Vedi Corte costituzionale e diritti dell'anno: 2015 - 2016 - 2017
Corte costituzionale e diritti
L’esame della giurisprudenza costituzionale in materia di diritti fondamentali può essere articolato, con riguardo al periodo che va dall’ultimo trimestre del 2015 al luglio del 2016, attorno ad alcune pronunce che affrontano aspetti importanti delle rivendicazioni legate ai diritti. la corte ha fornito inoltre alcune importanti indicazioni in relazione ai rapporti con l’ordinamento dell’unione europea e con la convenzione europea dei diritti dell’uomo.
L’esame della giurisprudenza costituzionale in materia di diritti fondamentali può essere articolato, con riguardo al periodo che va dall’ultimo trimestre del 2015 al luglio del 2016, attorno ad alcune pronunce che affrontano temi ed aspetti importanti delle rivendicazioni legate ai diritti nel nostro ordinamento, in continuità con quanto segnalato nelle rassegne degli anni passati. anche nell’ultimo anno, peraltro, la corte ha fornito alcune importanti indicazioni in relazione ai rapporti con l’ordinamento dell’unione europea e con la convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), così confermando che il profilo dell’interazione tra ordinamenti e livelli di protezione dei diritti in Europa resta un angolo di osservazione privilegiato nell’analisi degli strumenti di tutela.
accanto alle decisioni che prendono in considerazione il profilo dei rapporti tra ordinamenti, si procederà allora all’esame delle altre decisioni rilevanti, raggruppate a seconda della materia sulla quale intervengono: protezione dell’autodeterminazione nella sfera personale, affettiva e riproduttiva, ma anche rilevanza del principio solidaristico in relazione ad alcuni diritti in materia previdenziale.
nel corso dell’ultimo anno, la corte ha avuto occasione di pronunciarsi su alcune rilevanti questioni attinenti alla protezione del diritto all’autodeterminazione individuale, in relazione alla sfera dell’identità personale, ma anche in relazione alla sfera riproduttiva, con due ulteriori pronunce relative alla l. 19.2.2004, n. 40, in tema di procreazione medicalmente assistita.
Con una prima pronuncia – C. cost., 5.11.2015, n. 221 – la corte è intervenuta sull’interpretazione dell’art. 1, co. 1, l. 14.4.1982, n. 164, chiarendo che ai fini della rettificazione di attribuzione di sesso la necessità dell’intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali non è assoluta, ma deve essere valutata – caso per caso – dal giudice. la decisione, che si pone in linea con l’interpretazione della norma oggetto di giudizio fornita, pochi mesi prima, da Cass., sez. I, 20.7.2015, n. 15138, contiene alcune affermazioni assai rilevanti, in tema di inquadramento costituzionale delle transizioni di genere: come afferma infatti la corte, il «riconoscimento del diritto all’identità di genere» si atteggia ormai «quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona» (Considerato in diritto, 4.1).
In particolare, la corte sembra integrare con decisione – nella ratio della l. n. 164/1982 – l’elemento dell’autodeterminazione personale in ordine all’identità di genere al più tradizionale elemento della protezione del diritto alla salute1: in altri termini, la rettificazione di attribuzione di sesso – e dunque il processo di transizione – vengono ricondotti non più soltanto alla sfera della tutela del diritto alla salute del soggetto, ma anche alla protezione del percorso individuale di transizione, del quale vengono considerate le concrete caratteristiche di esperienza2.
Proprio in conseguenza della pluralità di declinazioni che può assumere, nella concreta esperienza personale, il percorso di transizione, l’esclusione del carattere necessario dell’intervento chirurgico «appare il corollario di un’impostazione che − in coerenza con supremi valori costituzionali − rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere» (Considerato in diritto, 4.1).
Con riferimento all’autodeterminazione nella sfera riproduttiva, vengono invece in rilievo C. cost., 11.11.2015, n. 229 e C. cost., 13.4.2016, n. 84, entrambe relative alla l. n. 40/2004, in tema di procreazione medicalmente assistita. le due decisioni rappresentano un ulteriore punto di approdo di quel percorso che ha condotto la corte ad una sostanziale riscrittura della l. n. 40/2004, almeno per i suoi profili maggiormente afflittivi della libertà di scelta riproduttiva.
