BARBAGALLO, Corrado
Nato a Sciacca (Agrigento) il 1° dic. 1877 di famiglia catanese (il padre insegnava nelle scuole medie di quella cittadina), trascorse la fanciullezza e l'adolescenza fra Sciacca e Catania; qui egli frequentò la facoltà di lettere, lasciandola, tuttavia, prima di avere stretto alcun intimo vincolo con la cultura siciliana o della stessa università catanese, per seguire il secondo biennio universitario in Firenze, all'Istituto di studi superiori, dove si laureò nel 1899. Nel pellegrinaggio fiorentino, e nel proposito di collegare la propria esperienza nativa all'esperienza culturale toscana, l'avevano preceduto il genius loci della sua Catania, e professore in quell'ateneo, Mario Rapisardi, nonché il suo coetaneo Concetto Marchesi, già risolutamente avviatosi agli studi, in cui doveva tosto primeggiare, di letteratura latina: entrambi, il Rapisardi e il Marchesi, vicini al giovane B. anche nella comune fede socialista e nel comune interesse per le dottrine marxiste e il materialismo storico. In ciò questi siciliani, altrimenti dal loro corregionale G. A. Borgese, si trovavano in Firenze concordi con un manipolo di studenti e perfezionandi da varie regioni d'Italia, in ispecie C. Battisti, i due fratelli Ugo Guido e Rodolfò Mondolfo e il pugl iese Gaetano Salvemini. Ma, mentre tanto il Marchesi quanto, e più, il gruppo salveminiano ebbero la ventura di ambientarsi tosto nella Firenze di P. Vitelli e, segnatamente, di P. Villari, soprattutto perché l'autore delle Lettere meridionali, nonostante una sua sempre più radicata propensione al moderatismo tosco-neoguelfo, conservava acutissime le proprie idealità di riforma sociale e il senso vivo della storiografia e della storia, il B., invece, a Firenze non si trovò. L'unico dei suoi maestri, cui nel 1911 pubblicamente si professò obbligato e fedele, fu l'insegnante di storia antica, Achille Coen, il quale rappresentava un metodo e una fase anteriori alla cosiddetta storiografia scientifica di origini positivistiche e di stampo germanico, donde sostanzialmente derivarono la sua sterilità e la sua oscurità accademica.
Forse questa delusione giovanile e quest'opposizione alla voga del tempo affrettarono, come l'avviamento del B. agli studi storici, così quel particolare indirizzo polemico-satirico, quel ribellismo protestatario ed anti-accademico, che il suo amico Gino Luzzatto paragonò giustamente al gusto e allo stile del primo Papini. Ma fin dal principio della sua precocissima e copiosa attività è significativa la varia ricchezza degli interessi culturali del B., quella presunta dispersione, o "dilettantismo", che non dovevano facilitargli consensi e carriera. Invece di scegliersi rigorosamente un campicello da coltivare, o al più una disciplina da professare (nella fattispecie la storia antica, anzi la storia ccanomico-istituzionale del mondo grecolatino), il B. si sentì attratto, e giustamente, come a sorgente e a criterio metodico della sua attività storiografica successiva, dal problema della storia in se stessa, quale venivano dibattendo, soprattutto in polemica col Villari, i critici del materialismo storico e prossimi restauratori dell'idealismo, Croce e Gentile. I quali entrambi, e altrimenti dai coetanei "fiorentini", i Mondolfo e i Salvemini, nonostante le propensioni socialistico-labrioliane del giovane Croce, considerarono il materialismo storico sempre e soltanto come una metodica storiografica, uno strumento d'intellezione critica del passato e, soprattutto, di superamento polemico dell'imperante filologismo. I giovani socialisti o socialisteggianti, invece, fra i quali era già il B., avvertivano e teorizzavano, nella loro stessa esperienza partitico-passionale, una sorta di dualità o dicotomia del materialismo storico, in quanto esso per un verso era, o doveva essere, il fondamento ideologico-dottrinale, fideistico di un partito politico, e per altro verso una metodica restaurativa della problematica storica, depressa dalla Problemlosigkeit erudita. Né gli studi marxistici e di materialismo storico perseguiti variamente dal B., ma più con ripetizioni, e riprese che con veri aggiornamenti e ripensamenti, per quasi un quarantennio (il libretto giovanile Pel materialismo storico, Roma 1898, fu poi rifatto e rifuso nel volumetto, Il materialismo storico, Milano 1916, quindi riversato in due articoli della Nuova rivista storica, del 1924 e 1925, riediti nel volume Attraverso i secoli, Milano 1939, pp. 9 ss.), mirarono a discutere, lumeggiare o distruggere tesi di filosofia e storiografia marx-engelsiana, a chiarire o a negare i rapporti fra storiografia e lotta di classe, i concetti del plusvalore o della dittatura del proletariato, ecc., sibbene a giustificare, diluire od estendere i principi d'una riforma storiografica all'insegna del materialismo storico. Questo progressivamente acquistò presso il B. i connotati di una storiografia genericamente anti-filologistica dai vasti interessi sociali, sovente incline a confondersi col meccanicismo positivistico-evoluzionistico, con la descrittiva sistematica della sociologia, ma sempre sorretta a correttivo da un robusto senso del concreto e pervasa da un afflato potente del tremendum della storia, nonché dalla congiunta pietà per lo sterile susseguirsi e il cruento tramontare delle costruzioni umane.
