Abstract
Si espone la disciplina della connessione fra cause quale presupposto del cumulo e della riunione, anche in deroga alle norme sulla competenza e sul rito, nonché del litisconsorzio e della sua inscindibilità.
Nel linguaggio processualcivilistico dicesi connessione il rapporto fra più cause aventi in comune alcuni elementi identificativi – ossia le parti, e, nel lessico del codice, l’oggetto o il titolo (in quello dottrinale, petitum o causa petendi) –, ovvero in relazione di pregiudizialità-dipendenza, ovvero ancora aventi in comune alcune questioni di fatto o di diritto. A seconda se si rientri nei primi due oppure nel terzo caso si parla rispettivamente di connessione propria o impropria.
La connessione fra cause rileva principalmente ai fini del loro cumulo in un unico processo – il cd. simultaneus processus –, per effetto dell’iniziativa delle parti o di un provvedimento del giudice, acciocché l’unus iudex assicuri coerenza delle decisioni e risparmio di attività processuali (v., sul rapporto fra queste due diverse rationes, Comoglio, L.P., Il principio di economia processuale, I, Padova, 1980, 87 ss.): ciò è possibile in varia misura a seconda del grado di connessione, del grado di derogabilità del riparto della competenza, nonché della tempistica delle iniziative di parte. Inoltre essa può giustificare il processo litisconsortile, incidendo anche sull’efficacia degli atti compiuti da solo alcuni fra più litisconsorti.
Ai fini del cumulo in un unico processo di più domande formulate dallo stesso attore nei confronti del medesimo convenuto non occorre alcuna connessione oggettiva, ai sensi dell’art. 10 c.p.c.: si può osservare che ove tale scelta comporti inefficienze le conseguenze negative ricadranno soprattutto su chi vi ha dato causa; inoltre, ove il cumulo possa pregiudicare un interesse generale all’efficienza dell’amministrazione della giustizia, resta salvo il potere discrezionale del giudice di disporre la separazione dei procedimenti. In mancanza di connessione propria, però, tale cumulo non può essere introdotto dall’attore in deroga al riparto della competenza, se non in forza di disposizioni speciali (fra le quali spicca l’art. 134 c.p.i., determinativo della vis attractiva della competenza delle sezioni specializzate per l’impresa: cfr., in proposito, per es., Cass., 29.1.2013, n. 2102).
La connessione propria può peraltro determinare in svariate circostanze anche la giurisdizione su domande contro lo stesso convenuto (per es. per la domanda contrattuale connessa a quella relativa a un diritto reale immobiliare ai sensi dell’art. 8, n. 4, reg. 1215/2012/CE). è rimasta tuttavia isolata la giurisprudenza (Cass., S.U., 28.2.2007, n. 4636) che ammetteva, nei casi di pregiudizialità, il cumulo di domande in deroga al riparto fra giudici ordinari e speciali (cfr., successivamente, per es., Cass., S.U., 10.8.2012, n. 14371, Cass., S.U., 19.4.2013, n. 9534).
Affinché il convenuto possa cumulare una sua domanda contro l’attore nel processo da questi avviato ai sensi dell’art. 36 c.p.c., è invece necessaria almeno una connessione propria con la domanda principale o con un’eccezione alla stessa (per es. l’usucapione del diritto il cui esercizio abbia prodotto danni, v. da ult. Cass., 28.1.2013, n. 1848), ma la giurisprudenza ritiene ammissibile anche la domanda riconvenzionale connessa soltanto impropriamente (v., per es., da ult., Cass., 20.12.2011, n. 17564). In presenza di una connessione propria, però, tale cumulo può realizzarsi anche in deroga al riparto della competenza: sotto il profilo del riparto cd. orizzontale (ossia fra i giudici dello stesso tipo distribuiti sul territorio) lo si ritiene possibile anche nei casi di cd. competenza funzionale sottratta alla disponibilità delle parti (v., per es., Cass., 3.9.2007, n. 18554; cfr. però, da ult., nel senso che tale orientamento, benché consolidato, sia discutibile, un obiter dictum di Cass., 19.4.2012, n. 6166); sotto il profilo del riparto cd. verticale (ossia fra giudici di tipo diverso) tale cumulo determina, qualunque sia il giudice presso il quale si formi, la competenza per entrambe le domande del giudice superiore o di quello specializzato (v., per es., Cass., 2.3.1998, n. 2269).
