Controllo sociale
Quello di 'controllo sociale' è stato uno dei concetti principali per la prima sociologia americana, e in assoluto il più importante negli anni tra il 1905 e il 1925. Coniato da E. A. Ross nel 1896, esso fu in seguito ripreso, dal volgere del secolo fin verso la fine degli anni trenta, dalla maggior parte dei sociologi americani più importanti, e se non fu utilizzato come termine tecnico, fu assunto però come principale oggetto d'indagine. Forse proprio per questo motivo esiste oggi una grande disomogeneità nelle formulazioni del concetto, anche se il Leitmotiv presente in Ross è rimasto sempre come elemento vincolante.
Nella società post-tradizionale il controllo sociale, secondo Ross, è il principale dei vari meccanismi destinati a provocare la conformità dell'individuo a un comportamento che consegue dall'interiore concordanza con i valori della collettività. Quando si tratta di condizionamenti presuntivamente spontanei e non intenzionali, Ross usa la denominazione "influsso sociale", mentre il controllo sociale è per lo più il controllo intenzionale della collettività sull'individuo: "[...] dominio sociale che si propone di adempiere, e adempie, una funzione nella vita della società" (v. Ross, 1901, p. VIII). In questo modo si risponde, secondo Ross, all'interrogativo sul modo in cui diventa possibile l'ordine in una società non tradizionale.
La delimitazione del significato di controllo sociale a costrizione intenzionale alla conformità, così come Ross l'aveva configurato programmaticamente, non fu adottata né dai suoi contemporanei né dai suoi successori. Si giunse invece a una considerevole differenziazione nella terminologia, ma anche nella comprensione della cosa, ferma restando la rilevanza della problematica relativa. È quanto osservano, tra l'altro, anche gli americani Park e Burgess (v., 1921) negli anni venti. In un'analisi della letteratura sull'argomento, Russel G. Smith individua sette diverse concezioni di quello che si deve intendere per controllo sociale (v. Smith, 1930, pp. 23 ss.). Infine Landis (v., 1939) può affermare nel suo testo - che utilizza nel titolo il concetto di controllo sociale - che quest'ultimo si riferisce sia all'influenza intenzionale che a quella non intenzionale di altre persone sull'individuo. Ben oltre l'importanza attribuitagli da Ross, il controllo sociale diviene quindi per alcuni autori sinonimo di imprinting sociale e di controllo sull'uomo in generale (v. Meier, 1982, p. 36).
Una delle definizioni più diffuse è quella di Gurvitch: "Il controllo sociale può essere definito come la somma totale o piuttosto come il complesso di modelli culturali, simboli sociali, aspirazioni spirituali collettive, valori, idee e ideali, come anche di atti e processi a questi direttamente collegati, per mezzo dei quali la società complessiva, ogni gruppo particolare e ogni singolo membro partecipante superano le tensioni e i conflitti al proprio interno attraverso equilibri temporanei, e muovono verso nuovi sforzi creativi" (v. Gurvitch, 1945, p. 291).
Lo studio del controllo sociale sarebbe stato dunque quasi sinonimo di sociologia. E infatti il controllo sociale fu il tema principale della prima sociologia americana. Veniva ripresa negli Stati Uniti la classica problematica posta dai filosofi della morale scozzesi: com'è possibile l'ordine? com'è spiegabile l'esistenza della cultura considerando la natura animale dell'uomo? a che cosa può essere ricondotta l'adesione a norme universalmente vincolanti? (v. Wiebe, 1967).
Anche nel periodo successivo la sociologia americana ha interpretato la società, nella sua sostanza, come una comunità di norme e di valori nella quale i singoli individui devono inserirsi. Ciò accade ad esempio nelle opere di Sumner (v., 1906) e di Cooley (v., 1909). Per questo tipo di interpretazione diffuso nella sociologia americana al tempo del predominio del Mid West è caratteristica la seguente definizione di Coser e Rosenberg: "Il controllo sociale si riferisce a quei meccanismi tramite i quali la società esercita la sua autorità sugli individui che la compongono, e fa rispettare la conformità alle sue norme".
Tra i sociologi che ebbero maggiore influenza sulla disciplina nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, solamente George Homans concepiva il controllo sociale con quell'ampiezza che era stata attribuita al concetto dai classici americani. Homans infatti, interpretando il comportamento secondo il modello 'stimolo-risposta' del comportamentismo, e quindi come guidato dall'attesa della ricompensa e della punizione, considera il controllo sociale come un meccanismo di regolazione sul piano individuale. Ne deriva che il controllo sociale è "il processo tramite il quale, se un uomo deroga dal suo attuale grado di obbedienza a una norma, il suo comportamento viene riportato verso quel grado o vi verrebbe riportato qualora derogasse" (v. Homans, 1950, p. 301). Il controllo sociale è dunque il processo - ogni processo - per mezzo del quale un comportamento deviante viene nuovamente reso conforme. Un concetto certo più ampio di quello di sanzione, che tematizza invece solo un aspetto del controllo sociale, e cioè il procedimento interpretato dall'individuo come determinata reazione a un determinato comportamento. Un comportamento deviante - oppure considerato generalmente insolito - provoca tutto un intreccio di reazioni, delle quali le sanzioni sono di solito soltanto un aspetto percepito in modo particolarmente vivido.
L'universalità del concetto di controllo sociale iniziava però a disgregarsi, già all'inizio degli anni trenta, secondo due direzioni: una differenziazione secondo i vari settori della sociologia, l'altra secondo le tassonomie, con una filigrana di sottoconcetti. A quel tempo negli Stati Uniti la sociologia si evolveva a scienza dei problemi della società contemporanea, per cui il problema del controllo sociale divenne quello della differenziazione delle società moderne. In una società poco differenziata non si presentano difficoltà di principio nello spiegare il comportamento uniforme con il controllo sociale esercitato dalla collettività. Come spiega Lévi-Strauss in Tristi tropici, in una società poco differenziata la pressione della conformità è straordinariamente elevata. La conformità fa parte dei doveri fondati religiosamente, e non ha bisogno di essere imposta con uno specifico apparato di potere. Nelle società differenziate, invece, si differenziano anche le aspettative e deve conseguentemente essere abbandonata l'immagine dell'individuo che si contrappone alla società. Le società moderne sono costituite da un intreccio di istituzioni e di rapporti che sottostanno alle aspettative generali e a quelle specifiche per l'istituzione o per la situazione interne alla compagine sociale. L'idea di un controllo sociale che raggiunge tutti immediatamente e nello stesso modo, quindi, non si presenta qui come paradigma adeguato. Nel processo di differenziazione della società anche il controllo sociale si differenzia e viene esercitato da persone e istituzioni diverse, secondo la specificità della situazione (v. Scheuch, 1989).
Per reazione a questo stato di cose alcuni sociologi americani, più orientati verso le scienze morali, proposero delle tassonomie, all'interno delle quali le distinzioni si effettuavano in relazione alle istituzioni, alle tecniche, oppure ai tipi di controllo sociale. Una delle tassonomie più dettagliate veniva proposta circa cinquant'anni fa da Eubank (v., 1931, cap. 11). Simili tassonomie non si sono però dimostrate, fino a oggi, particolarmente feconde.Sarebbe stato forse più proficuo il tentativo di comprendere gli aspetti del controllo sociale in modo concettualmente differenziato. È da menzionare, ad esempio, la compattezza del controllo sociale come qualità importante per una collettività, ma non ci sono ancora molti tentativi in questa direzione.
