concordanza dei tempi
L’espressione concordanza dei tempi (che corrisponde in parte alla consecutio temporum della grammatica latina) designa il rapporto tra il tempo del verbo della frase principale (o reggente) e quello del verbo della subordinata: tale rapporto può essere di contemporaneità (le due frasi designano eventi simultanei), di anteriorità (la subordinata designa un evento precedente), di posteriorità (la subordinata designa un evento successivo) (➔ verbi).
Il tempo verbale si adopera essenzialmente con due finalità: da un lato, nelle frasi principali, per esprimere la relazione temporale tra il momento dell’enunciazione e quello dell’azione (o della condizione) espressa dal verbo (cronologia assoluta); dall’altro per esprimere il rapporto temporale tra la frase dipendente (o le proposizioni dipendenti) e la frase reggente (cronologia relativa). Queste due funzioni possono essere viste nell’incipit del Principe di Niccolò Machiavelli:
Tutti gli stati, tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati. E’ principati sono o ereditari, de’ quali el sangue del loro signore ne sia suto lungo tempo principe, o sono nuovi. E’ nuovi, o e’ sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è el regno di Napoli al re di Spagna.
Nella prima principale si nota, innanzitutto, l’alternanza del passato prossimo e del presente (sono stati e sono), che indicano, rispettivamente, un rapporto di anteriorità e contemporaneità tra la condizione descritta dal verbo e il momento in cui Machiavelli scriveva. Lo stesso fenomeno si nota anche nella relativa (tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio). Nel secondo periodo si nota il rapporto di anteriorità tra il verbo della relativa, al passato prossimo (ne sia suto), e il verbo della principale, al presente (sono). Il terzo periodo, infine, mostra, nelle due frasi, rispettivamente, un rapporto di anteriorità e contemporaneità con i verbi principali (come fu Milano, legato alla prima disgiunzione: o e’ sono nuovi tutti; come è el regno di Napoli, dipendente dalla seconda disgiunzione: o sono come membri aggiunti).
Risulta dunque evidente che la concordanza dei tempi opera nell’ambito della cronologia relativa.
In italiano, come si è detto, la concordanza tra il tempo verbale della subordinata e quello della principale non ha il rigore tipico della consecutio latina (cfr. Vanelli 1991: 611-632; Serianni 1988: 145-164).
Riguardo alla subordinazione all’indicativo occorre tener conto della distinzione tra tempi deittici e anaforici (D’Achille 2003: 118-119). I primi (presente, passato prossimo e remoto, futuro) fanno riferimento al momento dell’enunciazione, i secondi (futuro anteriore, trapassato prossimo e remoto) indicano anteriorità o posteriorità non rispetto al momento dell’enunciazione, ma rispetto al tempo della reggente.
Nelle subordinate all’indicativo figurano i tempi di entrambe le classi: si avranno i tempi semplici quando, oltre alla relazione cronologica relativa con il tempo verbale della reggente (relazione, come visto in § 1, alla base del meccanismo della concordanza dei tempi), si vuole sottolineare anche un certo rapporto con il momento dell’enunciazione (➔ deittici). Questo può spiegare perché le subordinate costruite con i tempi semplici possano anche reggersi da sole, indipendentemente dalla principale. Si considerino i casi seguenti:
(1) a. so che sei in casa
b. sei in casa
(2) a. so che è arrivato / arrivò in treno
b. è arrivato / arrivò in treno
(3) a. so che domani terminerete il lavoro
b. domani terminerete il lavoro
I tempi delle subordinate (sei; è arrivato / arrivò; terminerete), oltre a rapportarsi (rispettivamente per contemporaneità, anteriorità, posteriorità) al verbo della principale, esprimono anche, implicitamente, una relazione col contesto dell’enunciazione. Nelle coppie di frasi si osserva come le subordinate possano anche esistere autonomamente.
Coi tempi anaforici, al contrario, è marcato solo il rapporto con il tempo verbale della reggente e solo quest’ultimo rinvierà alla situazione. Le subordinate costruite con i tempi anaforici, infatti, non possono vivere indipendentemente dalla principale:
(4) a. dopo che ebbe sentito Maria per telefono, uscì subito
b. * ebbe sentito Maria per telefono
(5) a. quando avrò terminato il lavoro, sarò più tranquillo
b. * avrò terminato il lavoro per domani
L’ultima frase potrebbe sussistere da sola solo se pronunciata con tono augurale, che però sottintenderebbe una reggente:
(6) [mi auguro che] avrò terminato il lavoro per domani.
