CORRADO
Il vescovato quasi trentennale di C. a Lucca coincise con un periodo di aspre lotte per il predominio nella città e nel ducato di Toscana che fu nello stesso tempo un periodo di tensioni economiche e di sconvolgimenti sociali. Non esistono fonti narrative relative a questo periodo, ma i circa trecento documenti di quegli anni conservati negli archivi lucchesi lasciano vedere bene quali erano i problemi di allora. In tutte le vicende C. non appare mai in primo piano e i tentativi di fare di lui un santo corrispondono allo spirito della Controriforma, non certo a quello del sec. X.
Il predecessore di C., Pietro (II) è ricordato per l'ultima volta in un documento del 932. Apparteneva a una famiglia lucchese di giudici e notai e sembra avere elargito generosamente, non discostandosi in ciò dalle usanze del tempo, i beni vescovili, al suoi parenti. Il suo vescovato era coinciso con le lotte dell'imperatore Berengario per il dominio in Italia; e sappiamo che le devastazioni operate dalle bande saracene e ungare chiamate in aiuto da Berengario non risparmiarono il territorio di Lucca. Pietro aveva cercato di difenderlo con una serie di fortificazioni e con una politica che tendeva a rafforzare la posizione delle grandi famiglie nella città e nel contado, avviando così un processo che il suo successore non sarebbe più riuscito ad arrestare.
C. sembra essere salito sulla cattedra vescovile dopo una vacanza piuttosto lunga: è ricordato per la prima volta come vescovo di Lucca in un documento del 29 maggio 935. Nulla si sa della sua provenienza; non aveva fatto parte del capitolo del duomo prima della sua elevazione. Comunque, dalle scarse notizie che possediamo sui suoi rapporti familiari sembra potersi dedurre che egli fosse parente del vescovo Pietro, al quale forse doveva la sua elevazione.
Nella letteratura storica lucchese C. e considerato un membro della nobile e potente famiglia dei Rolandinghi, diffusi in tutta la Toscana e tra i più ricchi proprietari terrieri. In realtà il solo dato che si ricava dai documenti degli anni 954-56 è che C. aveva due fratelli, uno di nome Giovanni "filius b[one] m[emorie] Rodilandi", che possedeva beni nei pressi di Santa Maria a Monte e nella zona di Bientina e la chiesa parrocchiale di S. Felicita in Versilia, e l'altro di nome Rodolfo, che nel 954 era già defunto. Si tratta di documenti di permute compiute da C. nella sua qualità di vescovo e relativi a beni che si trovano nelle vicinanze di Empoli nella diocesi di Firenze. Quanto alla parentela di C. con il vescovo Pietro, la si potrebbe dedurre dal fatto che il nome Corrado e presente anche nella famiglia di Pietro e che anch'egli aveva possedimenti nella zona di Santa Maria a Monte. Le fonti non permettono conclusioni che vadano oltre questi risultati. La genealogia ricostruita dal Cianelli che fa discendere C. da "Rodilandus filius Chunimundi", presunto capostipite dei Rolandinghi, ricordato in numerose fonti, è insostenibile; così come sono insostenibili i tentativi di attribuire ad un'unica grande famiglia tutte le numerose persone che a Lucca portavano il nome Rodilando.
Tra gli avvenimenti più importanti accaduti durante il vescovato di C. sono da ricordare i due placiti del marchese Uberto celebrati nel 941 a Pisa e a Lucca, alla presenza dei re Ugo e Lotario e di tutti i vescovi toscani. Con tali placiti C. tentò di recuperare beni vescovili che in precedenza erano stati alienati. Nel processo pisano risultano accusati di possesso illegittimo Imilga "filia Conradi" e suo figlio Roffredo, i quali, con tutta probabilità, erano i parenti più stretti del vescovo Pietro. Il che sta a dimostrare quanto C. fosse deciso nella sua azione di recupero delle terre vescovili: egli non si arrestò nemmeno quando fu costretto a lottare contro i propri parenti.
La politica di C., comunque, era destinata a fallire perché diretta contro quel ceto che si andava affermando come oligarchia dominante a Lucca e nel distretto. In questi anni la proprietà fondiaria si accentra progressivamente nelle mani di poche famiglie: nuove "curtes" nobili compaiono nel contado lucchese, mentre a partire dal 930 circa gli scabini accrescono in città il proprio potere, rafforzando il proprio ruolo di "iudices domini regis". Su questo nuovo ceto dominante, peraltro, si basarono anche i re Ugo e Lotario per dare nuovo vigore al proprio potere e renderlo stabile. Abbandonata l'antica "curtis" regia di Lucca, posta nelle vicinanze del duomo di S. Martino, i re posero la loro residenza nel palazzo marchionale davanti alla città; e insieme con il marchese riuscirono ad imporre stabilmente la loro autorità a Lucca e nel suo distretto. Significativa per questa situazione del potere nella città appare la datazione usata nei documenti di C.: essi, fino alla primavera del 950, sono datati secondo gli anni del regno di Lotario, subito dopo - per un solo anno - secondo lo stile della Incarnazione, successivamente, dall'estate del 951, secondo gli anni del regno di Berengario e di suo figlio Adalberto e infine, dopo il 962, secondo quelli di Ottone I. La ristretta oligarchia lucchese, dunque, risulta intimamente legata al potere marchionale e regio: essa finì anche per controllare il vescovato cittadino attraverso propri esponenti che entravano a far parte del capitolo. E solo mediante questo collegamento con il ceto dominante il vescovato riuscirà in seguito a riacquistare un ruolo importante nella vita politica cittadina.
Nel marzo 962 Ottone I inaugurò il suo dominio in Italia con un soggiorno a Lucca: in quest'occasione confermò i beni del vescovato e dei canonici di Lucca. L'ultima notizia sicura di C. è quella del 28 apr. 964, quando concesse alcune terre del vescovato a livello. Non risulta presente, invece, nel diploma di Ottone I del 29 luglio di quell'anno in favore di S. Salvatore inBrisciano; il che fa pensare che egli fosse già morto. Ed è probabile che il soggiorno di Ottone a Lucca avesse proprio l'obiettivo di influire sull'elezione del nuovo vescovo: i due vescovi Aghino, ricordato nel 967, e Adalungo, ricordato nel 968-69, furono, a quanto pare, forestieri che erano stati insediati sulla cattedra vescovile di Lucca con il consenso dell'imperatore.
Le scarse notizie su C. impediscono di delineare un profilo preciso della sua personalità. Nel secolo XVII si trovò, presso l'altare di S. Biagio nella chiesa di S. Frediano, la tomba di un vescovo che si volle identificare, in base ad un documento oggi perduto, con quella di Corrado.
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