A partire dagli anni trenta il tema del controllo sociale si era sempre più frammentato nei diversi rami della sociologia. Le problematiche che questi proponevano erano più concrete del concetto generale di controllo sociale e potevano collegarsi più strettamente con l'empiria. Questi settori della sociologia sono: il comportamento deviante, la sociologia del diritto, la sociologia della medicina, le norme, i valori, le sanzioni. Con Talcott Parsons questo sviluppo raggiunse la sua formulazione ancora oggi efficace (v. Parsons, 1951, in particolare il cap. 7). Su questo argomento Jesse R. Pitts constatava: "C'è oggi meno interesse per un tema che, se deve essere trattato come qualcosa di diverso da un sommario delle varie specialità, richiede un livello di generalità teoretica che può sembrare al di là delle nostre possibilità attuali" (v. Pitts, 1968, p. 394). Un'analisi condotta sulla principale fonte bibliografica degli studi sociologici, i "Sociological abstracts", dava come risultato che negli anni ottanta la nozione di controllo sociale equivaleva a quelle di ostacolo e di reazione al comportamento deviante. Come tale essa è diventata un concetto fondamentale solo nella sociologia criminale; questo concetto è, inoltre, ancora in uso nella sociologia della medicina e della politica.
L'interesse circa i motivi e i processi che rendono naturale il comportamento conforme non si attenuò quando venne meno quello per un concetto generale di controllo sociale estensibile a più situazioni, ma semplicemente trovò altre espressioni. Negli anni cinquanta e sessanta fu il concetto di ruolo a diventare il paradigma unificatore, proprio come lo era stato il concetto di controllo sociale nella prima sociologia americana. Con i ruoli, interpretati quali aspettative legate a una posizione, si riusciva ugualmente a spiegare il comportamento conforme a una regola, come conseguenza sia delle aspettative di un ambiente verso un attore, sia delle aspettative dell'attore nei confronti di se stesso. Il vantaggio della nozione di ruolo era la possibilità di esprimere queste aspettative, correlandole alla posizione assunta di volta in volta all'interno di una struttura sociale differenziata.
Questa suddivisione del concetto, le tassonomie e a maggior ragione la successiva limitazione del controllo sociale a controllo del comportamento deviante (in connessione con l'insegnamento di Talcott Parsons) esauriscono le ragioni da cui era nato il concetto e la problematica per la quale esso era stato pensato originariamente. Per i sociologi americani tra il 1890 e gli anni trenta era stato fondamentale il problema di come sia possibile un nuovo ordine dopo la dissoluzione dei vincoli tradizionali. L'evidente onnipresenza dei problemi sociali doveva forse considerarsi una tappa del decadimento finale di ogni ordine? Secondo Ross i problemi sociali seguono necessariamente dai mutamenti sociali solo quando manca il controllo sociale.
Ross muoveva in modo esplicito dall'idea di un ordine naturale (natural order) che deriverebbe dal concorso spontaneo delle personalità di uomini incorrotti. A questi uomini incorrotti Ross contrappone poi, nella sua opera Social control, gli "idioti morali" della società industriale urbanizzata: "coloro che non si immedesimano in un altro più di quanto la bestia s'immedesimi nell'angoscia della sua preda" (v. Ross, 1901, p. 50). Alla base del concetto di controllo sociale di Ross c'è un assunto antropologico circa l'essenza dell'uomo, secondo il quale egli è condotto allo stato "incorrotto" da una sorta di imperativo kantiano. Allo stato naturale questi uomini non hanno bisogno di istituzioni formali, ma sono legati tra loro in un ordine sociale dai vincoli primari immediati - di tipo familiare, religioso e di vicinato. Come esempio di ordine naturale Ross cita le società senza scrittura e anche la vita comunitaria, in condizioni di uguaglianza sociale ed economica.
Secondo un'opinione fino a oggi diffusa in sociologia, questo ordine naturale degli uomini viene distrutto con la trasformazione della società apportata dalla modernizzazione. Una trasformazione distruttrice, le cui forze agenti erano individuate nell'urbanizzazione, nell'emigrazione e nell'annullamento della selezione naturale in senso darwiniano. Proprio perché quest'ultima non adempie più alla sua funzione cresce, secondo Ross, il numero degli "idioti morali". In seguito a questo mutamento e a un'immigrazione costituita prevalentemente da avventurieri e da sradicati provenienti da tutte le parti del mondo, l'ordine naturale dei primi immigrati negli Stati Uniti dovette essere sostituito con un ordine razionale (ibid., p. 43). In queste analisi generali di Ross il controllo sociale risulta raggiunto grazie a istituzioni finalizzate, concepite razionalmente. Questo ordine sociale, se attuato tempestivamente dagli uomini rimasti ancora incorrotti, sostituisce l'ordine naturale distrutto.
Nel successivo svolgimento della sua opera Ross riconosce che l'ordine sociale progettato deve prendere in considerazione anche i lati non razionali dell'esistere sociale. L'accento si sposta quindi dal primato del controllo esterno - il cui presupposto è individuato come in Rousseau in un patto razionale tra gli uomini, in una sorta di contratto sociale - alle influenze meno esplicite e, in seguito, soprattutto agli impulsi interiori, che portano a scegliere il proprio comportamento in conformità alle aspettative.Questo sviluppo del pensiero di Ross può anche essere interpretato come un sempre maggiore distacco dalla sua disciplina accademica originaria: l'economia politica. L'economia politica appresa da Ross portava l'impronta dell'utilitarismo inglese e concepiva la condotta dell'uomo come guidata dall'interesse individuale, mentre la somma degli egoismi individuali, grazie a una "mano invisibile", si sarebbe trasformata nel massimo bene comune che si possa raggiungere. Ross in un primo momento concepiva il comportamento come una condotta troppo responsabilizzante dal punto di vista morale, che deve essere scelta per motivi diversi da quelli egoistici affinché in generale si formi una società.
Nei lavori successivi di Ross, in cui trova spazio anche la trattazione empirica dei problemi sociali, l'accento si sposta verso gli impulsi meno coscienti del comportamento umano. Quando menziona le diverse istituzioni che producono un controllo del comportamento naturale disturbato in favore dell'ordine sociale, Ross non fa praticamente che descrivere la dottrina delle istituzioni della sociologia dell'epoca. In un primo tempo egli compilò un elenco di 33 differenti tipi di controllo sociale esercitato dalla società sui suoi membri. In seguito ne ricavò un elenco più breve con 23 forze capaci di esercitare influenza sociale, che divise in due gruppi: controllo esterno e influsso sociale (persuasion). Le istituzioni più importanti per il controllo esterno sono le religioni organizzate in Chiese e il diritto, che sostituisce nella società moderna l'ordinamento tradizionale basato sulla consuetudine. Le forze più significative che esercitano un influsso sociale sono l'opinione pubblica, l'educazione, l'esempio morale e la creazione artistica. Secondo gli sviluppi successivi del pensiero di Ross, il progresso morale consiste nella graduale sostituzione (in realtà: risostituzione) della coercizione esterna con la disciplina interna: "Più una comunità è democratica, più è in grado di passare dai controlli repressivi all'educazione e alla persuasione. L'educazione, riteneva Ross, aiuta a rendere consapevole la gente delle origini sociali del proprio essere morale, e dei propri obblighi sociali quali membri di una comunità democratica" (v. Coser, 1978, pp. 302-303). Nello stesso Ross non si trova tuttavia alcun chiarimento circa il modo in cui il controllo esterno diventa controllo interiorizzato; questo punto sarà tematizzato solo più tardi, da Mead e da altri, negli anni trenta.
Orientamenti simili a quelli di Ross si ritrovano anche in pensatori europei a lui contemporanei: ad esempio nell'idea di Durkheim della rottura della solidarietà meccanica e del conseguente disorientamento anomico degli uomini. Dal mutamento sociale non si forma, spontaneamente, un nuovo ordine. Al contrario, secondo Durkheim l'ordine economico moderno è un continuo generatore di anomia, per cui le comunità naturali fondate sulla solidarietà spontanea devono essere sostituite con nuove comunità progettate razionalmente, la cui base può essere solo quella dell'ordinamento professionale. Come strumento di controllo sociale Durkheim indica poi la conscience collective (v. Durkheim, 1893).