La domanda riconvenzionale può inoltre anch’essa proporsi in deroga al riparto giurisdizionale internazionale quando sia propriamente connessa con la principale (ma non solo con l’eccezione: la compensazione, in tal caso, può pertanto dedursi solo in via di eccezione, v. C. giust., 13.7.1995, C-341/1993, Danvaern Production A/S c. Schuhfabriken Otterbeck GmbH & co., in Giust. civ., 1996, I, 638) ai sensi dell’art. 8, n. 3, reg. 1215/2012/CE, nonché dell’art. 3 della l. 31.5.1995, n. 218, nella parte in cui richiama il corrispondente art. 6 della Convenzione di Bruxelles del 27.9.1968, ma non in deroga al riparto interno della giurisdizione. È sempre richiesta poi almeno una connessione propria, qualificata dall’art. 183, co. 5, c.p.c., come nesso di consequenzialità, rispetto alle domande o anche alle eccezioni del convenuto, ai fini della proposizione della cd. reconventio reconventionis ad opera dell’attore (v., per es., Cass., 29.1.2010, n. 2038; è tale anche la domanda proposta dall’opposto nell’opposizione al decreto ingiuntivo, v. per es. Cass., 4.10.2013, n. 22754).
Quando le domande connesse, anche se solo impropriamente, tra le stesse parti vengono proposte separatamente ma pendono presso il medesimo ufficio giudiziario, anche d’ufficio può discrezionalmente disporsene la riunione ai sensi dell’art. 274, c.p.c., così come discrezionalmente può disporsi poi la loro separazione (salvo essere la riunione addirittura doverosa, purché non ne ritardi eccessivamente la definizione, ovvero, allorché si trovino nella stessa fase processuale, purché non vi ostino gravi motivi, quando si tratta di controversie di lavoro, previdenza o assistenza, ai sensi dell’art. 151 disp. att. c.p.c.): ai sensi dell’art. 281 novies c.p.c., la riunione attribuisce al collegio la potestà di decidere anche le cause soggette a decisione monocratica. Se invece vengono aditi diversi uffici giudiziari, secondo l’art. 40 c.p.c., la riunione è possibile anche d’ufficio ma solo se la connessione è rilevata entro la prima udienza, sempre purché il cumulo non ne ritardi eccessivamente la definizione e sempre compatibilmente con i suddetti limiti alla derogabilità del riparto della competenza.
Questo tradizionale sistema è tuttavia soggetto da tempo a interpretazioni correttive ed interventi di riforma diretti ad affrontare soprattutto i problemi applicativi posti da quelle ipotesi di connessione propria in cui l’armonia delle decisioni si ritiene a tal punto meritevole di protezione da far sì che in alternativa al cumulo si renda necessaria la sospensione di una di esse ex art. 295 c.p.c., sino al passaggio in giudicato della pronuncia sull’altra. Si è infatti osservato che in tali fattispecie di connessione cd. forte – come tali contrapposte a quelle di connessione cd. debole (v., in proposito, Fabbrini, G., Connessione: I - Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 1 ss.) –, in quanto riconducibili allo schema della pregiudizialità-dipendenza (sicché l’accertamento in positivo o in negativo dell’effetto giuridico dedotto in una costituisce un antecedente logico necessario della pronuncia sull’effetto giuridico dedotto nell’altra, entrando a far parte dei suoi elementi costitutivi), l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. deve rappresentare un’extrema ratio, perché può ledere gravemente il diritto delle parti a conseguire la sentenza in tempi ragionevoli (cfr., sulla riconducibilità ai casi di connessione forte delle fattispecie di connessione per subordinazione, anziché per mera coordinazione, oltre che delle fattispecie di cui all’art. 34 c.p.c., anche di quelle di accessorietà ex art. 31 c.p.c., nonché di parte di quelle di cui all’art. 36 c.p.c., e, secondo il più diffuso orientamento, di quelle di cui all’art. 35 c.p.c., Tarzia, G., Connessione di cause e processo simultaneo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, 397 ss.).
