché sia stato il primo di questi concili ecumenici convocato da un papa che "sembra aver voluto seguire la prassi tramandata dagli antichi concili ecumenici" (Conciliorumoecumenicorum decreta, 1973, pp. 227-228), è stato posposto in seguito ad altri tre concili, tutti e tre lateranensi (del 1123, del 1139 e del 1179), considerati a posteriori anch'essi ecumenici, anche se almeno i primi due non differivano granché da altri concili dei secc. XI e XII (cf. ibid., pp. 187, 195), mentre più giustificato sembra il riconoscimento di ecumenicità per il terzo (cf. ibid., p. 206).
Il quarto concilio lateranense (quello del 1215) e il primo dei lugdunensi (quello del 1245; v. Lione I, concilio di) sono i due concili ecumenici che si svolsero durante la vita di Federico II. Nel corso della seconda sessione del primo (20 novembre) fu messo in discussione il conflitto in atto fra Federico II e Ottone IV per la corona dell'Impero, cosa che produsse un'accesa disputa, degenerata in clamori e grida, trasformando il concilio stesso in qualcosa di diverso da quello che aveva previsto Innocenzo III nel convocarlo: "ad exstirpanda vitia et plantandas virtutes, corrigendos excessus et mores, eliminandas haereses et roborandam fidem, sopiendas discordias et stabiliendam pacem, comprimendas oppressiones et libertatem fovendam, inducendos principes et populos christianos ad succursum et subsidium Terrae sanctae […] impendendum" (ibid., p. 227). Solo nella terza ed ultima sessione fu definitivamente confermata l'elezione a re dei Romani di Federico II e posta così la premessa per la sua incoronazione imperiale nel 1220. Nell'ultima sessione del primo concilio di Lione (17 luglio 1245), fu invece letta la sentenza con la quale Federico era stato deposto da Innocenzo IV.
La sua carriera risulta così delimitata, al principio, da una decisione presa in sede conciliare e, alla fine, da una decisione adottata autoritativamente da un papa e poi "pubblicata" in sede conciliare, ciò che la dice lunga su quale era il trend, ad un tempo, nel rapporto di forza fra i due poteri universali e fra il papa e l'assise conciliare.
"Alla antica maniera dei santi padri", Innocenzo III aveva invitato al concilio i vescovi dell'Oriente e dell'Occidente, gli abati, i priori e anche ‒ fatto che costituiva una novità ‒ i capitoli delle chiese, nonché dei grandi Ordini religiosi (Cistercensi, Premostratensi, Ospitalieri, Templari) e i sovrani di tutta Europa. Vi presero parte quattrocentoquattro vescovi sia dell'intera Chiesa d'Occidente che della Chiesa latina d'Oriente, nonché un gran numero di abati, canonici e rappresentanti dei poteri secolari. Non vi partecipò nessun greco, benché invitato, oltre al patriarca dei Maroniti e un rappresentante del patriarca di Antiochia. Oltre al conflitto fra Federico II e Ottone IV, che fu risolto con la deposizione del secondo, altre questioni del momento non mancarono di essere dibattute: scomuniche dei baroni inglesi sollevatisi contro il re crociato Giovanni Senzaterra e di Raimondo IV, conte di Tolosa, ecc. Esse finirono con l'avere un rilievo sproporzionato. Ciononostante le settantuno costituzioni che furono approvate "costituiscono il complesso legislativo più sostanzioso e di maggiore incidenza nella Chiesa e nella società medievale" (García y García, 1903, p. 201). Alcune di esse affrontano temi e problemi con i quali dovette misurarsi anche Federico II.
La terza costituzione condanna tutte le eresie e indica la procedura da seguire contro i loro seguaci che, una volta scomunicati e colpiti di anatema, vanno abbandonati alle autorità secolari, che sono tenute, salvo andare incontro anch'esse alla censura ecclesiastica, a punirli animadversione debita (tema, questo, che affronterà anche Federico II nella sua legislazione (v. Eresie). La costituzione venticinquesima prevede l'invalidità per le elezioni compiute dal potere secolare (un problema che, con Federico, diventerà spinoso in particolare per il Regno di Sicilia). Nella costituzione quarantaquattresima si legge: "I laici, anche se pii, non hanno il potere di disporre dei beni ecclesiastici. Il loro dovere è obbedire, non comandare. Ci duole che il raffreddarsi della carità porti alcuni a violare con le loro leggi o, per meglio dire, con le loro contraffazioni, la immunitatem ecclesiasticae libertatis, pur garantita da molti privilegi emanati sia dai Santi Padri che dai principi secolari". Infine, la costituzione settantunesima, aggiunta alle altre in un secondo momento, disciplina la crociata in Terrasanta (sarà una croce per Federico II!), precisando che tale termine, a partire dal sec. XII, si applicava anche alla Reconquista spagnola.
fonti e bibliografia
R. Foreville, Latran I, II, III et Latran IV, Paris 1965, pp. 225-317, 342-386 (traduzione italiana delle costituzioni), 391-395 (lista dei partecipanti), 415-419 (bibliografia).
Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura dell'Istituto per le scienze religiose, Bologna 1973, pp. 227-271.
A. García y García, Les constituciones del concilio IV Lateranense de 1215, in Innocenzo III. Urbs etorbis, I, Roma 2003, pp. 200-224.