Il concetto di ivoirité è stato promosso durante gli anni Novanta del 20° secolo dall’allora presidente Bédié ed è stato poi fatto proprio dall’ex presidente Gbagbo. L’ivoirité pretende di definire la nazionalità ivoriana sulla base di una serie di nozioni culturali, nell’intento di demarcarne i confini identitari. In realtà l’ivoirité ha incoraggiato un nazionalismo dai risvolti xenofobi, esacerbando l’identità etnica quale forma di auto-identificazione politica, in contrasto con la politica di accoglienza funzionale ai bisogni dell’economia nazionale. Coniato in un periodo di crescente crisi economica, l’ivoirité è servita a proteggere i privilegi economici dei ricchi contro gli strati più poveri della società e contro le richieste di integrazione da parte dei lavoratori immigrati. In termini marcatamente politici, l’ivoirité è stata più precisamente adoperata per consolidare una gestione autoritaria del potere, creando di fatto due livelli di cittadinanza: quella dei ‘puri’ ivoriani e quella dei figli di ‘unioni miste’ o degli ‘alloctoni’. La legge elettorale approvata nel 1994 ha introdotto forti restrizioni al godimento dei diritti politici, sancendo che solo i figli di entrambi i genitori ivoriani avrebbero potuto candidarsi alla presidenza del paese. Proprio su tali basi è stata messa in discussione la piena cittadinanza dell’attuale presidente Alessane Dramane Ouattara, musulmano nativo di Kong, nel nord del paese, figlio di un cittadino del Burkina Faso; Ouattara, che era stato peraltro ministro con Houphouët-Boigny, non aveva potuto così candidarsi alle presidenziali del 1995 e poi a quelle del 1999. L’ivoirité, orgoglio nazionale per i suoi sostenitori e ideologia razzista per i suoi detrattori, ha veicolato un sentimento implicitamente anti-musulmano nel paese, rafforzando il consenso della classe dirigente al potere.