Abstract
Viene analizzata la fisionomia della Corte, indagando ed esaminando, in via generale, le funzioni e i poteri di questa Istituzione e la sua collocazione ordinamentale. Si dà inoltre conto delle più recenti riforme che hanno interessato la Corte, sia sotto il profilo del controllo, sia sotto quello della giurisdizione.
Le norme costituzionali indicano le due principali funzioni svolte dalla Corte dei conti: quella di controllo esterno, esercitata nei confronti degli atti del Governo, sulla gestione del bilancio dello Stato e sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (art. 100, co. 2, Cost.), nonché quella giurisdizionale nella materia di contabilità pubblica e nelle altre stabilite dalla legge (art. 103 Cost.).
Per altro verso, la Costituzione colloca la Corte tra gli organi ausiliari (definendola “Istituto”: art. 100, co. 3, Cost.) quanto alla funzione di controllo; nell’esercizio della funzione giurisdizionale, invece, essa è parte del potere giudiziario.
La considerazione di queste disposizioni consegna un’immagine della Corte dei conti tutt’altro che univoca, profilandosi un’istituzione a carattere per così dire complesso.
Non solo; quasi come la risultante di una serie di cerchi concentrici, accanto al nucleo formato dalle due funzioni testé ricordate, essa è al contempo organo che svolge ulteriori funzioni regolate dalla legge.
Questa complessità ha alimentato un rilevante dibattito relativo alla natura della Corte dei conti (Correale, G., Corte conti, in Dig. Disc. Pubbl., IV, Torino, 1989, 215 ss.).
Le due funzioni che la Costituzione assegna alla Corte dei conti corrispondono a due distinti Poteri (D’Auria, G., Corte dei conti, in Diz. dir. pubbl. Cassese, II, Milano, 2006, 1573): essa, infatti, è Potere dello Stato quando svolge attività sia di controllo preventivo e successivo sulla gestione, «dal momento che tale funzione, per quanto ausiliare, risulta caratterizzata dalla piena autonomia dell’organo investito del suo esercizio» (ex multis, v. C. cost., 14.7.1989, n. 406, ord. 19.1.1995, n. 21 e 28.12.1993, n. 466) e, al contempo, appartiene al Potere giurisdizionale nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.
Si deve registrare che i due Poteri sono di pari dignità alla luce della disciplina costituzionale e tenendo conto dello status dei magistrati.
Questa osservazione ci consegna alcune indicazioni di massima.
Intanto se, anche nella funzione di controllo, la Corte è un potere dello Stato che può addirittura proteggere le proprie prerogative dinanzi alla Corte costituzionale, ciò significa che la sua posizione è del tutto distinta rispetto a quelli di altri organi di controllo sull’amministrazione (e nell’amministrazione: Giampaolino, L., Il contributo del diritto amministrativo in 150 anni di Unità d’Italia: il ruolo della Corte dei conti, in Spasiano, M.R., a cura di, Il contributo del diritto amministrativo in 150 anni di Unità d’Italia, Napoli, 2012, 32). Inoltre, in seno alla pluralità di funzioni attribuite alla Corte, vanno nettamente delimitate e specificamente considerate quelle che trovano un diretto ancoraggio nella Costituzione, tanto da costituire il fondamento per il riconoscimento della qualità di “Potere dello Stato”; come tali, esse godono di una rilevanza e di una “stabilità” ben diverse rispetto alle altre, regolate dalla sola legge.
Tra queste ultime vi sono quelle consultive e di certificazione.
In ordine alle funzioni consultive viene ad esempio in rilievo l’art. 13, Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti (R.d. 12.7.1934, n. 1214), che prevede la formulazione di pareri a Governo e Ministri. Da tenere distinto dalla funzione consultiva, in quanto strettamente legato alla competenza in tema di rendiconto generale, è invece il potere di cui all’art. 41 T.U. Corte dei conti, di esporre «le variazioni o le riforme che crede opportune per il perfezionamento delle leggi e dei regolamenti sull'amministrazione e sui conti del pubblico denaro». Va notato che referente di queste funzioni è sempre il Governo, scelta probabilmente strettamente connessa al fatto che a esso è intestata la potestà di iniziativa legislativa (Carbone, G., Corte dei conti, in Enc. dir., IV, Agg., Milano, 2000, 498).