Non stupisce perciò che il materialismo storico sempre più divenisse per il B. una sorta d'insegna o simbolo di riforma storiografica, né ch'egli volesse annettervi o convogliarvi anche storici i quali sostanzialmente vi repugnavano e che non si possono obiettivamente ridurre alla stregua della metodica marxistica, quantunque partecipi dell'anti-filologismo e di un'assai varia e lata histoiresociale, come E. Ciccotti, G. Ferrero, G. Rensi, e, oltr'Alpe, Georges Platon, nonché i diversi collaboratori della Nuova rivista storica. Trovato nel materialismo storico, o in ciò ch'egli battezzava per tale, lo strumento della sua ribellione al filologismo, della restaurazione degli interessi e valori storiografici, il B. vi si attenne essenzialmente per certo suo spirito polemico; ma col vantaggio obiettivo di affermare drammaticamente, per almeno il primo ventennio del nostro secolo, la necessità di una rivendicazione della storiografia e della storia, massime nel campo che più ne abbisognava, perché più semplicemente coltivato da filologi ed accademici: il campo della storia antica. Né il B. d'altra parte mancò di rendere grato omaggio discepolare alla crociana Teoria e storia della storiografia (1916), ancorché in quegli stessi anni si consumasse la personale rottura col Croce, soprattutto per il diverso atteggiamento di fronte alla prima guerra mondiale (cfr. il saggio, già edito nella Nuova rivista storica, e ristampato in Passato e presente, Milano 1924, pp. 253 ss., significativamente, ma punto crocianamente, intitolato Un filosofo della storia: Benedetto Croce).
Alla storia antica professionalmente si volse tosto il B., sebbene risalgano agli anni fiorentini lo studio "stravagante" Una questione dantesca (Dante Alighieri, i Bianco-Ghibellini esuli e i Romena),Roma 1899, e il successivo saggio su Francesco Montefredini (Firenze 1900), che precedette il Croce nella rievocazione e rivalutazione "di un obliato discepolo di F. De Sanctis".
Al Montefredini tuttavia il B. dovette sentirsi interessato soprattutto per l'anti-romanità del critico napoletano, in un momento storico, a cavaliere fra i due secoli, in cui più acuta dilagava la polemica sulla "decadenza latina" e il vario vigoreggiare alterno dei popoli vecchi e giovani, nordici e meridionali, ecc., nonché sull'esegesi, precorsa o intrapresa dal Montefredini, della rivoluzione francese in chiave classistico-sociale o addirittura socialista.
Insegnante di scuole medie dal 1899 al 1926, e in particolare negli istituti tecnici di Roma e di Milano, il B. fu operoso altresì nell'organizzazione sindacale degli insegnanti, come il Salvemini e U. G. Mondolfo, e nel dibattito, cui l'organizzazione medesima vittoriosamente partecipò, intorno al cosiddetto "caso Terruzzi". A difesa di Regina Terruzzi il B. dettò pure, in collaborazione con Maria Cleofe Pellegriiii, un opuscolo, pubblicato a Milano nel i 908, e che da lei fu presentato nel 194 al Mussolini (cfr. Lettere a John, Che cosa fu il fascismo, Napoli 1946, p. 37. II B. conseguì presto la libera docenza in antichità greche e romane presso l'università di Roma, ma invano partecipò, con un altro meridionale a lui affine nell'attività storiografica e nella battaglia polemica, Guido Porzio, a vari concorsi universitari di storia antica, sperimentando a suo danno le inimicizie che aveva sollevate non tanto la sua degnissima "produzione" scientifica, quanto l'avversione liberamente significata ai metodi e agli uomini allora imperanti.
