GARZADORI (Garzadoro), Coriolano
Nacque a Vicenza nel 1543, quarto dei cinque figli di Ottaviano e di Maddalena Scrofa. Apparteneva a un'antica famiglia del patriziato vicentino (insignita nel 1580 del titolo comitale da Rodolfo II), che possedeva cospicui beni in città e nel contado.
Studiò a Parigi e a Bologna e, dopo aver ottenuto il dottorato in teologia, si trasferì a Roma, intorno al 1570, per intraprendere la carriera curiale. Il 19 genn. 1575, ancora suddiacono, fu nominato vescovo di Ossero, una piccola diocesi dell'isola di Cherso, che tenne fino al 1614. La sua attività pastorale è stata sistematicamente ignorata dalla storiografia, giunta talora a ipotizzare che il G. non abbia mai risieduto a Ossero; in realtà egli fu un vescovo piuttosto attivo e molto impegnato ad adeguare la vita religiosa della sua diocesi alle normative tridentine. Già nel 1575-76 realizzò una visita della diocesi, restaurando e abbellendo numerosi edifici di culto, e nel 1579 partecipò a un concilio generale della Dalmazia veneta convocato dal vescovo Agostino Valier. Si ha anche notizia di alcuni contrasti con la comunità di Ossero - appianati dal rettore veneto - a proposito dell'amministrazione dei beni ecclesiastici. Nel corso degli anni Ottanta del Cinquecento il G. tornò a Roma nella speranza di ottenere cariche più importanti, che tardarono a giungere. In questo periodo conseguì solo un ufficio curiale minore, quello di cameriere segreto, assegnatogli da Sisto V e confermato da Gregorio XIV. Solo con l'elezione, nel 1592, di Clemente VIII Aldobrandini le sue fortune poterono migliorare con la protezione di Minuccio Minucci, un prelato di origine veneta assai in vista nella segreteria di Stato pontificia grazie alla sua ottima conoscenza della situazione tedesca. Nel 1593 proprio il Minucci convinse Cinzio Aldobrandini, uno dei due cardinali nipoti di Clemente VIII, a nominare il G. nunzio straordinario a Colonia.
Si trattava di un compito assai delicato. La diocesi di Colonia era infatti paralizzata da un inveterato conflitto tra il principe-arcivescovo Ernesto di Baviera, di dubbie doti politiche e morali, gli Stati provinciali e il capitolo del duomo, monopolizzato da esponenti della nobiltà locale che, come si rilevava polemicamente a Roma, "hanno poco dell'ecclesiastico né interiormente né esteriormente" (Jaitner, 1984, p. 215).
I contrasti vertevano soprattutto sull'amministrazione della diocesi e sulla gestione degli enormi debiti (725.000 fiorini nel 1593) contratti durante la guerra che aveva devastato l'Elettorato negli anni Ottanta del Cinquecento, quando l'arcivescovo Gebhard Truchsess era passato clamorosamente al protestantesimo e aveva cercato di secolarizzare l'arcivescovato. Tuttavia, a Roma si avevano anche altri motivi di preoccupazione: Ernesto era stato scelto come arcivescovo perché sostenesse l'applicazione dei decreti tridentini e avviasse un'energica politica di ricattolicizzazione della Germania centrosettentrionale, ma queste attese erano state largamente deluse. Oltre a praticare una politica religiosa poco incisiva, l'arcivescovo, che era uno dei più ricchi prelati tedeschi, conduceva una vita da laico, manteneva diverse concubine e viveva more uxorio con la nobildonna Gertrude von Plettemberg. Di fronte al rischio che questa situazione favorisse la crescita di infiltrazioni protestanti, già ampiamente presenti nella diocesi, sin dal 1589-90 la Curia aveva cercato di esercitare una mediazione tra il capitolo e l'arcivescovo e di convincere quest'ultimo a nominare un coadiutore, abbandonando l'amministrazione diretta della diocesi. L'incerta azione del nunzio a Colonia, Ottavio Mirto Frangipani, aveva però reso del tutto vani tali tentativi di mediazione. Anche se personalmente irreprensibile e sinceramente impegnato nella riforma religiosa, Frangipani era divenuto sospetto al capitolo, che lo riteneva troppo favorevole all'arcivescovo, e non riusciva a gestire la crisi del Ducato di Jülich-Cleve, dove il duca Giovanni Guglielmo, malato di mente, era completamente in balia della moglie, favorevole ai protestanti. Perciò, quando il capitolo di Colonia presentò una dura protesta direttamente a Roma, scavalcando la mediazione di Frangipani, Clemente VIII decise di affiancare il G. al nunzio ordinario.