La prima decisione costituisce il diretto sviluppo di C. cost., 5.6.2015, n. 96, che aveva avuto l’effetto di consentire l’accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA), con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette, anche come portatrici sane, da gravi patologie genetiche ereditarie; conseguentemente, con la decisione in esame, la corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto (penalmente sanzionato) di selezione, ai fini dell’impianto in utero, degli embrioni non affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui alla l. 22.5.1978, n. 194 (e che dunque potrebbero giustificare la scelta di interruzione della gravidanza). nella stessa decisione, tuttavia, la corte dichiara l’infondatezza della (connessa) questione relativa alla disposizione incriminatrice – contenuta nella medesima legge – della condotta di soppressione di embrioni, ritenendo che alla dichiarazione di illegittimità osti la discrezionalità del legislatore in tema di individuazione delle fattispecie delittuose, in una con la non riducibilità dell’embrione a mero materiale biologico e l’assenza di un interesse costituzionalmente rilevante con il quale porre a bilanciamento «il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res» (Considerato in diritto, 3). la dignità dell’embrione è al centro della successiva sentenza n. 84/2016, avente ad oggetto, in particolare, la legittimità costituzionale del divieto di ricerca sperimentale sugli embrioni soprannumerari non impiantabili, sancito dall’art. 13 della stessa l. n. 40/2004. anche in questo caso, il rigetto della questione di costituzionalità è fatto discendere dall’indisponibilità dell’embrione – non riducibile ad un bene, come ricordato anche dalla giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo3 – e dall’impossibilità di bilanciare in modo ragionevole l’interesse alla ricerca scientifica (finalizzata alla tutela della salute) con «la dignità dell’embrione, quale entità che ha in sé il principio della vita (ancorché in uno stadio di sviluppo non predefinito dal legislatore e tuttora non univocamente individuato dalla scienza) [che] costituisce … un valore di rilievo costituzionale ‘riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.’» (Considerato in diritto, 8.2.1).
L’estremo rilievo dei beni costituzionali coinvolti, e la particolare delicatezza e conflittualità delle istanze sottese alla scelta del legislatore, fanno sì che il bilanciamento rinvii ad «una scelta di così elevata discrezionalità, per i profili assiologici che la connotano, da sottrarsi, per ciò stesso, al sindacato» della
corte (Considerato in Diritto, 11).
Con riferimento all’autodeterminazione nella sfera affettiva, ed in particolare al profilo della tutela della genitorialità omosessuale, si segnala – seppure la sua incidenza sulla concreta protezione dei diritti coinvolti sia solo indiretta – c. Cost., 7.4.2016, n. 764, relativa alla trascrizione dei provvedimenti stranieri di adozione coparentale in coppia omosessuale. la decisione della corte – che pronuncia l’inammissibilità della questione per insufficiente motivazione sulla rilevanza – individua con esattezza il corpo normativo da applicare alla fattispecie dedotta nel giudizio principale negli artt. 41, 64, 65 e 66 l. 31.5.1995, n. 218 e non già negli artt. 35 e 36 l. 4.5.1983, n. 184, erroneamente ritenuti applicabili dal giudice a quo (e relativi, invece, al diverso caso di trascrizione del provvedimento straniero di adozione internazionale di minore). l’individuazione della normativa applicabile non è senza effetti nel giudizio a quo, come dimostra il seguito della decisione della Corte5 e, soprattutto, l’intervenuta trascrizione del provvedimento straniero di adozione. Mentre infatti, nel caso di cui agli artt. 35 e 36 l. n. 184/1983, il tribunale per i minorenni è tenuto a controllare il rispetto, da parte del provvedimento straniero, dei «princìpi fondamentali che regolano nello stato il diritto di famiglia e dei minori» (così l’art. 35, co. 3), nel caso di trascrizione “ordinaria” di cui alle richiamate disposizioni della l. n. 218/1995, l’ufficiale
di stato civile (e, in caso di contenzioso, il tribunale ordinario) è tenuto a verificare unicamente la compatibilità del provvedimento straniero con il cd. ordine pubblico internazionale: un concetto più ampio6, atto a ricomprendere, ad oggi, anche la protezione della genitorialità omosessuale7.
Un ulteriore gruppo di decisioni ha ad oggetto la rilevanza del principio costituzionale di solidarietà, come parametro per la valutazione di scelte legislative aventi ad oggetto diritti in materia previdenziale, anche con riguardo al controllo su misure di austerità adottate dal legislatore per fare fronte alla crisi economico-finanziaria inauguratasi nel 2008.