La distinzione tracciata da Tönnies tra comunità e società è connessa allo stesso tipo di pensiero evoluzionistico. In Tönnies manca tuttavia ogni riferimento al darwinismo sociale, che si trova invece in Ross, e che con Spencer diviene un topos dominante della sociologia inglese di fine secolo. Anche Tönnies considera gli ordinamenti sociali nascenti dal frantumarsi delle comunità come intimamente fragili, per cui si pone anche per lui il problema di come sia possibile l'ordine dopo tale frantumazione (v. Tönnies, 1887).
Con la Scuola di Chicago, che ebbe un'influenza predominante negli anni venti, l'attenzione fu spostata dal controllo sociale alla disorganizzazione sociale. Per W.E. Thomas la disorganizzazione sociale (social disorganization) è definita dall'assenza di controllo sociale. Lo stesso concetto si trova in Park e Burgess, che trattarono questa assenza di controllo sociale come problema soprattutto delle metropoli (v. Park e Burgess, 1921). Secondo la Scuola di Chicago la città è una forma di convivenza che senza dubbio amplifica la libertà, ma crea anche problemi sociali per i quali non si intravede alcuna soluzione: "Il problema sociale è fondamentalmente un problema urbano. È il problema di ottenere, nella libertà della città, un ordine sociale e un controllo equivalenti a quelli che si sviluppavano naturalmente nella famiglia, nel clan e nella tribù" (v. Park, 1952, p. 74).
Nel Chicago area project esponenti della Scuola di Chicago cercarono, operando sul terreno dell'applicazione pratica, di stabilire legami di gruppo primario nella metropoli, attraverso l'azione sociale: "Tutti i problemi sociali risultano essere alla fine problemi di controllo sociale" (v. Park e Burgess, 1921, p. 785). In quest'applicazione pratica il controllo sociale - considerato nella prima formulazione del problema come controllo esplicito ed esterno sull'individuo - si trasformava nei meccanismi di un autocontrollo desiderato e accettato, rispetto al quale il controllo sociale come costrizione esterna opera in modo dannoso.
Trattando il controllo sociale in stretta relazione con i problemi sociali, come indicava la Scuola di Chicago, rimaneva irrisolto uno degli aspetti più importanti della teoria del controllo sociale. Su questo punto Herbert Mead offre un contributo decisivo. Il comportamento sociale dipende, secondo Mead, dalla capacità dell'individuo, in una società, di vedere se stesso con gli occhi dell'altro. Si tratta, come è evidente, di una psicologizzazione dell'imperativo etico kantiano. Un simile 'vedersi con gli occhi dell'altro' è soprattutto un presupposto per l'agire collettivo (v. Mead, 1932, pp. 192-193).
In questo indirizzo della sociologia americana, che fu per lungo tempo il più rilevante, è caratteristica una tendenza alla Kulturkritik. Talvolta celata, ma facile da individuare invece nell'opera di Ross, essa è legata a un concetto altamente ideologizzato della virtù degli americani puritani, situati ai confini della civiltà, e della corruzione delle metropoli invase dagli immigrati. A questa avversione per la civiltà urbana si univano sempre uno sfondo religioso e un fervore missionario. Ross pubblicò più di 200 studi su riviste, e i suoi libri raggiunsero tirature di 300.000 copie. Lester Ward, che aveva con lui legami familiari, ebbe, quale conferenziere, l'agenda completa per anni. Molti sociologi del Mid West furono riformatori populisti oltre che giornalisti critici della cultura (Lincoln Stevens, Upton Sinclair, Thornstein Veblen). Accanto alle grandi strutture emergenti, già allora si delineava il contro-progetto secondo il quale 'piccolo è bello' (small is beautiful).I contenuti della Kulturkritik, e in particolare la critica alla società industriale burocratizzata, derivano in parte anche dall'adesione alle correnti culturali europee. Ross e Park trascorsero anni importanti del proprio sviluppo intellettuale in Germania, e al ritorno negli Stati Uniti rifiutarono l'imbozzolatura speculativa di questa Kulturkritik entro sistemi filosofici, ma associarono i suoi contenuti al fervore religioso che animava i membri delle libere chiese evangeliche.In particolare fu Ross che riscosse un enorme successo, e non solo all'esterno, ma anche all'interno della sua disciplina. La sua opera più importante, Social control (1901), che conteneva una raccolta di studi pubblicati tra il 1896 e il 1898 sull'"American journal of sociology", ebbe un successo immediato. Cooley, Park, Thomas e Burgess ripresero questa tematica e l'interesse generale che ne derivò indusse l'American Sociological Society a dedicare il suo congresso del 1917 esclusivamente al tema del controllo sociale.
Quello di controllo sociale divenne uno dei concetti principali nei manuali adottati in America, e tale rimase sino alla fine degli anni trenta. È quanto dimostra Kurt H. Wolff (v., 1958) in un'analisi sistematica svolta appunto sui testi adottati.Un esempio di come veniva inteso il controllo sociale è dato dalla definizione che si trova nel diffuso manuale di MacIver e Page, nel quale esso è definito come "la condizione grazie alla quale l'ordine sociale permane coerente e si mantiene, il modo in cui esso opera come un tutto, come un equilibrio dinamico" (v. MacIver e Page, 1949, p. 137). Il controllo sociale diventava anche il tema di manuali specifici. Nel primo di essi è lamentata la mancanza di una definizione appropriata (v. Lumley, 1925). Nel secondo invece, di Jerome Dowd (v., 1936), il controllo sociale diventa storia dell'evoluzione della convivenza, dalle prime forme paternalistiche fino al controllo democratico nel futuro. L.L. Bernard (v., 1939), nel terzo testo, tenta di portare chiarezza sviluppando dei sottoconcetti come quelli di motivazione e tecniche del controllo, o di forme negative e costruttive. E anche nel quarto testo, quello di Landis, che come quello di Bernard ebbe ampia diffusione, si lamenta, proprio come agli inizi, che il concetto di controllo sociale faccia riferimento sia ai controlli intenzionali che a quelli non intenzionali. Quando si raccomanda di continuare a utilizzare il concetto di controllo sociale, malgrado questa confusione, viene addotta la giustificazione che proprio tale concetto sia indispensabile per l'analisi dei problemi sociali (v. Landis, 1939): fino ai tardi anni quaranta esso rimarrà dunque un concetto fondamentale nei manuali della sociologia americana.
Contemporaneamente si sviluppa tuttavia un'altra concezione del controllo sociale. È in particolare nella letteratura periodica che concetti come norme, integrazione e riferimento ai valori vengono preferiti al concetto di controllo sociale, quando sono tematizzati rispettivamente il comportamento conforme e la devianza dalle aspettative. Gli anni trenta rappresentano il periodo in cui negli Stati Uniti la sociologia generale si disgrega in tante diverse sociologie applicate, all'interno delle quali ha luogo la vera ricerca empirica, e il saggio su riviste viene favorito come forma di comunicazione. Il manuale per gli studenti e la letteratura periodica specializzata si allontanano sempre più l'uno dall'altra.
La fine della concezione del controllo sociale quale nozione principale e assolutamente generale della sociologia è legata al successo di Talcott Parsons, per il quale il controllo sociale è una reazione al comportamento deviante e come tale è da mettere in stretta relazione con il concetto di sanzione (v. Parsons, 1951). In seguito il controllo sociale sarà utilizzato principalmente - con eccezioni ancora da menzionare - dalla sociologia criminale.
La teoria del controllo sociale, propria della sociologia americana tra il 1890 e la fine degli anni trenta, è considerata oggi per molti aspetti particolari ormai solo di interesse storico. Ciò non vale naturalmente per le riflessioni generali sui fondamenti dell'ordine tra gli uomini. La trattazione di questa problematica si è però spostata sull'analisi delle singole istituzioni sociali. Si può notare come si sia modificata la comprensione del problema, a partire dalla concezione di Parsons in poi, dal sottotitolo di due libri allora molto diffusi, che avevano come titolo proprio il controllo sociale: mentre il sottotitolo del libro di Ross del 1901 era ancora A survey of the foundation of order, il sottotitolo della seconda edizione (1956) del testo di Paul H. Landis recitava: Social organization and disorganization in process.
