CORANO
Libro sacro musulmano (arabo Qur'ān 'salmodia, lettura cantilenata'; siriaco Qeryânâ) recante il testamento divino di Allāh in lingua araba, rivelato al profeta Maometto (ca. 610-631) tramite l'arcangelo Gabriele, a cominciare da un brano - secondo alcune autorevoli tradizioni scritto o ricamato su una pezza di broccato - introdotto dall'imperativo iqra' (Corano XCVI, 1) 'salmòdia, lèggi, grida'.Il testo, la cui struttura canonica si fa risalire alla vulgata edita sotto il terzo califfo ῾Uthmān (31 a.E./651), si fissò con un complesso e non ben documentato processo di scritturazione e codificazione. La sanzionatura delle sette modalità ortodosse di recitazione o lettura rituale stabilita da Ibn Mujāhid (324 a.E./936) si colloca in un periodo che la paleografia fa ritenere come conclusione dell'età arcaica o altomedievale. Per essa non si dispone che di frammenti pergamenacei o fogli sparsi, mentre esemplari di C. frammentari, pergamenacei o cartacei, quando non smembrati di recente per ragioni antiquarie, prevalgono nella documentazione esistente, relativa fino al 14° secolo. Il libro, che ha forma di codice, di assetto oblungo o verticale, per esigenze sembra di ordine rituale, era allestito per lo più in trenta tomi (ajzā', pl. di juz' 'parte, sezione', anche di lettura nell'arco di un mese come quello di Ramaḍān). Esso rappresenta il massimo campo d'esercizio della calligrafia e la pietra di paragone dell'arte libraria; inoltre s'interseca con l'epigrafia praticata in architettura e ogni altro manufatto artistico, sia per i brani coranici che di frequente vi sono citati sia per il corrispettivo rimbalzo di stili calligrafici e motivi ornamentali.A diversità dei monumenti, manufatti e libri profani di ambito islamico e al pari della moschea, il C. non ammette figurazione oggettiva. L'arte libraria coranica, quindi aniconica, si sostanzia delle virtù della calligrafia, il cui modulo determina la configurazione del foglio e l'assetto, così come il formato del codice, a partire anche da un minimo di tre linee di testo per facciata, e si staglia, sviluppata soprattutto dal sec. 10° in poi, con l'ornamentazione miniata di carattere astratto, a motivi geometrici e vegetali. Essa può dispiegarsi in zone extratestuali con pannelli rettangolari - anepigrafi o provvisti di cartigli inscritti, sovente coordinati a coppia speculare tra un foglio e quello a fronte -, impropriamente chiamati dagli esperti frontespizi, che funzionano da antiporta, inoltre postporta, e sembrano da correlare a occhielli o pagine dedicatorie di codici siriaci e bizantini. L'ornamentazione miniata compare anche in luoghi liminari, interrigali e marginali quale riscontro dell'articolazione canonica e rituale del testo, comunque animato dalla scrittura, nera o, nei codici preziosi, oro.Il testo si articola in centoquattordici capitoli, ciascuno detto sūra (da sūr 'cima, cinta, fila di muro') e introdotto dalla basmala, giaculatoria inaugurale musulmana per eccellenza, ed è contraddistinto da un titolo allusivo per ogni sūra, cui, con il totale del numero dei versetti che la compongono, si accompagna il qualificativo di meccano o medinese, a seconda se l'insieme di rivelazioni si sia avuto primitivamente alla Mecca o successivamente a Medina. Dal sec. 9°-10° il titolo si trova inscritto a testata, con un cartiglio rettangolare oblungo sul cui margine esterno aderisce la shujayra ('alberello'), fregio oro a palmetta, quando non anello di chiave, che pare richiamarsi all'orlatura foliata del clavus tardoantico, come secondo alcuni la testata alla tabula ansata romana.Il cap. I (Fatīḥa 'aprente, espugnante'), breve preghiera propiziatoria in sette versetti, tende a un abbinamento ornamentale simmetrico con il principio del cap. II (Baqara 'la vacca'), creandosi sui due fogli a fronte un assetto da frontespizio. Questo, stando l'alternanza dei singoli tomi, può ricrearsi in apertura di juz', così come l'antiporta e la postporta. Tranne il primo, i capitoli sono disposti in ordine decrescente di lunghezza e numero di versetti, grosso modo scalandosi da ampi testi normativi e narrativi verso brevi frasi oracolari e sibilline, dove si ha quindi una frequenza crescente di testate. L'unità testuale è costituita dal singolo versetto (āya, pl. āyāt, 'segno igneo o di luce, miracolo') il cui termine di sequenza è scandito da una shamsa ('piccolo sole'), bolla o rondella