Si tratta, in particolare, di c. cost., 14.7.2016, nn. 173 e 174. con la prima decisione, la corte ha rigettato la questione di legittimità costituzionale relativa al prelievo sulle pensioni di importo più elevato, stabilito a fini di solidarietà dall’art. 1, co. 486, l. 27.12.2013, n. 147 (legge di stabilità 2014). Proprio la finalità solidaristica – rendendo il prelievo funzionale all’attuazione degli artt. 2, 3, 36 e 38 cost. – contribuisce a sottrarlo al controllo rispetto al parametro di cui all’art. 53 cost., consentendo alla corte di impostare il controllo sulla sua ragionevolezza e proporzionalità rispetto a canoni meno stringenti: ne consegue la legittimità del contributo, «misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori … che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento [una] incontestabile ragionevolezza a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato» (Considerato in Diritto, 11.1).
Con la seconda decisione – che non è però legata ad interventi di austerità – la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, co. 5, d.l. 6.7.2011, n. 98, nella parte in cui imponeva una riduzione dell’importo della pensione di reversibilità a favore del coniuge superstite, in caso di matrimonio contratto con persona (poi defunta, e dunque dante causa) di età superiore ai settanta anni, in caso di differenza di età superiore a vent’anni. tale previsione è ritenuta irrimediabilmente confliggente con gli artt. 3, 36 e 38 cost., anche sulla base del rilievo che il trattamento di reversibilità unisce alla funzione previdenziale un peculiare intento solidaristico, che ne determina la finalità, «in un àmbito che interseca scelte eminentemente personali e libertà intangibili» (Considerato in diritto, 3.2)8. in particolare, l’attribuzione di rilevanza all’età del coniuge defunto al momento del matrimonio e alla differenza di età realizza una penetrante
ingerenza nelle più intime scelte della persona (quale quella di contrarre matrimonio), dando luogo ad una «regolamentazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dagli artt. 36 e 38 Cost.» (Considerato in Diritto, 4.3).
Con riferimento alle interazioni interpretative con l’ordinamento facente capo alla CEDU, si segnala c. Cost., 20.7.2016, n. 193, relativa ai limiti di efficacia all’interno del nostro ordinamento del principio di retroattività della legge penale più favorevole, come elaborato dalla corte di Strasburgo nelle sentenze Scoppola c. Italia (C. eur. dir. uomo, 17.9.2009, ric. n. 10249/93), Mihai Toma c. Romania (C. eur. dir. uomo, 24.1.2012, ric. n. 1051/06) e Morabito c. Italia (C. eur. dir. uomo, 27.4.2010, ric. n. 21743/07). investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 l. 24.11.1981, n. 689, nella parte in cui non assoggetta le sanzioni amministrative al principio della retroattività in mitius, la corte afferma, anzitutto, che dalla giurisprudenza della corte europea non è desumibile un vincolo di generalizzata applicazione del principio al sistema delle sanzioni amministrative; allo stesso tempo, conferma che – nel nostro ordinamento – l’applicazione
del principio così come desumibile dalla giurisprudenza della corte europea è in ogni caso riservata alla discrezionalità del legislatore, oggetto di sindacato da parte della corte costituzionale solo ove trasmodi in irragionevolezza manifesta.
con riferimento, infine, ai rapporti con l’ordinamento dell’UE, deve essere richiamata C. cost., 20.7.2016, n. 187: la decisione, che affronta la questione della precarizzazione del rapporto di lavoro nel comparto scolastico, si segnala in quanto interviene a seguito della rimessione di rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia UE da parte della corte costituzionale – per la prima volta in sede di giudizio incidentale – con ord. 18.7.2013, n. 207. la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4, co. 1 e 11, l. 3.5.1999, n. 124 – che prevedeva appunto la possibilità di indefiniti rinnovi di contratti di lavoro a tempo determinato per il personale del comparto scuola – è fatta discendere dal contrasto con l’art. 5, punto 1, dell’accordo quadro allegato alla direttiva 28.6.1999, n. 70/CE, disposizione priva di efficacia diretta ed in relazione alla quale era stato pertanto sollevato rinvio pregiudiziale di interpretazione alla corte di Lussemburgo; una volta resa la sentenza a seguito del rinvio (C. giust., 26.11.2014, Mascolo, nelle cause riunite c-22/13 ed altre), la corte procede direttamente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost., conseguente alla violazione della norma eurounitaria, come interpretata dalla corte di giustizia.