Nei suoi scritti di storia antica, seppur fliologicamente corretti o statisticamente e sociologicamente commendevoli, spiccano, e dovettero dispiacere soprattutto sessanta e cinquant'anni fa, certo oltranzismo verbale e certo miracolistico problematicismo che allora trionfava, con grave scandalo dei benpensanti, nell'opera di Guglielino Ferrero. Ma non perciò si giustifica la quasi assoluta dimenticanza, anche nei repertori bibliografici, degli scritti storico-antiquari del Barbagallo. Ciccottiano nella memoria istituzionale Il senatus consultum ultimum (Roma 1900), il B. già tenta la storia diplomatica e la politica estera nella monografia Le relazioni politiche di Roma con l'Egitto dalle origini at 50 a. C. (Roma 1901). E il volume del B., oltre ad interessare per la presa di posizione vigorosamente mommseniana,, merita simpatetico giudizio per il proposito di avviare una discussione sui moventi psicologici e i motivi economicopolitici della politica estera di Roma. quand'anche già si avvertano qui i sintomi di quell'infelice causalismo, di quella sterile ricerca delle cause o della "causa poziore" di un evento storico, onde riuscì oscurata e viziata gran parte della produzione storiografica del Ciccotti e del Barbagallo. E felice è l'individuazione, già nella storia delle relazioni fra Roma e l'Egitto durante la seconda metà del sec. II a. C., dei prodromi ed elementi di quel contrasto fra espansionisti e conservatori, fra ímperialismo politico-economico ed imperialismo colonialistico-annessionistico, che accompagnò la crisi della nobilitas, e il B., nel "profilo" formigginiano di Tiberio (Roma 1922), ritrovò anche alla radice del retaggio augusteo, nel successivo contrasto fra Tiberio e Germanico.
Il lavoro sulle relazioni fra Roma e l'Egitto suggeriva comunque al B. un tema che di poi sempre ebbe caro, e con lui gli uomini della sua scuola e successivamente della sua rivista: il tema, cioè, della decadenza, del perché declinino gli Stati e si corrompano o si trasformino le società, il vecchio problema umanistico del Montesquieu, riproposto adesso in chiave sociologico-meccanicistica. Non senza concessioni frequenti alla storia narrativa (od événementielle),tale problema governa quello che forse rimane il maggior contributo del B. agli studi di storia antica, il libro su La fine della Grecia antica (Bari 1905), rifuso poi nei due volumi Il tramonto di una civiltà o la fine della Grecia antica (Firenze 1924).
Il confronto fra le due redazioni è particolarmente istruttivo, e rivelatore della sostanziale maturità e immobilità del B., in quanto, a prescindere da aggiunte o correzioni, rettifiche marginali e revisioni stilistiche, a rimuovere ogni traccia di preziosità letteraria probabilmente mutuata al clima dannunziano, dei primi anni del secolo, nulla sembra cambiato nella metodica e visuale storica del Barbagallo. Anzi, retrospettivamente soprattutto, si apprezzano della prima edizione, e tanto più si desiderano invano nella seconda, certi curiosi accenni alla lettura di vecchi storici italiani, e, in genere, di storici europei, franco-inglesi più che tedeschi, dimenticati o spregiati dalla comune dei filologi scientifici e ritenuti generalmente "antiquati", Droysen o Niebuhr, Freeman o Grote o Peyron. I limiti di accettabilità del lavoro del B. dipendono dall'accoglimento o dal ripudio dei criteri istituzionalistici e so,ciologico-descrittivi, di sistematica antiquaria (nel che sarà fors'anche da riconoscere una traccia o suggestione mominseniana) da lui assunti a misura dei proprio giudizio storiografico nell'inseguire e nell'individuare le diverse forme dell'unico problema, o non-problema, della decadenza della Grecia: la quale in verità sembra coincidere per il B. con la storia medesima, e tutta quanta, della penisola. Il B. elenca inclemente i tratti negativi della vita associata eficnica, sia di tipo spartano sia di tipo democratico-ateniese, le insufficienze militari e statuali, tutti gli elementi cioè che dovrebbero giustificare la condanna e spiegare successivamente la conquista straniera, mentre si preclude l'intelligenza degli elementi non solo positivi, ma perpetui, cioè i valori assoluti creati dalla grecità e trasmessi, retaggio intramontabile, all'avvenìre: che è poi il difetto massimo, radicale e ineliminabile, di qual si voglia storiografìa, soprattutto se a carattere prevalentemente marxistico, più attenta e incline alla Staatsgeschichte o all'antiquaria che ai valori della Kulturgeschichte.Peggio poi allorquando certo misticismo materialistico, probabilmente mutuato o derivato dall'inconoscibile spenceriano, induce il B. a proclamare l'inconoscibilità reale o retorica di taluni problemi, abbastanza facilmente solubili sul terreno del concreto.
