Abstract
Il lavoro delinea la figura dei contratti di distribuzione, con particolare riferimento alla concessione di vendita e al franchising, ponendo l’accento partecipazione del distributore alla politica di commercializzazione del produttore e sull’integrazione verticale come caratteristica comune della diversa tipologia di contratti.
Analizza il rapporto tra autonomia privata e regole di funzionamento del mercato, sotto il profilo delle intese verticali restrittive della concorrenza e dell'abuso di autonomia contrattuale nei rapporti tra imprese.
Ricostruisce la disciplina applicabile ai contratti di distribuzione, anche alla luce delle prospettive di sviluppo del diritto privato europeo.
Il fenomeno della distribuzione commerciale può intendersi genericamente riferito a tutte quelle attività che consentono al produttore di raggiungere il consumatore finale dei beni (o dei servizi) prodotti. Tuttavia si parla, più specificamente, di contratti di distribuzione quando il produttore non provvede direttamente alla vendita, attraverso contatti diretti con il consumatore o attraverso forme di integrazione verticale di tipo proprietario, ma regola la fase della commercializzazione attraverso la cooperazione con altre imprese adoperando, appunto, lo strumento del contratto. Il produttore si rivolge pertanto a grossisti o dettaglianti che, pur rimanendo autonomi ed operando a proprio rischio, garantiscono uno sbocco finale per la sua produzione e gli consentono una migliore programmazione delle vendite (Santini, G., Il commercio, Bologna, 1979).
I contratti di distribuzione sono dunque contratti d’impresa, attraverso i quali due imprenditori programmano, ciascuno con riferimento alla propria sfera di competenza, lo svolgimento di una determinata attività avente ad oggetto la commercializzazione di beni.
Allo scopo di delineare meglio la figura, bisogna tenere ancora presente che i partners contrattuali del produttore possono rivestire un ruolo assai diverso, ponendosi come semplici intermediari, incaricati della vendita, o come veri e propri rivenditori. Nel primo caso, non di veri e propri contratti di distribuzione si tratta. Vengono piuttosto in rilievo le figure degli agenti e dei commissionari che assumono il ruolo di ausiliari perché contribuiscono alla ricerca dei clienti ed alla conclusione delle vendite, ma non spostano il rischio relativo alla vendita diretta, ponendosi solo come mandatari o rappresentanti che agiscono in nome e/o per conto del produttore.
Si tende, dunque, a circoscrivere la categoria dei contratti di distribuzione a quei rapporti conclusi con imprenditori che assumono il rischio distributivo e coordinano la loro attività alle esigenze di marketing della controparte (Pardolesi, R., I contratti di distribuzione, Napoli, 1979). Rapporti che sono caratterizzati dall’agire dell’intermediario in nome proprio, dalla natura continuativa del rapporto, dall’obbligo di promuovere la commercializzazione dei prodotti, dalla tendenziale dipendenza economica del distributore, sottoposto ad una penetrante intromissione del produttore nella propria sfera decisionale e operativa. Proprio alla luce di tali caratteristiche, si tratta di rapporti che danno luogo ad un sistema di distribuzione integrata.
1.2 L’evoluzione del fenomeno: dai modelli contrattuali tipici alle nuove forme di distribuzione integrata
Il legislatore del ’42 ha preso in considerazione il fenomeno della distribuzione, predisponendo una serie di modelli contrattuali tipici attraverso i quali il produttore/fornitore potesse affidare i beni a soggetti terzi, ai fini della rivendita. Si pensi al contratto estimatorio (art. 1556 c.c.), tipicamente adoperato nella distribuzione dei prodotti dell’editoria; o al contratto di somministrazione (art. 1559 c.c.) che, per espressa indicazione del legislatore, si presta ad essere adoperato ai fini della rivendita dei beni oggetto di somministrazione periodica. Tanto è che, dopo aver previsto che detto contratto possa contenere un’esclusiva, il secondo comma dell’art. 1568 c.c. espressamente prevede che l’avente diritto alla somministrazione possa assumere l’obbligo di promuovere, nella zona assegnatagli, la vendita dei prodotti. Si pensi, infine, allo stesso contratto di compravendita, che arricchito con apposite clausole può essere adoperato ai fini della successiva distribuzione dei beni acquistati.
Dagli schemi contrattuali evocati sono storicamente derivate la rivendita con esclusiva e la rivendita autorizzata, che rappresentano le forme primordiali di distribuzione.