L’esame della giurisprudenza costituzionale conferma la costante (e crescente) attenzione della corte verso il riconoscimento di sempre più ampie sfere di autodeterminazione personale, in ambiti legati alle più intime scelte identitarie. in particolare, si assiste – specie nella sentenza n. 221/2015 – ad un incremento della sensibilità della corte nei confronti delle virtualità del principio di autodeterminazione, in chiave di ancoraggio dei temi “eticamente sensibili” alla dimensione dell’esperienza soggettiva, con effetti di significativo alleggerimento della conflittualità.
La sentenza n. 76/2016, con i suoi effetti indiretti in tema di riconoscimento dell’omogenitorialità, rivela potenzialità in parte inedite delle decisioni processuali. infatti, attraverso il controllo della motivazione sulla rilevanza, e la conseguente dichiarazione di inammissibilità della questione, la corte prende indirettamente posizione sulla protezione dei diritti dedotti nel giudizio principale, aprendo la strada alla trascrivibilità dei provvedimenti stranieri di adozione coparentale in coppia omosessuale9.
Infine, con riferimento ai profili problematici, deve essere segnalato il particolare interesse – sul piano dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento UE – della soluzione perseguita dalla corte nella sentenza n. 187/2016: dalla sollevazione di rinvio pregiudiziale alla corte in sede di giudizio incidentale, discende infatti la dichiarazione di illegittimità della norma interna, per diretto contrasto con la norma eurounitaria così come interpretata dalla corte di giustizia. con la sollevazione del rinvio pregiudiziale, la corte si fa in altri termini carico “in prima persona” della cd. doppia pregiudizialità (costituzionale ed eurounitaria), dando diretta risoluzione all’antinomia normativa tra diritto interno e diritto UE, al fine di garantire – con lo strumento della dichiarazione di illegittimità costituzionale – la piena, generale ed effettiva tutela dei diritti coinvolti.
Note
1 Per una ricostruzione delle questioni legate ai processi di transizione di genere, v. per tutti Lorenzetti, a., Diritti in transito. La condizione giuridica delle persone transessuali, Milano, 2014.
2 Per un commento più approfondito della decisione, v. il bel commento di Rivera, I., Le suggestioni del diritto all’autodeterminazione personale tra identità e diversità di genere. Note a margine di Corte cost. n. 221 del 2015, in Consulta on line (giurcost.org), (12 aprile) 2016, 175 ss.; Lorenzetti, A., Corte costituzionale e transessualismo: ammesso il cambiamento di sesso senza intervento chirurgico ma spetta al giudice la valutazione, in Quad. cost., 2015, 1006 ss.; nonché D’Andrea, P.i., La sentenza della Corte costituzionale sulla rettificazione anagrafica del sesso: una risposta e tanti nuovi interrogativi, in Giur. cost., 2016, 263 ss.
3 C. eur. dir. uomo, 27.8.2015, Parrillo c. Italia, ric. n. 46470/11, richiamata dalla corte costituzionale.
4 Su questa decisione, per ulteriori considerazioni, v. Schillaci, A., Un’inammissibilità che “dice” molto: la Corte costituzionale e la trascrizione dei provvedimenti stranieri di adozione coparentale in coppia omosessuale, in Giur. cost., 2016, 712 ss.
5 Cfr. trib. min. Bologna, decr. 17.5.2016, in DeJure.
6 Per la cui definizione in termini di «complesso di principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo», cfr. cass., 26.4.2013, n. 10070.
7 come confermato di recente da cass., sez. I, 30.9.2016, n. 19599.
8 «Lo stesso fondamento solidaristico», precisa ivi la corte in un significativo obiter dictum, «permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76». Si tratta del primo caso di attribuzione di efficacia alla clausola generale di equivalenza tra matrimonio e unioni civili tra persone dello stesso sesso, recata dal co. 20 della l. n. 76/2016 in funzione antidiscriminatoria ed in diretta attuazione dell’art. 3 Cost.
9 Peraltro già ammessa da app. Napoli, 5.4.2016, app. Milano, 1.12.2015, n. 2543. La genitorialità omosessuale è stata di recente oggetto di Cass., sez. I, 26.5.2016, n. 12962, che ha confermato l’orientamento inaugurato nel 2014 dal tribunale per i minorenni di Roma in tema di applicabilità in coppia omosessuale (a favore del figlio del partner) dell’istituto dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, lett. d), l. n. 184/83.