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Corte costituzionale e diritti
L’analisi delle decisioni della Corte costituzionale che, tra la fine del 2013 e la prima metà del 2014 hanno affrontato questioni legate alla protezione dei diritti fondamentali offre l’occasione per una riflessione a più ampio raggio sui rapporti tra Corte costituzionale e processo politico. Essa conferma, in particolare, che il ruolo della Corte come attore del processo di integrazione della comunità politica attorno alla Costituzione ha ormai assunto i contorni di giudice dei diritti e sede di compensazione delle carenze del procedimento legislativo e, per estensione, dello stesso processo politico parlamentare.
L’analisi delle decisioni della Corte costituzionale su questioni legate alla protezione dei diritti fondamentali offre l’occasione per una riflessione a più ampio raggio sui rapporti tra Corte costituzionale e processo politico.
L’approfondimento della struttura pluralistica delle società contemporanee ha infatti determinato un progressivo indebolimento della tradizionale centralità del processo legislativo nell’articolazione delle politiche di attuazione e protezione dei diritti fondamentali.
L’emersione, nel corpo sociale, di fratture in larga parte distanti dai cleavages che avevano caratterizzato la vicenda storica del costituzionalismo democratico del primo e del secondo dopoguerra, ha provocato la moltiplicazione delle domande di riconoscimento e protezione di posizioni ed interessi personali e di gruppo, attraverso la rivendicazione della pari dignità di percorsi di autodeterminazione in grado di mettere alla prova la tenuta della stessa formula costituzionale di convivenza e integrazione politica, quantomeno sotto il profilo del suo rapporto con l’evoluzione storica del corpo sociale.
Di fronte a tale diverso atteggiarsi del pluralismo, la rappresentanza politica parlamentare ha mostrato una progressiva difficoltà nell’intercettare con tempestività molte delle domande di giustizia provenienti dal corpo sociale, ed in particolare dalle minoranze. In molti casi, peraltro, il legislatore è rimasto inerte, limitandosi a non prendere decisioni per la difficoltà di integrare nel processo politico posizioni minoritarie che interrogano in profondità la portata di principi fondamentali della Costituzione (su tutti, quelli racchiusi negli artt. 2 e 3); in altri casi, il processo politico ha reagito all’emersione di nuove domande di giustizia mostrando un atteggiamento di radicale chiusura, negando il riconoscimento e adottando, non di rado, misure restrittive dei diritti fondamentali. In entrambi i casi, i portatori di simili istanze di riconoscimento si sono rivolti alla giurisdizione, con l’obiettivo, talora dichiarato, di giungere dinanzi alla Corte costituzionale. La risposta della Corte, come meglio vedremo, non ha mancato di incisività, giungendo in numerosi casi alla dichiarazione di illegittimità delle misure restrittive di volta in volta censurate e, nei casi di perdurante inerzia del legislatore, a severi moniti, talora sfociati in pronunce additive.
Si concentrerà ora l’attenzione sull’analisi di alcune tra le più rilevanti decisioni adottate dalla Corte costituzionale in tema di tutela dei diritti fondamentali, con riferimento al periodo che va dall’ultimo trimestre del 2013 ai primi due trimestri del 2014.
2.1 L’applicazione della CEDU e del diritto dell’UE
Vengono in rilievo, anzitutto, alcune pronunce caratterizzate dall’integrazione del parametro di giudizio attraverso il riferimento a norme internazionali e sovranazionali in materia di protezione dei diritti fondamentali. Esse consentono, infatti, di estendere l’analisi al profilo dell’incidenza sulla giurisprudenza costituzionale in tema di diritti dell’articolazione degli strumenti di protezione dei diritti fondamentali in una pluralità di ordinamenti giuridici1.
Non è qui il caso di ripercorrere la giurisprudenza che, a partire dalle sentenze C. cost., 24.10.2007, nn. 348 e 349, ha definito portata ed effetti dell’art. 117, co. 1, definendo sulla base di quest’ultimo complesse operazioni di integrazione del parametro di giudizio con riferimento a norme “esterne”, valorizzando al tempo stesso il ruolo del giudice comune e dell’interpretazione conforme alla CEDU (C. cost., 4.12.2009, n. 317) e suscettibili di incidere sulla stessa gestione delle relazioni tra l’ordinamento giuridico nazionale, quello dell’UE e quello facente capo alla CEDU (con alcuni casi di inasprimento del conflitto e chiusura “a difesa” dell’identità costituzionale nazionale, C. cost., 12.10.2012, n. 230 e 28.11.2012, n. 264).