Parallelamente il B. veniva frattanto svolgendo, e con più frutto, una paziente attività ricostruttrice degli aspetti economico-annonari del mondo antico, facendo proprie le premesse sociologico-statistiche del primo Beloch, la cui Bevölkerung il B. appunto tradusse per la "Biblioteca di storia economica" (vol IV, 1909) di V. Pareto e Ciccotti. In una serie di articoli e memorie accademiche, caratterizzati da un operoso proposito di sfruttamento realistico dell'abbondante materiale papirologico (e questo bisogno di "realisrno" differenziava il B. tanto dalla mera fliologia dei "vitelliani" quanto dall'antifilologia letteraria e dall'antipapirologia dell'anti-vitelliano Ettore Romagnoli), egli intraprese la redazione di un lavoro sui prezzi dei generi alimentari nell'antichità, rimasto incompiuto e inedito: ne è frutto maggiore il Contributo alla storia economica dell'antichità (Roma 1907), remoto preludio a quella che poi divenne la professionale attività accademica del Barbagallo. In ambito analogo attese il B. a importanti ricerche sull'organizzazione scolastica in età imperiale romana, il cui tema forse gli fu suggerito da esempi stranieri, massime il classico libro di E. Ziebarth, e ch'egli svolse organicamente nel volume Lo Stato e l'istruzione pubblica nell'Impero romano (Catania 1911).
Qui pure il metodo è sociologico-antiquario, e il problema scolastico è veduto e risolto istituzionahnente, non come un problema di cultura e di educazione o, che è lo stesso, di storia della cultura, sebbene sia storicamente molto importante cogliere nel B. accenni, divenuti poi frequentissimi nella più recente storiografia anglo-europea sull'Impero romano, alla teoria delle élites coloniali e all'apporto dato da una cultura e società provinciale allo sviluppo civile dell'Impero; donde un superamento della concezione meramente letteraria e romano-italica dell'Impero, quale ebbero Tacito e Svetonio e quale da essi ereditarono gli studiosi moderni puramente umanistici o filologico-letterari.
La necessità di questa critica della tradizione letteraria anima e ispira anche gli altri lavori di storia imperiale, e più propriamente di storia événementielle dell'Impero romano, che il B. venne redigendo negli anni immediatamente anteriori e immediatamente posteriori alla prima guerra mondiale, prima di tornarvi sistematicamente nell'apposito volume della Storia universale:ad esempìo, i "profili" di Giuliano l'Apostata (la cui prima edizione fu pubblicata a Genova nel 1912 e la seconda a Roma nel 1924) e di Tiberio,la memoria Un semestre d'impero repubblicano, Il governo di Galba (estratto dagli Atti d. R. Accad. di archeol., lettere e belle arti di Napoli,1914) e il volumetto su La catastrofe di Nerone (Catania 1915).
Insigne quest'ultimo per la rivendicazione della positivìtà storico-politica dell'autocrazia neroniana, di contro alle troppe critiche moralistiche e psicologìche, e probabilmente esatto anche nella determinazione cronologica degli eventi immediatamente anteriori al suicidio dell'imperatore, il giugno del 68 d. C.; laddove nella memoria su Galba, quantunque confermata nella sostanza dagli ignari o immemori critici posteriori, trionfano congiunti il meglio e il peggio del B.: la grandiloquenza stilistica, condita o sconciata dallo scientisme;il congetturalismo ipotetico, presentato e scambiato per obiettiva realtà storica; l'oltranzismo intenzionale, come nel giudizio conclusivo su Galba: "un'altra grande anima antica di repubblicano era sorta, e trapassata come meteora, nel grande cielo della storia di Roma" (p. 89); laddove il problema, cui del resto il B. non si sottrae, era appunto di lumeggiare come e perché si osasse il sogno di una parvente restaurazione repubblicana o in qual misura Galba tentasse di conciliare l'esigenza semi-repubblicana dell'opposizione senatoria e l'esigenza "imperiale" dei militarismo.