Posto che l’art. 295 c.p.c. è tuttora in vigore, per un verso si sono affermate interpretazioni dirette a limitarne la durata (v. Cass., S.U., 19.6.2012, n. 10027; cfr. in proposito, si vis, Giussani, A., Intorno alla durata della sospensione necessaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1149 ss.), e per altro verso si è affermata la tendenza a ridurne l’ambito di applicazione anzitutto favorendo il simultaneus processus attraverso l’applicazione della disciplina della continenza ex art. 39 c.p.c: ancorché tale disciplina sia stata pensata con riguardo ai casi di identità di parti e causa petendi e variazione quantitativa del petitum, la giurisprudenza la ritiene applicabile anche ai casi di variazione della causa petendi, e persino alle ipotesi di domande contrapposte caratterizzate da pregiudizialità reciproca o interdipendenza (v., fra le più recenti, Cass., 18.3.2003, n. 4006, Cass., 11.10.2002, n. 14563, Cass., 6.9.2002, n. 12995), onde permettere che la riunione debba disporsi d’ufficio anche rilevando la questione in ogni stato e grado del giudizio e prescindendo da qualsiasi valutazione discrezionale intorno alla sua efficienza (salvi quindi solo i limiti della derogabilità per connessione della competenza). Si è d’altronde correlativamente esteso, sempre in via interpretativa, l’ambito di applicazione dello stesso art. 40 c.p.c., formulando la teoria dell’identità della cd. piattaforma fattuale, secondo la quale connessioni improprie possono giustificare la riunione officiosa nelle controversie di infortunistica stradale (cfr. già Cass., 18.12.2008, n. 29580, più di recente Cass., 9.11.2012, n. 19588, e da ult. Cass., 9.5.2014, n. 10096).
In varie occasioni in cui il simultaneus processus fra cause legate da connessione forte non si può comunque realizzare né tramite proposizione cumulativa, né tramite riunione successiva, talvolta si evita la sospensione anche accettando la formazione di giudicati incompatibili, il conflitto fra i quali si può risolvere a posteriori rispetto all’ordinamento nazionale alla luce di criteri cronologici, ma in maniera inidonea a circolare in altri. L’applicazione degli artt. 7 e 64 della l. n. 218/1995, infatti, può sfociare nella convivenza di giudicati contrastanti, ciascuno dei quali operativo nell’ordinamento di provenienza e non nell’altro, e lo stesso può accadere persino nell’ambito dello spazio giudiziario europeo, nonostante l’applicabilità a molte ipotesi di connessione forte della disciplina della litispendenza anziché di quella della connessione, sulla base della giurisprudenza comunitaria, diretta proprio a limitare il più possibile tali fenomeni (cfr. già C. giust., 6.12.1994, C-406-1992, The owners of the cargo lately laden on board the ship “Tatry” c. the owners of the ship “Maciej Rataj”). Lo stesso può accadere in conseguenza della scelta delle parti di ricorrere all’arbitrato, in vista delle opzioni, compiute con l’art. 819 ter c.p.c., in sfavore e del simultaneus processus e della sospensione necessaria (cfr., si vis, i rilievi svolti in Giussani, A., Collegamento negoziale ed effetti del giudicato, in Studi in onore di Carmine Punzi, I, Torino, 2008, 301).
Tuttavia il simultaneus processus fra cause legate da connessione forte può ancora risultare impraticabile tanto in via di proposizione cumulativa quanto di riunione, e quindi imporsi la sospensione ex art. 295 c.p.c. per effetto della spettanza di entrambe a differenti fori inderogabili (cfr., per es., da ult., Cass., 27.5.2011, n. 11749, Cass., 13.12.2011, n. 26796, Cass., 18.4.2013, n. 9447), nonché ove una sia soggetta alla competenza funzionale di un giudice la cui massima competenza per valore sia inferiore al valore dell’altra (secondo un’opinione dottrinale il regime di inderogabilità per connessione delle competenze funzionali sarebbe stato implicitamente abrogato dalla l. 26.11.1990, n. 353, v. specialmente Oriani, R., Il nuovo testo dell’art. 38 c.p.c. (art. 4, legge 353/90), in Foro it., 1991, V, 336 ss., ma la giurisprudenza non ha seguito quest’indirizzo, v. già Cass., 17.12.1996, n. 11266).
