DONATI, Corso
Una delle personalità più spiccate nella storia delle fazioni fiorentine ai tempi di Dante. Chiamato il "barone" per la fierezza dei suoi modi, trascorreva facilmente ai motteggi e all'offesa. Corso fu portato a capeggiare quella fazione che poi ebbe nome di Neri, quando gli odî e le rivalità consortesche s'innestarono a preponderanti motivi di ordine politico nella scissione di parte guelfa. Dopo i tumulti della vigilia del San Giovanni del 1300, provocati da quei magnati che rinfacciavano al governo popolare il contributo dato da essi alla causa guelfa nella battaglia di Campaldino, lo colpì il decreto dell'equanime signoria, dove anche Dante sedeva, che allontanò i più accesi fautori delle due fazioni. Ma egli ruppe il confino, e fatto ribelle della sua patria, mentre vi saliva a effimera fortuna la "parte selvaggia" o dei Bianchi, si recava in corte di Roma a precipitare la decisione di Bonifacio VIII, che gli prometteva l'invio a Firenze di Carlo di Valois. Dietro al falso paciere tornava il "barone" ribelle. Proscritta la parte dei Bianchi, le ambizioni del D., insofferente degli Ordinamenti di giustizia e perciò istigatore di una reazione magnatizia, riaprirono la crisi nella fazione dei vincitori; ma i risultati della recente vittoria erano monopolizzati dal "popolo grasso", autentica oligarchia mercantesca, che per due volte sventava l'insidia del capoparte, ormai aspirante alla signoria: nel 1304 e nel 1308. Nella seconda congiura il D. trovava la morte: al corpo trafitto da una lancia catalana diedero sepoltura i monaci di San Salvi.
Bibl.: I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, Firenze 1879-87; B. Barbadoro, in Studi danteschi, II (1920).