dorata, poi rosetta miniata. Come questi dischetti oro sul filo delle righe, o più di frequente in margine, s'inseriscono rondelle e palmette miniate, spesso recanti lettere in valore di cifra numerica secondo il sistema alfabetico abjad, a segnale di ripartizione rituale dei versetti per gruppi di cinque (khamsa), sette e dieci. Un pannello ornato può svilupparsi nel luogo del colofone. La gamma dei pigmenti, scarna nell'età arcaica, si fonda sul ruolo strutturante dell'oro e del blu alla maniera tardoantica e bizantina, con punte accessorie di seppia, verde, giallo, rosso a contrasto armonico, quindi, fra i secc. 10°-11° e 14°, di bianco, cremisi e tinte vivide.Le varietà diacroniche e regionali sono da riferirsi a diverse modulazioni di tali elementi strutturali e formali. Per divaricazione di apparato paleografico, tipi di scritture e modi artistici, esse si ripartiscono e distinguono in due emisferi del mondo islamico: Occidente o Maghreb (Tunisia, Marocco) con la Spagna musulmana e Oriente, ossia Egitto, Siria, Iraq, Persia, con le rispettive capitali storiche o dinastiche quali principali centri di produzione. L'Arabia (Medina, La Mecca, Yemen) e la Mesopotamia araba (Bassora, Kufa) svolsero una parte scrittoria discussa e in via di definizione verso le origini dell'età arcaica (sec. 8°-9° ca.), mentre fino alla seconda metà del sec. 10° dominò nella documentazione una varia tipologia pittorica densa e distesa, cangiante fino a tratteggi zoomorfi e ornitomorfi, costituita dalla scrittura ieratica che si usa chiamare cufica, regina del codice pergamenaceo. Questo, con il formato oblungo o assetto ad album vergato dalla cufica, quindi con il sec. 12°-13° dalla corsiva naskh, fu continuato per tutta l'epoca medievale nell'area magrebina, conservativa. Nella sobria ornamentazione arcaizzante predominano il pigmento oro e il motivo geometrico, l'intreccio arabescato sul pannello da pluteo dell'antiporta, la fascia della cufica oro che reca, per tutta testata dove a margine spicca la palmetta, il titolo della sūra su una linea di comune modulo e smagliante contrasto alle altre d'inchiostro bruno. Nell'età matura, specialmente con la più minuta naskh, la bruna scrittura magrebina si snoda fra l'allegro cromatismo verde, giallo, rosso, blu dei segni dell'ortografia, per la configurazione di una pittoricità ineguagliata della pagina di testo.L'area orientale, innovativa almeno dalla seconda metà del sec. 10°, adottò il codice cartaceo di formato verticale, con cui elaborò altri schemi ornamentali ed esaltò il valore artistico di nuove scritture relegando vari tipi di cufica in funzione epigrafica entro cartigli e pannelli, dove s'inserirono anche scritture rubricali come la thulth e la riqā῾. L'unico codice sopravvissuto del grande calligrafo e miniatore Ibn al-Bawwāb, eseguito a Baghdad nel 391 a.E./1001 (Dublino, Chester Beatty Lib., 1431), documenta l'equilibrio chiaro della naskh e l'elaborazione degli schemi ornamentali accessori. Quando non oro, la scrittura nera compatta, e sovente contrassegnata di blu nei segni dell'ortografia vocalica, si espanse sul foglio a disegno dell'ornamento capitale del codice, massimamente con l'imperiosa muḥaqqaq, impostasi dal 12° secolo. Ciò comportò un riequilibrio geometrico della pagina fino all'introduzione di una cornice, oltre la norma di una testata a misura, la cui palmetta può essere replicata a margine del quadrato o rettangolo dell'antiporta; questa, con riflessi sul frontespizio, fu arricchita di elementi floreali e cartigli epigrafati di cufica bianca, oltre incastri di figure stellari e sezioni poligonali. L'auge di tali sviluppi si ebbe sotto i Mamelucchi di Egitto e Siria e i Mongoli ilkhanidi di Iraq e Persia (sec. 13°-14°), alle cui officine librarie contigue si devono numerosi codici monumentali, di massimo formato e lusso, come quello eseguito al Cairo nel 704-705 a.E./1304-1306 per Baybars II al-Jāshnagīr (Londra, BL, Add. Ms 22406-13) e il coevo, eseguito dal grande calligrafo Aḥmad ibn al-Suhrawardī e dal grande miniatore Muḥammad ibn Aybak a Baghdad per il sultano ilkhanide Üljaytü (703-717 a.E./1304-1317) e il suo mausoleo di Sulṭāniyya (Persia).La paleografia e la considerazione artistica del C. sono cominciate solo negli ultimi decenni; terminologia, analisi e classificazioni attendono di essere precisate.
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