Tuttavia, trattare dei rapporti di distribuzione facendo riferimento all’impianto codicistico non rende in nessun modo l’idea del modo in cui si sia evoluta la materia, che ha avuto un significativo sviluppo solo a partire dal dopoguerra. La prassi ha dato vita a nuove figure contrattuali, alcune delle quali mutuate da altri paesi e adoperate anche in ragione della contestuale apertura dei mercati e della distribuzione oltre frontiera dei prodotti. Così, la rivendita autorizzata si è evoluta nella concessione di vendita, assumendo nuove sembianze. La concessione di vendita, dal canto suo, non individua un tipo sociale ben delineato, ma un’operazione economica i cui contenuti possono essere variabili. Essa viene spesso ad essere indicata come contratto di distribuzione tout court (mutuando l’espressione dall’inglese distributorship) e copre realtà piuttosto differenziate, che vanno dalla grande distribuzione al piccolo rivenditore, ma in definitiva accomunate dal fatto che il contratto realizza un inserimento del concessionario nella rete distributiva del concedente (D’Alessandro, L., Concessione di vendita: descrizione del fenomeno e profili sistematici, in Giust. civ., 2002, 71). Il contratto, cioè, realizza non più soltanto una funzione di scambio ma anche, in senso lato, di collaborazione. Il suo contenuto diventa più complesso. All’obbligo di acquisto e di rivendita si accompagna l’assunzione di impegni di diverso genere, che vanno dalla predisposizione di un’efficiente organizzazione di vendita, alla detenzione di una notevole quantità di scorte (ed eventualmente di ricambi), alla fornitura di assistenza tecnica qualificata, all’acquisto di un quantitativo minimo di merce a scadenze prestabilite, al dover sottostare a controlli periodici o a dover fornire informazioni precise in ordine alle vendite ed alla clientela. Il contratto può inoltre contenere esclusive di zona o limitazioni alla libertà di rivendita del concessionario, quali esclusive di acquisto e divieti di vendere prodotti concorrenti. A volte, infine, può assumere caratterizzazioni più specifiche, derivanti dal fatto che alla distribuzione dei prodotti si accompagna la fornitura di beni strumentali (come nel caso della distribuzione della birra o dei carburanti). In tutte le ipotesi descritte, al fine di adempiere ai propri impegni contrattuali, il concessionario può essere tenuto ad effettuare investimenti specifici, finalizzati all’allestimento di una rete distributiva che risponda alle esigenze del concedente e ai criteri da questi prestabiliti.
A partire da questi elementi sfuma la differenza rispetto all’altra figura tipicamente adoperata nel campo della distribuzione commerciale: il franchising o affiliazione commerciale. Quest’ultima figura, che ci proviene dall’esperienza degli Stati Uniti, si caratterizza per il maggior grado di integrazione tra produttore e distributore, dando vita ad una rete di punti vendita indipendenti, fortemente caratterizzati da un’immagine comune, ciascuno dei quali utilizza (dietro corrispettivo) una specifica formula commerciale. Ancora una volta, il contratto copre un’ampia gamma di situazioni (estendendosi, peraltro, anche al franchising di produzione e di servizi) e può avere un contenuto estremamente variabile.
Per ciò che concerne il franchising di distribuzione, la sua funzione non è diversa da quella della concessione di vendita. Semplicemente, assumono un più specifico significato la cessione del marchio e, più in generale, degli altri segni distintivi che valgono a trasferire l’immagine, al punto che l’azienda dell’affiliato perde di individualità per presentarsi agli occhi del pubblico con un’immagine unitaria. Proprio a partire da tale premessa, la giurisprudenza è giunta ad affermare che “il terzo che contratti con il franchisee può agire nei confronti del franchisor in base al principio dell’apparenza” qualora le sue aspettative vadano deluse, avendo ritenuto che il franchisee godesse della medesima reputazione e correttezza commerciale (App. Napoli, sez. III, 3.3.2005, Contratti, 2005,1133).
1.3 L’inquadramento delle nuove figure ad opera della giurisprudenza
L’evoluzione del fenomeno ha progressivamente condotto anche ad un diverso inquadramento delle figure, ad opera della giurisprudenza.
I problemi di qualificazione hanno per lo più riguardato la concessione di vendita (quanto al franchising, è sempre stato chiaro che si trattasse di un contratto atipico che realizza interessi meritevoli di tutela, cfr. da ultimo Cass., 20.6.2000, n. 8376, Contratti, 2000, 1038). Fino a poco tempo addietro, la giurisprudenza era solita ricondurre la concessione di vendita allo schema della somministrazione o alla figura del contratto misto, partecipe ora degli elementi della vendita e del mandato, ora della vendita e dell’agenzia (Pardolesi, R., Contratti di distribuzione, in Enc. giur. Treccani, Roma,1988, 1 ss.).