Né così avrebbe scritto, comunque, di storia romana il B., se non avesse nel frattempo avvertito l'urgere del ritorno alla storia, la consapevolezza della narrabilità della storia, di contro alla mera compilazione di schede o quaestiones o dissertazioni filologiche, le quali troppo aduggiano ancora i due primi volumi della Storia dei Romani di Gaetano De Sanctis; il bisogno altresì di estendere al campo della storia antica i metodi o le proteste e riforme che ormai vittoriosamente lavoravano il campo della storia moderna e della storiografia filosofico-letteraria. Insieme coi Croce e col Gentile, il B. aveva collaborato alla sola, forse, delle riviste italiane in cui qualche cosa o parecchio si trasfondesse de La Critica, cioè La Cultura di C. De Lollis; né aveva mancato, anche su íiviste specializzate, di battersi per la rivendicazione della sostanziale attendibilità della cosiddetta tradizione letteraria, assai più credibile di tutti gli amminicoli (duplicazioni, retrodatazioni, invenzioni, analogie greche, ecc.) postulati ed usati in varia maniera e con diversa misura tanto dall'ipercritica di E. Pais e dei suoi discepoli, quanto dalla "critica temperata" del De Sanctis, mentre il Beloch accedeva ora all'uno ora all'altro indirizzo. Ma, di contro all'inattesa crociata unanime degli uomini de La Critica e de La Cultura, dell'università, della filologia e del nazionalismo incipiente, incarnati entrambi nel Pais, il B. fu sostanzialmente solo a impegnare non tanto l'apologia di Guglielmo Ferrero, quanto la battaglia storiografica propria e comune all'insegna del Ferrero: né tanto allorché vennero in rapida successione alla luce, frammezzo a sempre più aspre polemiche, i cinque volumi di Grandezza e decadenza di Roma (1902-1907), sì quando sorse, fra il 1910 e il 1912, il progetto di affidare in Roma al Ferrero una cattedrauniversitaria di storia romana.
Non per mero caso vedevano quasi contemporaneamente la luce il volume su L'opera storica di Guglielmo Ferrero e i suoi critici (Milano 1911) e il saggio, pubblicato nel 1912 dalla Rivista italiana di sociologia,sullo stato degli studi nostrani di storia greca e romana. Né per mero caso la rassegna delle condizioni della storiografia italiana a cavaliere fra i due secoli, dal volume sul Ferrero, passava pochi anni dopo quasi immutata a costituire il fondamento dell'assai meno pregevole volumetto su Giuseppe Fraccaroli (Bologna 1919). L'una e l'altra occasione valevano, infatti, per una presa di posizione apparentemente antifilologica, in realtà severamente ed intrinsecamente filologica, in quanto la filologia riacquistava l'ambito e il terreno propri e ridiveniva lo strumento di una restaurazione storiografica inerente e conseguente al superamento di un periodo di crasso antifilosofare. Né importa che il filosofare propugnato dal B. fosse essenzialmente il materialismo storico, o, poiché allora e più tardi, e in polemica col B. medesimo, il Ferrero rifiutò di ascriversi o di lasciarsi ascrivere al materialismo storico, quella pluriforme congerie di marxismo, sociologia, lombrosismo, decadentismo e consapevolezza storica che era propria dell'opera del Ferrero. La quale il B. difese senza agiografici partiti presi dalle maggiori e minori critiche sollevate contro di essa, non tacendo gli eventuali "errori di fatto" nei quali il Ferrero poteva essere incorso (benché molti dei cosiddetti "errori" siano poi divenuti communis opinio, per esempio la tesi del suicidio di Lucrezio), ma guardando all'insegnamento che il fatto di codesta costruzione storica imponeva agli stessi avversari.