Identità di ratio rispetto alle interpretazioni correttive sopra indicate presentano almeno quattro diverse strategie legislative. Una consiste nel concentrare gli uffici giudiziari, rendendo più facilmente applicabile il disposto dell’art. 274 c.p.c. e possibile la riunione anche dopo il decorso del termine preclusivo di cui all’art. 40 c.p.c.: già con l’accorpamento degli uffici di pretura realizzato tramite la l. 1.2.1989, n. 30, e la l. 11.7.1989, n. 173, poi con la loro soppressione e l’unificazione del giudice togato di prime cure di cui al d.lgs. 19.2.1998, n. 51, e da ult. ancora con le riduzioni di cui al d.lgs. 7.9.2012, n. 155, ed al d.lgs. 7.9.2012, n. 156.
Un’altra strategia consiste nel ricollegare il riparto della giurisdizione e delle competenze funzionali a categorie di rapporti anziché di controversie, onde limitare l’eventualità che cause connesse fra le stesse parti spettino inderogabilmente a giudici diversi (seguendo i suggerimenti di Proto Pisani, A., Sulla tutela giurisdizionale differenziata, in Riv. dir. proc., 1979, 565 ss.). Questa idea ha ispirato, per esempio, la riformulazione del riparto della competenza in materia di cause locatizie da parte della l. 26.11.1990, n. 353, nonché l’evoluzione del riparto fra giurisdizione ordinaria e amministrativa (soprattutto con il d.lgs. 3.2.1993, n. 29, il d.lgs. 31.3.1998, n. 80, e la l. 21.7.2000, n. 205; va però notato in proposito che questa soluzione, per quanto attiene al riparto giurisdizionale, è stata ostacolata dalla giurisprudenza costituzionale: in particolare C. cost., 5.7.2004, n. 204, ha affermato che fondare il riparto prioritariamente sulla natura della situazione soggettiva è costituzionalmente doveroso, e che l’estensione della giurisdizione amministrativa sull’intero rapporto si può ammettere solo in relazione all’esercizio di poteri autoritativi).
Una terza strategia è prevedere la derogabilità, nei casi di connessione propria, della competenza per materia del giudice di pace, istituito con la l. 21.11.1991, n. 374, sia ai fini della proposizione cumulativa, sia ai fini della riunione, attraverso la novellazione dell’art. 40 c.p.c., cui hanno fatto seguito coerenti modifiche degli artt. 31 e 32 c.p.c., in occasione dell’unificazione del giudice togato di prime cure mediante il d.lgs. 19.2.1998, n. 51 (v., si vis, Giussani, A., Competenze, riti ed effetti della connessione, in Le riforme della giustizia civile, a cura di M. Taruffo, II ed., Torino, 2000, 172 ss.). Va notato però che la giurisprudenza anche successivamente ha ritenuto inderogabile per connessione la competenza funzionale del giudice di pace investito dell’opposizione al decreto ingiuntivo, sul presupposto della natura latamente impugnatoria di tale fase procedimentale, e pertanto inaccessibile il simultaneus processus con la riconvenzionale dell’opposto di valore superiore al limite della sua competenza (v., per es., Cass., 17.9.2004, n. 18824, Cass., 23.5.2003, n. 8165, Cass., 17.6.2002, n. 8702, e da ult. ancora, nonostante alcune perplessità, Cass., 19.2.2014, n. 3870).