Oggi, è chiaro ed acquisito che la concessione di vendita evoca tipi contrattuali conosciuti, ma è altrettanto chiaro che si discosta da essi. Prevale, in estrema sintesi, la tesi del contratto atipico, sul presupposto per cui la peculiarità di tale contratto è la partecipazione del distributore alla politica di commercializzazione del produttore e che i tradizionali strumenti contrattuali appaiono inadeguati a rappresentare il fenomeno. Si tratta, dunque, di un contratto innominato che, secondo la giurisprudenza ormai prevalente, si atteggia sul piano strutturale come contratto quadro o normativo, dal quale deriva l’obbligo di promuovere la rivendita dei prodotti che vengono acquistati mediante la stipulazione, alle condizioni fissate nell’accordo iniziale, di singoli contratti d’acquisto (Cass., 3.10.2007, n. 20775, App. Cagliari, 11.4.2007, in Riv. giur. sar., 2009, 37; App. Milano, 5.4.2005, n. 1051, in Contratti, 2006, 1101; Trib. Torino, 11.3.2010, in Giur. comm., II, 1471).
Inoltre, se fino a qualche tempo addietro si tendeva a sistematizzare e classificare i diversi contratti di distribuzione, cogliendone i tratti differenziali, oggi si va piuttosto nella direzione di una ricostruzione unitaria del fenomeno, riconducendo ad un comune denominatore ogni problema di disciplina applicabile. Così ad esempio si legge che la concessione di vendita è un contratto innominato, che si caratterizza per una complessa funzione di scambio e collaborazione, annoverabile nella categoria dei contratti che regolano i rapporti nel settore della distribuzione commerciale integrata (Cass., 22.2.1999, n. 1469, Disciplina comm., 2000, 171; Trib. Crema, 23.11.94, in Contratti, 1996, 52); o, ancora, che franchising e concessione di vendita sono due fattispecie contrattuali analoghe rientranti nella più generale categoria dei contratti di distribuzione (Trib. Isernia, 12.04.2006, Giur. mer., 2006, 2149).
1.4 La legge sul franchising
L’opera di ricostruzione unitaria del fenomeno ha subito una battuta d’arresto per effetto della promulgazione della legge 6 maggio 2004, n. 129, recante «Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale» (Pardolesi, R., Contratti di distribuzione (Postilla di aggiornamento), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2006, 1 ss.).Si tratta, invero, di una disciplina assai scarna, intesa a predisporre strumenti di tutela in favore degli affiliati. Essa può riassumersi nella previsione di requisiti di forma e contenuto del contratto, specie con riferimento all’ammontare degli investimenti e alle eventuali spese imposte all’affiliato (art. 3) e in una descrizione analitica degli obblighi che incombono sull’affiliante e sull’affiliato, al fine di assicurare la trasparenza delle condizioni contrattuali e la correttezza dei comportamenti delle parti (artt. 4 e 5). Il nucleo essenziale della disciplina è rappresentato dalla previsione di specifici obblighi precontrattuali di informazione, la cui violazione dà luogo, oltre che al risarcimento del danno, all’annullabilità del contratto (artt. 6 e 8). Quanto alla cessazione del rapporto, la legge si limita a prevedere che, qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni, fatta salva l’ipotesi di risoluzione anticipata per inadempienza di una delle parti (art. 3.3). Non è prevista alcuna indennità di fine rapporto, né il risarcimento danno per cessazione anticipata.
L’ambito di applicazione della disciplina è delimitato dallo stesso legislatore, che qualifica l’affiliazione commerciale (franchising) come «il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi».
I requisiti soggettivi non qualificano ancora la fattispecie; allo stesso modo, non è di per sé significativo il riferimento alla cessione dei diritti di proprietà industriale o intellettuale, che normalmente accompagnerà, sia pure in forma variabile, ogni tipo di rapporto di distribuzione. Assume invece una specifica valenza il trasferimento di una “formula commerciale” che, per espressa previsione dell’art. 3.2, l’affiliante deve avere già sperimentato prima di inserire altri soggetti nella rete distributiva.
Indipendentemente dal nomen adoperato, pertanto, l’affiliato deve essere inserito, dietro pagamento di un corrispettivo, in un “sistema”, appunto una rete di affiliazione, costituita da più affiliati (Cian, M., La nuova legge sull’affiliazione commerciale, in Nuove leggi civ., 2004,1153).