Diverse furono le cause che provocarono la scomparsa del controllo sociale quale concetto fondamentale della ricerca empirica, anche se esso fu considerato tale ancora per due decenni nei manuali americani. Il motivo più rilevante fu comunque il successo della sociologia stessa. Quando Ross collegava la connotazione di 'sociale' con quella di 'controllo' del comportamento umano, la scelta aveva un carattere programmatico. A quell'epoca prevaleva la convinzione che il comportamento dell'uomo derivasse dall'istinto o da predisposizioni biologiche, oppure da convinzioni ideali e religiose. Un esempio del diverso significato attribuito al controllo sociale, rispetto alla concezione consueta, si trova nel manuale di Landis: "A differenza dalle altre creature, l'uomo nasce senza modelli definiti in grado di garantire una vita ordinata [...]. Il fatto che un qualche controllo abbia operato in tutte le società è prova della sua necessità" (v. Landis, 1939, 1956², p. 36). Il controllo sociale inizia quindi a essere considerato come l'alternativa a un ordine predeterminato dalla natura, mentre è palese che la società è una forma di convivenza spiegabile socialmente e non biologicamente. Il controllo sociale, inteso prevalentemente come meccanismo sociale, non ha più bisogno quindi di essere contrapposto a modi di vedere alternativi.
Una seconda causa della perdita di significato della nozione di controllo sociale risultò dalla ricerca empirica relativa ai fenomeni osservati con particolare attenzione dalla Scuola di Chicago, cioè dallo studio della criminalità. Secondo la concezione propria dei fondatori della sociologia americana, in questo tipo di devianza si esprimeva il fallimento del controllo. Ma ora E.H. Sutherland (v., 1924) e altri erano in grado di rilevare che la criminalità non esprime sempre e solo una devianza dell'individuo dalle attese del suo ambiente, ma può significare anche conformità. Le bande giovanili sono il contrario di un'addizione di individui anomicamente isolati; esse sono invece comunità con una insolita intensità di interazione. Nella tesi (propria della sociologia criminale) della associazione differenziale è appunto teorizzato il fatto che la criminalità può essere entrambe le cose: devianza dei singoli dalle aspettative sociali, ma anche conformità alle aspettative di una subcultura che si contrappone alla società generale. Il conflitto che sfocia nella delinquenza in questo caso non è espressione di una violazione individuale delle norme, bensì di un contrasto di norme tra una comunità e la collettività nel suo insieme.
La tesi dell'importanza delle comunità per spiegare l'elevata criminalità, e in particolare quella giovanile, era solo un aspetto di una concezione più generale, secondo la quale la società industriale non è priva di strutture comunitarie. E d'altra parte, attraverso studi su villaggi e ricerche etnologiche, si giunse alla conclusione, peraltro ovvia, che non esiste in generale alcun motivo per ritenere che le comunità, nelle società tradizionali, siano libere da conflitti (v. Shils, 1972). L'ipotesi evoluzionistica, che era implicita nella concezione del controllo sociale nella fase di fondazione della sociologia americana, si dimostrava insostenibile. La rappresentazione dell'evoluzione come passaggio dalla comunità alla società era un fraintendimento intellettuale del presente e insieme del passato. Di conseguenza veniva meno anche l'idea secondo cui un ordine esplicito codificato del presente sarebbe l'equivalente di un ordine naturale del passato.
La riduzione del concetto di controllo sociale a controllo del comportamento deviante, a sua volta ridotto a controllo dell'infrazione alle norme, può essere interpretata come reazione della sociologia al processo della differenziazione sociale. Ciò si accompagna alla crisi dell'idea di una legge etica unitaria, che pervade tutti i settori della vita sociale. Il controllo del comportamento viene avvertito dagli uomini di oggi in relazione al proprio ruolo specifico. I contenuti del controllo, in relazione ad esempio con il ruolo di lavoratore o di coniuge o di artista, sono troppo eterogenei per poter essere considerati solo, o principalmente, come espressioni concrete di un processo più generale.
In un prospetto sulla condizione della sociologia negli Stati Uniti, preparato per l'UNESCO nel 1956, Hans L. Zetterberg ritenne superfluo citare il controllo sociale come concetto o tema centrale della sociologia americana (v. Zetterberg, 1956). Si riproduceva così un errore allora diffuso, secondo il quale il concetto di controllo sociale sarebbe stato importante solo in alcune branche specifiche della sociologia, e in particolare nella sociologia criminale. Indubbiamente è vero che in Parsons il controllo sociale viene tematizzato solo in relazione ai fenomeni di devianza sociale, ma il concetto di devianza comprende per lui qualsiasi variazione del comportamento rispetto agli standard sociali. Controllo sociale e devianza sono quindi in Parsons concetti della sociologia generale e non di una sua branca specifica.
Quale funzionalista, Parsons presuppone l'esistenza di un ordine sociale. Ciò costituisce, evidentemente, un rovesciamento della prospettiva di Ross, secondo cui l'ordine sociale nasce solo grazie a una sorta di contratto sociale. Per Parsons diviene un problema fondamentale come questo ordine riesca a sopravvivere in quanto sistema sociale, tenuto conto delle continue trasformazioni e dei continui casi di comportamento deviante. Egli indica due processi fondamentali: quello della socializzazione e quello del controllo sociale. Il più efficace dei due dovrebbe essere il primo, attraverso cui i valori del sistema culturale diventano motivazioni dell'individuo. Nella maggior parte dei casi i membri di un sistema sociale si comportano in modo conforme alle aspettative degli altri. Il controllo sociale rappresenta, invece, un processo equilibratore costante, che opera nei casi di socializzazione imperfetta e/o di un mutamento sociale non previsto nel sistema culturale. Il carattere della devianza (deviation) viene definito come "tendenza a far emergere o un cambiamento nelle condizioni del sistema interattivo, oppure un riequilibrio a opera di forze contrarie: quest'ultimo è il meccanismo del controllo sociale" (v. Parsons, 1951, p. 250). La devianza deriva allora dalla frustrazione relativa ai ruoli, la quale genera nell'attore uno stato d'animo designato come ambivalenza. Tale ambivalenza può manifestarsi nei confronti del partner dell'interazione o nei confronti della norma. L'idea che la devianza sia ambivalenza nei confronti delle persone e delle norme, e non il loro rifiuto, rappresenta un punto fondamentale del pensiero di Parsons - non diversamente dall'idea guida di Simmel nell'analisi delle relazioni tra stranieri e indigeni. Solo interpretando la devianza come ambivalenza, il processo del controllo sociale può essere indicato, come accade in Parsons, quale reazione sostanzialmente terapeutica.
L'ambivalenza, secondo Parsons, può portare all'indifferenza, per cui l'azione non ha luogo, oppure ad atteggiamenti di adesione e insieme di rifiuto nei confronti delle aspettative, o infine può sfociare in un agire coatto (compulsive). Viene considerato coatto quell'agire nel corso del quale è accentuato solo un lato dell'ambivalenza: se viene ammessa solo l'adesione Parsons parla di "conformità", se viene evidenziato solo il rifiuto, di "alienazione coatta" (compulsive alienation). Un caso particolarmente significativo di questo genere di comportamento è per Parsons la malattia mentale.
La concezione di Parsons, là dove analizza il comportamento dell'attore, è fortemente influenzata dalla sua vicinanza alla psicanalisi. Si comprende così il motivo per cui, riguardo al controllo sociale, non parli in primo luogo di pena ma piuttosto di una terapia che presuppone un'elevata misura di reciproca dedizione, nel deviante e in coloro che si adoperano per la sua correzione (ibid., cap. 7). È l'esatto contrario del concetto di pena di Durkheim, che in essa vedeva un mezzo per ristabilire nella collettività il senso della giustizia. Per Parsons si tratta piuttosto della riconduzione del deviante a un comportamento normale, e non di un procedimento con il quale il controllore reagisce all'ambivalenza presente nel deviante.
