concorrenza
Produrre e commerciare in libertà per il benessere di tutti
Come indica il nome, la concorrenza è una sorta di gara nella quale tanti corrono assieme per ottenere un 'premio': la vendita ai clienti dei beni che producono. Si ha concorrenza quando ci sono tanti produttori e tutti sono liberi di partecipare alla gara. La libertà di produrre e di vendere è un tratto essenziale della concorrenza. Questa libertà è talmente importante per il buon funzionamento del sistema economico che è considerata un vero e proprio bene pubblico: nei paesi moderni vi sono istituzioni che puniscono chi la ostacola. Quando la concorrenza è impedita si parla di concorrenza imperfetta. Quando non vi è concorrenza si ha una situazione di monopolio
La concorrenza è prima di tutto un miracolo o, per meglio dire, è lo strumento attraverso cui si realizza un miracolo. Quale miracolo? Il miracolo di trasformare l'egoismo in altruismo, di trasformare il 'farsi gli affari propri' nel 'fare il bene di tutti'.
Questa affermazione ‒ la concorrenza fa miracoli ‒ sembra un'esagerazione e sulle prime risulta difficile crederci: ma a una considerazione più attenta ci potremo rendere conto che rispecchia abbastanza fedelmente la verità dei fatti. Per cominciare, andiamo sotto casa, nel negozio del panettiere. Siamo così abituati ad andare a comprare il pane che non ci poniamo neanche una domanda che pure non è così banale: come facciamo a essere sicuri che quel panettiere ci dia del buon pane a un prezzo giusto?
Mettiamoci nei panni del panettiere. "Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio" dice un vecchio detto, e in effetti ci sarebbero ragioni per non fidarsi del panettiere. Come tutti noi, anche lui cerca di guadagnare il più possibile; e per guadagnare di più potrebbe essere tentato di risparmiare sulla farina ‒ fare il pane con della farina di qualità scadente ‒ e di tenere alto il prezzo. Che cosa gli impedisce di mettere in opera questi biechi propositi? Glielo impedisce la bacchetta magica della concorrenza. Il panettiere sa che se lui vende un pane cattivo o a un prezzo esagerato, un altro panettiere lì vicino ‒ il suo concorrente ‒ gli porterà via i clienti. E così anche il primo panettiere deve fare buon viso a cattivo gioco, o cattivo viso a buon gioco: insomma, deve cercare di accontentare i clienti, vendendo del buon pane a un prezzo giusto.
La concorrenza, però, non è un fatto di natura. Quando si dice che la concorrenza trasforma l'egoismo in altruismo, la tendenza a fare il proprio interesse nel perseguimento dell'interesse di tutti, ciò non significa che questo lodevole risultato si ottenga spontaneamente. O, per meglio dire, si ottiene spontaneamente solo quando la libertà economica ‒ libertà di produrre e di vendere ‒ viene assicurata e protetta dai poteri pubblici. I padri fondatori dell'economia non avevano illusioni in proposito: lasciata senza protezioni, la concorrenza sarebbe stata presto soffocata dalle prevaricazioni dei più forti.
Ecco che in tutti i paesi moderni i poteri pubblici assicurano la libertà di concorrenza con una particolare istituzione, autonoma e indipendente, che in Italia si chiama Autorità garante della concorrenza e del mercato. Questa autorità controlla che i produttori non abbiano posizioni dominanti, cioè posizioni che permetterebbero loro di fare il bello e cattivo tempo, di tenere alti i prezzi o impedire l'emergere di prodotti migliori. E quando l'Autorità ravvisi l'esistenza di posizioni dominanti, può intervenire, comminare sanzioni e ripristinare la concorrenza.
La concorrenza può essere perfetta? In economia la concorrenza perfetta è descritta come una situazione in cui ci sono tantissimi venditori: tanti quanti gli atomi! Tant'è vero che questa situazione di pluralità di venditori viene chiamata anche concorrenza atomistica. Perché avere tanti venditori rappresenta la perfezione della concorrenza? Essenzialmente, perché costringe ogni venditore a vendere al prezzo più basso possibile, dato che egli deve sempre guardarsi le spalle per esser sicuro che nessun altro, vendendo a un prezzo più basso del suo, gli porti via i clienti. Detto in altre parole: "Se io fossi il solo venditore, potrei imporre il prezzo che voglio e la gente sarebbe costretta a comprare da me; ma se siamo tanti, non posso più agire in questo modo". La concorrenza perfetta toglie potere di prezzo ai venditori. Dato che, naturalmente, la gente compra dove costa meno, i venditori finiranno inevitabilmente per vendere al prezzo più basso possibile. Se un venditore a quel prezzo non riesce a vendere, uscirà dal mercato, e sul mercato rimarranno solo i venditori più efficienti, quelli capaci di vendere al prezzo più basso.