C. cost., 4.7.2014, n. 191 ha ribadito che il parametro interno e quello convenzionale devono «essere fatti valere congiuntamente per consentire a questa Corte di effettuare una valutazione sistemica e non frazionata dei diritti coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, in modo da assicurare la massima espansione di tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali…che sempre si trovano in integrazione e reciproco bilanciamento» (§ 4 del Considerato in diritto). D’altro canto, in C. cost., 25.2.2014, n. 30 – relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 4 della l., 24.3.2001, n. 89, nella parte in cui precludeva la proposizione dell’azione di riparazione per eccessiva durata del processo in pendenza del medesimo – la Corte ha nuovamente fatto uso “a fini interni” del margine di apprezzamento riservato allo Stato dalla Corte eur. dir. uomo in tema di disciplina dei rimedi risarcitori per la violazione dell’art. 6 CEDU: l’ampia discrezionalità conseguente al riconoscimento del margine di apprezzamento impedisce infatti alla Corte di procedere con una pronuncia di tipo additivo, data la pluralità di modelli di disciplina del rimedio e, di conseguenza, l’insussistenza delle cd. “rime obbligate” (cfr. § 4 del Considerato in diritto).
Con riferimento al merito delle questioni decise, deve essere segnalata almeno C. cost., 11.6.2014, n. 168 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione di legge della Valle d’Aosta, che poneva il requisito della stabile residenza in Regione per almeno 8 anni, ai fini dell’assegnazione di un alloggio residenziale pubblico. La Corte lega a doppio filo la protezione costituzionale del diritto all’abitazione e il rispetto della libertà di circolazione e soggiorno garantite dal diritto dell’UE, nonché del principio di parità di trattamento; si tratta di un esempio di interazione virtuosa tra principi e diritti di origine sovranazionale e piena effettività di un diritto costituzionalmente garantito e legato, come ribadisce la Corte, ad un “bisogno sociale ineludibile” e alla stessa dignità dell’individuo (cfr. § 2 del Considerato in diritto).
2.2 La sfera affettiva e riproduttiva
Una serie di interventi della Corte costituzionale ha riguardato, a partire dall’ultimo trimestre del 2013, alcune delicate questioni inerenti alla sfera dell’identità e della dignità personale, con specifico riferimento alla tutela di percorsi di autodeterminazione affettiva e riproduttiva non considerati meritevoli di riconoscimento dal legislatore.
Nella sentenza 22.11.2013, n. 278 la Corte interviene a tutela del diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini biologiche, rimuovendo l’irreversibilità del segreto sull’identità della madre ed invitando il legislatore ad introdurre procedimenti idonei a verificare la perdurante intenzione della madre biologica di rimanere ignota. In una materia attinente alla sfera più intima della personalità, ed interessata da un delicato bilanciamento tra diritti confliggenti, la Corte censura così la “eccessiva rigidità” (§ 6 del Considerato in diritto) della disciplina censurata, che non consente adeguata protezione a situazioni difficilmente predeterminabili in via astratta.
Nella sentenza 10.6.2014, n. 162, invece, la Corte tutela il “diritto a realizzare la genitorialità” (§ 13 Considerato in diritto) in caso di infertilità superabile solo attraverso il ricorso alla procreazione assistita con l’utilizzo di gameti esterni alla coppia, dichiarando l’illegittimità costituzionale del divieto, in ragione della sua irrazionalità in relazione allo scopo dichiarato della legge di fare fronte a patologie della sfera riproduttiva. Rilevante, in particolare, l’ancoraggio della dichiarazione di incostituzionalità alla “fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi” (§ 6 Considerato in diritto) in vista di un obiettivo costituzionalmente protetto (la formazione di una famiglia con figli) e in assenza di interessi confliggenti di portata tale da giustificare un divieto assoluto di ricorrere a tale pratica.