La disciplina più recente ha inciso sulla funzione consultiva (la norma cui si farà riferimento, peraltro, parla di “collaborazione” e di “pareri”), ampliando sia il novero dei soggetti legittimati a richiedere il parere, sia l’oggetto dell’attività. Particolare rilievo assumono, infatti, le funzioni disciplinate dall’art. 7, l. 5.6.2003, n. 131, le quali sono state incisivamente esercitate dalle sezioni regionali, rendendo centinaia di pareri, così contribuendo alla soluzione di numerosi e delicati problemi interpretativi. Pure il d.lgs. 26.8.2016, n. 174 (Codice della giustizia contabile), dà variamente rilievo, ai fini della responsabilità e della valutazione dell’elemento psicologico, al fatto che l’azione amministrativa si sia conformata ai pareri resi dalla Corte (art. 69, co. 2 e art. 95. co. 4)
In ordine alle funzioni di certificazione, viene in rilievo l’art. 47, d.lgs. 30.3.2001, n. 165 e s.m.i. La mancata certificazione ha ora efficacia impeditiva rispetto alla possibilità di una sottoscrizione definitiva dei contratti.
Un’altra funzione che non può essere con facilità ricondotta a quelle fin qui esaminate è quella referente, che pure trova fondamento nell’art. 100 Cost., là dove si chiarisce che la Corte «riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito». Si è discusso a lungo circa i rapporti tra controllo e referto e sulla riconducibilità degli stessi a un’unica funzione (Guccione, V., Il rapporto Corte dei conti-Parlamento: contributo ad una riflessione sulla funzione referente, in Riv. Corte dei conti, 1990, 235 ss.). Il referto, intanto, spesso segue un controllo già svolto e, anzi, ciò è particolarmente evidente nel controllo preventivo; in quello sulla gestione (figura che però ha caratteristiche del tutto particolari), invece, esso diventa momento interno del controllo. A conferma del carattere affatto peculiare dell’istituto, se talora è corretto inquadrare il referto nell’ambito dell’ausilio che la Corte dà al Parlamento in funzione di controllo politico sul Governo (si pensi alla relazione annuale sul rendiconto dello Stato ai sensi dell’art. 41, R.d. 12.7.1934 n. 1214), non è possibile – ancorché non si tratti di opinione unanimemente accettata – escludere una funzione di autonomo supporto al Parlamento (che prescinde dal riscontro specifico di attività dell’esecutivo, di cui, dunque, non sarebbe l’ultima manifestazione) al fine di garantire che l’attività legislativa rispetti i vincoli di bilancio o di stimolare interventi legislativi adeguati. Molto importante, con riferimento al controllo sulle regioni, è il meccanismo di referto periodico, introdotto dal d.l. 10.10.2012, n. 174, conv. nella l. 7.12.2012, n. 213 (si tratta di un controllo di natura collaborativa).
A fronte di questa eterogeneità di compiti, sussistono elementi a favore dell’unità della figura.
Vi è, ad esempio, un unico organo di autogoverno (art. 10, l. 13.4.1988, n. 117 e s.m., la cui composizione è stata modificata dalla l. 4.3.2009, n. 15) e uno status unitario dei componenti. In ragione della disciplina costituzionale, poi, la Corte nel suo complesso è «organo a rilevanza costituzionale» (Piasco, S., Corte dei conti, in Dig. Disc. Pubbl., Agg., Torino, 2000, 138), nel senso che non può essere eliminato senza modificare la Costituzione medesima. Infine, essa è qualificata espressamente come “magistratura”.
Tuttavia, sembra preferibile ammettere una distinzione organica: se caratteristica dell’organo è la competenza («misura e delimitazione della funzione», Romano, S., Organi, in Id., Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1983, 162), in linea di principio, pare meno razionale – ancorché non logicamente impossibile – ritenere che competenze di controllo e competenze giurisdizionali possano intestarsi a un medesimo organo, proprio perché riconducibili a funzioni ben diverse e disomogenee.
