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Costa d’Avorio
Pilastro del sistema di potere della Francia in Africa occidentale anche dopo la fine del colonialismo, la Costa d’Avorio si è rivelata un’area di crisi i cui effetti si estendono ben oltre i propri confini. Le ragioni dell’instabilità riguardano le forme e i contenuti di una difficile transizione che mette in gioco i diritti politici, l’integrazione fra le diverse componenti etniche, culturali e produttive della società e persino l’identità nazionale. L’introduzione del concetto di ivoirité ha avuto un peso rilevante per il precipitare della situazione. A partire dall’indipendenza, acquisita nel 1960, la storia della Costa d’Avorio si è intrecciata a lungo con quella personale di Félix Houphouët-Boigny, che ha retto le sorti del paese fino alla morte, avvenuta nel 1993. Negli anni Novanta fu avviata la transizione dal partito unico al multipartitismo in una situazione di crisi sociale ed economica che trasformò rapidamente quello che era considerato un modello di stabilità politica per l’intera regione in un paese in preda alla guerra civile. Le riforme vennero in particolar modo osteggiate da quei dirigenti che erano espressione degli interessi agrari e referenti degli investitori stranieri. Morto Houphouët-Boigny, divenne presidente Henri Konan Bédié, capo dell’Assemblea nazionale, sulla base di quanto previsto dalla Costituzione e con il sostegno determinante della Francia. Bédié si fece portavoce del concetto di ivoirité ed escluse dalla vita politica, segregandoli anche costituzionalmente, tutti i residenti provenienti o originari di altri paesi africani, che erano giunti in Costa d’Avorio durante il colonialismo ai tempi del boom economico e rappresentavano circa un terzo dell’intera popolazione. Fu messo così a repentaglio il delicato equilibrio di una società composita, ma tradizionalmente capace di integrare i flussi di lavoratori stranieri. Bédié fu poi esautorato nel 1999 dal colpo di stato del generale Robert Guei che, a sua volta, non riconobbe i risultati delle elezioni del 2000, vinte dal candidato del Front Populaire Ivoirien (Fpi) Laurent K. Gbagbo, che allora era noto come strenuo oppositore di Houphouët-Boigny. A seguito di violenti disordini Guei fuggì nell’ottobre del 2000, lasciando la presidenza a Gbagbo. La situazione precipitò nel 2002 quando, dopo un altro colpo di stato, il nord del paese venne di fatto occupato dalle forze antigovernative vicine a Guei, che fu però ucciso in circostanze mai chiarite. Il paese si spaccò in due, con un sud legittimista e identitario e un nord ribelle e vicino alle rivendicazioni degli ‘stranieri’. Nell’ottobre del 2002 fu raggiunto un cessate il fuoco con la creazione di una fascia di interposizione tra il nord e il sud del paese, che venne monitorata dalle truppe francesi. I sospetti di Gbagbo circa un possibile sostegno dell’ex potenza coloniale ai ribelli favorì un più ampio coinvolgimento internazionale, che nel 2003 ha portato alla missione della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas), passata poi sotto mandato delle Nazioni Unite dal 2004. L’accordo siglato a Ouagadougou il 4 marzo 2007, che prevedeva la smobilitazione delle diverse fazioni armate e la riunificazione del paese sotto un nuovo governo di transizione, è stato solo parzialmente applicato. L’indizione per il 31 ottobre 2010 di nuove elezioni presidenziali (attese da ben cinque anni) ha portato al riacutizzarsi della crisi: dopo che la Commissione elettorale indipendente ha dichiarato vincitore al secondo turno Alassane Dramane Ouattara, leader del Rassemblement Démocratique des Républicains (RdR), il Consiglio costituzionale, forse subendo pressioni dall’alto, ha annullato il voto in alcuni distretti del nord e ha proclamato vincitore il presidente uscente Gbagbo. Dopo cinque mesi di guerra civile, la reazione della comunità internazionale e, in particolare, l’intervento militare francese a sostegno del riconoscimento della vittoria elettorale di Alassane Ouattara, hanno portato nel maggio 2011 al suo definitivo insediamento alla guida del paese.