La quarta, infine, consiste nell’introdurre la possibilità – in precedenza esclusa dagli interpreti (v., per es., Verde, G., Unicità e pluralità di riti nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1984, 683) – di cumulare più cause soggette a riti diversi incompatibili, attraverso l’enunciazione di criteri di prevalenza idonei a determinare l’applicazione di un unico rito per tutte ai fini del simultaneus processus nei casi di connessione propria. Anche questa novità risale alla l. n. 353/1990, ove si modifica l’art. 40 c.p.c. per prevedere la prevalenza del rito del lavoro ove una delle cause rientri nell’elenco di cui all’art. 409 c.p.c., ed altrimenti del rito ordinario ove almeno una delle cause vi sia soggetta, ed in ulteriore subordine del rito della causa che abbia determinato la competenza, o ancora (quando tutte le cause siano di competenza dello stesso giudice a prescindere dalla connessione) di quello della causa di maggior valore (v. in proposito Merlin, E., Connessione di cause e pluralità dei “riti” nel nuovo art. 40 c.p.c., in Riv. dir. proc., 1993, 1021 ss., e, si vis, ancora Giussani, A., Connessione, cit., 174 ss.). La regola della prevalenza del rito ordinario è stata inoltre ritenuta applicabile in giurisprudenza per risolvere il problema del cumulo di cause legate da connessione propria, e soggette a decisione secondo diritto e secondo equità, assoggettandole tutte al primo criterio (v., per es., Cass., 17.5.2010, n. 12030, Cass., 17.12.2009, n. 26518, Cass., 30.3.2009, n. 776; cfr., nel senso che la regola di giudizio equitativa possa sopravvivere alla riunione nei casi di connessione impropria, Cass., 21.3.2008, n. 7668).
Poca fortuna hanno invece avuto le previsioni dirette a far prevalere il cd. rito societario di cui al d.lgs. 17.1.2003, n. 5: l’art. 134 c.p.i., in cui se ne prevedeva l’applicazione a tutte le controversie anche solo impropriamente connesse a quelle di competenza delle sezioni specializzate per la proprietà industriale, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo in parte qua da C. cost., 17.5.2007, n. 170; l’art. 1 dello stesso d.lgs. n. 5/2003, in cui se ne prevedeva la prevalenza su ogni altro rito in ogni caso di connessione propria, è andato incontro alla stessa sorte a seguito di C. cost., 28.3.2008, n. 71.
Il rapporto fra connessione e litisconsorzio riguarda ovviamente non le fattispecie di cui all’art. 102, c.p.c., in cui per definizione è unica la causa con pluralità di parti (e analogo discorso vale per i litisconsorzi riconducibili all’art. 107 c.p.c.), bensì quelle di cui all’art. 103, c.p.c., e in proposito si può ricordare subito che alla regola generale, secondo cui la connessione meramente impropria permette il cumulo ma non la modificazione della competenza o del rito, possono individuarsi due deroghe: una concerne le controversie dinanzi alle sezioni specializzate per la proprietà industriale cui si è sopra accennato; l’altra riguarda i rapporti di garanzia cd. impropria. Ancorché si dica tradizionalmente che il collegamento tra i rapporti nei casi di garanzia impropria è di mero fatto, la chiamata del garante presso il foro della causa di molestia, anche ai fini della pronuncia sul rapporto di garanzia, è in alcune ipotesi ammessa dalla giurisprudenza (in particolare nell’assicurazione per la responsabilità civile, ai sensi dell’art. 1917 c.c.: v., per es., Cass., 17.4.1990, n. 3182, e ancora Cass., 15.5.2009, n. 11362; v. però, nel senso che in tali ipotesi la garanzia possa essere propria, Cass., S.U., 26.7.2004, n. 13968, e da ult. Cass., 30.11.2011, n. 25581, Cass., 16.4.2014, n. 8898; lo spostamento di competenza nei casi di garanzia impropria è stato ammesso poi nei casi di cui all’art. 6 r.d. 30.10.1933, n. 1611: cfr. Cass., 7.7.2011, n. 15052), e secondo parte della dottrina andrebbe ancor più largamente consentita (v. per es. Gambineri, B., Garanzia e processo, II, Milano, 2002, 414 ss.).