Il limitato ambito di applicazione consente anche di delineare la ratio legis, che può riassumersi in due punti essenziali: a) l’esigenza di evitare che alcuni soggetti vengano indotti a corrispondere delle somme per entrare a far parte di una rete che si rivela una truffa, senza ottenere in cambio reali vantaggi; b) l’esigenza di assicurare, una volta che il rapporto si è validamente costituito, una durata minima dello stesso affinché l’affiliato possa recuperare gli investimenti sostenuti.Si tratta, dunque, di un frammento di disciplina che copre - e neppure in modo esaustivo - solo uno dei molteplici modi in cui può essere organizzata la distribuzione commerciale.
1.5 L’integrazione verticale come caratteristica comune alla diversa tipologia di contratti
Nell’ambito della distribuzione commerciale molteplici sono dunque le modalità organizzative, la cui scelta dipenderà dalla diversa tipologia dei prodotti (beni di largo consumo, prodotti di marca, beni pregiati, e così via) e dagli obiettivi di marketing che il produttore intende perseguire. Ogni modello rappresenta, per certi versi, una sorta di progressiva evoluzione dell’uno nell’altro (dalla rivendita autorizzata, alla concessione di vendita, al franchising), dando vita ad una somma di possibilità destinate anche a convivere, a seconda della fisionomia che si intende dare alla politica di distribuzione. In tale contesto, piuttosto che le differenze vengono in rilievo le caratteristiche comuni a tali contratti: il fatto che si tratti di rapporti di durata, l’assunzione del rischio distributivo, l’intromissione del produttore nella sfera decisionale e operativa del rivenditore, la presenza di imprese autonome ma che svolgono un ruolo ausiliario nei confronti dell’impresa produttrice, con la sopportazione dei relativi limiti alla propria libertà d’impresa e, d’altra parte, col vantaggio di entrare a far parte di una rete di commercializzazione di un prodotto già affermato.
In dottrina, qualcuno dubita della possibilità di ricondurre la diversa fenomenologia ad una categoria unitaria, stante la difficoltà di ricostruire una disciplina comune (Moncalvo, F.A., Il contratto di concessione di vendita, nel quadro dei contratti per la distribuzione commerciale, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 93). Occorre tuttavia precisare che parlare di categoria unitaria significa, unicamente, porre l’accento sull’elemento comune dell’integrazione verticale. Elemento che attribuisce un rilievo unitario al fenomeno, contribuendo nello stesso momento a definire le differenze di disciplina, dovendosi fare riferimento al livello di stabilità e d’integrazione che ogni singola operazione economica realizza.
2. Contratti di distribuzione e limiti all’autonomia privata
2.1 Accordi di distribuzione e divieto di intese restrittive della concorrenza
I contratti di distribuzione, in quanto rapporti tra imprese, rilevano innanzitutto sotto il profilo del rapporto tra autonomia privata e regole di funzionamento del mercato. Vengono a tale riguardo in rilievo l’art. 101 TFUE che vieta, sanzionandole sotto il profilo civilistico con la nullità, gli accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri; nonché, sul piano interno, la corrispondente previsione contenuta nell’art. 2 della legge antitrust (l. 10.10.1990, n. 287). I contratti di distribuzione, quali contratti tra imprese che si collocano in fasce diverse del mercato, rappresentano l’esempio più significativo di intese verticali, tradizionalmente guardate con minor rigore (non sono infatti vietate per se). Ciò non di meno, la concreta composizione degli interessi antagonisti, così come volta a coordinare i comportamenti delle imprese distributrici alle esigenze e alle strategie di marketing del produttore e/o ad offrire opportunità di guadagno che compensino le limitazioni all’autonomia di gestione, può determinare il ricorso a clausole che si pongono in contrasto con i principi di funzionamento del sistema.
Si pensi, ad esempio, alla distribuzione esclusiva (oggi ammessa soltanto se se realizza un’esclusiva aperta, ovvero che non esclude il sistema di importazioni parallele), in cui il produttore si impegna a fornire beni o servizi ad un distributore affinché li rivenda in un dato territorio o a un gruppo di clienti attribuiti in esclusiva, con la possibilità di determinare effetti indesiderati, quali la compartimentazione dei mercati.
La materia, oltremodo complessa, rappresenta ormai un autonomo capitolo del diritto antitrust (Pappalardo, A., Il diritto comunitario della concorrenza, Torino, 2007; Imbrenda, M., I contratti di distribuzione, in I contratti nella concorrenza, a cura di A. Catricalà e E. Gabrielli, in Tratt. Contratti Rescigno-Gabrielli, Torino, 2011, 647 ss.).