I coinvolgimenti esterni succedutisi nel corso degli anni di conflitto danno un’idea della rete di relazioni internazionali in cui è coinvolto il paese. La Costa d’Avorio è membro delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, dell’Ecowas – di cui Ouattara è stato presidente di turno tra il 2012 e il 2014 –, della Comunità degli stati sahelo-sahariani (Cen-Sad) e della Comunità Francofona. Parigi rimane il principale partner politico ed economico ivoriano, soprattutto per i piani d’investimento infrastrutturale previsti per alcune grandi città. Sono proprio le opportunità d’investimento e la necessità del governo di finanziare i suoi ambiziosi piani di spesa a guidare le relazioni internazionali della Costa d’Avorio, da cui il progressivo avvicinamento del paese all’Oriente, e alla Cina in particolare. Ottimi sono anche i rapporti con gli Stati Uniti. Sul piano regionale il paese ha più volte giocato un ruolo di mediazione con i propri vicini, tuttavia la cooperazione tra essi rimane segnata da rivalità politiche, da dispute di confine e dalla carenza di canali istituzionali che affrontino in modo corretto le varie questioni aperte. La Costa d’Avorio evita di sfidare le ambizioni di leadership perseguite dalla potente Nigeria in nome della cooperazione regionale, e orienta le relazioni con Ghana e Liberia in funzione del loro sostegno alla lotta di Ouattara contro le milizie fedeli a Gbagbo. Le relazioni internazionali ivoriane potrebbero imboccare svolte inattese qualora le indagini sulle atrocità commesse durante il conflitto, che hanno già portato all’incriminazione all’Aia di Gbagbo, dimostrassero un coinvolgimento dei membri del nuovo governo di Ouattara.
Nonostante la sua scarsità numerica (circa 20 milioni), la popolazione ivoriana si divide in più di 60 gruppi etnici, di cui i principali sono: Akan, Krou, Mande meridionali, Mande settentrionali e Senoufu/Lobi. Sono più di 60 anche le lingue e i dialetti africani parlati nel paese (in particolare agni, baoulé, senoufo e malinke), sebbene la lingua ufficiale resti il francese, che viene utilizzato dai media, dal sistema scolastico e dall’amministrazione pubblica. Sulla base del censimento del 1998 la fede più diffusa è quella musulmana (38,6%), seguita da quella cristiana cattolica (32,8%) e da quella protestante (6,6%). Rimangono diffusi i culti tradizionali e sincretici (28%), assieme alle Chiese indipendenti africane. Circa un terzo della popolazione è costituito da immigrati o da figli e nipoti di immigrati. Durante il colonialismo la Francia favorì il travaso di manodopera rurale dai paesi dell’interno come il Niger, il Sudan francese (odierno Mali) e soprattutto l’Alto Volta (odierno Burkina Faso). Esistono inoltre importanti comunità libanesi e siriane che arrivarono con il beneplacito dei colonizzatori francesi con il compito di svolgere una funzione di intermediazione economica o amministrativa. Fino alla guerra civile, la relativamente ricca economia della Costa d’Avorio continuò a rappresentare una meta privilegiata per gli abitanti dei paesi limitrofi più poveri. L’emigrazione ha contribuito all’aumento del tasso di urbanizzazione e all’aggravarsi del problema della disoccupazione urbana, in particolare ad Abidjan, anche se la povertà continua a colpire soprattutto la popolazione rurale. Riveste infine una particolare importanza culturale ed economica la comunità di espatriati francesi, che nel 2008 ammontava a più di 10.000 persone (erano circa 37.000 un decennio prima).