A ciò si aggiunga che dal tessuto normativo emerge un abbozzo di distinzione organizzativa: a tacere del già ricordato fatto che alla Corte sono chiaramente riconducibili quantomeno due “poteri” dello Stato (ciascuno dotato di una propria autonoma competenza), si scorge che, all’interno dell’istituzione, sussiste una marcata distinzione organizzativa, che riflette la diversità di norme, anche costituzionali, che presidiano le due principali funzioni. Dal punto di vista dell’organizzazione, cioè, mentre la disciplina di quella relativa alle funzioni giurisdizionali è rimessa alla legge ai sensi dell’art. 108 Cost. (la Corte dei conti si articola in sezioni giurisdizionali regionali e sezioni centrali d’appello; esistono poi le sezioni riunite e, in Sicilia, un’apposita sezione d’appello: v. artt. 8 e ss., Codice giustizia contabile), quanto alla funzione di controllo sussiste un ampio potere di auto-organizzazione (art. 4, l. 14.1.1994, n. 20, in applicazione dell’art. 100, co. 3, Cost., che riferisce l’indipendenza anche alla Corte in quanto istituto).
Pare dunque corretto, ancorché sia una ricostruzione non consueta, affermare il carattere pluriorganico dell’istituzione, quanto meno nella misura in cui siano identificabili due plessi organizzativi cui riferire due distinti poteri dello Stato.
Siffatta impostazione, tra l’altro, consentirebbe di meglio risolvere alcuni delicati problemi, legati ai casi in cui la funzione giurisdizionale “sporge” sull’area del controllo (ove mancano il carattere dell’imperatività di una decisione finale suscettibile di passare in giudicato, la presenza di garanzie procedurali e il pieno riconoscimento del ruolo delle parti in senso proprio) e viceversa. Alla luce della distinzione tra aree cui sopra si è fatto cenno, queste situazioni debbono essere considerate come eccezioni alla regola e, dunque, vanno interpretate – così come del resto fa la giurisprudenza – restrittivamente.
Quale esempio del fenomeno appena descritto ricordiamo che la Corte conti esercita funzioni in cui permangono tracce di controllo nel caso del giudizio – pur disciplinato con garanzia, appunto giurisdizionali - che nasce dall’obbligo dell’agente contabile di presentare il conto.
Sussiste, inoltre, la legittimazione della Corte dei conti a sollevare questioni di costituzionalità nell’ambito del giudizio di parificazione del bilancio dello Stato, che si svolge con le «formalità della giurisdizione contenziosa, con la partecipazione del Procuratore generale, in contraddittorio con i rappresentanti dell’amministrazione e si conclude con una pronunzia adottata in esito a pubblica udienza» (C. cost., 14.6.1995, n. 244; la parificazione è ora prevista anche per il rendiconto delle regioni).
Infine, la Corte dei conti è stata qualificata come giudice a quo ai fini della proposizione di questioni di legittimità costituzionale emergenti nel corso del controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo (C. cost., 18.11.1976, n. 226). Invero, la ragione fondamentale che ha condotto la Consulta a riconoscere alla Corte dei conti la legittimazione di cui si discute va individuata nella preoccupazione che talune leggi (quelle di spesa) possano risultare non esposte al giudizio di costituzionalità in quanto non applicabili in un giudizio. In ogni modo, va ricordato che siffatta legittimazione non è invece riconosciuta in sede di controllo successivo sulla gestione delle pubbliche amministrazioni, sottolineandosi come, in tal caso, difetti un “giudizio” (C. cost., 20.7.1995, n. 335) in ragione del carattere collaborativo (C. cost., 9.2.2011, n. 67); analogo ragionamento è svolto dal giudice comunitario là dove nega alla Corte dei conti nell’esercizio del controllo successivo sulla gestione, la qualità di «giurisdizione nazionale» ai fini della proposizione di questioni pregiudiziali (C. giust. CE, ord. 26.11.1999, C-192/98).
Rimane dunque confermato, accanto alla sensazione di asimmetria quanto al conflitto di attribuzioni (che può invece essere sollevato in sede di controllo sia preventivo, sia successivo), che le eccezioni rispetto alla corrispondenza tra potere intestato a ciascun organo e caratteristiche dell’attività svolta sono limitate.
Per completezza di analisi, occorre ancora ricordare che assai dibattuto è stato in passato il delicato problema relativo alla possibilità che la Corte dei conti sollevi, in sede del controllo preventivo e in via incidentale (dunque, si noti, dinanzi a se stessa), questioni di legittimità costituzionale con riferimento a qualsivoglia vizio.
