corte
Lo specchio della monarchia assoluta
Con il termine corte si intende sia la residenza di un sovrano, sia il seguito di nobili, familiari, servitori e artisti che viveva con lui nei grandi palazzi e castelli reali. Le corti, secondo una tradizione ereditata dal Medioevo, furono importanti centri di potere nell'Europa tra il Cinquecento e il Settecento. Il lusso della vita di corte fu il simbolo dell'età dell'assolutismo e, al tempo stesso, un mezzo per tenere sottomessi i sudditi
Tra il 10° e il 12° secolo con il termine corte si designa il gruppo di familiari, aristocratici e domestici che si riunisce intorno al signore. Nell'Europa feudale, dominata da tanti signori locali, sono dunque altrettanto numerose anche le corti. Il centro della vita della corte è il castello: qui il signore riunisce e accoglie la sua cerchia di privilegiati. La vita di corte nel Medioevo non è, però, caratterizzata da lusso esagerato e grandiosità, come avverrà nei secoli successivi: la corte rappresenta la cerchia dei fedelissimi del signore, ma non è un luogo chiuso verso l'esterno, sede di importanti decisioni politiche.
Tra il Trecento e il Quattrocento le corti signorili lasciano il posto alle corti principesche e rinascimentali, più complesse e dispendiose, dove vengono accolti artisti e letterati. Infine, con l'affermarsi delle grandi monarchie europee le corti acquistano sempre maggiore importanza: sono il centro della vita del sovrano e, di conseguenza, dello Stato. Tutti guardano alla corte: i nobili perché desiderosi di farne parte, il popolo per partecipare alla gloria del re sia pure da molto, molto lontano.
Fin dal Medioevo la partecipazione alla vita di corte comporta la necessità di seguire le regole di un comportamento educato e corretto: cortesia è la parola che indica i comportamenti che contraddistinguono le azioni di un aristocratico di fronte a quelle di un popolano. Proprio a partire dalle corti medievali, infatti, si farà strada un po' alla volta, in un tempo lunghissimo che arriverà fino al Settecento, quella che Norbert Elias, uno studioso tedesco del Novecento, ha chiamato la "civiltà delle buone maniere".
In un'epoca in cui tutti mangiano con le mani, si puliscono bocca e naso con la tovaglia e non si lavano quasi mai, cominciano a fissarsi alcune regole di buona educazione: non grattarsi in pubblico, non mettersi le mani nel naso e nelle orecchie, non fare rumori sconvenienti. D'altronde è solo verso la fine del Medioevo che sulla tavola fa la sua apparizione la forchetta, ma quasi sempre la si usa solo per prendere il cibo dai piatti di portata e non per mangiare.
A partire dal Cinquecento le corti divengono uno dei principali strumenti di affermazione del potere regio e poi dell'assolutismo. Corte e governo dello Stato tuttavia non coincidono: anche se molti importanti ministri vivono presso il re, non per questo si evitano i conflitti con la corte. Attraverso la corte il re governa il paese: il modello sociale imposto dalla composizione stessa della corte, che vede i nobili (nobiltà) al vertice della scala sociale, è il modello su cui si fondano tutte le società di antico regime. Anche i modelli culturali della corte si impongono dappertutto: nella musica, nella poesia, nella pittura, nel teatro.
Nei secoli dell'assolutismo per un suddito far parte della corte è un segno d'indiscusso prestigio: si vive alle spese del sovrano e si possono dispensare favori vantandosi della propria posizione. Ma le corti sono soprattutto uno strumento di dominio nelle mani dei sovrani per contenere i poteri eccessivi di alcuni nobili: a corte i sovrani hanno le loro spie e possono anticipare congiure e complotti, dispensare e negare il proprio favore a seconda del momento, riequilibrare le tensioni sociali. Insomma è il sovrano a tirare le fila del gioco e non di rado il re sceglie di servirsi di funzionari borghesi (borghesia), meno potenti degli aristocratici, nei posti chiave dell'amministrazione e del governo per confinare i nobili nell'esilio dorato della corte.