Per quanto riguarda il malato mentale, è evidente che egli, da una parte, accetta la 'moratoria sociale' della diminuzione delle aspettative nei propri confronti, che deriva dalla definizione stessa di malato mentale, ma nello stesso tempo aspira con il medico a raggiungere la salute. Se il controllore accetta quest'ultimo valore, si crea una motivazione comune tra il controllore e il deviante. Per quanto strano tutto questo possa sembrare a un primo esame, la teoria del controllo sociale di Parsons è alla base della sociologia della malattia mentale e anche della sociologia della pena (penology). "La teoria del controllo sociale è l'inverso della teoria della genesi delle tendenze al comportamento deviante. Essa è l'analisi di quei processi esistenti nel sistema sociale che tendono a neutralizzare le tendenze devianti, e delle condizioni alle quali tali pressioni opereranno" (ibid., p. 297).Parsons sostiene che la tendenza alla devianza è presente ovunque ma che per lo più essa si traduce in atti poco appariscenti e poco importanti nelle conseguenze. Allo stesso modo non sono appariscenti per l'individuo neppure la maggior parte dei meccanismi di controllo sociale. Parsons li distingue così.
1. L'istituzionalizzazione. Con ciò si intende che le aspettative vengono precisate. Nelle società moderne, con valori pluralistici, si presentano spesso conflitti derivanti dalla mancanza di chiarezza nelle aspettative reciproche.
2. Le sanzioni interpersonali, fra cui Parsons comprende soprattutto gli atti informali, come il sorriso o l'aggrottamento della fronte, oppure l'espressione di dissenso.
3. La ritualizzazione. Si intende con ciò la possibilità di sviare lo stress derivante dall'ambivalenza, ad esempio attraverso comportamenti particolarmente formali.
4. Le istituzioni secondarie. Sono le istituzioni al cui interno è possibile un comportamento che al di fuori di questo ambito verrebbe sanzionato negativamente come deviante. Parsons porta l'esempio della cultura giovanile, che in parte impone una moratoria sociale per il comportamento deviante. Altri esempi sarebbero un casinò, un bordello, oppure il carnevale. Ciò che è consentito all'interno di tali istituzioni non sarebbe accettabile al di fuori delle stesse.
5. Le istituzioni reintegranti. Sono le persone e i tipi di comportamento che nell'ambivalenza del deviante mettono in evidenza il consenso ancora presente.
6. L'apparato coercitivo. Questo punto non viene ulteriormente specificato da Parsons, perché nell'analisi delle devianze e del controllo sociale egli considera prima di tutto un sistema che si autoregola in modo non evidente per i suoi membri e tende sempre a ritornare verso lo stato di equilibrio.
Come causa principale della devianza e come principale necessità del controllo di essa, Parsons identifica i conflitti di valore, riferendosi con ciò non a valori reciprocamente contrastanti bensì alle differenze nell'interpretazione dello stesso valore. Proprio i valori universali sono quelli che lasciano maggior spazio all'interpretazione. Interpretazioni contrastanti sono molto difficili da conciliare, perché tutte le interpretazioni contrapposte si considerano legittime. Il giovane che si appropria di un'automobile per 'fare un giro', non definisce il suo comportamento un furto, ma un prestito non autorizzato; per il proprietario dell'auto il 'prestito' lede invece il suo diritto di proprietà.
Come sottolinea Sutherland, questo tipo di conflitto è particolarmente evidente nella criminalità che deriva dall'appartenenza a subculture. In questo caso può sussistere una completa concordanza con la cultura dominante nel ritenere assolutamente inaccettabile il furto qualora la vittima non sia in grado di difendersi, in quanto vecchia o debole, oppure addirittura cieca. Il dissenso sull'interpretazione dei diritti derivanti dalla proprietà viene così limitato nella sua portata. Per quanto riguarda il dissenso religioso esiste, e in particolare negli Stati Uniti, l'istituto sociale della setta. Come istituzione secondaria, permette di praticarvi un tipo di religiosità altrimenti considerato scandaloso.
La dottrina di Parsons non è un'analisi delle persone devianti, ma del comportamento deviante. La maggior parte dei nostri atti è conforme alle aspettative, ma la stragrande maggioranza degli uomini che compongono una società moderna si comporterà, anche soltanto una volta, in modo deviante. Parsons non si occupa qui di una forma della sociologia criminale - come frequentemente viene equivocato - ma di una dottrina del controllo del comportamento nella quotidianità.
Nella specificazione della sua teoria Parsons sviluppa, com'è solito fare, una complicata tipologia tramite la combinazione di coppie di opposti. Egli distingue prima di tutto tra reazione attiva e passiva all'esperienza dell'ambivalenza. Sostiene poi che questa ambivalenza può rivolgersi principalmente contro oggetti sociali (persone) oppure contro norme. A seconda della reazione, l'ambivalenza può risolversi in conformismo oppure in reazione alienata. Dalla combinazione dei vari fattori risulterà una tipologia articolata in otto ambiti.
Nell'ulteriore svolgimento della sua teoria Parsons giunge, come spesso gli accade, a un vero barocchismo concettuale. Un esempio si ha nell'analisi delle istituzioni secondarie, con la distinzione della loro azione come insulation oppure isolation: qui la differenziazione del concetto è fine a se stessa. Conserva tuttavia il suo interesse la prospettiva fondamentale che consisteva nella concezione della devianza e del controllo come parti di un insieme di regole grazie alle quali è possibile analizzare un sistema sociale, sia quando è in movimento, sia quando è stabile. Non è la criminalità, ma il comportamento nella quotidianità che viene tematizzato "nell'integrazione istituzionale della motivazione e nel reciproco sostegno degli atteggiamenti e delle azioni proprie dei diversi attori individuali coinvolti in una struttura sociale istituzionalizzata" (ibid., p. 302).
Nello sviluppo delle intuizioni di Parsons l'accento si sposta dal controllo sociale della devianza alle funzioni della devianza stessa. La più vicina alle idee di Parsons è la teoria di Robert K. Merton sulla spiegazione del comportamento deviante, e in particolare della piccola criminalità. Merton prende le mosse dall'assunto parsoniano, secondo il quale il comportamento deviante è caratterizzato da un'ambivalenza nei confronti delle norme. Come Parsons anche Merton distingue tra le risoluzioni attive dell'ambivalenza (come la ribellione) e le forme passive (come il vagabondaggio). Notevole è per Merton il fatto che sia chi agisce in modo alienato, sia chi agisce in modo conforme alle norme afferma in egual misura i valori fondamentali della società. I due si diversificano soprattutto perché i mezzi per il raggiungimento di questi valori sono per essi diversamente accessibili. Così, la maggior parte dei ladri è della stessa opinione dei derubati: per entrambi la proprietà è un valore sociale fondamentale e positivo. Tuttavia, poiché i mezzi per il conseguimento della proprietà non sono solitamente accessibili ai ladri, questi ultimi creano condizioni nelle quali quel valore, peraltro accettato, non deve essere rispettato in modo incondizionato da persone nella loro situazione (v. Merton, 1949).
In Merton il concetto principale per la spiegazione della devianza è l'anomia. Essa si ritrova in particolare tra quelle persone di un sistema sociale che hanno un minore rispetto per la legittimità di un valore, oppure - caso numericamente più rilevante - tra quelle persone che hanno un minore rispetto per le norme da osservare per ottenere un tale valore. Nel caso del furto si tratta, secondo Merton, di una mancanza di giustizia rispetto alle possibilità di avanzamento sociale. Questo minore rispetto verso le norme trova dunque una spiegazione nella struttura sociale stessa.