Al di fuori di tali ipotesi, la modifica della competenza nelle cause contro più convenuti è possibile in due categorie di fattispecie: ex art. 32 c.p.c. (o 40 c.p.c., nei casi di proposizione separata) nei rapporti di garanzia propria, formale o reale; ex art. 33 c.p.c. (o ancora 40 c.p.c.) nelle ipotesi di connessione propria per l’oggetto o il titolo, in cui però solo il riparto orizzontale della competenza è derogabile, e in favore del solo forum rei di uno dei convenuti (e solo il rito societario si rendeva applicabile, prima delle relative declaratorie di illegittimità costituzionale, alla causa connessa che non vi fosse altrimenti soggetta: le disposizioni di riferimento nell’art. 40 c.p.c., infatti, non richiamano l’art. 33 c.p.c., mentre lo facevano gli artt. 1 d.lgs. n. 5/2003 e 134 c.p.i.). In alcune fattispecie tale disciplina viene integrata da disposizioni speciali in ragione della qualità di una delle parti: se si tratta di un magistrato, la competenza deve spostarsi rispetto al distretto in cui questi esercita le funzioni ex art. 30 bis c.p.c.; se si tratta di un’amministrazione dello Stato, essa deve spostarsi presso la sede dell’avvocatura dello Stato ai sensi e nei limiti del combinato disposto dell’art. 25 c.p.c. e degli artt. 6 e 7 del r.d. n. 1611/1933; se si tratta di società con sede all’estero, nelle cause spettanti alle sezioni specializzate per l’impresa, la competenza è concentrata presso i fori indicati nell’art. 4, co. 1-bis, d.lgs. 27.6.2003, n. 168, come modificato, da ult., dal d.l. 23.12.2013, n. 145, come convertito dalla l. 21.2.2014, n. 9.
Il tipo di connessione fra cause cumulate nel processo litisconsortile, formatosi tramite proposizione cumulativa iniziale, chiamata del terzo o suo intervento volontario ex art. 105 c.p.c., è poi rilevante ai fini della loro scindibilità nelle fasi di gravame: nei casi di connessione impropria la scindibilità è pacifica; in quelli di connessione propria essa lo è meno quando sussistono rapporti di connessione forte, poiché l’interdipendenza delle relative pronunce può rendere applicabile l’art. 331 c.p.c., con la conseguenza che il litisconsorzio, ancorché facoltativo quanto all’instaurazione del processo, sia però necessario quanto alla sua prosecuzione.
Si può peraltro notare che tale interdipendenza deve valutarsi soprattutto alla luce del rapporto tra il contenuto della decisione e la portata della sua impugnazione. Pertanto nelle cause di garanzia propria il litisconsorzio dovrebbe ritenersi inscindibile in caso di soccombenza del molestante con assorbimento della domanda di garanzia (poiché altrimenti il garantito, per coltivare la sua domanda, oggettivamente condizionata, dovrebbe proporre l’impugnazione pur essendo totalmente vittorioso nel merito nei confronti del molestante e carente d’interesse nei confronti del garante), e scindibile in caso di soccombenza di garantito e garante senza azione diretta del molestante, ove il garante impugni per contestare solo la sussistenza del suo rapporto con il garantito (cfr. i rilievi di Costantino, G., Garanzia - chiamata in, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 600 ss.). Inoltre, nelle cause in materia di obbligazioni solidali passive, in cui la connessione può apparire debole (e per coordinazione anziché per subordinazione), il litisconsorzio dovrebbe essere scindibile se impugna un condebitore, ma non se impugna il creditore, perché altrimenti egli potrebbe incidere unilateralmente sul rapporto fra i condebitori, riducendo la responsabilità pro quota del condebitore pretermesso nella fase di gravame (poiché questi potrebbe opporre agli altri un giudicato a lui più favorevole: cfr. anche i rilievi di Perago, C., Cumulo soggettivo e processo di impugnazione, Napoli, 2002, 265 ss.).
Tuttavia, secondo la giurisprudenza più recente, nei casi di garanzia impropria o di obbligazioni solidali passive in cui l’accoglimento dell’impugnazione potrebbe pregiudicare un diritto di rivalsa o di regresso la causa rimane scindibile, ma è comunque ammessa l’impugnazione tardiva, anche se adesiva all’impugnazione principale (v. Cass., S.U., 27.11.2007, n. 24627; occorre che l’interesse a impugnare derivi dall’impugnazione avversa, e non direttamente dalla sentenza, v., per es., da ult., Cass., 27.8.2013, n. 19584, Cass., 28.4.2014, n. 9369).