Al fine di delineare il quadro generale che governa la materia, occorre ricordare che una tappa fondamentale si è raggiunta con l’emanazione del regolamento di esenzione per categoria n. 2790/1999 in materia di accordi verticali che, insieme alle Linee guida, è divenuto punto di riferimento imprescindibile anche ai fini dell’applicazione del divieto di intese restrittive della concorrenza nel sistema interno (Imbrenda, M., I contratti di distribuzione, cit.).
Tale regolamento ha sostituito gli interventi settoriali prima esistenti ed ha ampliato l’area di intervento ad altri settori prima esclusi dai regolamenti d’esenzione, lasciando come unica materia a sé stante soltanto la distribuzione degli autoveicoli.
Il suo contenuto fortemente innovativo, basato sulla regola per cui tutto ciò che non è vietato è autorizzato, veniva a collocarsi in un più generale contesto di modernizzazione del sistema di controllo delle intese, che ha trovato consacrazione nel reg. 1/03.
A causa della sua scadenza naturale, il reg. 2790 è stato di recente sostituito dal reg. 330/2010, che resterà in vigore fino al maggio del 2022.
Il nuovo regolamento riprende l’impostazione del precedente, con qualche innovazione determinata dall’esperienza applicativa.
2.2 L’abuso dell’autonomia contrattuale nei rapporti tra imprese
La circostanza che si tratti di rapporti tra imprese, oltre che sul piano dei possibili effetti anticoncorrenziali, rileva sotto il profilo dell’esistenza di un possibile squilibrio tra le parti dell’accordo.
Sotto tale profilo la legge sul franchising, con le sue prescrizioni a tutela dell’affiliato, non rappresenta un intervento isolato, ma è espressione della progressiva attenzione attribuita alla tutela della parte debole del rapporto, anche nei rapporti tra imprese.
La norma di riferimento è l’art. 9 l. 18.6.1998, n. 192, che sancisce il divieto, per le imprese, di abusare dello stato di dipendenza economica in cui può trovarsi l’altro partner contrattuale (più ampiamente, Macario, F., L’abuso dell’autonomia negoziale nei contratti tra imprenditori, in Il diritto europeo dei contratti di impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione dei mercato, a cura di P. Sirena, Milano, 2006, 277 ss.; Maugeri, M.R., Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, 2003).
In materia di rapporti di distribuzione, è stata considerata iniqua una clausola inserita in un contratto di franchising, sulla base della quale l’affiliante aveva praticato vendite dirette sul territorio attribuito in esclusiva a prezzi inferiori di quelli imposti all’affiliato, sottraendogli clienti e precludendogli in definitiva di restare sul mercato (Trib. Isernia, 12.4.2006, Giur. merito, 2006, 2149, con nota di Delli Priscoli, L., Il divieto di abuso di dipendenza economica nel franchising, tra principio di buona fede e tutela del mercato).
Analogamente, è stato considerato esercizio abusivo delle facoltà nascenti dal contratto quello di avvalersi della clausola con cui il concedente riservava a sé la facoltà di nominare in qualsiasi momento ulteriori concessionari, senza incorrere in alcuna responsabilità o essere tenuta a corrispondere alcun compenso (Trib. Torino, ord., 11.3.2010, cit.).
Quanto all’interruzione del rapporto, ovviamente non ogni recesso realizza per ciò solo un abuso. Così ad esempio, è stato ritenuto non potersi parlare di interruzione arbitraria delle relazioni contrattuali in un caso di recesso (da un contratto di distribuzione di autoveicoli) comunicato con un congruo anticipo e determinato da esigenze di riorganizzazione dell’intera rete (Trib. Roma, sez. IX, ord., 27.10.2003, Riv. dir. comm., 2004, II, 1, con nota di Fabbio, Ph., Note sulla terminazione dei rapporti di distribuzione automobilistica integrata, tra diritto comunitario e nazionale).
Altro aspetto di grande interesse è il collegamento che può ingenerarsi tra abuso di autonomia contrattuale ed illeciti anticoncorrenziali. Innanzitutto, sotto il profilo della posizione dell’impresa leader che tanto più pericolosa diventa se si avvicina a situazioni monopolistiche. In secondo luogo, sotto il profilo del possibile effetto anticoncorrenziale delle clausole contrattuali imposte dal contraente più forte, che potrà portare al cumulo tra l’operatività della sanzione della nullità ed il risarcimento del danno, in favore della parte contrattuale che subisce la mancata produzione degli effetti dell’atto (C. giust., 20.9.2001, C-453/99, Courage c. Crehan, in Danno e resp., 2001, 1153).