La battaglia storiografica dei primi tre lustri del secolo è naturale acquistasse per il B. immediatezza e urgenza maggiori, scoppiata la prima guerra mondiale: perché il B., divenuto, come altri non pochi dell'intelligencija socialista od ex socialista, fra cui Salvemini, Ciccotti e Battisti, fautore dell'intervento, concepì quest'ultirno come un rinnovamento dell'intera struttura e compagine nazionale e quindi anche, o anzi tutto, della cultura. Ebbe il torto bensì di far causa comune, o di dar l'impressione di voler fare causa comune, anche con gli elementi deteriori del nazionalismo, e non disdegnò, quindi, né la faciloneria romagnoliana, cui non difettava peraltro un'intrinseca legittimità, né la collaborazione alla terza pagina del mussoliniano Popolo d'Italia. Ma non confuse mai politica e cultura, o, per meglio dire, non si permise mai di fare della cattiva cultura, di plaudire al rinnegamento della verità e della scienza in nome di un presunto "patriottismo". Perciò, quando nell'interesse dell'ex germanofilo Pais e col pretesto della caccia al nemico, si scatenò la campagna per togliere al Beloch, nel frattempo internato a Siena, la cattedra romana di storia antica, e affidarla appunto al Pais, il B., che del Beloch e del suo allievo De Sanctis non aveva certo avuto a lodarsi, di concerto col Porzio, ex discepolo del Pais partecipe della campagna contro il Ferrero, levò alta protesta in difesa degli studi storici minacciati, né diede tregua dopo di allora, ancor qui di concerto col Porzio, al romanesimo nazionalisteggiante o procacciante del Pais e dei suoi accoliti e clienti, fino all'ultima e più efficace e durevole stroncatura nel volumetto Il problema delle origini di Roma (Milano 1926).
Il B. si trovò anche fortemente coinvolto, e tuttavia senza intima contraddizione - in quanto combatteva il filologismo e la piatta imitazione recettiva nostrana del cosiddetto "metodo germanico", non la storiografia né la cultura tedesca in se stessa - nell'analoga battaglia contro i germanicizzanti fiorentini, in ispecie G. Vitelli, cui non a torto rimproverò l'indifferenza ai problemi della critica letteraria e il carattere meramente "tecnico" del proprio insegnamento, nonché l'accettazione indiscriminata di quanto proveniva non pur di Germania, ma dalla deteriore Germania post 1870, senz'avvertire l'intimo legame fra la cultura tedesca dell'età guglielmina e la politica di guerra, contro cui, tardi adesso, insorgevano anti-storicamente i novissimi nazionalisti. La ritorsione dei filologi vitelliani fu becera e ingenerosa, in quanto mirò soprattutto a colpire il B. nella sua dignità d'insegnante e nella sua attività di scrittore, accusandolo di avere scritto in termini di pesante scienza tedesca tutta una serie di manuali scolastici, i quali, in verità, redatti spesso in collaborazione con Maria Cleofe Pellegrini e Carlo Capasso, e corredati da utilissimi e geniali volumi di Letture storico-letterarie correlative, divulgati ampiamente e abilmente dalla benemerita casa editrice milanese Albrighi e Segati, rappresentano quanto di meglio si facesse allora in tal campo: e non sopravvissero, per il non conformismo del loro autore, alla fascistizzazione della scuola italiana.
Grazie alla medesima casa editrice, e quand'anche in parte ai fini della stessa polemica, il B. ebbe dal 1917 lo strumento che la sua ribellione storiografica richiedeva: quella Nuova rivista storica, la quale, iniziatasi con un programma rinnovatore di storia latosensu politico-sociale,e sotto la direzione d'insegnanti variamente benemeriti degli studi, come A. Anzilotti, E. Rota e il Porzio, servi in un primo tempo alla difesa delle idee e degli uomini più cari al B., come Fraccaroli, Ciccotti, Ferrero, Salvemini, e poi alla difesa della dignità storiografica di contro alle contaminazioni degli attualisti, degli antirisorgimentisti clerico-sabaudi, ecc. Ma, per merito in primo luogo dello stesso B., l'atmosfera culturale italiana mutava rapidamente già sul termine dell'altra guerra, e, grazie alla guerra e al crocianesimo, anche in uomini ligi al filologisrr-o come il De Sanctis. Parallelamente ncn poteva non diminuire l'efficacia delle campagne e polemiche storiografiche del B., quasi indispettito a vedersi poco ascoltato e messo in disparte, mentre ormai nel campo degli studi classici procedevano su vie non troppo dissimili dalle sue il desanctisiano o ex desanctisiano A. Ferrabino, prossimo autore dell'Arato, il vitelliano o ex vitelliano G. Pasquali, autore quasi "attualistico" di Filologia e storia e del filologico-storicistico Orazio lirico, i cui meriti metodici, in regime di ancor indiscriminata accettazione della formula crociana "poesia e non poesia", furono tosto messi in luce da A. Omodeo e dal Gentile. Invano il B. protestava e gridava alla collusione tra filologi fiorentini e filosofi idealisti. Perché la storicizzazione idealistica della filologia era ormai un fatto acquisito e declinavano, invece, le ideologie cui si era ispirata la produzione storiografica dei Ciccotti, dei Salvemini e dei Ferrero. Perciò appunto l'attività del B. nel trentennio dal finir della prima guerra mondiale alla sua morte, se fu organica e benemerita e accademicamente fruttuosa o tardivamente almeno ricompensata con la cattedra di storia economica nell'odiema facoltà di economia e commercio dell'università di Catania (1926) - donde il B. passò nel 1927 a insegnar la stessa materia prima all'università di Napoli, quindi, nel 1947, all'università di Torino -, riuscì storiograficamente meno feconda e non agì quanto avrebbe potuto sul volgere successivo della cultura italiana.