Un’ampia riflessione dottrinale (ma v. per tutti, anche per ulteriori riferimenti, Menchini, S., Il processo litisconsortile, I, Milano, 1993, 302 ss.) ha poi elaborato la categoria del litisconsorzio cd. unitario, in cui il rapporto di interdipendenza fra le situazioni giuridiche dei litisconsorti è tale da escludere che alcuni atti del processo possano produrre pieni effetti nei confronti di alcuni soltanto di essi; si suggerisce quindi, ad esempio, che ancorché la lettera degli artt. 2733 e 2738 c.c. si riferisca ai soli litisconsorti necessari, valga anche per i litisconsorti unitari la regola della libera valutabilità della confessione e del giuramento resi da alcuni soltanto di essi (anziché la regola della efficacia di prova legale ma solo nei confronti del confitente o del giurante). Con riferimento all’eccezione di incompetenza può peraltro ricordarsi che chi sia convenuto in una causa, per la quale il giudice sia competente in forza della connessione per l’oggetto o per il titolo con altra domanda nei confronti di altro soggetto, ha comunque l’onere di contestare l’applicabilità del forum rei anche rispetto a quest’ultimo, e in caso di connessione per garanzia anche gli altri fori (ovvero di contestare la sussistenza della connessione: cfr., da ult., Cass., 5.11.2012, n. 18967, Cass., 14.12.2010, n. 25269).
La pronuncia sulla connessione ex art. 40 c.p.c. è resa con ordinanza, ed è autonomamente impugnabile con regolamento quando contenga una statuizione sulla competenza: non sono impugnabili in quanto tali, quindi, le riunioni ex art. 274 c.p.c. (v. per es. Cass., 3.12.2010, n. 24661) o i provvedimenti di mutamento del rito (v., per es., Cass., 9.11.2006, n. 23891) o di separazione senza rimessione (v., per es., Cass., 7.12.2010, n. 24839). Ai fini dell’individuazione del provvedimento impugnabile, deve ritenersi oggi che in mancanza di invito alle parti a precisare le conclusioni si possa riscontrare una pronuncia sul punto solo allorché il giudice l’abbia esplicitamente qualificata come tale (alla luce dell’intervento, in sede di composizione dei conflitti intorno all’applicazione dell’art. 42 c.p.c., di Cass., S.U., 29.9.2014, n. 20449).
La rimessione si dispone presso il giudice della causa principale nella peculiare fattispecie della sospensione per accessorietà ex art. 31 c.p.c.: altrimenti dovrebbe disporsi presso quello preventivamente adito ai sensi dell’art. 39, co. 3, c.p.c. (v., per es., Cass., 16.1.2006, n. 722), ma la si è ammessa presso l’altro quando solo questi possa conoscere entrambe le cause (cfr. Cass., 6.9.1993, n. 9359). La questione è sempre risolta, anche in sede di regolamento, alla luce anche degli eventi processuali sopravvenuti (v., per es., da ult., Cass., 9.5.2014, n. 10096).
Trattandosi di pronuncia sul rito, la statuizione è comunque inidonea al giudicato sostanziale e produce effetti preclusivi solo all’interno dello stesso processo, ulteriormente attenuati da quanto residua del principio Kompetenz-Kompetenz (sicché il giudice a cui la causa sia rimessa può promuovere regolamento di competenza d’ufficio: v. Cass., 2.9.2004, n. 17663).
Nelle ipotesi in cui la causa connessa penda all’estero può inoltre impugnarsi con regolamento di competenza l’eventuale provvedimento di sospensione (v. Cass., 13.6.2014, n. 13567), e laddove la connessione sia così forte da qualificarsi come litispendenza comunitaria (cfr. supra, § 2) la giurisprudenza ha ritenuto altresì proponibile il regolamento di giurisdizione per contestare il diniego della sospensione (cfr. Cass., S.U., 8.6.2011, n. 12410, Cass., S.U., 2.8.2011, n. 16862).
Artt. 10, 31-36, 39-40, 103-106, 274, 281 novies, 295, 819 ter c.p.c.; art. 151 disp. att. c.p.c.; art. 134 c.p.i.; artt. 8, 29-30 reg. 1215/2012/CE; artt. 6-7 r.d. 30.10.1933, n. 1611; artt. 3, 7, l. 31.5.1995, n. 218; art. 4 d.lgs. 27.6.2003, n. 168.
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