L'istruzione consegnata al G. nel novembre del 1593 insisteva soprattutto sulla necessità di convincere Ernesto di Baviera a nominare uno dei suoi nipoti come coadiutore per le Chiese di Colonia e di Liegi, offrendogli in cambio la possibilità di mantenere una parte dei vescovati e dei pingui benefici ecclesiastici di cui godeva. Per realizzare l'operazione, però, il nunzio avrebbe dovuto ottenere l'assenso della casa di Baviera, che aveva concesso grossi prestiti allo screditato arcivescovo, e soprattutto quello del capitolo di Colonia, il quale chiedeva come garanzia che il coadiutore non avrebbe usurpato la sua giurisdizione e avrebbe perseguito una politica di risanamento finanziario. Nel marzo del 1594 il G. giunse a Colonia e cominciò ad affrontare, tra mille difficoltà, la questione della coadiutoria. Convinto che un'eccessiva condiscendenza verso Ernesto di Baviera ostacolasse la riforma religiosa, il G. cercò di forzare la situazione e iniziò a visitare la diocesi senza darne comunicazione all'arcivescovo, che lamentò più volte le usurpazioni di giurisdizione commesse dal nunzio a danno dei suoi ufficiali. L'azione del G. suscitò qualche perplessità nella segreteria di Stato, che gli raccomandò di usare maggiori cautele, ma rese più spedite le trattative. Nell'aprile del 1595, dopo una dichiarazione del nunzio sulle garanzie offerte dal coadiutore al capitolo e alcune difficili trattative tra l'arcivescovo e i suoi parenti bavaresi, Ernesto si piegò a nominare il nipote Ferdinando, figlio del duca Guglielmo V di Baviera, come suo coadiutore con speranza di futura successione.
In virtù dell'accordo Ferdinando poteva assumere il potere spirituale e temporale all'interno della diocesi di Colonia, ma non la dignità di principe-elettore, che sarebbe rimasta a Ernesto. La nomina del coadiutore rappresentò un grosso successo per il capitolo del duomo, che si liberava di uno scomodo arcivescovo, e concesse la propria ratifica solo a patto che Ferdinando firmasse, nel dicembre del 1595, una lunga capitolazione elettorale che riprendeva e ampliava la dichiarazione del Garzadori. Da un lato, si obbligava il coadiutore a una politica di risanamento finanziario, imponendogli di destinare i redditi della mensa vescovile all'estinzione dei debiti e vietandogli di imporre tasse senza il consenso del capitolo; dall'altro, i canonici acquistavano un ruolo decisivo nell'elaborazione della politica temporale dell'arcivescovato: non solo si prescriveva che i ministri e i funzionari dell'arcivescovato prestassero giuramento sia al coadiutore, sia al capitolo, ma si limitava anche la possibilità che il coadiutore svolgesse una politica estera autonoma, imponendogli di chiedere il consenso del capitolo prima di concedere feudi, di riunire la Dieta provinciale e di stringere alleanze con altri Stati. Anche il duca di Baviera poteva dirsi soddisfatto della conclusione della vicenda: grazie all'espediente della coadiutoria era stato eliminato il pericolo che gli attriti tra l'arcivescovo e i gruppi dirigenti di Colonia sfociassero in atti di aperta ribellione e la casa di Baviera manteneva il controllo sull'arcivescovato, che dal 1583 al 1761 venne sempre assegnato ai cadetti della stessa casata. La S. Sede, da parte sua, assumeva un'importante funzione di garante degli accordi e finalmente poteva disporre di un interlocutore disposto a collaborare con i nunzi apostolici. Il giovane coadiutore, infatti, era stato istruito nel collegio gesuitico di Ingolstadt e aveva già dato prova di una religiosità austera e di una completa adesione agli ideali controriformistici.