Il lusso mostrato e ostentato dalle corti è uno degli strumenti principali adoperati dai nobili per affermare la propria superiorità: il lusso è un'arma per contenere, controllare e intimidire i gruppi sociali più deboli e poveri. Le corti, dunque, costituiscono un filtro tra i sovrani e i sudditi del regno: attraverso gli spettacoli, i banchetti grandiosi, le luminarie e i fuochi delle feste all'aperto, isolano e innalzano il sovrano al di sopra di tutti. Ma anche per i nobili vivere a corte era come chiudersi in uno splendido isolamento, un isolamento fisico, reale. I più importanti luoghi di residenza delle corti, infatti, sono fuori dalle grandi capitali europee: la reggia di Schönbrunn, appena fuori Vienna, residenza degli Asburgo; Versailles, vicino Parigi, luogo di soggiorno per oltre un secolo della corte dei Borbone di Francia; l'Escorial, ad alcune decine di chilometri da Madrid, un palazzo metà convento e metà fortezza impenetrabile, sede dei sovrani di Spagna.
La società di corte, pensiamo a quella francese di Luigi XIV, si fonda su un cerimoniale prestabilito che deve marcare le distinzioni. Sin dal suo risveglio il re, quando è ancora nel letto, riceve i cortigiani nelle sue stanze secondo ordini gerarchici: dai familiari legittimi e i principi di sangue reale fino alle amanti e ai figli illegittimi (che entrano da porte secondarie); dai ministri del regno a chi chiede udienza per favori e suppliche. Sono previste numerose entrées ("entrate") nella stanza da letto del sovrano e tutte regolate da una rigida etichetta. Inchini, cerimonie di saluto, abbigliamento, banchetti, feste pubbliche: tutto serve al re per mantenere inalterato il suo potere. La Rivoluzione francese si abbatte come un ciclone su questo mondo.
Nella seconda metà del Seicento il filosofo francese Jean de La Bruyère descrisse in un libro di grande successo il carattere ambiguo della corte: luogo di prestigio per chi vi è ammesso, ma anche gabbia dorata della nobiltà. Il cortigiano, scrive La Bruyère, deve saper essere furbo, accorto e anche bugiardo: "Un uomo che conosce la corte è padrone dei suoi gesti, del suo sguardo, della sua espressione; è profondo, impenetrabile, fa finta di non vedere le male azioni, sorride ai nemici, frena il suo malumore, maschera le sue passioni, smentisce il suo cuore, parla e agisce contro i suoi sentimenti". E ancora: "Spesso si va a corte per [poi] tornare [a casa] e farsi rispettare così dal nobile della propria provincia o dal vescovo della propria diocesi".
I pericoli e i vantaggi della vita a corte sono descritti perfettamente in quest'ultimo enunciato: "Un nobile, se vive a casa sua, nella sua provincia, vive libero ma senza appoggi; se vive a corte è protetto, ma è schiavo: le due cose si compensano".
Dietro il lusso sfrenato della corte, le giornate passavano lunghe e noiose. A Versailles, alla corte di Luigi XIV, il Re Sole, le dame trascorrevano i giorni e le notti mangiando dolci e inebriandosi di liquori: così scrive la marchesa di Maintenon, amante e poi dal 1684 moglie segreta del re. "La vita a Corte mi riempiva l'animo di languori e disgusti. Non mi abituavo alle follie di quel luogo e meno ancora alla noia profonda. A Corte, a parte il Re, i ministri e i marescialli, nessuno ha niente da fare. Le giornate trascorrono in vane chiacchiere, giochi, intrighi". Uno sguardo del re, un suo sorriso, scrive la marchesa, erano argomento di conversazione per una settimana. Ma sebbene annoiata e con una forte nostalgia della vita sociale parigina, più brillante e più varia, la marchesa non rinunciò certo ai suoi privilegi: il re, infatti, le aveva assegnato un lussuoso appartamento di quattro camere nel castello di Versailles.