3. La disciplina del rapporto
3.1 Il quadro europeo e i progetti di armonizzazione
È comune a molti paesi europei la regolamentazione dell’affiliazione commerciale e l’assenza di una disciplina specifica per la concessione di vendita. Fa eccezione soltanto il Belgio che, di fronte a contratti di concessione che presentino un significativo grado di integrazione, conosce norme di protezione del concessionario (Bortolotti, F., Manuale di diritto della distribuzione, vol. II, Padova, 2007).
Sotto il profilo della possibile individuazione di regole comuni ai rapporti di distribuzione, interessanti stimoli provengono dai progetti di armonizzazione del diritto europeo dei contratti. La parte E del libro IV del Draft Common Frame of Reference è dedicata, infatti, a Commercial Agency, Franchise and Distributorship.Non deve sorprendere che alcune previsioni comuni siano riferite anche al contratto di agenzia poiché, se è vero che siamo fuori dall’ambito dei veri e propri rapporti di distribuzione, è anche vero che vistose similitudini ricorrono con quelle forme di distribuzione integrata assimilabili ad una para-subordinazione (Caserta, I., La concessione di vendita tra subordinazione e collaborazione, in Corr. giur., 2000, 549).
Comuni sono le disposizioni che regolano il momento di ingresso nel rapporto, attraverso l’imposizione di specifici obblighi di informazione precontrattuale. Analogamente, per ciò che concerne l’esecuzione del rapporto, comune è la previsione di specifici obblighi di collaborazione e di doveri di riservatezza.
Comuni, infine, sono le disposizioni relative alla cessazione del rapporto. Si distingue, al riguardo, tra contratti a tempo determinato e indeterminato. Nel primo caso, ciascuna parte è libera di non rinnovare; ma se comunica all’altra in un tempo ragionevole che intende rinnovare il contratto quest’ultimo si intenderà rinnovato a tempo indeterminato.
Nel secondo caso, è riconosciuto il diritto ad un congruo preavviso per lo scioglimento del rapporto, da determinare secondo criteri puntualmente indicati, quali la durata del contratto, gli investimenti sostenuti, il tempo utile per trovare alternative, gli usi. Se tale termine non viene rispettato, l’altra parte ha diritto al risarcimento del danno.
Inoltre, quando il rapporto contrattuale cessa, per qualsivoglia ragione, può essere chiesta un’indennità di avviamento se e nella misura in cui la parte ha incrementato in maniera significativa il volume degli affari dell’altra e tale pagamento è ragionevole. Altre previsioni specifiche regolano ulteriori profili legati allo scioglimento, quale ad esempio il riacquisto delle scorte.
Tale modello di disciplina comincia è stato adoperato in Spagna, ove un recente disegno di legge va nella medesima direzione (Luzi Crivellini, R., Spagna: disegno di legge in materia di concessione di vendita, in Comm. int., 2009,17)
3.2 L’ingresso nel contratto e la sua esecuzione
Nel nostro ordinamento, le sparute indicazioni contenute nel codice civile e le disposizioni in materia di affiliazione commerciale costringono l’interprete ad un’opera di ingegneria giuridica, per ricostruire i principi comuni che regolano la materia. In linea generale, può dirsi che l’ingresso in una catena distributiva è un problema di cui il legislatore ha tenuto conto rendendo illegale la promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l’incentivo economico primario del componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti (art. 5 l. 17.8.2005, n.173 in materia di vendite piramidali).
Laddove invece si tratti di un marketing consentito, le uniche disposizioni specifiche sono quelle contenute nella legge sul franchising. Ciò non di meno, a parte i requisiti di forma e contenuto che non paiono estensibili a contratti con una diversa struttura, gli obblighi di informazione accompagnati dalla sanzione dell’annullabilità del contratto non paiono aggiungere molto ai tradizionali rimedi codicistici che saranno, in quanto tali, applicabili all’intera categoria.
Lo stesso dicasi sul piano dell’esecuzione del contratto, laddove i doveri di collaborazione e riservatezza costituiscono espressione dei più generali principi secondo cui le parti devono comportarsi secondo le regole di correttezza (art. 1175 c.c.) e l’esecuzione dei contratti deve avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.).
Delicate questioni si pongono in merito alla ricostruzione degli obblighi delle parti che, come si è detto, vanno dalla fornitura/acquisto dei beni da rivendere alla previsione di più stringenti obblighi di collaborazione.