La teoria di Merton è applicabile in modo particolare alla piccola criminalità giovanile, ma viene spesso estesa a tutto il comportamento criminale, con intenti giustificatori, nella sociologia con tendenze alla critica sociale.
Nadel (v., 1953) distingue tra controllo sociale e autoregolazione, con l'intento di spiegare quello che è particolarmente evidente nello studio delle società semplici. In queste società la devianza è associata alle sanzioni più lievi proprio quando riguarda i tipi di comportamento più importanti. Il rispetto delle norme non può quindi spiegarsi con l'aspettativa di controlli sociali in caso di comportamento deviante. È a questo proposito che viene introdotta come spiegazione l'autoregolazione. La sua azione è una forma di controllo sociale, nel senso che l'osservanza di una norma ne consolida la validità con più efficacia di quanto ciò non riesca a un insegnamento pubblico oppure a una dimostrazione di controllo. Tuttavia, se la norma in qualche raro caso viene infranta, la reazione che ne segue ha un effetto rafforzante, cosicché la trasgressione occasionale delle norme possiede, secondo Nadel, un significato confermativo. Si parla dunque di "funzione coesiva dell'infrazione delle norme". I rapporti con Durkheim e Simmel sono qui evidenti (v. Coser, 1956).
Le conseguenze di un simile spostamento dell'attenzione verso le funzioni della devianza in relazione al sistema sociale si ritrovano in autori come Roger Nett e Harry M. Johnson. Per Nett (v., 1953) è più il conformista che nuoce alla società, che non chi viola le norme. Harry M. Johnson (v., 1960) motiva un punto di vista analogo con l'osservazione che le norme sono spesso disfunzionali. Una devianza è funzionale quando è motivata (voluta), e solamente di quest'ultima Johnson si occupa in seguito. È naturale allora che egli definisca il controllo sociale nel modo seguente: "Il controllo sociale consiste nell'azione di tutti i meccanismi che neutralizzano le tendenze devianti, sia prevenendo gli atti devianti che - cosa ancora più importante - controllando o rovesciando gli elementi della motivazione che tendono a produrre il comportamento deviante" (ibid., p. 553).
Considerando il controllo sociale quale mezzo per ripristinare l'equilibrio - come fa Parsons -, l'analisi della devianza diventa allora analisi delle esigenze di restaurare l'equilibrio interne a un sistema sociale. Per questo motivo è comprensibile che la tematica del comportamento deviante attragga soprattutto gli studiosi orientati verso la critica sociale, e che l'ottica del controllo sociale passi completamente in secondo piano di fronte al tentativo di spiegare la devianza come indizio delle debolezze del sistema sociale.
Lo stesso Ross non aveva chiarito se il controllo sociale fosse un'azione esterna (external control) - come per Homans - oppure comprendesse anche l'autocontrollo del comportamento (internal control) da parte dell'attore (v. Homans, 1950, p. 284). Nei seguaci di Parsons, in relazione all'accentuazione della devianza, il controllo sociale diviene, soprattutto nei cosiddetti teorici del conflitto, controllo di organizzazioni formali sul comportamento individuale e costituisce quindi un particolare tipo di controllo esterno. Con questo significato circoscritto il controllo sociale costituisce un tema rilevante nella sociologia delle organizzazioni e in particolare nella sociologia dell'industria (v. Bunke, 1965). Nella sociologia criminale l'accento viene messo poi non solo sullo studio della pena, ma anche sull'esame delle leggi (v. Reckless, 1973). Nel processo di politicizzazione della sociologia americana, che ha inizio negli anni sessanta, ciò sfocia nell'analisi delle cosiddette strutture di potere (v. Domhoff, 1967).
In una società pluralista lo studio di un comportamento orientato verso le norme porta ben presto a porre il problema di quali norme si tratti. Se, come nella teoria del conflitto, ci si limita a considerare solo le organizzazioni formali come istanze di controllo, allora si accentua il contrasto tra le norme di chi è soggetto al controllo e le norme di chi lo esercita. Secondo i sociologi marxisti americani - più corretta è la definizione di neostalinisti - tale contrasto porta a una rappresentazione della società come sistema di repressione nell'interesse dell'élite, e all'affermazione che il controllo sociale è prerogativa dello Stato per il mantenimento del sistema di sfruttamento (v. Quinney, 1977).
Queste ultime analisi del controllo sociale già non appartengono più alla sociologia come disciplina accademica. Diverso è il caso di una seconda variante della teoria del conflitto, che dominò la sociologia criminale degli anni settanta: la teoria dell'etichettamento (labelling theory). Secondo tale teoria una persona risulta criminale in seguito al corrispondente etichettamento di un comportamento deviante. Etichettamento che solitamente, a paragone con la devianza stessa, è una iperreazione che subito assegna al deviante una posizione particolare: "Questo studio rappresenta una grande svolta rispetto alla sociologia meno recente, che tendeva a basarsi acriticamente sull'idea che la devianza porti al controllo sociale. Io sono giunto a credere che l'idea inversa (cioè che il controllo sociale porta alla devianza) è ugualmente sostenibile ed è la premessa potenzialmente più fertile per studiare la devianza nella società moderna" (v. Lemert, 1972, p. IX).
Anche in questo approccio, accanto all'applicazione delle norme, è il loro sviluppo che diventa oggetto di ricerca di fondamentale importanza per la comprensione del controllo sociale. In America sono particolarmente conosciuti gli studi di Howard S. Becker (v., 1973), che analizzò i "moral entrepreneurs" (guardiani della virtù, autonominatisi tali). Sono queste le persone che, in una situazione pluralista, impongono le proprie norme agli altri.
Un approccio simile è presente nella scuola di etnometodologia, dove si muove dall'assunto ontologico secondo cui nulla al mondo ha un significato in sé, ma solamente nella percezione di una persona esterna alla cosa. I contrasti sulla corretta interpretazione di un oggetto fanno quindi parte della quotidianità della vita sociale (v. Cicourel, 1974). La vita sociale ha un significato solo se il nostro prossimo condivide la nostra rappresentazione della realtà. Il controllo sociale, di conseguenza, è "il processo di creazione del significato e della condivisione di questo significato con i membri di un gruppo" (v. Mitchell, 1978, p. 148). Tale processo solitamente si svolge al di sotto della percezione cosciente.
Divennero ben presto famosi i tentativi di Garfinkel di mettere in questione i comportamenti sociali che si danno per scontati, invitando i suoi studenti a contraddire tutte le aspettative. Per far luce su quei controlli sociali di cui gli attori non sono consapevoli, gli studenti dovevano comportarsi, nella quotidianità della conduzione di una casa oppure di un negozio, in modo contrario a tutte le concezioni di ordine: "Il processo attraverso il quale gli individui giungono a persuadere gli altri della propria versione della realtà sociale è la creazione dell'ordine sociale; questo processo può essere chiamato controllo sociale. Poiché il processo è in corso, la vita sociale può essere considerata poco più di un continuo esercizio nel controllo sociale" (v. Meier, 1982, p. 50).
Mentre nella labelling theory il controllo è un processo che avviene per lo più in modo inconsapevole per coloro che ne sono coinvolti - pur rientrando ancora in quello che Homans definisce controllo sociale esterno - nell'etnometodologia il controllo sociale diventa un processo puramente interno. Viene tematizzato unilateralmente quello che per Ross è solo un aspetto del controllo sociale. Le ricerche empiriche svolte sulla scia di Garfinkel e degli etnometodologi hanno rivelato che i controlli del comportamento sono invece, nella maggior parte dei casi, costituiti da comportamenti irriflessi, della cui azione di controllo siamo normalmente inconsapevoli.