Allo stesso modo, nella sentenza 11.6.2014, n. 170, la Corte si fa carico della situazione di vita della coppia coniugata che, a seguito della rettificazione di sesso di uno dei coniugi, intenda proseguire in un vincolo riconosciuto dall’ordinamento. Pur escludendo che la prosecuzione dell’unione possa avvenire nella forma del matrimonio, la Corte censura la previsione dell’automatico scioglimento del matrimonio nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione del sesso consenta la prosecuzione del vincolo in altra forma: tale dispositivo – dall’efficacia incerta, specie nel giudizio a quo, e inedito nella sua formulazione, che racchiude gli elementi della pronuncia additiva, del differimento nel tempo degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità e del monito al legislatore affinché introduca l’istituto idoneo a consentire la prosecuzione del vincolo – discende, tuttavia, dalla rilevanza costituzionale della libertà di svolgere la propria personalità in una unione omosessuale, formazione sociale che gode della protezione di cui all’art. 2 Cost.2.
Come si vede, si tratta di decisioni che incidono sulla tutela costituzionale della dignità personale, intesa in questi casi come diritto all’autodeterminazione e al libero svolgimento della propria personalità in ambito affettivo e riproduttivo3; peraltro, se nella decisione in tema di adozione a venire in rilievo è anzitutto la piena effettività della protezione costituzionale dell’identità personale, le altre due pronunce investono in pieno il rapporto tra soggezione del legislatore a premesse ideologiche e morali di portata asseritamente maggioritaria, tutela delle minoranze e, in ogni caso, riconoscimento delle altre visioni del mondo e della vita che percorrono il tessuto pluralistico della società.
Le decisioni mostrano una maggiore sensibilità, da parte della Corte, nei confronti della complessità dei percorsi di esistenza ed il tentativo di alleggerire profili di eccessiva rigidità della legislazione, a favore dell’allargamento degli spazi di autodeterminazione dei singoli. La protezione costituzionale dell’identità personale assume così contorni più morbidi, nel senso dell’inclusione di opzioni alternative e finisce per incorporare nei percorsi di interpretazione costituzionale l’istanza di riconoscimento dell’autodeterminazione e le sue virtualità progressive ed evolutive, così ancorando la tutela costituzionale della dignità personale all’evoluzione storica della comunità4.
2.3 Legge elettorale e diritti politici
La sentenza C. cost., 13.1.2014, n. 1 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni della legislazione elettorale per la Camera e per il Senato – rileva, ai fini della presente analisi, almeno sotto due profili.
Nel merito, anzitutto, per la tutela accordata al diritto di voto e ai diritti di partecipazione politica, attraverso la dichiarazione di incostituzionalità del cd. premio di maggioranza per la lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti (indipendentemente dal superamento di una soglia minima) e della mancata possibilità di esprimere almeno una preferenza.
A livello generale e sistematico, inoltre, si deve registrare l’interazione tra la Corte ed un processo politico da tempo inerte in uno degli ambiti più gelosamente riservati alla discrezionalità politica del legislatore, nonostante le sollecitazioni provenienti dalla sfera pubblica e istituzionale (nonché dalla stessa Corte, in altre occasioni; § 3.1 Considerato in diritto); simile interazione, peraltro, è stata resa possibile dall’allargamento delle maglie dell’ammissibilità della questione di costituzionalità, sotto il profilo della ritenuta autonomia del petitum del giudizio a quo rispetto alla sollevazione della questione incidentale.
L’ammissibilità della questione – afferma la Corte – «costituisce…l’ineludibile corollario del principio che impone di assicurare la tutela del diritto inviolabile di voto» e la sua esclusione, nella perdurante inerzia del legislatore, avrebbe determinato la creazione, a favore della legislazione elettorale, di una vera e propria “zona franca” rispetto alla piena effettività del principio di costituzionalità (§ 3.1 Considerato in diritto).
Il ruolo della Corte si configura così quale vera e propria sede di compensazione delle carenze del procedimento legislativo e, per estensione, dello stesso processo politico.
La Corte, in altre parole, diviene figura centrale del processo di integrazione della comunità politica attorno alla formula costituzionale di convivenza, e sede di gestione e articolazione del pluralismo, attraverso l’apertura e l’approfondimento dei percorsi di interpretazione della Costituzione5. Tale sviluppo, che non è proprio soltanto dell’ordinamento italiano, ma anzi intercetta una tendenza costante in numerosi ordinamenti nazionali e sovranazionali, non è esente da rischi, esplorati dalla dottrina più attenta ai rapporti tra capacità integrativa della decisione giudiziaria e legittimazione delle Corti6.
L’analisi della giurisprudenza costituzionale in materia di diritti investe, pertanto, sfide cruciali per il costituzionalismo contemporaneo.