Nelle intenzioni di Clemente VIII, la nomina del coadiutore doveva consentire di introdurre a Colonia le normative tridentine e di trasformare la città in una base per la riconquista religiosa della Germania settentrionale. Tra il 1595 e il 1597, però, la situazione rimase estremamente tesa e indusse il pontefice a ritardare la conferma dell'elezione. Ferdinando era privo di risorse finanziarie e si trovava stretto tra le pressioni del capitolo, che reclamava il licenziamento di molti funzionari al servizio dell'arcivescovo e pretendeva di gestire tutte le questioni politicamente più rilevanti, e quelle dello zio Ernesto, che ostacolava il passaggio dei poteri e chiedeva con forza il richiamo del nunzio.
Gli sforzi del G. per ricomporre i conflitti furono ostacolati, oltre che dalla persistente ostilità dell'arcivescovo, anche da un duro contrasto con Frangipani. Sin dal 1594, la poco chiara ripartizione dei compiti tra il G. e il nunzio ordinario aveva finito per produrre frizioni tra i due rappresentanti pontifici: se infatti Frangipani lamentava di vedere continuamente messa in discussione la sua attività, il G. riteneva di essere sotterraneamente ostacolato nella sua opera di riforma. Tra il 1595 e il 1596 il G. arrivò così a compiere gesti clamorosi, ordinando l'arresto del segretario di Frangipani, il sacerdote Domenico Pagliaveca, accusato di mantenere una concubina e responsabile di varie malversazioni, e bloccando la stampa di un'opera del Frangipani, il Directorium ecclesiasticae disciplinae Coloniensi, una sorta di manuale per l'applicazione del Tridentino, che fu pubblicato solo nel 1597. Solo con il trasferimento di Frangipani alla neoistituita nunziatura di Bruxelles (1596) il G. poté assumere la funzione di nunzio ordinario e sostenere l'attività pastorale di Ferdinando di Baviera, che nel 1597 ottenne la sospirata conferma.
Inizialmente, i rapporti tra il nunzio e il coadiutore furono caratterizzati da una grande armonia. Di fatto, il G. fu il reale ispiratore delle prime iniziative di riforma, che aprirono una nuova fase nella vita religiosa di Colonia. Dopo alcuni interventi settoriali, che interessarono soprattutto la contea di Recklinghausen, nel 1598 Ferdinando tenne il suo primo sinodo diocesano, che consentì una prima applicazione dei decreti tridentini, e iniziò una visita delle opere ecclesiastiche della diocesi. Nel 1601, poi, si arrivò all'istituzione di un Consiglio ecclesiastico (Congregatio ecclesiastica, Kirchenrat) su modello bavarese, che avrebbe dovuto dare nuovo impulso alle riforme. La presidenza di questo organo fu conferita da Ferdinando proprio al G., cosa che suscitò qualche perplessità nel suo successore, ritenendo questi lesivo del prestigio della S. Sede il fatto che un nunzio apparisse subordinato a un vescovo. Anche l'attività del Consiglio ecclesiastico suscitò numerose resistenze, specialmente quando affrontò temi spinosi come quello dell'ammissione dei chierici ai benefici ecclesiastici, tanto che tra il 1603 e il 1604 ci fu una lunga pausa nelle sue sedute. Tuttavia, il G. poté valersi dell'appoggio della frazione più colta e motivata del clero di Colonia, che riteneva ormai indifferibile una riforma dei costumi religiosi della diocesi.
I risultati dell'azione del Consiglio ecclesiastico non devono essere sopravvalutati. Si trattò sicuramente di un esperimento interessante, che ebbe un certo seguito e consentì di adeguare le opere ecclesiastiche di Colonia alle normative tridentine e di rafforzare l'autorevolezza del coadiutore. È però indubbio che molte questioni sostanziali relative al cumulo dei benefici e alla vita morale del clero non furono risolte adeguatamente. In fondo, il giudizio più equilibrato su questo organismo resta quello del nunzio Amalteo, il quale, pochi mesi dopo la partenza del G. da Colonia, rilevò che "se ben si fa poco et con questa congregatione per altre cause si farebbe manco senza di essa" (Nuntiaturberichte… Nuntius Attilio Amalteo, 1975, p. 192).