A tacere dell’uso assai sorvegliato che la Corte ha fatto di siffatta possibilità, la soluzione negativa, pur se difficilmente giustificabile muovendo dall’analisi dell’istituto generale del sindacato di costituzionalità delle leggi, ove la legittimazione secundum quid non trova cittadinanza (Onida, V., Legittimazione della Corte dei conti limitata “per parametro” o conflitto di attribuzioni, in Giur. cost., 1991, 4169), pare doversi basare sul fatto che una sorta di accesso generalizzato alla Corte costituzionale avrebbe mutato la natura (e la collocazione) della Corte e, proprio per questo, il profilo è di grande interesse ai nostri fini. In altri termini, diversamente opinando, la Corte si vedrebbe trasformata da organo ausiliario a «procura generale della Corte costituzionale a riguardo di tutta la produzione legislativa, senza la intermediazione di situazioni giuridiche soggettive e perciò senza la eventualità e la occasionalità di un ‘processo’, ma in via di normalità e di generalità» (Carbone, G., Art. 100, in Comm. Cost. Branca. Gli organi ausiliari, I, Bologna-Roma, 1994, 100).
La Costituzione, scolpendo il ruolo della Corte come giudice e, nell’esercizio delle funzioni di controllo, nei termini di Istituzione che svolge un controllo esterno, colloca la figura tendenzialmente al di fuori del perimetro dei soggetti interessati dalla sua azione.
Da qui la caratteristica secondo cui il controllo persegue un interesse obiettivo e “esterno” rispetto a quello specifico curato dal soggetto controllato (e che potrebbe, invece, essere considerato dal sistema dei controlli “interni”); ancorché il confine sia di difficile individuazione, dalla medesima collocazione originano la preoccupazione di rispettare la riserva di amministrazione e, sotto il distinto profilo della giurisdizione, l’esigenza che il giudice contabile non si spinga a sindacare il “merito delle scelte discrezionali” (art. 1, co. 1, l. 14.11.1994, n. 20). Una diversa conferma, molto evidente, di questo posizionamento, dal punto di vista della funzione di controllo, è costituito dal fatto che gli atti espressione di tale attività (come detto imparziale e non già finalizzata a tutelare un interesse pubblico specifico) non sono immediatamente lesivi di posizioni soggettive, non esibiscono natura di provvedimenti amministrativi e, conseguentemente, non sono autonomamente impugnabili.
L’alterità, in altri termini, impone anche di rispettare la specificità, il ruolo, la responsabilità e la missione dell’istituzione la cui attività è soggetta a controllo. Altrimenti operando, quel controllo si trasfigurerebbe in attività analoga a quella – dotata di imperatività – di indole giurisdizionale. La disciplina dell’istituto della registrazione con riserva riflette questo equilibrio, misura il limite dell’interferenza (Carbone, G., Art. 100, cit., 94) e definisce la “distanza” rispetto ai due organi con cui l’Istituzione si rapporta e, cioè, il Governo e il Parlamento: con riferimento al primo, la Corte non può prevalere, al secondo deve comunque comunicare gli atti registrati con riserva.
Quanto osservato induce a riflettere sui caratteri del controllo sulla gestione: esso, quasi magneticamente, tende a compenetrarsi con lo svolgimento dell’attività amministrativa, cui si avvicina anche dal punto di vista temporale, alla luce delle riforme più recenti (si pensi ai controlli sulle gestioni in corso di svolgimento); siffatto controllo, comunque, è e deve rimane esterno (anche se in qualche misura presuppone il controllo interno).
Carattere dell’Istituzione e cifra comune che si riflette sulle funzioni a essa intestate è poi l’indipendenza.
Premesso che, storicamente, di “magistratura inamovibile” parlava già Cavour al momento della sua istituzione, l’indipendenza della Corte in quanto istituto e dei componenti “di fronte al Governo” è richiamata dall’art.100, Cost., mentre l’art. 108, co. 2 prevede che la legge assicuri l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali.
In ragione della rilevanza del carattere, sembra possibile riferire tale indipendenza, pur se declinata con relazione con il solo Governo, in generale anche nei confronti di tutti gli altri soggetti della Repubblica (Carbone, G., Corte dei conti, cit., 498).
Più in generale, essa ha concorso ad evitare che la Corte dei conti assumesse una funzione servente rispetto al Governo o ad altri organi.
Inoltre, anche in ragione dell’indipendenza è stato possibile configurare la Corte come Potere dello Stato.
In base a tale assunto, essa è stata individuata come l’Istituzione preposta a svolgere un controllo – senza cagionare lesioni – sulle autonomie territoriali.