Certo resta suo merito insigne di essersi tosto ascritto fra gli "eretici" (così in Lettere a John,p. 186), non appena tramontarono le illusioni durate in lui, nonostante l'avvertimento ben tempestivo ed intransigente dell'amico suo, lo storico e socialista austriaco Ludo Moritz Hartmann (ibid., pp. 83-84), dai giorni della temuta minaccia bolscevica ai giorni dell'instaurata dittatura fascista: e questa sua condotta di semi-adesione, seguita da un rapido disinganno e dall'opposizione fermissima, ancora una volta lo accomuna con gli uomini dell'intelligencija ex socialista, in ispecie il Ciccotti. La sua rivista, dalla cui direzione tuttavia il B. si ritrasse nel 1930, non solo fu rigorosamente militante per la dignità degli studi storici, ma liberamente aperta ai non conformisti, mentre il B. riaffermava esplicita e coraggiosa la propria fedeltà al Ferrero, divenuto suo collaboratore e continuatore nella trilogia di Roma antica (3 voll., Firenze 1921-1922), che ripubblicò poi da solo, ma non senza sbandierare ben alto il nome dell'esule, fra il '32 e il '33. Né i volumi divulgativo-miscellanei che il B. stampò negli anni della dittatura difettano di scritti certamente "eretici": se Passato e presente (Milano 1924), per esempio, accoglie saggi eulogetici sul Rensi e sul Croce; se Attraverso i secoli (Milano 1939), oltre alla citata ristampa della monografia sul materialismo storico, accoglie saggi eulogetici su G. Giolitti e su N. Colajanni, e rivendica le benemerenze laicistiche di R. Bonghi ministro e scrittore.
Più accademici e neutri sono, invece, i volumi di storia economica, ai quali si raccomanda il nome del B. in questa ultima o penultima fase della sua attività, massime il libro su Le origini della grande industria contemporanea (Firenze 1929; 2 ed., 1951), quasi che il cuore medesimo del B. fosse altrove, nella gigantesca íntrapresa cui si era accinto da solo: la redazione per la UTET di tutta una Storia universale,quasi un nuovo Cantù.
Assai meno compilatorio del Cantù, pur nell'inevitabilità degli errori, pur nella frequenza dei rinvii bibliografici di seconda mano, assai più competente e personale, specie nei volumi sull'antica storia di Grecia e di Roma, e nella reinterpretazione unitaria della storia moderna e contemporanea, non stupisce, però, che nonostante l'ingegno profuso e la mole dell'opera, quest'ultima non sia divenuta lo strumento di studio e di consultazione né abbia esercitato l'efficacia metodico-educativa che il B. probabilmente si aspettava. Perché nell'Italia dell'Ottocento il valore manualistico del Cantù non era negabile pur quando era contestata o riuscì superata la metodica alla quale l'astioso autore s'ispirava: laddove ai di nostri, felicemente soddisfatta in più modi la curiosità manualistica, né senza consensi ed apporti del B. medesimo, una storia universale tanto meno è probabile potesse o possa riuscire opera storiograficamente valida, quanto meno accettabili, fino alla rinascita post-bellica del marxismo, erano le premesse sociologìcopessimistiche del Barbagallo.