Al riguardo, la giurisprudenza ritiene applicabile ai rapporti di distribuzione la disciplina dell’art.1564 c.c., in materia di somministrazione, secondo cui non può chiedersi la risoluzione del contratto se l’inadempimento non ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti. Analogamente, si è pronunciata nel senso dell’applicazione della disposizione successiva che vieta alla parte non inadempiente di sospendere l’esecuzione del contratto se l’inadempimento è di lieve entità (Delli Priscoli, L, Atipicità della concessione di vendita e disciplina applicabile, in Riv. dir. comm., I, 2003, 477).
3.3 La cessazione del rapporto
La fase della cessazione del rapporto è quella che presenta maggiori incertezze, a livello giurisprudenziale. Il recesso, indipendentemente dal fatto che possa costituire un abuso di dipendenza economica, rappresenta un atto estremamente lesivo degli interessi della controparte, determinando l’estromissione dalla rete di distribuzione, la mancata remunerazione degli eventuali investimenti sostenuti, e via dicendo.
La giurisprudenza è solita ritenere che, qualora si tratti di rapporto a tempo indeterminato, possa trovare applicazione l’art. 1569 c.c., che autorizza il recesso dal contratto dando preavviso nel termine pattuito, in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, avuto riguardo alla natura del contratto.
Ciò, tuttavia, non risolve ancora tutti i problemi. Senza dubbio, può ritenersi consequenziale che, qualora detto limite di tempo non venga rispettato, la controparte ha diritto al risarcimento del danno.
Nell’ordinamento belga, in caso di mancato preavviso è prevista un’indennità sostitutiva. Ma, in ogni caso, indipendentemente dai tempi e dalle ragioni del recesso, è prevista un’indennità complementare, da valutare in relazione all’incremento di clientela fornito al concedente, alle spese sostenute dal concessionario nel corso del contratto e al momento dello scioglimento del rapporto (es. liquidazione del personale).
La giurisprudenza di alcuni paesi europei (casi emblematici si sono avuti, in tempi recenti, in Spagna, Svizzera, Germania, Portogallo) ha riconosciuto al concessionario di vendita un’indennità di fine rapporto in maniera del tutto analoga a quanto è previsto per l’agente di commercio.
Non vi è dubbio che tale indennità, che nell’originaria previsione codicistica assumeva il significato di una retribuzione differita ed era proporzionale alle provvigioni liquidate nel corso del rapporto, svolga oggi la funzione di compensare l’agente per l’apporto dato alla clientela (Barba, A., Il contratto di agenzia, in I contratti di collaborazione, a cura di P. Sirena, in Tratt. contratti Rescigno-Gabrielli, Torino, 2011, 379 ss.)
Essa potrebbe, pertanto, trovare applicazione analogica in tutti quei casi in cui i rapporti di distribuzione realizzano un sostanziale trasferimento di clientela (ad esempio, imponendo l’obbligo di trasferire i nominativi dei clienti).
Eppure, la nostra giurisprudenza è ferma nell’escludere l’applicazione analogica dell’art. 1751 c.c., argomentando dalla diversa natura del contratto. Sulla base di queste premesse, in una recente pronuncia la Cassazione ha preferito affidare la protezione del concessionario all’incerta formula dell’abuso del diritto (Cass., III sez., 18.9.2009, n. 20126, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 231, con il commento di Maugeri, M.R, Concessione di vendita, recesso e abuso del diritto, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 319 ss.)
La ricostruzione dei principi che regolano la materia è resa più complicata dal fatto che la legge sull’affiliazione non prevede nessuna indennità di fine rapporto e si limita a prevedere che l’affiliato dovrà comunque garantire una durata minima del rapporto sufficiente all’ammortamento degli investimenti e comunque non inferiore a tre anni. In verità non esistono ragioni per escludere che l’applicazione analogica dell’art. 1751 c.c. possa riguardare anche i rapporti di franchising, se e nella misura in cui ricorra il presupposto del trasferimento di clientela.Per contro, dalla legge sul franchising potrebbe derivarsi il più generale principio della necessaria correlazione tra durata del contratto e periodo necessario per l’ammortamento degli investimenti (Cian, M., La nuova legge sull’affiliazione commerciale, in Nuove leggi civ., 2004, 1153 ss.).
4. Contratti internazionali di distribuzione e legge applicabile
I contratti di distribuzione hanno una grande diffusione in ambito internazionale. Conformemente ai principi generali che regolano la materia, la legge applicabile sarà prioritariamente quella scelta dalle stesse parti (art. 3 reg. Roma I). Nell’individuare la legge che meglio risponde agli interessi delle parti dovrà tenersi conto anche del formante giurisprudenziale che, come abbiamo visto, spesso sovverte l’assenza di disposizioni specifiche a tutela del distributore.