Anzitutto, viene in rilievo la crisi delle prestazioni integrative di un processo politico incentrato esclusivamente sulla dimensione della rappresentanza parlamentare, di fronte a minoranze organizzate in movimenti sempre più presenti e attivi in una sfera pubblica allargata e aperta alla dimensione transnazionale.
In secondo luogo, deve essere ricordato il rapporto tra giudizio di costituzionalità ed apertura dei percorsi interpretativi della Costituzione a soggetti e istanze ancora non pienamente rappresentati a livello politico, con il problema – aperto e ancora non pienamente risolto – dell’allargamento delle vie di accesso alle Corti costituzionali: proprio l’ambito della protezione dei diritti fondamentali, infatti, rende evidente la relazione tra approfondimento degli spazi di libertà – sotto il profilo del riconoscimento di protezione costituzionale a percorsi di autodeterminazione personale e sociale minoritari e non di rado relegati in una posizione di marginalità sociale – ed evoluzione storica del tessuto costituzionale, attraverso l’apertura dell’interpretazione costituzionale alla considerazione di “nuove” pratiche di libertà, così conferendo inedito spessore prospettico all’equilibrio tra le funzioni di stabilizzazione e orientamento della convivenza, tradizionalmente attribuite alla Costituzione.
Sullo sfondo, si staglia la questione del rapporto tra Corti costituzionali e processo politico. L’assunzione di capacità integrativa da parte delle Corti, in funzione di supplenza o di vera e propria interazione dialettica con il legislatore segna, per un verso, lo spostamento sul piano dell’applicazione del diritto di dinamiche integrative tradizionalmente riservate alla produzione legislativa: la sede giurisdizionale, come è stato autorevolmente affermato, non si pone più soltanto quale “elemento di opportuna interposizione in una lotta politica accesa e serrata”,ma anche quale elemento di «integrazione razionale, in una sede applicativa più analitica ed a contatto con la realtà sociale concreta»7. D’altro canto, il carattere dialettico della relazione con il legislatore, instaurata dalla Corte attraverso le proprie peculiari prestazioni integrative, mette la Corte stessa in una posizione non meramente oppositiva, bensì di “sostegno” rispetto al processo politico e di «aiuto a superare alcuni dei circoli viziosi in cui potrebbe avvitarsi»8.
Da sede di mediazione del conflitto, la Corte può così divenire sede di integrazione di posizioni e argomenti minoritari, contribuendo all’arricchimento dello stesso processo legislativo, anche attraverso una funzione di impulso e prefigurazione di soluzioni concrete da estendere in via generale a casi simili.
1 V. soprattutto Ridola, P., Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, Torino, 2010, nonché, se si vuole, Schillaci, A., Diritti fondamentali e parametro di giudizio. Per una storia concettuale delle relazioni tra ordinamenti,Napoli, 2012.
2 Su questa decisione, v. Saitto, F., Finché “divorzio imposto” non vi separi. Famiglia, rettificazione di sesso e scioglimento ex lege del matrimonio, in Schillaci, A., a cura di, Omosessualità, eguaglianza, diritti. Desiderio e riconoscimento, Roma, 2014.
3 Sul punto, v. per tutti Ridola, P., La dignità dell’uomo e il “principio libertà” nella cultura costituzionale europea, in Id., Diritto comparato, cit., 77 ss.
4 Cfr. Ratti, A., Essere se stessi. La protezione dell’identità sessuale nello Stato costituzionale, in Schillaci, A., a cura di, Omosessualità, cit.
5 Nella corposa letteratura sul punto, v. almeno Mezzanotte, C., Il giudizio sulle leggi. Corte costituzionale e legittimazione politica, Napoli, 2014 (rist.); Zagrebelsky, G.-Marcenò, V., Giustizia costituzionale, Bologna, 2012, nonché Pierandrei, F., L’interpretazione della Costituzione (1952), in Id., Scritti di diritto costituzionale, a cura e con prefazione di L. Elia, I, Torino, 1965, 141 ss.
6 Cfr. tra i molti, Luciani, M., Funzioni e responsabilità della giurisdizione. una vicenda italiana (e non solo), in Giur. cost., 2012, 3823 ss.; Tushnet, M., Taking the Constitution away from the Courts, Princeton, 1999.
7 Cerri, A., Corso di giustizia costituzionale plurale,Milano, 2012, 19.
8 Cerri, A., Corso, cit., 21.