Questi, anzi, più procedeva nell'opera sua e più, forse per la pressione e l'imbarbarimento del totalitarismo, confessava di dubitar della storia, incline a negame la razionalità e quasi l'intelligibilità, attratto e sopraffatto insieme da un cieco gioco di forze distruggitricí, donde il meccanicistico ragionare e narrare, l'anacronismo di questo idioma e stile storiografico. Ha, tuttavia, del miracolo l'energia insonne del B. nel compiere, due volte anzi, l'opera sua, la quale, uscita dapprima nell'anteguerra (5 voll., Torino 1931-38),ebbe più tardi una riedizione definitiva (5 v0ll., Torino 1950-54): l'ultimo tomo, postumo, a cura del Luzzatto, ma disteso in ogni suo punto dal B., conduce il racconto fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Mentre la guerra ancora infieriva, desideroso di consegnare alla nuova generazione il ricordo della passata servitù e delle restaurate ideologie, il B. iniziò tutta una serie di volumetti divulgativi sul problema delle relazioni fra l'Inghilterra e l'India, quasi proemio alla proclamata indipendenza del sub-continente asiatico, sull'Unione sovietica, sulle quattro giornate di Napoli (Napoli contro il terrore nazista, Napoli s. a.) e sul fascismo. Il quale ultimo libro, pur nella forma artificiosa di Lettere a John, ha il merito, oltre che di fornire quasi un'indiretta autobiografia del B., anche d'indicare e distinguere i vari filoni politici e culturali che confluirono ad originare il fascismo, non riducibile pertanto né ad una formula sola né ad un'esegesi meramente "classistica". Ma è significativo, ed è la testimonianza ultima e suprema della consapevolezza ed auto-coscienza storiografica del B., che, pur attivo in più modi nella vita dell'instaurata Repubblica italiana, egli né cercasse di agire efficacemente su un ambiente ormai diverso e remoto, né tentasse come che sia d'inserirvisi, giustamente persuaso nell'intimo che la sua giornata era conclusa e che la sua opera storiografica rimaneva solennemente, ma solamente, connessa alla storia e cultura italiana del primo quarto di questo secolo. Né lascia perciò il B. successori o discepoli.
Morì a Torino il 16 apr. 1952.
Bibl.: Una bibliografia essenziale degli scritti del B., a prescindere, naturalmente, dai molti usciti anonimi o pseudonimi nella Nuova rivista storica, è in appendice al necrologio redazionale, molto probabilmente opera individua di G. Luzzatto, in Nuova riv. stor.,XXXVI (1952), pp. 187-188. Una bibliografia di scritti quasi esclusivamente attinenti alla storia antica e alla teoria della storia presso F. Natale, ibid.,XLII (1958), pp. 380-384. Fra i necrologi, W. Maturi,, in Riv. stor.ital., LXIV (1952), pp. 460-464 (del Maturi si vedano anche le notazioni dedicate al B. in Interpret. del Risorg., Torino 1962, pp. 615, 643); G. Luzzatto, nella prefazione al postumo tomo III, volume V della Storia universale del B., Torino 1954, M. IX-XII, e in Rendic. d. Accad. Lincei,Classe di scienze mor. stor. e filol., Roma 1957, pp. 78-80. Un'interpretazione dell'opera storiografica del B. in F. Natale, Contr. alla storia della storiogr. ital. sul mondo antico,in Nuova riv. stor.,XLII (1958), pp. 1-49; 257-91; 353-93, in ispecie pp. 354-387 (dov'è citata ulteriore bibl.). Per le relazioni e attinenze storiografiche del B. col Ciccotti e col Ferrero, cfr. P. Treves, L'idea di Roma e la cultura italiana del sec.XIX Milano-Napoli 1962, pp. 221 ss. Per la polemica antivitelliana del 1917, cfr. oltre all'aneddotica di E. Pistelli, Eroi, uomini e ragazzi,Firenze 1927, pp. 218-219, l'appendice all'opuscolo di E. Bianchi, Appunti sullo "Scimmione", Firenze 1917, e l'appendice bibliografica di T. Lodi a G. Vitelli, Filologia classica... e romantica,Firenze 1962, pp. 137 ss., ed ancora S. Timpanaro, Uno scritto Polemico di G. Vitelli,in Belfagor, XVIII (1963), pp. 460-61. Per una risposta metodica alla Polemica del B. contro "desanctisiani" e "idealisti", cfr. A. Ferrabino, Scritti di filosofia della storia,Firenze 1962, pp. 15-26.