Tuttavia, così come nessuno è perfetto, anche la concorrenza perfetta nella realtà non esiste. Vi sono sempre delle piccole o grandi imperfezioni: per esempio, la panetteria all'angolo presenta il vantaggio della vicinanza per quelli che abitano in quella zona, e può praticare un prezzo leggermente superiore rispetto a quello del concorrente che si trova più lontano. Ma queste sono piccole imperfezioni. Quando le imperfezioni sono grandi, allora si parla di concorrenza imperfetta: oligopoli e monopoli.
La concorrenza, abbiamo detto, dipende dall'esistenza di un grandissimo numero di venditori/produttori. Quando invece questo numero è piccolo, si ha una situazione di concorrenza imperfetta che viene chiamata oligopolio (o concorrenza oligopolistica). Per esempio, consideriamo il numero dei panettieri a Roma: ce ne sono moltissimi e quindi è un caso di concorrenza quasi perfetta. Ma se uno mette su casa a Roma e vuole il telefono, a quante compagnie telefoniche si può rivolgere? L'abbonamento telefonico si può fare con un numero di compagnie molto limitato: esiste, insomma, un oligopolio.
Ma come si spiega che in certi casi vi sia una situazione di concorrenza e in altri una situazione di oligopolio?
Le spiegazioni possono essere diverse. Per esempio, vi possono essere barriere all'entrata, vale a dire limitazioni alla libertà economica di produrre quel bene o vendere quel servizio. Pensiamo ai notai. Per fare il notaio bisogna superare un esame o un concorso e fin qui va bene: è giusto assicurarsi che chi rende un certo servizio sia capace e competente (così come per fare il medico bisogna aver studiato per molti anni!). Ma c'è un'altra difficoltà: i notai sono un numero chiuso e non ce ne possono essere più di tanti. Si tratta di una barriera oggettiva. Oppure, la ragione può essere tecnologica: per esempio, ci sono pochi fabbricanti di auto perché per produrre auto servono capitali assai più cospicui di quelli che occorrono per produrre il pane.
Se nella concorrenza perfetta i produttori sono numerosi come gli atomi, nella concorrenza oligopolistica sono ridotti a pochi. Se si diminuisce progressivamente questo numero si arriva al monopolio, cioè alla situazione dove c'è un solo produttore. È come se in città ci fosse un solo panettiere e tutti dovessimo andare a comprare il pane da lui. Saremmo contenti? No, perché a tutti noi piace poter scegliere, e il monopolio ci toglie la libertà di scelta. E poi non saremmo contenti anche perché avremmo sempre il sospetto (fondato) che quel pane ci costa troppo. Il monopolista avrà sempre la tentazione di alzare il prezzo oltre il dovuto, dal momento che i clienti non hanno altra scelta.
Perché ci sono i monopoli? Prima di rispondere a questa domanda, diciamo che fortunatamente di monopoli ce ne sono sempre meno: la tesi ribadita incessantemente dagli economisti, secondo cui la concorrenza è un bene e il monopolio è un male, è riuscita a trovare ascolto. I monopoli che sono rimasti sono, in qualche caso, monopoli legali, cioè imposti dalla legge: in certi paesi la vendita di articoli come le sigarette o il sale è riservata ai poteri pubblici, di solito per ragioni fiscali: così lo Stato può incassare soldi facendo pagare l'articolo molto più del suo costo di produzione. In altri casi i monopoli sono dovuti a ragioni tecnologiche, e vengono definiti monopoli naturali: per esempio, la rete elettrica o la rete ferroviaria (non avrebbe senso moltiplicare cavi e piloni per ogni azienda che voglia vendere elettricità). Ma anche qui, i progressi della tecnologia tendono a far sparire i monopoli tecnologici.
Nella realtà ‒ lo abbiamo già detto ‒ la concorrenza perfetta non esiste. Qual è, allora, la forma più frequente di concorrenza che si incontra nella vita quotidiana lontana dalle astrazioni delle teorie economiche? La forma più frequente è quella che si chiama concorrenza monopolistica. Si tratta di una forma di concorrenza in cui, come dice il nome stesso, la libertà di vendere e di produrre coesiste con piccoli elementi di monopolio. Per capire questa forma di concorrenza pensiamo al mercato delle medicine o al mercato automobilistico. Chi voglia comperare una macchina sa che esiste una situazione di concorrenza, perché può comperare macchine italiane, francesi, tedesche, giapponesi, coreane, svedesi e via dicendo; tuttavia il mercato delle automobili non soddisfa le condizioni della perfetta concorrenza perché non si tratta di un prodotto omogeneo come la benzina. Ogni auto è diversa dalle altre, costituisce un piccolo monopolio, e ogni fabbricante di auto mira a offrire alla clientela un prodotto diverso ‒ e, a quanto dice lui, migliore ‒ di quello dei suoi concorrenti. In questa forma di concorrenza il prezzo è solo uno degli elementi su cui si basa la scelta dei consumatori. Eguale peso hanno altri elementi ‒ qualità, stile, colore, garanzia, assistenza ‒ che servono al produttore per sfruttare i vantaggi del piccolo monopolio che si è creato con l'innovazione.