A partire dal 1603-04 la posizione del G. cominciò a farsi piuttosto difficile, a causa del deteriorarsi dei suoi rapporti con il coadiutore. Ferdinando, che nel 1601 aveva ottenuto anche la coadiutoria di Liegi, era ormai deciso a gestire in prima persona la diocesi e, forse anche per le pressioni dei suoi consiglieri, rifiutava di sottoporsi alla tutela del nunzio. Anche il duca Massimiliano di Baviera era poco soddisfatto del G. e già nell'ottobre del 1600 chiese a Clemente VIII di sostituirlo con Minucci. Queste tensioni non erano solo una conseguenza della rigidezza con cui il G. interpretava la sua funzione. Al di là dei contrasti personali, la casa di Baviera riteneva che la nunziatura di Colonia, creata solo pochi decenni prima, indebolisse l'autorità dell'arcivescovo e quindi premeva per la sua soppressione. Clemente VIII era però ben deciso a mantenere in vita la nunziatura e aveva piena fiducia nel G., che rimase tranquillamente al suo posto. Solo per un momento, nel 1604, si parlò di un suo trasferimento al vescovato di Zara, che non si realizzò.
L'elezione, nel 1605, di Paolo V Borghese, assai ostile agli Aldobrandini e ai loro clienti, segnò la fine della carriera del Garzadori. Dopo una dura protesta bavarese per il calo degli introiti della Cancelleria arcivescovile, che sarebbe derivato dalla presenza della nunziatura, nel luglio del 1606 il G. fu richiamato. Dal momento del suo arrivo a Roma, a novembre, le sue tracce si perdono. Probabilmente si recò per qualche tempo nella sua diocesi, alla quale donò alcune reliquie avute a Colonia. Era però sicuramente a Roma nel 1612, quando il cardinal nipote Scipione Borghese gli chiese di stendere un memoriale sulla politica da seguire in Germania dopo la morte dell'imperatore Rodolfo II e del principe-elettore Ernesto di Baviera. In questa occasione il G. ripropose le tradizionali strategie adottate dal Papato nell'area renana sin dalla fine del Cinquecento e sottolineò la necessità di servirsi di Ferdinando di Baviera, che nella recente elezione imperiale si era dimostrato un fedele tutore degli interessi cattolici, per difendere i vescovati e le abbazie della zona dalla penetrazione protestante. L'esito di questo memoriale non è noto, ma è certo che esso non fu sufficiente a restituire al G. la fiducia di Paolo V. Dopo il 1612, infatti, il G. scomparve di nuovo dalla scena politica romana e non risulta che gli siano state assegnate cariche. E tuttavia, anche in questi anni oscuri il G. dovette mantenere i suoi legami con gli Aldobrandini e poté comunque esercitare un minimo di influenza, visto che riuscì a propiziare la carriera del nipote Ottaviano, che nel 1614 gli successe nel vescovato. Inoltre, rimase sicuramente in buoni rapporti con la Repubblica di Venezia, poiché è ricordato con stima nelle relazioni degli ambasciatori veneti a Roma.
Sulla data di morte del G. c'è qualche incertezza. È stato talora ipotizzato - ma senza fondamento - che morì a Ossero nel 1614. Sembra invece che, stanco della corte romana, abbia trascorso gli ultimi anni a Vicenza, dove morì il 26 marzo 1618.