Nonostante gli sforzi compiuti e il sistema scolastico che ricalca quello francese, il tasso di analfabetismo rimane alto. Il rispetto dei diritti umani, in quello che era definito un paese parzialmente libero, si è considerevolmente deteriorato a causa della guerra civile, che ha portato anche alla contrazione della libertà di stampa. Il presidente Ouattara, sulla scorta di altri paesi africani, ha nominato una Commissione per la verità e la riconciliazione, con l’obiettivo di giudicare i responsabili delle violenze durante la guerra civile. Si teme che un processo sbilanciato contro i sostenitori dell’ex presidente Gbagbo, al momento detenuto presso la Corte penale internazionale, possa avere degli effetti devastanti sulle possibilità di ripresa della Costa d’Avorio.
Quella che era un tempo conosciuta come una delle economie più avanzate nel continente (la ‘Svizzera d’Africa’) risente ancora pesantemente degli strascichi di dieci anni di conflitto interno. Al contempo, la ritrovata stabilità politica sembra favorire una decisa crescita economica di circa l’8%, che dovrebbe continuare nel breve termine. Inoltre il nuovo presidente sta dando fondo a tutte le proprie risorse di credibilità internazionale per ovviare ad anni di recessione e riallacciare rapporti con i donatori internazionali.
Società francesi, per esempio, si occuperanno della costruzione di un ponte di un chilometro e mezzo ad Abidjan e dell’ammodernamento del porto di San Pédro. Dopo un decennio d’investimenti insufficienti, il rilevante potenziale dei settori agricolo, minerario e degli idrocarburi attrae pretendenti da Europa, Nord America e Asia (in particolare Cina), incoraggiati dalla stabilità che sembra avviata nel paese. Tra il novembre 2011 e il giugno 2012 i creditori internazionali hanno condonato il 60% del debito, aprendo la strada al ristabilimento di relazioni economiche internazionali più favorevoli.
Dall’epoca coloniale in avanti, l’economia della Costa d’Avorio si è basata sulla coltivazione di prodotti tropicali e, più recentemente, sulla produzione di petrolio, venduto soprattutto agli Stati Uniti. In particolare, il paese è il maggior produttore ed esportatore mondiale di fave di cacao e un importante produttore ed esportatore di caffè e olio di palma. Di conseguenza, l’economia è altamente sensibile alle fluttuazioni internazionali dei prezzi di questi prodotti e, in misura minore, alle condizioni climatiche. Inoltre lo sfruttamento sistematico delle foreste per la produzione di legnami pregiati o per far spazio alle monocolture agricole ha portato alla deforestazione di circa l’80% della loro estensione originaria, mettendo a rischio la biodiversità del paese. L’abbozzo di una legislazione ambientale è stato compromesso una volta di più dalla guerra civile.
A tutt’oggi circa il 68% della popolazione è impiegata nel settore agricolo. La proprietà della terra è riservata ai cittadini ivoriani ed è largamente privata, nonostante l’esistenza di alcune aziende pubbliche. Grazie agli impianti di produzione di gas naturale, la Costa d’Avorio è un esportatore netto di energia. Nel 2008 gli investimenti stranieri diretti pesavano per il 40-45% sul totale e in particolare quelli francesi rappresentavano il 55-60% di quelli esteri, ulteriore testimonianza dello strettissimo legame politico ed economico con l’ex madrepatria. Dopo una prima crisi economica negli anni Ottanta, il paese passò per una nuova fase di ripresa attraverso le riforme guidate dal Fondo monetario internazionale, con la svalutazione nel 1994 per la metà del suo valore del franco Cfa, valuta garantita una volta dal franco francese e oggi dall’euro.
La svalutazione fu a lungo osteggiata da Parigi malgrado le insistenze della Banca mondiale. L’aumento dell’instabilità politica aveva prodotto una forte contrazione degli investimenti esteri e un peggioramento dei parametri economici e della qualità di vita. La moderata fase di crescita economica era stata momentaneamente interrotta dal conflitto civile nel 2011, ma ha ritrovato nuovo slancio a seguito della rinnovata stabilità politica, attestandosi sull’8% di media nel biennio successivo. Un’estesa economia informale contribuisce tuttavia a limitare le entrate fiscali, dando però sollievo alla disoccupazione. Nel complesso, la Costa d’Avorio risente di un basso livello di reddito pro capite, ma soprattutto sconta gli effetti negativi della guerra e della crescente corruzione. La performance economica del paese è inferiore a quella del Ghana (il principale rivale economico nella regione), ma moderatamente superiore a quella dei vicini più poveri (Burkina Faso, Mali, Guinea e Liberia).
