CONIA (lat. Iconium; turco, nella nuova grafia, Konya; A. T., 88-89)
Città dell'Anatolia meridionale, a 1027 m. s. m., capoluogo del vilāyet omonimo, posta in un altipiano, ampio bacino chiuso, costituito da calcari pliocenici, ricoperti da sabbie e terriccio portati dai torrenti e dal vento, con frequenti incrostazioni saline. Il clima è spiccatamente continentale con freddi rilevanti durante il lungo inverno (media del gennaio −3°,2) ed estati calde (media del luglio 20°,5) e con grandi escursioni diurne; le scarse precipitazioni (media annua 181,3 mm.) sono distribuite in 36 giorni con prevalenza in primavera e in autunno.
La costruzione della ferrovia di Baghdād (concessa a una società tedesca nel 1907, ma in attività nel tratto Conia-Aleppo-Naṣībīn solo dal 1917) ha ridato alla città la funzione che essa aveva nell'antichità d'importante luogo di passaggio della via tra l'Europa e l'Oriente. Soprattutto hanno risvegliato la città a nuova vita i lavori d'irrigazione d'una vasta area stepposa, cominciati già nel 1903 e continuati fino al 1912 per iniziativa della società ferroviaria e con la direzione d'ingegneri olandesi. Sono stati guadagnati alla coltura circa 53 mila ettari, trasportando l'acqua dei laghi di Kirli e di Sogla per mezzo d'una diga che ha incanalato le acque nella valle del fiume CarŞembe; ogni kmq. riceve 56 litri d'acqua al secondo. La guerra ha notevolmente danneggiato questi lavori, che sono stati poi ripresi e completati. Conia conta 47.286 ab. ed è centro d'un vasto contado: si esportano biade, ortaggi, cera, oppio, sesamo, lino, bozzoli e uova e s'importano manufatti, ferrami, vetro, cuoio, zucchero e caffè. L'esportazione si aggirava nell'anteguerra sui 18 milioni e le importazioni sui 15. Nel 1914 vi erano a Conia 6000 tra Greci e Armeni; partiti i primi e annientati i secondi, essi sono stati in parte sostituiti da profughi della Turchia europea (2700 in tutto il vilāyet).
Il vilāyet di Conia, di gran lunga il più vasto di tutta la Turchia, ha una superficie di 48.990 kmq. e una popolazione di 504.125 ab. (ottobre 1927), di cui circa 20 mila Curdi, con una densità di 10,3 ab. per kmq., inferiore a quella media dello stato (17); sono state contate 137.539 case. L'attività principale degli abitanti è rivolta all'agricoltura, che occupa 415.610 persone. Nel 1927 sono stati raccolti 748.862 q. di grano con un reddito unitario di 5,2 q. per ettaro; si coltiva anche molto orzo. L'allevamento ha una certa importanza per le numerose pecore di buona razza; esistono 8000 cammelli. La malaria è molto diffusa (circa 12 mila casi annui).
Monumenti. - Come capitale del sultanato selgiuchide di Rūm, divenne il più importante centro dell'arte medievale turca, ed ebbe il suo periodo più glorioso sotto ‛Alā' ad-dīn Kaiqubād (1219-1237) e i suoi successori immediati. Il viaggiatore arabo Ibn Baṭtūṭah ci ha lasciato un'interessante descrizione della città al colmo del suo splendore. ‛Alā' ad-dīn con materiali in gran parte antichi, la circondò d'una forte muraglia con 108 torri, offerta ciascuna da uno dei capi selgiuchidi, con rilievi e iscrizioni incastratevi. Ma delle fortificazioni, ancora assai imponenti nel 1838, ora non rimangono che pochi resti, come pure del palazzo costruito dentro la cittadella nel 1220. Anche i monumenti religiosi hanno sofferto molto, specie negli ultimi tempi, ma bastano per dare un'idea degli antichi splendori. Fra le loro caratteristiche bisogna notare: 1. la forma dei minareti affilati con balcone intermedio a stalattiti, perfezionata più tardi a Costantinopoli; 2. l'accentuazione delle facciate per mezzo d'una decorazione imponente di pietra, intorno alla porta d'accesso, molto variata nei diversi edifici; 3. l'uso del mosaico di ceramica, importato probabilmente dalla Persia, ma conservato qui nei suoi più antichi esempî, all'interno, specialmente nelle cupole e nelle nicchie da preghiera.
La Moschea del Castello (1220) mostra ancora il tipo tradizionale arabo col santuario in forma di sala bassa sostenuta da 50 colonne antiche, mentre negli altri edifici religiosi la pianta della moschea si avvicina a quella della medresa. I monumenti più notabili, in parte già in rovina e tutti con bei portali ornamentali e decorazioni di ceramica policroma, sono le moschee Ince Minareli (1251) ed Energhe Giami (1269, chiamata pure Laranda o di Sahib Ata), ambedue dello stesso architetto; la Sirçeli Medrese (1243) e quella di Karatai (1251), con magnifica porta di marmo ed eleganti decorazioni di ceramica. Parecchi battenti e pulpiti (minbar) scolpiti dànno prova del talento dei falegnami di Conia nel sec. XIII; e nel museo degli Evkaf a Costantinopoli si conservano alcuni tappeti orientali, i più antichi che si conoscano, già stesi nell'oratorio della Moschea del Castello e forse lavorati a Conia.