Fonti e Bibl.: La documentazione manoscritta sulla nunziatura del G. è piuttosto lacunosa e non è stata fatta oggetto di edizione critica. Una parte consistente dei documenti è indicata in M.F. Feldkamp, Studien und Texte zur Geschichte der Kölner Nuntiatur, I-III, Città del Vaticano 1993-95, ad indices e in L. Just, Die Quellen zur Geschichte der Kölner Nuntiatur in Archiv und Bibliothek des Vatikans, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XXVII (1938-39), pp. 257 s. Cfr. inoltre Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, s. 3, Italia, Relazioni di Roma, I, Venezia 1877, p. 72; La legazione di Roma di Paolo Paruta, II, a cura di G. de Leva, Venezia 1887, p. 145; Nuntiaturberichte aus Deutschland. Die Prager Nuntiatur des Giovanni Stefano Ferreri und die Wiener Nuntiatur des Giacomo Serra (1603-1606), a cura di A.O. Meyer, Berlin 1911, ad ind.; Correspondance d'Ottavio Mirto Frangipani premier nonce de Flandre (1596-1606), I-III, a cura di L. van der Essen - A. Louant, Bruxelles-Rome 1924-42, ad indices; Nuntiaturberichte aus Deutschland. Die Kölner Nuntiatur, II/3, Nuntius Ottavio Mirto Frangipani (1592-1593), a cura di B. Roberg, München-Paderborn-Wien 1971, ad ind.; II/4,… (1593-1596), a cura di B. Roberg, ibid. 1983, adind.; IV/1, Nuntius Attilio Amalteo (1606-1607), a cura di K. Wittstadt, ibid. 1975, ad ind.; Die Hauptinstruktionen Clemens' VIII für die Nuntien und Legaten an den europäischen Fürstenhöfen, a cura di K. Jatner, Tübingen 1984, ad ind.; B. Bizoni, Diario di viaggio di Vincenzo Giustiniani, Porretta Terme 1995, pp. 65 s.; Epistolae ad principes, III, Sixtus V-Clemens VIII (1585-1605), a cura di L. Nanni, Città del Vaticano 1997, ad ind.; A. Cingano, Corona in lode della molto illustre famiglia de' Garzatori, Vicenza 1600; F.M. Del Monaco, Il sole. Panegirico nella pompa funerale… mons. C. Garzadoro, Vicenza 1618; F. Tomasini, Theatro genealogico delle famiglie nobili di Vicenza, Venezia 1677, pp. 75-77; F. Barbarano de' Mironi, Historia ecclesiastica della città, territorio e diocese di Vicenza, Vicenza 1760, pp. 120-123; D. Farlati, Illiricum sacrum, V, Venetiis 1775, pp. 216 s.; S. Castellini, Storia della città di Vicenza, XIV, Vicenza 1822, p. 188; K. Unkel, Die Coadjutorie des Herzogs Ferdinand von Bayern in Erzstift Köln, in Historisches Jahrbuch, VIII (1887), pp. 245-270, 583-608; Id., Die Finanzlage im Erzstift Köln unter Kurfürst Ernst von Bayern 1589-1594, ibid., X (1889), pp. 493-524, 717-747; Id., Eine Episode aus der Geschichte der Kölner Nuntiatur, ibid., XV (1894), pp. 103-109; Id., Der erste Kölner Nuntiaturstreit und sein Einfluss auf die kirchlichen Reformbestrebungen im Erzbistum Köln um die Wende des 16. Jahrhunderts, ibid., XVI (1895), pp. 784-793; S. Rumor, Il blasone vicentino illustrato, Venezia 1899, pp. 84, 296; P. Weiler, Die kirchliche Reform im Erzbistum Köln (1583-1615), Münster 1931, passim; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, Roma 1942, ad ind.; H. Dessart - L. Halkin - J. Hoyoux, Inventaire analytique de documents relatifs à l'histoire du diocèse de Liège sous le régime des nonces de Cologne (1584-1606), Bruxelles-Rome 1957, passim; P. Harsin, Une éducation de prince à la fin du XVIe siècle, in Bulletin de la Classe des lettres et des sciences morales et politiques de l'Académie royale de Belgique, s. 5, XLVI (1960), pp. 687-715; W. Reinhard, Ein römisches Gutachten vom Juli 1612 zur Strategie der Gegenreformation im Rheinland, in Römische Quartalschrift, LXIV (1969), pp. 168-190 (con bibl.); Id., Katholische Reform und Gegenreformation in der Kölner Nuntiatur 1584-1621, ibid., LXVI (1971), pp. 42-44; K. Wittastadt, Die Instruktion für C. Garzadoros Sondermission nach Köln im Jahre 1593, ibid, LXXI (1976), pp. 56-77; M.F. Feldkamp, Die Erforschung der Kölner Nuntiatur… Verzeichnis der Amtsdaten, in Archivum historiae pontificiae, XXVIII (1990), pp. 201-283 passim; R. Aubert, Garzadoro, Coriolano, in Dict. d'hist. et de géogr. écclesiastiques, XIX, Paris 1981, coll. 1333 s.; S. Andretta, Frangipani, Ottavio Mirto, in Diz. biogr. degli Italiani, L, Roma 1998, p. 250; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 92.