Infine, a livello di Organizzazione internazionale delle Istituzioni superiori di controllo, nella cd. dichiarazione di Lima del 1977, che ha fondato INTOSAI, si legge che è indispensabile che ogni Stato abbia una istituzione superiore di controllo delle finanze pubbliche, la cui indipendenza sia garantita dalla legge. Il tema, tra l’altro, si intreccia con la delicata questione della composizione del c.d. organo di autogoverno (disciplinata dall’art. 11, l. 4.3.2009, n. 15), su cui si è recentemente espressa la C. cost., con la sent. 13.11.2011, n. 16.
Ai nostri fini, però, esso dimostra che la collocazione della Corte va definita guardando anche alla relazione che essa – unica magistratura in Italia, almeno con questa intensità - intrattiene con soggetti posti al di fuori dei confini nazionali: ciò accade non solo sul piano internazionale, ma anche comunitario. La Corte dei conti dell’Unione, infatti, è fortemente interessata all’attività delle Corti dei conti nazionali, posto che è responsabilità dell’Europa, ma in cooperazione con gli Stati membri, dare esecuzione al bilancio in conformità al principio della buona gestione delle finanze (art. 317 TFUE: v. Siclari, D., La Corte dei conti europea nei sistemi multilivello, Napoli, 2012).
Rimane il problema di correttamente individuare il tipo di relazione che sussiste con i soggetti nei cui confronti la Corte dei conti si rapporta.
Mentre per ciò che attiene alle funzioni giurisdizionali la questione è sufficientemente chiara, rinviandosi ai consueti profili dell’indipendenza e imparzialità dei giudici, più arduo è fornire una risposta in ordine alle funzioni di controllo (ma anche a quelle consultive e di certificazione).
L’art. 100, Cost. è collocato nella Parte II della Costituzione, sotto il Titolo III dedicato al Governo e, più nel dettaglio, nella Sezione III intitolata “gli organi ausiliari”. La norma, tuttavia, contempla, quali soggetti con cui l’Istituzione entra in “relazione”, il Governo e il Parlamento (al quale ultimo la Corte riferisce).
Parrebbe cioè profilarsi una doppia ausiliarietà (Carbone, G., Il rapporto Corte dei conti - Governo - Parlamento: contributo ad una riflessione sulla funzione referente, in Riv. Corte conti, 1990, 124 e ss).
L’esatta comprensione dei termini del problema, in realtà, richiede di intendersi sulla nozione di ausiliarietà, posto che l’espressione è tutt’altro che univoca. Dal punto di vista storico, la Corte dei conti, istituita per colmare le asimmetrie informative del Parlamento (quindi ausiliare dello stesso), divenne nel tempo soprattutto “ausiliare” del Governo. Il controllo tradizionalmente centrale nel quadro delle attribuzioni della Corte, quello preventivo di legittimità, tuttavia, si configurava soprattutto come strumento di garanzia per impedire irregolarità, dunque a favore di un interesse più generale.
La Costituzione, probabilmente, risente di (e al contempo cerca di dar armonico assetto) questo contesto, molto articolato, maturato prima della sua entrata in vigore.
L’infelice collocazione tra gli organi ausiliari del Governo, cui forse non è estraneo il tributo alla teoria della separazione dei Poteri (sicché la Corte andava pur incasellata da qualche parte), si accompagnano a un deciso rafforzamento della Istituzione; la necessità di valorizzare il ruolo del Parlamento riecheggia nel compito di riferire a esso, con una scelta che avrebbe aperto la via a ulteriori sviluppi nella collocazione della Corte. Sottratta a un legame univoco con l’esecutivo, nei cui confronti, infatti, essa è “indipendente”, la Corte si è progressivamente posizionata saldamente non solo in un contesto di ausilio al Parlamento, ma anche, più in generale, in seno all’ordinamento generale in prospettiva di ausilio alle varie componenti della Repubblica.
In prima battuta, dunque, anche se l’osservazione sposta solo di poco in avanti l’analisi, la “ausiliarietà”, pur richiamata con riferimento al Governo, non significa esclusività di rapporto con l’esecutivo, e, comunque, in ragione della già esaminata indipendenza, non implica alcun asservimento rispetto al Governo.
Il controllo sulla gestione, poi, è stato esteso alle amministrazioni non statali, soprattutto ad opera del d.l. n. 174/2012, conv. nella l. n. 213/2012, finalizzato al rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica e alla garanzia del rispetto dei vincoli che derivano dall’appartenenza alla UE.