Storia. - I documenti dell'antica vita di Conia sono conservati in quella collina tondeggiante - detta semplicemente Tepe, cioè "collina" - che occupa il centro della città, ne costituisce l'unico rilievo, ed è stata in ogni tempo il nucleo dell'abitato. Avanzi di ceramica bruna o rossastra, a superficie lucidata, ci riportano all'età più antica, durante la quale il villaggio ivi esistente soggiacque all'influenza hittita. Qualche monumento rupestre dei dintorni non immediati ci riporta a influenze di tipo frigio. Di Iconium troviamo però per la prima volta notizia soltanto al tempo della spedizione dei Diecimila, quando la selvaggia regione sottostava nominalmente alla dominazione persiana. Ma né con questa, né col successivo dominio d'Alessandro e dei Diadochi, Conia e il suo distretto - la Licaonia - furono profondamente permeati di civiltà. Ancora nel sec. I d. C., il popolo parlava la lingua del luogo. Sono i Romani i primi ad esercitare un effettivo dominio e ad influire sulla civiltà del paese, riconducendola al contatto col Mediterraneo. Essi compresero, dopo il trattato di Antioco, la Licaonia, con la Lidia e la Caria, nella provincia dell'Asia propria. A Iconio romano si riferiscono perciò le poche notizie che gli antichi ci hanno tramandato sulla città. E allora si elabora il mito onomastico della sua origine da Deucalione e dalle immagini da lui fatte per ripopolare il mondo dopo il diluvio, interpretando 'Ικόνιον quasi Εἰκόνιον. Cicerone visita la città durante la sua magistratura d'Asia e nei suoi dintorni riordina l'esercito. Strabone la conosce città piccola, ma ricca; con Tiberio diviene proprietà di Polemone e S. Paolo la fa meta del suo pellegrinaggio di propaganda. Cresce d'importanza con Adriano, che la rinsangua d'una colonia, della quale restano documenti in monete ed epigrafi: la Colonia Aelia Hadriana Iconiensis. Alcuni avanzi di Conia romana, trovati intorno al Tepe, si conservano nel Museo della città. L'importanza di Conia come centro di cristianesimo primitivo è anche attestata da tradizioni ed edifizî del sobborgo di Sille. Nel 215 Conia è sede d'un concilio. Una chiesa antica del Tepe è dedicata a S. Anfiloquio, scrittore di cose sacre e amico di S. Gregorio Nazianzeno, vescovo di Conia nel 374. Sotto i Bizantini la città diviene metropoli della Licaonia.
La città segue la storia dell'Anatolia durante tutto il periodo bizantino. Dopo la battaglia di Manzicerta (1071) Conia divenne capitale del sultanato selgiuchide di Rūm (secoli XII-XIII). Fu quella l'età dell'oro della città, il cui benessere e splendore sono attestati dai monumenti, e anche dagli storici delle Crociate.
Sommerso dall'invasione dei mongoli, il sultanato selgiuchide nei primi anni del sec. XIV si divide fra dieci emiri indipendenti: Qaramān, genero dell'ultimo sultano Alā' ad-dīn III, tiene Conia, con la Licaonia e le regioni vicine, costituendo un'unità politica che da lui prese il nome di Caramania e comprende a un dipresso il vilāyet moderno di Conia. Dal sec. XV Conia entrò a far parte e seguì le sorti dell'Impero ottomano.
Bibl.: Ch. Textier, L'Asie Mineure, Parigi 1862, p. 580 segg.; Cl. Huart, Konia, la ville des derviches tourneurs, Parigi 1897; F. Sarre, Reise in Kleinasien; W. M. Leake, Journal of a tour in Asia Minor, Londra 1824, p. 48 segg.; L. Vivien de Saint-Martin, L'Asie Mineure, II, Parigi 1852, p. 619 segg.; G. Gerhardt, Bewässerung der Konia Ebene, Francoforte 1909; L. Vannutelli, Anatolia meridionale e Mesopotamia, Roma 1911, pp. 237-55; F. Sarre, Konia, Seldschukische Baudenkmäler, Berlino 1921; U. Frey, Das Hochland von Anatolien, in Mitt. der geogr. Gesell. in München, XVIII (1925), pp. 203-81; B. Pace, Ricerche archeol. nella regione di Conia, etc., in Annuario della R. Scuola italiana d'Atene e delle Missioni in Levante, VI-VII, Bergamo 1926, p. 347 segg.; id., Da Adalia alla valle del Meandro, Milano 1927.