corte
Più che la residenza o il palazzo di sovrano o di principe, significa, con valore collettivo, la famiglia o il seguito che ne sono frequentatori; e va distinto dall' ‛ aula ' (aula totius regni comunis est domus et omnium regni partium gubernatrix augusta, VE I XVIII 2) e dalla ‛ curia '; se, infatti, quest'ultimo termine nell'uso contemporaneo si alternava al più legittimo (e anche D. lo usa una volta, in latino, per significare la c. dei Malaspina, in Ep IV 2), il valore proprio di curia si lega a un concetto di legge e di giustizia (cfr. VE I XVIII 2-5 e le note 11 e 21 del Marigo). Appunto nell'attestazione di If XIII 66 La meretrice che mai da l'ospizio / di Cesare non torse li occhi putti, / morte comune e de le corti vizio, ricorre l'accezione generica sopra indicata: Pier della Vigna riferisce la sua denunzia al costume del palatium (l'ospizio di Cesare), che può paragonarsi a quello di ogni altra c. minore, senza che questo tocchi l' ‛ augusta ' dignità dell'aula imperialis.
Con il medesimo valore è attestato in Cv II X 8 e però che ne le corti anticamente le vertudi e li belli costumi s'usavano, sì come oggi s'usa lo contrario, si tolse quello vocabulo da le corti, e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte. Lo qual vocabulo se oggi si togliesse da le corti, massimamente d'Italia, non sarebbe altro a dire che turpezza, e in Fiore XCII 11 nella corte di Roma, ad Orbivieto. Il concetto è quindi trasferito alle figurazioni del mondo dell'amore, in Rime CVI 31 Amore / la segna d'eccellente sua famiglia / ne la beata corte, CXVI 71, Detto 217 c'Amor usa in sua corte, e Fiore LXXXVII 2.
In tutte le altre presenze della Commedia ha valore traslato: per significare " l'Empireo " o in genere " il Paradiso ", è diffusa la metafora della ‛ c. del cielo ', in rapporto diretto o indiretto con quella del ‛ re dell'universo ', come in Pd XXV 43 veduto il ver di questa corte, dove c. è preceduto da numerosi elementi della terminologia curiale (barone, principe, basilica, imperatore, aula, conti); la medesima espressione significa il Paradiso nella sua generale struttura, in Pd X 70 Ne la corte del cielo, ond'io rivegno, e in If II 125 tre donne benedette / curan di te ne la corte del cielo, dove è evidente che Virgilio, che poco prima s'era valso della metafora l'imperador che là sù regna (I 124; cfr. Cv III XII 14) con la genericità che in questo caso gli si addice, intende significare le beate genti immaginate intorno a l'alto seggio di Dio (cfr. If I 120 e 129). Eguale senso di distanza e, in certo modo, di mistero, riecheggia nell'espressione di Pg XVI 41 E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso, / tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte: il Pietrobono vi sente un'apertura verso il prossimo dialogo con Marco Lombardo: " Anche altre volte il cielo sarà detto corte, eterno palazzo e simili; ma qui la parola sembra preludere vagamente all'idea principale del discorso che segue ".
Con la c. celeste s'intende anche il complesso degli spiriti beati, con i loro attributi di virtù (Pd III 45 che vuol simile a sé tutta sua corte; XXI 74, XXIV 112), e di beatitudine (XXVI 16 Lo ben che fa contenta questa corte; XXXII 98), ai quali si unisce la milizia angelica, in XXX 96 sì ch'io vidi / ambo le corti del ciel manifeste (e cfr. Qui vederai l 'una e l 'altra milizia, v. 43). Ha valore, invece, di " tribunale " celeste, in Pg XXI 17 ti ponga in pace la verace corte: " Perché le Corti del mondo sono corti di scena. Forse coll'epiteto verace vuol indicare che la verità alberga solo nella corte del cielo, laddove le menzogne, le frodi, la dissimulazione, l'inganno, e ogni genere di falsità annida per lo più nelle corti terrene " (Gioberti); ma bisogna forse aggiungere che nel caso specifico la virtù prima della c. celeste è la giustizia (cfr. Pg XXXI 41). In Pd VII 51 giusta vendetta / poscia vengiata fu da giusta corte, molti intendono " dal giusto tribunale di Dio "; ma gli antichi pensarono precisamente all'imperatore Tito, come giudice competente, e lo Scartazzini ne indica la conferma in Pd VI 92-93; anche il Chimenz vede qui una " allusione precisa alle parole di Giustiniano ", altri pensa alle " falangi romane " (da cohors) come il De Romanis, o al " satellizio del tribunale divino " costituito dall'esercito romano, come il Bennassuti; ma il Porena non comprende " come possa mettersi in dubbio che si tratti di Dio. Tito era strumento inconsapevole della punizione degli Ebrei; mentre la corte presuppone un giudizio ". In Pd XI 61 e dinanzi a la sua spirital corte / ... le si fece unito, si può intendere " il tribunale spirituale del vescovo ", o " il vescovo e il suo clero " (" il foro ecclesiastico aveva spesso giurisdizione anche civile ", Del Lungo) dinanzi a cui il padre citò Francesco, nel 1207, per aver offerto danaro alla chiesa di S. Damiano.