In sostanza, con l’andare degli anni, la Corte si è configurata come l’Istituzione preposta alla cura dell’interesse al buon uso delle risorse pubbliche e alla tutela degli equilibri di legittimità degli atti: è, infatti, evidente come ciò portasse ad ampliare il novero dei soggetti controllati, includendovi i vari centri di spesa.
Questa rimodulazione dell’ampiezza e della profondità del controllo, però, stante la chiara lettera dell’art. 100 Cost. doveva trovare sostegno in altre norme della Costituzione.
La Corte costituzionale, infatti, a fronte del significativo incremento dei controlli sulla gestione (anche di amministrazioni non statali), con la sentenza 27.1.1995, n. 29, ha prontamente statuito che essi trovano un fondamento in tutta una serie di norme che interessano la pubblica amministrazione: art. 97, 28, 81, 119. In questo modo, ritenendo non precluso al legislatore ordinario di introdurre ulteriori forme di controllo, è stato offerto significativo sostegno al passaggio da Corte che si occupa principalmente dello Stato a “Corte dei conti pubblici” (includendo in questa area anche quelli delle autonomia regionali).
La sentenza citata è poi importante perché attesta la qualificazione della Corte come organo «al servizio dello Stato-comunità, e non già soltanto dello Stato-governo», «garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza e della economicità». Era questo un passaggio inevitabile, onde evitare il rischio che autonomie costituzionalmente garantite risultassero posizionate sotto la tutela dello Stato.
La Costituzione, comunque, è preziosa perché, a fronte di tutte le spinte ad allargare il raggio di azione della Corte, pare richiamare l’esigenza che “referente” essenziale della stessa sia il Parlamento (e, per estensione, le assemblee dotate di poteri normativi), soprattutto in vista del controllo politico sull’esecutivo. Soprattutto con riferimento al controllo delle finanze pubbliche il referente finale è bensì lo Stato comunità, ma l’interfaccia immediato resta l’organo rappresentativo.
Si può descrivere quanto sin qui espresso ricorrendo all’immagine del centro prototipico di una categoria. Quel centro va individuato tenendo conto di una serie di indici: il carattere esterno dell’attività scolta, l’indipendenza dell’Istituzione e la inidoneità dei pronunciamenti della Corte a innovare direttamente l’ordinamento. Accanto a questo nucleo, vi sono altre figure che si collocano verso i confini più lontani della categoria e che incarnano l’emersione di funzioni diverse o che implicano contenuti differenti dell’ausiliarietà (ad esempio: consulenza e referto a favore del Parlamento).
Incremento di compiti – sempre che, ovviamente, essi non siano riconducibili all’altra macro competenza della Corte, quella giurisdizionale – o contaminazione tra funzioni sembrano giustificabili allorché ciò comporti un “aumenta del livello di protezione di interessi rilevanti” o un “rafforzamento delle garanzie” nell’ordinamento, senza pregiudicare altri valori di pari dignità e senza snaturare la Corte dei conti.
Emblematico è il caso del riconoscimento alla Corte dei conti della qualifica di giudice a quo quanto alla legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di controllo preventivo. Questa soluzione, ancorché forse non pienamente coerente con la nozione di ausiliarietà sopra descritta, è da salutare con favore perché essa consente un ragionevole allargamento del canale di accesso alla giustizia costituzionale in grado di “esporre” anche leggi di spesa allo scrutinio di costituzionalità. Tuttavia, ciò non deve comportare uno snaturamento della Corte, trasformandola in una sorta di “supercontrollore” della legittimità costituzionale delle leggi; la possibilità di sollevare questioni di legittimità, infatti, è eccezionale, stante il limitato spettro applicativo del controllo preventivo, rispetto ad esempio all’estensione di quello successivo.
Più delicato il discorso per i meccanismi di carattere assolutamente impeditivo.
Essi determinano una sostanziale intestazione in capo alla Corte dei conti di funzioni amministrative di cui non vi è traccia nella Costituzione.