A questo punto ci si può chiedere, in linea di massima, se siano tali comportamenti irriflessi a dover essere intesi come controllo sociale o non piuttosto le reazioni che si producono in seguito alla devianza rispetto a essi. Sono due concezioni per le quali si possono addurre le opinioni di Ross e di altri classici americani: poiché i comportamenti irriflessi sono il nucleo dell'ordine sociale ma il controllo sociale tematizza l'effetto dell'ordine sul comportamento del singolo, allora gli etnometodologi avrebbero ragione a indicare le devianze volutamente provocate, e la reazione a esse, come i veri oggetti dell'indagine sull'ordine sociale. Ma si pone, a questo proposito, la questione della misura in cui il procedimento empirico produca oggetti artificiali della ricerca. A sfavore dell'applicazione del concetto di controllo sociale ai comportamenti irriflessi della quotidianità, interviene il normale significato della parola - il controllo è appunto qualcosa che deve essere percepito e non qualcosa di completamente inconsapevole. Inoltre una regola epistemologica afferma che meno i concetti definiscono, più sono i fatti denominabili con lo stesso concetto. Da Ross in poi la contraddittorietà qui messa in luce fa purtroppo parte di ogni analisi del controllo sociale e non può che essere esposta nella sua irrisolta aporeticità.Gli approcci teorici già ricordati non sono stati gli unici ad avere avuto nel passato un valore considerevole riguardo al tema del controllo sociale. Per il primo periodo è da ricordare ancora Roscoe Pound, che esercitò una grande autorità sui suoi contemporanei come sociologo del diritto (v. Pound, 1942). Un'ampia diffusione ebbe anche l'opera di Davis e Barnes (v. Davis e altri, 1927). Più tardi operò lo psicologo behaviorista e utopista sociale B.F. Skinner (v., 1953). Influenzato in gran misura da Skinner è George C. Homans, le cui elaborazioni teoriche si arrestarono per suo stesso giudizio alla delineazione di modelli per i processi riguardanti i piccoli gruppi, e non si trovò quindi nelle condizioni di convertire i concetti in procedimenti operativi per le ricerche empiriche (v. Homans, 1950). Nei manuali per studenti erano ampiamente diffuse le elaborazioni di La Piere (v., 1954), non dissimili tuttavia da quelle di L.L. Bernard. Farebbe parte di questi autori, importanti solo per un periodo transitorio, anche Roger Nett (v., 1953). Si tratta tuttavia di variazioni interne alla tradizione americana, che a volte sottolinea con più intensità le concezioni socio-psicologiche e i processi impliciti, altre volte va a soffermarsi nuovamente e con maggiore intensità sui controlli esterni delle organizzazioni formali. In un articolo che all'epoca ebbe una grande influenza Gurvitch (v., 1945, p. 285) formula contro di esse una critica di principio, valida anche per i successivi contributi statunitensi, che si articola in quattro punti.
1. Il primo presupposto per un impiego produttivo del concetto di controllo sociale è il rifiuto della idea secondo cui il controllo sociale ha a che vedere con il progresso o l'evoluzione di una società. "È impossibile trovare o immaginare una società umana senza il controllo sociale di essa" (ibid., p. 286).
2. Il secondo presupposto è l'abbandono dell'idea secondo la quale il controllo sociale servirebbe sempre al sostegno dell'ordine. In una società pluralista ciò che è ordine per l'uno è disordine per l'altro. Le società, e in particolare le società moderne, sono piene di tensioni. Un equilibrio delle tensioni sempre precario è tutto quello che ci si può attendere dal controllo sociale.
3. Per un'analisi scientifica del controllo sociale deve essere abbandonata la contrapposizione fittizia tra società e individuo. Il controllo sociale non ha assolutamente per oggetto un individuo isolato, né è un mezzo che serve per riunire gli individui isolati in una società. Sono realtà che non esisterebbero l'una senza l'altra.
4. Deve essere accettato il fatto che, quale microcosmo, ogni elemento della società ha, a sua volta, un proprio tipo di sociabilità e quindi anche un proprio tipo di controllo sociale.
Tra queste obiezioni mosse da Gurvitch, alcune riguardano tutti i contributi americani sul tema del controllo sociale, altre solo una parte di essi. Gurvitch avanza poi la propria analisi, che è uno svolgimento del concetto di "fenomeno sociale totale" di Marcel Mauss (v., 1934). Sebbene egli lo contesti, le sue argomentazioni mostrano che la sua teoria del controllo sociale è una forma di sociologia della cultura. Egli vuole spiegare il modo in cui tipi di controllo sociale, intesi come fenomeni culturali (i più importanti sono secondo lui la religione, la morale, l'arte e l'educazione), cooperano con le istituzioni del controllo sociale intese come fenomeni sociali. I tipi di controllo sociale sono distinti da Gurvitch in: a) modelli simbolico-culturali; b) valori, concetti, ideali; c) attività che portano a nuovi valori e a nuove idee.
Benché Gurvitch ricoprisse un ruolo preponderante nella Francia del suo tempo, in seguito alla sua scomparsa l'influenza che aveva esercitato diminuì anche in quel paese e la sua concezione del controllo sociale è rimasta senza seguito. Quello che oggi viene pubblicato sotto la denominazione di controllo sociale non ha infatti quasi più nulla in comune con i tentativi descritti finora, diretti a identificare nel controllo sociale una caratteristica sociale generale.
Per determinare l'uso effettivo del concetto e del termine 'controllo sociale' nella ricerca, sono state prese in esame le annate dei "Sociological abstracts" dal 1981 al 1987. È stata quindi eseguita un'analisi del contenuto di tutti i contributi registrati sotto questo termine. In un secondo tempo, a prescindere dal lemma sotto il quale figuravano, si sono valutati i contributi in base all'impiego del concetto di 'controllo sociale'. Ne è risultato, in primo luogo, che il lemma 'controllo sociale', con i sottolemmi sociology in law e polity, penology and correctional problems, non comprendeva in realtà più articoli in cui era effettivamente impiegato il concetto di 'controllo sociale' di quanti ne comprendessero i contributi classificati sotto altri lemmi. Nell'insieme, 157 articoli sono stati considerati rilevanti per formarsi un giudizio circa l'uso effettivo del concetto di controllo sociale nella ricerca attuale.
Il controllo sociale, come concetto, non è sempre problematizzato, né viene sempre attribuito a una delle diverse scuole distinte nei manuali. Prevale la concezione del controllo sociale come azione di un agente formale nei confronti di individui da controllare. Ne deriva che obiettivo del controllo sociale è l'affermazione delle norme per mezzo di controlli esterni. I significati attribuiti al controllo sono dunque molteplici. Così, viene descritta come controllo sociale la reazione con mezzi coercitivi pubblici nei confronti del comportamento deviante da parte della polizia o delle autorità carcerarie, ma è considerato un tipo di controllo sociale del personale medico sul paziente anche l'uso di Valium o di altri psicofarmaci. Le istituzioni dell'opinione pubblica sono analizzate quali strumenti per il controllo del comportamento, in particolare nei riguardi della delinquenza: ne è un esempio uno studio sul significato dei giornali per la criminalità nel Far West, negli anni tra il 1887 e il 1889. Il controllo del comportamento viene tematizzato anche a un macrolivello, come ad esempio nell'esame del terrore quale mezzo di dominio nel nazionalsocialismo e nello stalinismo.
Benché ci siano anche ricerche che prendono le mosse dall'ipotesi di un uso illegittimo del controllo, e che giungono a caratterizzare l'azione dello Stato come controllo sociale sui cittadini, tuttavia raramente la realtà del controllo viene problematizzata. Il problema, nella maggior parte degli articoli presi in considerazione, è quello dell'efficienza del controllo.