Quando la subordinata è al congiuntivo o al condizionale, nella lingua standard si hanno le seguenti possibilità (Dardano & Trifone 1997: 430):
(a) se il verbo della subordinata è in un rapporto di contemporaneità con quello della principale si avrà il congiuntivo presente in dipendenza dai tempi semplici, il congiuntivo imperfetto in dipendenza dai tempi storici (cfr. tab. 1);
(b) se il verbo della subordinata è in rapporto di anteriorità con quello della principale si avrà il congiuntivo passato in dipendenza dai tempi semplici, il congiuntivo trapassato in dipendenza dai tempi storici. In dipendenza dal condizionale si possono avere i congiuntivi imperfetto, passato, trapassato (cfr. tab. 2).
(c) se il verbo della subordinata è in rapporto di posteriorità con quello della principale, si avrà il futuro semplice in dipendenza dai tempi semplici, il condizionale passato in dipendenza dai tempi storici e dal condizionale, sia presente che passato (cfr. tab. 3).
L’italiano presenta molte altre possibilità: per es., una principale all’indicativo presente può in certe condizioni reggere una subordinata al condizionale presente:
(7) credo che egli riuscirebbe meglio se ascoltasse i tuoi consigli
dove il condizionale è richiesto dal contesto, a motivo dell’ipotetica al congiuntivo; mentre si ha il futuro in: credo che egli riuscirà meglio quando avrà ascoltato i tuoi consigli.
A sottolineare la libertà dell’italiano quanto alla concordanza dei tempi Dardano & Trifone (1997: 430) citano due casi: l’imperfetto congiuntivo in dipendenza da un presente indicativo, per esprimere «una relazione di anteriorità rispetto al presente che manca al congiuntivo passato»: penso che fosse a scuola; il presente congiuntivo, in luogo dell’imperfetto congiuntivo, in dipendenza da un passato prossimo «per sottolineare l’attualità di un fatto»: ho temuto che questa notizia ti possa dispiacere.
Nella lingua letteraria (perlomeno fino alla fine dell’Ottocento) si nota l’uso del congiuntivo imperfetto in luogo del condizionale passato:
(8) Chi avrebbe creduto che le cose potessero [e non: avrebbero potuto] arrivare a questo segno? (Alessandro Manzoni, Promessi sposi, cap. III)
e l’uso del condizionale presente in luogo del condizionale passato per l’espressione del futuro nel passato:
(9) Don Abbondio in vece non sapeva altro se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia (A. Manzoni, Promessi sposi, cap. II).
Anche nelle subordinate implicite (contenenti cioè un verbo di modo non-finito) si osserva il fenomeno della concordanza dei tempi.
Si adopera l’infinito presente sia per la contemporaneità che per la posteriorità dei due eventi:
(10) L’autista guardò la vettura fare la curva lentamente (Giuseppe Berto, Il cielo è rosso, p. 15)
(11) lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella (A. Manzoni, Promessi sposi, cap. I)
Si adopera l’infinito passato per l’anteriorità:
(12) Era la sera d’una splendida giornata invernale, in cui tutta Roma aveva sfilato davanti alla bara d’una giovane, morta per aver preso freddo in un convegno amoroso (Corrado Alvaro, Quasi una vita, p. 12)
Per la relazione di contemporaneità si usa il gerundio semplice, per l’anteriorità il gerundio composto:
(13) Fece per fuggire ma già il visconte l’aveva scorta e uscendo sotto la pioggia scrosciante le disse ... (Italo Calvino, Il visconte dimezzato, p. 82)
(14) ... e avendo puntato al totalizzatore, in società con Faliero, la vincita l’aveva rallegrata (Vasco Pratolini, Un eroe del nostro tempo, p. 96).
Soprattutto nei participi aventi funzione attributiva si può notare che il participio presente si usa (di rado) per marcare una relazione di contemporaneità-attualità, il participio passato per una relazione di anteriorità rispetto alla principale:
(15) Subito lo colpí una fotografia pubblicata in seconda pagina e facente parte di tutto un servizio giornalistico sul delitto (Alberto Moravia, Il conformista, p. 340)
In questo esempio si nota che pubblicata indica anteriorità rispetto alla lettura del giornale (lo colpì), mentre facente indica contemporaneità (la foto è sul giornale, anche nel momento della consultazione).
Alvaro, Corrado (1951), Quasi una vita, Milano, Bompiani.
Berto, Giuseppe (1947), Il cielo è rosso, Milano, Longanesi.
Calvino Italo (1952), Il visconte dimezzato, Torino, Einaudi.
Manzoni, Alessandro (1995), I Promessi Sposi. Storia della colonna infame, edizione a cura di A. Stella & C. Repossi, Torino, Einaudi-Gallimard.
Moravia, Alberto (1951), Il conformista, Milano, Bompiani.
Pratolini, Vasco (1949), Un eroe del nostro tempo, Milano, Bompiani.
D’Achille, Paolo (2003), L’italiano contemporaneo, Bologna, il Mulino.
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Vanelli, Laura (1991), La concordanza dei tempi, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2º (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 611-632).