Là dove l’esigenza di garantire il buon uso delle risorse pubbliche e il bisogno di arginare la diffusa illegalità sono avvertiti – a torto o a ragione – come preminenti, la scelta di modificare il ruolo della Corte dei conti non appare priva di una sua giustificazione, legata all’effettività dell’azione. Un rafforzamento di siffatto profilo della Corte è inversamente proporzionale al “malaffare” nell’amministrazione o, più correttamente, alla percezione che di questo fenomeno ha un’opinione pubblica in grado di condizionare le scelte legislative. Non si dimentichi che, storicamente, la valorizzazione degli organi di controllo può seguire (o testimoniare) una debolezza della politica, incapace di metter mano ai problemi dell’amministrazione.
La recente normativa dettata con riferimento al controllo sulla gestione finanziaria sugli enti locali e sulle regioni, ad esempio, prevede che il controllo negativo possa giungere fino al punto di precludere l’attuazione dei programmi di spesa (v. d.l. n. 174/2012, cit.).
Quanto alla giurisdizione, la “collocazione” della Corte è qui più chiara in ragione della sua appartenenza al potere giurisdizionale.
Premesso che, ai sensi dell’art. 103 Cost., la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge, va aggiunto che, in ordine alla delicata questione dell’ampiezza dei suoi poteri, si sono registrati andamenti contrastanti, nel senso che, a fronte di una (soprattutto negli ultimi anni) tendenza espansiva, anche avallata dalla Suprema Corte, volta ad allargare l’area della giurisdizione, si debbono pure registrare battute d’arresto, più risalenti nel tempo (si ponga mente all’eliminazione della giurisdizione domestica: l. 6.8.1994, n. 425), ma anche recenti (basti citare l’art. 12, d.lgs. 19.8.2016, n. 175, sulla giurisdizione in tema di società pubbliche).
Invero, la “coabitazione” tra giurisdizione e controllo non è un dato astrattamente necessario, come disvela l’indagine comparata (si pensi al modello anglosassone). Dal punto di vista storico, però, riferendoci alla nostra esperienza (ove la Corte dei conti costituisce comunque un’eccezione all’unicità della giurisdizione), la compresenza delle due funzioni non è senza significato, in quanto, già in origine, la circostanza che l’Istituzione fosse una magistratura ne rafforzava la dignità, ne giustificava l’invocata indipendenza anche sul piano del controllo, e, probabilmente, costituiva un fattore inversamente proporzionale rispetto alla forza del Parlamento.
La duplicità di funzioni, poi, vale a dare sostanza al carattere “specializzato” della magistratura contabile, chiamata a valutare a tutto campo la legalità finanziaria e il corretto uso delle risorse pubbliche; la contestazione di funzioni, infine, ancorché non sia l’unico fattore giustificativo, può concorrere a spiegare il riconoscimento della legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di controllo.
La coabitazione (anche tenendo conto che nell’area del controllo a loro volta “coabitano” tradizionalmente due profili, la verifica della legalità e il controllo sulle finanze, oggi ravvicinati) richiede, però, come già anticipato, uno sforzo di delimitazione tra le aree, che tollera solo eccezioni limitate, e il rispetto dello “statuto” specifico della funzione esercitata: il controllo deve restare vero controllo e la giurisdizione deve essere coerente con i caratteri del processo.
Il legislatore, dal canto suo, s’è mosso nel senso qui indicato in tema di pensioni. Nel settore della responsabilità, ha agito dapprima rendendo ancor più mosso il quadro, allorché, ad esempio, ha moltiplicato i casi di responsabilità tipizzata, quasi a voler “super sanzionare” comportamenti ritenuti essenziali, così spostando la decisione della Corte verso un lido, quello della sanzione, ove sfuma l’orizzonte risarcitorio.
Anche con il fine di assicurare in modo ancora più spinto di quanto non accadesse in passato, in tutte le fasi (compresa quella preliminare), la piena applicazione dei principi che regolano il processo (contraddittorio e parità delle armi) e che ora sono anche di derivazione europea, è stato infine di recente varato l’importante Codice della giustizia contabile (d.lgs. 174/2016, cit.), che ha razionalizzato e dato organicità alla disciplina sul processo dinanzi alla Corte dei conti.
Art. 100, Cost.; art. 103 Cost.; art. 108 Cost.; R.d. 12.7.1934, n. 1214; art. 10, l. 13.4.1988, n. 117; l. 14.11.1994, n. 20; d.l. 10.10.2012, n. 174, conv. nella l. 7.12.2012, n. 213; d.lgs. 26.8.2016, n. 174; art. 12, d.lgs. 19.8.2016, n. 175.
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