In caso di mancanza di scelta l’art. 4 del reg. Roma I distingue le figure del contratto di affiliazione e di distribuzione, facendo in ogni caso riferimento alla legge del paese nel quale l’affiliato/distributore ha la residenza abituale.
Il criterio prima vigente della legge del luogo col quale il contratto presenta il collegamento più stretto continua ad applicarsi soltanto qualora non sia possibile individuare la legge applicabile sulla scorta dei criteri enunciati.
In conformità con le determinazioni relative ai modi di risoluzione delle controversie, qualora la scelta possa ricadere su un sistema di norme non statali, si segnala la presenza di regole uniformi “private” quali i Principi Unidroit e, più specificamente, la Unidroit Model Franchise Disclosure Law del 2002.
Fonti normative
La l. 6.5.2004, n. 129 (Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale) rappresenta l’unico intervento diretto in materia di rapporti di distribuzione. La materia è toccata anche dalla l. 17.8.2005, n. 173 (Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali) e dall’art 6 bis della l. n. 266/2005 (Legge Finanziaria del 2006), in materia di reti contrattuali.
Nella ricostruzione dei principi che regolano la materia assume particolare rilievo la normativa antitrust: artt. 101 e 102 TFUE; l. 10.10.1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato); reg. UE n. 330/2010 relativo all’applicazione dell’art. 101, paragrafo 3, del TFUE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate; il reg. UE n. 461/2010 relativo all’applicazione dell’art.101, paragrafo 3 del TFUE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico; nonché la l. 8.6.1998, n. 192 (Disciplina della subfornitura delle attività produttive).
In materia di rapporti internazionali la fonte di riferimento è il reg. n. CE 93/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I).
Bibliografia essenziale
È particolarmente ricca la bibliografia in materia di contratti di distribuzione, fenomeno analizzato dal punto di vista giuridico, economico e di teoria aziendale. Fondamentali rimangono i contributi di Santini, G., Il commercio, Bologna, 1979 e Pardolesi, R., I contratti di distribuzione, Napoli, 1979. Si rinvia a Pardolesi, R., Contratti di distribuzione, in Enc. giur. Treccani, Roma,1988, 1 ss., per i riferimenti bibliografici più risalenti. Tra le opere successive si segnalano: Baldi, R., Il contratto di agenzia – la concessione di vendita – Il franchising, Milano, 2001; Dasso, A., I contratti di distribuzione, Milano, 2002; AA. VV., I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, in Il diritto privato nella giurisprudenza a cura di Cendon, P., vol. XVI – Distribuzione, Torino, 2004; Cassano, G., a cura di, I contratti di distribuzione, Milano, 2006; Vettori, G., I contratti di distribuzione, in Il diritto europeo dei contratti d’impresa, a cura di Sirena. P., Milano, 2006, 481; Bortolotti, F., Manuale di diritto della distribuzione, vol.II, Padova, 2007; Delli Priscoli, L.-DI Brina, L.-Russo, C., I contratti delle imprese, Torino, 2007; Gambino, A., a cura di, I contratti delle imprese, Torino, 2007; Di Nella, L.-Mezzasoma, L.-Rizzo, V., a cura di, Il diritto della distribuzione commerciale, Napoli, 2008; Camardi, C., I contratti di distribuzione come contratti di “rete”, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di P. Iamiceli, Torino, 2009, 225; Per ciò che concerne la legge sull’affiliazione commerciale si rinvia a Pardolesi, R., Contratti di distribuzione (Postilla di aggiornamento), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2006, e Cian M., La nuova legge sull’affiliazione commerciale, in Nuove leggi civ., 2004,1153.
In materia di accordi verticali e diritto della concorrenza, per tutti: Pappalardo A., Il diritto comunitario della concorrenza, Torino, 2007; Imbrenda, M., I contratti di distribuzione, in I contratti nella concorrenza, a cura di A. Catricalà e E. Gabrielli, in Tratt. Contratti Rescigno-Gabrielli, Torino, 2011, 647 ss.
Sull’abuso dell’autonomia contrattuale nei rapporti tra imprese, per tutti: Maugeri, M. R., Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, 2003; Delli Priscoli, L., Abuso di dipendenza economica e contratti di distribuzione, Riv. dir. Impr., 2003, 549; Macario, F., L’abuso dell’autonomia negoziale nei contratti tra imprenditori, in Il diritto europeo dei contratti di impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione dei mercato, a cura di P. Sirena, Milano, 2006, 277 ss; Villa, G., Invalidità e contratto tra imprenditori in situazione asimmetrica, in Il terzo contratto, a cura di G. Gitti e G. Villa, Bologna, 2008, 113.