DOMENICHI, Coppo (Giacoppo, Iacopo, Coppo di Borghese Domenichi)
Nacque a Firenze, nella seconda metà del sec. XIII da Borghese, appartenente ad una famiglia importante del quartiere di S. Croce, ove abitava presso la Zecca nuova.
Grandi e celebrati dalla letteratura e dall'erudizione fiorentina furono il suo prestigio personale e la stima che lo circondava nella Firenze del Trecento: "di grande e reverenda autorità", testimonia Boccaccio, "per costumi e per vertù molto più che per nobiltà di sangue chiarissimo e degno d'eterna fwna" (Dec., V, 9).
Il D. fu eletto priore almeno fin dal 1308, e numerose sono in seguito le testimonianze della sua partecipazione al governo del Comune: più volte priore (1308, 1310) 1311, 1330, 1336, 1341), gonfaloniere nel 1315, due volte gonfaloniere di Compagnia, ancora uno dei Buonuomini nel 1338. L'attività pubblica meglio documentata è quella svolta nell'ambito dell'organo collegiale dei Sei del biado nel 1329, nel pieno della carestia del 1328-29.
Il D. è infatti registrato tra gli ufficiali annonari nel cosìddetto Libro del Biadaiolo o Specchio umano (codice Laur. Temp. 3, c. 83v: vedi Pinto, 1978, p. 383). Con lui furono eletti Guccio di Stefano Soderini, Bindo di ser Oddone Altoviti, Falconiere Baldesini, Lorino Buonaiuti. Giano di Dino Gherardini. I sei restarono in carica dal novembre 1329 al marzo successivo. La carestia del 1328-30, pur non essendo la prima a Firenze, afflitta da periodiche crisi di penuria fin dal 1303, fu tuttavia la più grave prima di quella catastrofica e a dimensioni continentali del 1346-47, precedente immediato della peste nera del 1348. Fu questo un momento difficile per Firenze, perché l'importazione di grani era impedita dalla guerra contro Castruccio Castracani e Ludovico il Bavaro, che precluse l'uso di Porto Pisano e di tutti i porti a nord di Talamone. Compito dei Sei del biado fu quello di combattere l'incetta delle derrate con vari dispositivi restrittivi: il divieto per i biadaioli di comprare sui mercati del contado in concorrenza col Comune, il razionamento e una sorta di tesseramento mediante la "mazza segnata col gillio e colla croce". L'inevitabile imboscamento e conseguente mercato nero furono fronteggiati soprattutto con le costosissime "canove", vendite di grano e di pane del Comune. Attività principale ed ordinaria dei Sei fu comunque la stima preventiva dei prezzi dei grani al mercato di Orsanmichele (la sistematica registrazione dei prezzi delle granaglie mese per mese è uno dei maggiori pregi del Libro del Biadaiolo, fonte preziosa per lo studio delle vicende economiche del Trecento): una sorta di prezzo politico. Un vero calmiere non si ebbe che nel 1330. Il periodo di attività del D. e degli altri ufficiali della Biada sembra corrispondere a un momento di relativa diminuzione delle difficoltà e di minore tensione sociale. Disordini si registrarono ai forni, ma senza interventi repressivi della famiglia del Comune.
Notizia della morte recente del D. si ha nell'affettuoso compianto di Boccaccio in una lettera a Zanobi da Strada dell'aprile del 1353: era comune amico dei due e si parla di lui già in una precedente lettera a Zanobi del 1348.
Il nome del D. resta legato alla sua partecipazione alla cultura cittadina di Firenze: il Boccaccio nel Decameron lo introduce quale fonte orale della novella di Federigo degli Alberighi, e Franco Sacchetti lo fa protagonista di una sua novella (LXVI). Boccaccio ne loda sempre la sapienza affettuosa e coltivata di memorie fiorentine: "essendo già d'anni pieno, spesse volte delle cose passate co' suoi vicini e con altri si dilettava di ragionare: la qual cosa egli meglio e con più ordine e con maggior memoria e ornato parlare che altro uoin seppe fare". E ancora nelle Esposizioni sopra la Comedia di Dante il D. - a lui "per certo furono le notabili cose della nostra città notissime" - riferisce a Boccaccio la notizia-ritratto di Filippo Argenti; e la storia di Enguldrada fiorentina ("la buona Gualdrada" di Inf., XVI, 37). che sembra dipendere (Padoan) da fonte scritta (G. Villani, Cronica, V, 371, è ancora attribuita al ragionare orale del Domenichi. A Boccaccio fu molto caro: padre e fratello e "dilectus pre ceteris", scrive a Zanobi da Strada.
Sacchetti, erede dello stesso gusto di aneddoti fiorentini, e forse connettendo con l'ornato rammemorare del D. anche il mito moralistico delle costumate donne fiorentine del buon tempo antico già diffuso da Boccaccio sull'autorità del D. nelle Esposizioni e nel De mulieribus claris, lo rappresenta nelle novelle LXVI e CXXXVII, aggiornandone il ritratto con una nota inedita di stizza. "Savio e in istato assai", "fu per impazzare", "come che savio fosse, essendo sdegnoso, e in parte bizzarro", quando lesse in Livio come le donne romane, "quelle sfacciate, quelle puttane, quelle dolorose" ottennero, per conservare i propri ornamenti, una deroga alle leggi di quei Romani che "vinsono tutto il mondo" e "non poterono contro le loro donne".
Bibl.: Firenze, Bibl. Marucelliana, cod. 3, c. 34; D. Lenzi, Il libro del Biadaiolo, in G. Pinto, Il libro del Biadaiolo. Carestia e annona a Firenze dalla metà del 1200al 1348, Firenze 1978, p. 383; G. Boccaccio, Tutte le opere, IV, Decameron, a cura di V. Branca, Milano 1976, p. 1306; VI, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, a cura di G. Padoan, ibid. 1965, pp. 462, 690, 912, 971; X, De mulieribus claris, a cura di V. Zaccaria, ibid. 1967, p. 546; Id., Opere latine minori, a cura di A. F. Massera, Bari 1928, pp. 128, 131; F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, a cura di V. Pernicone, Firenze 1946, LXVI, CXXXVII, pp. 144 ss., 305; L. Di Francia, F. Sacchetti novelliere, Pisa 1902, pp. 231 ss., 313; H. Hauvette, Boccace. Atude biographique et littéraire, Paris 1914, pp. 249, 401; F. Pieper, F. Sacchetti Bürger von Florenz und Dichter, Marburg 1939, p. 142.