Per quanto riguarda le scuole attuali, il controllo sociale è utilizzato nelle teorie sociologiche in modi diversi. Le più importanti di queste teorie sono l'interazionismo simbolico, al quale è collegata l'indagine sulle forme di controllo più sottili, la teoria dei sistemi e l'approccio reticolare.I settori della sociologia più importanti per l'applicazione del concetto di controllo sociale sono la sociologia del diritto, la sociologia della medicina, la sociologia delle religioni, la sociologia dei giovani e la sociologia della comunicazione (enumerati qui approssimativamente in ordine d'importanza decrescente rispetto al concetto). Risulta evidente che oggetto delle analisi sono in prevalenza minoranze e gruppi sociali marginali. Il comportamento deviante è sì usato anche come rivelatore delle colpe della società, ma ben più frequentemente come campo d'osservazione nel quale sono evidenziati i limiti del controllo sociale realizzato da agenti ufficiali.
Le analisi dei libri di testo offrono un altro criterio empirico per un giudizio sull'attuale diffusione di determinati concetti in una disciplina. Vi viene stabilito - almeno secondo il programma - quello che è da considerare fondamentale in una disciplina. Tali analisi sono disponibili, ormai, sia per manuali provenienti dagli Stati Uniti che per quelli provenienti dalla Repubblica Federale Tedesca. Dall'analisi di Herrick (v., 1980, p. 617), ad esempio, si può concludere che, contrariamente al periodo che arriva fino agli anni cinquanta, il controllo sociale non è più un tema chiave neppure negli Stati Uniti.
Il concetto di controllo sociale nella ricerca attuale è usato in modo più ristretto di quanto sia auspicabile, al contrario di quanto accadeva nella fase della sua formazione, quando veniva utilizzato in modo troppo ampio. D'altra parte, in qual misura v'è bisogno di un simile concetto astratto? Originariamente era stato inteso come concetto opposto ad altre forze generatrici di ordine, oppure come stadio particolare di un processo evolutivo: oggi tutto questo è privo di importanza.
Per prima cosa, è da abbandonare senza riserve l'idea di un'essenza naturale dell'uomo, parte di un ordine naturale. Dalla letteratura etnologica, ormai copiosa e metodologicamente attendibile, non può in alcun modo essere dedotta una condizione naturale dell'uomo. L'ultima grande sintesi sistematica dei reperti etnologici, operata da G.P. Murdock nell'ambito della Human relations area file, mostra solo deboli generalità, e anche tra queste ci sono eccezioni (v. Murdock, 1949). Persino per quanto riguarda il tabù dell'incesto, che dovrebbe essere universale, o nel caso della costituzione di piccoli sistemi di famiglie nucleari all'interno di ogni sistema di parentela (e l'universalità della famiglia nucleare è attestata quanto quella del tabù dell'incesto), persino in questi casi le differenze sono più vistose delle universalità e queste esercitano un'azione ordinatrice solo per alcune sfere comportamentali.
La maggior parte degli ordinamenti sociali sono da considerare come cultura anche nelle società senza scrittura, dove il controllo sociale è un meccanismo centrale. La condizione primitiva dell'umanità non è conosciuta, ma se lo fosse sarebbe completamente priva di significato per la comprensione delle società odierne.Il desiderio di interpretare la fondazione dell'ordine sociale in modo naturalistico ha spostato attualmente la ricerca dalla osservazione delle istituzioni principali - come religione, luogo/territorio e parentela nei popoli senza scrittura (che sono del resto risultato di sviluppi culturali) - all'indagine sul comportamento degli animali superiori e in particolare di quelli che vivono in gruppi. Tuttavia una maggiore conoscenza dei sistemi familiari e parentali delle scimmie porta anch'essa a concludere che il loro ordine non è assolutamente determinato in modo biologico, ma anche in questo caso è plasmato dalla cultura.
La sola conclusione certa è questa: quando animali superiori con proprietà differenziate - l'età, il sesso, le differenze di forza, di intelligenza e di aspetto fisico - convivono, la convivenza ha bisogno dell'ordine. Ordine che è onnicomprensivo nelle società poco differenziate, perché le stesse norme restano rilevanti per tutti i settori del comportamento. Corrisponde invece proprio alla differenziazione di una società moderna il fatto che neppure il controllo sociale potrebbe essere raffigurato come un principio ordinatore universale dei contenuti di tutti gli ambiti del comportamento, grazie al quale il singolo individuo, altrimenti asociale, diventa membro di un gruppo sociale.
Per l'ordine prodotto in specifiche istituzioni da meccanismi propri solo di queste istituzioni, un concetto specifico di controllo sociale non è necessario, e non lo è soprattutto dove il controllo sul comportamento può essere spiegato con i concetti di diritto e di pena, oppure con il concetto più generale di sanzione. Ci sono tuttavia alcuni processi che non sono limitati a determinate istituzioni, ma che controllano con molta efficacia il comportamento e per i quali il concetto di controllo sociale non sarebbe superfluo.
Ognuno sa che, in uno scompartimento ferroviario, persone che non si conoscono avviano una conversazione e si scambiano informazioni che in parte nascondono alle persone con le quali vivono ogni giorno. Tutti noi sappiamo di commessi viaggiatori che in un luogo diverso, e in assenza di conoscenti, si comportano molto diversamente da come invece richiede il loro ambiente. In un luogo di vacanza una timida casalinga si trasforma in una donna di mondo, in uno stadio di calcio un ragazzo mansueto diventa un tifoso violento. È comune a queste situazioni il fatto che l'interazione sociale sia limitata a una determinata situazione, e che quindi nell'opinione dell'attore il comportamento assunto in quel momento non sia destinato ad avere conseguenze nel futuro. Normalmente però il comportamento sociale è influenzato proprio in senso inverso: il comportamento del momento è importante per il futuro e segue nel ricordo avvenimenti precedenti; non è quindi un atto atemporale, ma parte di uno scorrere con un passato e un futuro.
Il controllo sociale è stato finora interpretato soprattutto come controllo di persone singole e in particolare, nella prospettiva prima suggerita, come controllo tra persone a distanza ravvicinata. A causa del carattere delle società di oggi, sono però di maggiore rilevanza i controlli a distanza e anche quelli effettuati dalle istituzioni, non solamente dagli individui. Per una serie di meccanismi di controllo non c'è bisogno di alcun concetto particolare - specialmente quando sono istituzionalizzati; ne sono esempi le votazioni, la giurisdizione civile e il potere normativo.
Riguardo all'azione dell'opinione pubblica e della stampa come parte istituzionalizzata della stessa, non esiste invece alcun concetto generale soddisfacente. Certo né l'opinione pubblica né la stampa sono riducibili a ciò che qui intendiamo con controllo sociale inteso come controllo non istituzionalizzato dei comportamenti. Altrettanto sicuramente, però, questo tipo di controllo costituisce un aspetto determinante dei sistemi sociali.
L'azione omessa per timore dell'opinione pubblica oppure, viceversa, l'avvenimento inscenato per suscitare una reazione favorevole, ad esempio nella stampa, rappresentano naturalmente qualcosa di diverso rispetto al comportamento omesso o inscenato per rafforzare l'affetto di un coniuge oppure la stima di un amico. Nondimeno, nella prospettiva dell'ordine sociale tutto questo è da interpretare come meccanismo di controllo. Una sociologia che non limiti il concetto di controllo sociale, come in Parsons, può ugualmente mantenere la propria prospettiva incentrata sull'attore. Questa però deve essere derivata dall'osservazione dei tanti spazi parziali dove questi processi di controllo si compiono come controlli non istituzionalizzati del comportamento.Nella prassi della sociologia professionale americana il concetto di controllo sociale è ancora importante. La sua utilizzazione nell'ambito delle corrispondenti branche della sociologia sembra essere avvertita come poco problematica. Queste utilizzazioni non hanno comunque più nulla a che fare con gli approcci evoluzionistici delle analisi classiche del concetto e non tematizzano il controllo sociale come aspetto dell'esistenza sociale in generale: la discussione teorica sul controllo sociale quale concetto universale si è ampiamente distaccata dall'uso pratico che ne viene fatto nella ricerca. (V. anche Adattamento; Devianza; Norme e sanzioni sociali; Socializzazione).
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