corruzione
Scambio illegale tra un pubblico ufficiale e un soggetto privato, nel quale quest’ultimo si fa parte attiva per dare al primo denaro, beni o favori, e in cambio riceve un vantaggio che non gli è dovuto o è costretto a pagare per un atto dovuto. La c. si differenzia dalla concussione, nella quale è il pubblico ufficiale a farsi parte attiva a favore dello scambio illegale con il soggetto privato. L’analisi economica della c. coincide largamente con quella della concussione.
Per reprimere efficacemente il reato di c. è necessario comprendere e analizzare le sue determinanti. La c. cresce all’intensificarsi dei controlli pubblici sulle attività private, all’aumentare della discrezionalità amministrativa e all’indebolirsi dei controlli ex post. Pertanto, una delle più efficaci misure di contrasto alla c. è la liberalizzazione dei mercati e l’introduzione di automatismi nell’erogazione dei sussidi o nei processi autorizzatori. Ove la discrezionalità amministrativa debba in qualche modo rimanere, occorre inasprire i controlli, non tanto quelli sulle procedure seguite, spesso inefficaci, essendo le procedure indipendenti dall’eventuale c., quanto quelli sui risultati conseguiti dall’azione amministrativa. Solo se l’amministrazione pubblica è responsabile dei risultati (inclusi i costi spesi per raggiungerli) e non solo delle procedure, è possibile ridurre, se non sconfiggere, la corruzione. Infatti, a differenza di altri reati nei quali una delle parti coinvolte direttamente è il soggetto leso, per es. nel furto o nell’omicidio, nel caso della c. il soggetto leso non è una delle due parti dello scambio, ma il contribuente, costretto a pagare di più per un servizio, un appalto o, più in generale, per finanziare una pubblica amministrazione inefficiente. In altre parole il corrotto e il corruttore non hanno alcun interesse o incentivo alla denuncia. Peraltro, il legame tra corrotto e corruttore è stabile, visto che spesso le occasioni di c. si ripetono nel tempo senza che necessariamente alcuno all’esterno se ne accorga. Proprio per tale ragione i fenomeni di c. solo raramente vengono indagati e ancora meno sanzionati. Ciò implica che la sanzione dovrebbe essere particolarmente severa perché essa possa possedere un vero effetto deterrente.
In Italia la pena associata al reato di c. è elevata, fino a 5 anni di reclusione, ma di fatto la congestione della giustizia e le norme processuali fanno sì che i processi per c. finiscano quasi sempre con la prescrizione. La deterrenza originata dal regime sanzionatorio è pertanto modesta. Proprio per questo sono necessarie politiche attive per combattere la c. e, in particolare, la rotazione periodica dei funzionari (volta a interrompere il legame tra corruttore e corrotto) e la trasparenza amministrativa (volta a favorire l’azione di controllo da parte di tutti gli stakeholder, a cominciare dai concorrenti e dai cittadini).
Non essendo il numero dei reati sanzionati rappresentativo del fenomeno, la c. viene misurata dal grado di percezione che ne ha la popolazione. Come si può verificare dai dati raccolti da Transparency International (http://www.transparency.org), in Italia vi è un grado di percezione della c. da parte dei suoi cittadini tra i più elevati in ambito europeo. Nell’Europa a 27, l’Italia, con un grado percepito di c. di 4,3, viene dietro alla Bulgaria, alla Grecia e alla Romania, tutti e 3 i Paesi con 3,8 (più basso è l’indice, più alta è la c.), ma è molto distante dalle nazioni più sviluppate come la Francia, con 6,9, e la Germania con 8. Come il numero di reati di c. è una misura per difetto della c. effettivamente esistente in un Paese, così il grado di percezione sovrastima la c. come reato, raccogliendo al proprio interno tutta una serie di comportamenti di favore che non necessariamente riguardano il reato di c., ma che attengono soprattutto al profilo dell’etica e dei valori morali.