L'economia come scienza nasce con Adam Smith, un professore di filosofia morale del Settecento (non poteva essere un economista perché l'economia era ancora da inventare) che aveva le idee chiare su che cosa spinge gli uomini a operare come 'individui economici'. L'esempio del panettiere fu proposto per primo da Adam Smith nella sua opera fondamentale: Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776). Ecco cosa scrive Smith in proposito: "Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio, che aspettiamo il nostro sostentamento, ma dalla considerazione del loro proprio interesse. Noi ci affidiamo non alla loro umanità ma al loro egoismo, e non gli parliamo mai dei nostri bisogni ma del loro vantaggio". Insomma, è come se una mano invisibile - scrive ancora Adam Smith - dirigesse gli atti dei singoli verso il bene comune.
Ma Adam Smith non considera la concorrenza come un fatto naturale. Lasciati a sé stessi, cosa farebbero i produttori o i venditori? "Quelli che fanno lo stesso mestiere di rado si incontrano, foss'anche per divertirsi, ma se si trovano assieme la conversazione volge sempre in una cospirazione contro il pubblico o per alzare in qualche modo i prezzi".
Nel gergo degli esperti di comunicazioni l'ultimo miglio dei cavi telefonici (o elettrici) è quello che va dalla strada alle case, è quella ragnatela di fili e di cavi che porta il telefono o la corrente in ogni casa e in ogni appartamento. Per molto tempo si è pensato che i telefoni fossero un monopolio naturale. Dati gli enormi investimenti necessari a realizzare quell'intrico di cavi telefonici o di ponti radio che connettono tutte le case e tutti gli uffici, una sola azienda telefonica era, si pensava, l'unica soluzione possibile: un'azienda rivale avrebbe dovuto duplicare l'intera rete, con uno spreco di risorse inaccettabile e tecnicamente quasi impossibile.
Il problema è stato risolto creando un'autorità pubblica di regolamentazione che costringe il monopolista telefonico - che così non sarà più monopolista - ad affittare la propria rete, con tariffe prefissate, ai concorrenti; oppure, questi concorrenti possono creare, a livello delle grandi dorsali di comunicazione, da città a città, la propria rete; con i nuovi cavi a fibre ottiche, che hanno un'enorme capacità di trasmissione, questa impresa è relativamente poco costosa. In ogni caso però i concorrenti si trovano di fronte al problema dell'ultimo miglio, perché non possono duplicare anche la ragnatela che entra in ogni casa e devono usare la rete dell'ex monopolista. Tuttavia i progressi della tecnica, con la possibilità di trasmissioni senza fili, estesa anche ai telefoni fissi e non più solo ai cellulari, consentiranno presto di superare anche il problema dell'ultimo miglio.
Il caso delle medicine è un caso anomalo in cui, si sarebbe tentati di dire, è bene che esistano limitazioni alla concorrenza. Questo perché il costo di una medicina dipende solo in piccola parte dalla produzione materiale della pillola o della fiala; il costo maggiore della medicina dipende da tutta la fase precedente: la ricerca farmacologica, la sperimentazione, le prove cliniche, il processo di approvazione del farmaco da parte delle autorità pubbliche. Una volta che l'azienda A ha affrontato tutte queste spese ed è riuscita a produrre un farmaco efficace, sarebbe ingiusto sia nei suoi confronti sia per tutta la comunità se l'azienda B potesse copiare il farmaco sostenendo solo le minime spese della produzione materiale. L'ingiustizia che subirebbe l'azienda A è ovvia; il danno per la comunità starebbe nel fatto che così verrebbero a mancare gli incentivi alla ricerca e quindi al miglioramento della salute dei cittadini. Per questo alle aziende farmaceutiche viene legalmente concesso un monopolio parziale (cioè solo per un certo numero di anni) nella produzione dei farmaci da loro creati.
Risolto un problema, se ne crea un altro. Cosa fare per i paesi poveri che hanno bisogno di medicine costose, come quelle contro l'AIDS? Questo è un problema che non può essere risolto dalla concorrenza o dal mercato. Si rende necessario un intervento dei pubblici poteri, coordinato a livello internazionale, per trovare una formula che permetta a quelle medicine di essere disponibili in quei paesi a un prezzo che rifletta solo i costi della fase finale di produzione.