Sul piano strategico, a seguito della fine della guerra civile l’esercito ivoriano si trova oggi ad affrontare la sfida della smobilitazione delle truppe e a convivere con l’ingente presenza di forze militari internazionali sul territorio. Dal 1961 la Francia mantiene un proprio contingente nel paese, che fornisce armi e addestramento all’esercito locale. Durante la crisi del 2002 tale contingente è arrivato a contare 4000 soldati.
Nella crisi succeduta alle elezioni presidenziali del novembre 2010, la Francia ha nuovamente rafforzato la propria presenza nel paese e ha contribuito a determinare la resa di Gbagbo e dei suoi sostenitori (allora la Francia contava ben 1650 militari nel paese, che sono oggi ridotti a 450). Nel gennaio 2003 l’Ecowas ha dispiegato una forza di 1500 uomini, confluita poi, assieme al contingente francese, nella United Nations Operation in Côte d’Ivoire, decisa dal Consiglio di sicurezza nel 2004 e a oggi operante sul territorio.
Buona parte dei paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea, tra cui la Costa d’Avorio, sono stati recentemente accomunati da una minaccia che non inerisce solo alla sfera della sicurezza ma anche a quella economica. Nel 2013 gli attacchi di pirateria nel golfo sono quasi raddoppiati rispetto all’anno precedente e hanno provocato una crescente insicurezza marittima che si manifesta in una lievitazione dei costi di trasporto e in una diminuzione degli scambi. Ad alimentare la pirateria contribuiscono soprattutto la povertà e la mancanza di un’efficace cooperazione navale multilaterale tra gli stati del Golfo. Per ovviare al problema, l’Ecowas e la Comunità economica degli stati dell’Africa centrale (Eccas) sono in procinto di sviluppare iniziative che dovrebbero essere sostenute a livello internazionale e coordinate a livello regionale. In questa direzione si muove, per esempio, l’accordo militare firmato nel settembre 2013 tra Costa d’Avorio e Liberia, volto a rafforzare i confini e a creare politiche di difesa comuni.
La ritrovata stabilità politica sembra aver permesso al paese di superare la crisi post-elettorale di tre anni fa, permettendo all’economia della Costa d’Avorio di riprendere il ritmo intenso che l’ha caratterizzata in passato.
Continuano i lavori di ricostruzione delle infrastrutture del paese, che vanno di pari passo col risanamento del tessuto sociale. Nonostante ciò, la Costa d’Avorio continua a essere teatro di gravi violazioni dei diritti umani, di episodi di vendetta e di un generale clima d’instabilità sociale che allontana l’obiettivo di una riconciliazione tra le parti. La regione occidentale del paese, in parte rimasta fedele a Gbagbo, è ancora imprevedibile e spesso soggetta ad attacchi. Nel mese di marzo 2013, per esempio, i villaggi di frontiera di Zilebly e Petit Guiglo sono stati presi d’assalto e incendiati da un gruppo armato nel mezzo della notte. L’abbandono temporaneo delle proprietà, ossia delle abitazioni e dei terreni coltivati (unica fonte di sostentamento per molte famiglie), ha riacceso tra l’altro antiche dispute territoriali e ne ha provocate di nuove, innalzando il timore di crescenti tensioni contro le autorità locali e di crisi umanitarie. Il rimbalzo economico ivoriano, che ha registrato un tasso di crescita pari al 9,8% già l’anno scorso, si rivela quindi come un passo poco significativo al fine di garantire la stabilità nel paese senza l’avvio di un processo di unione nazionale con imparziali garanzie di sicurezza. Un altro problema per la stabilità futura del paese son le precarie condizioni di salute del presidente. Ouattara, all’età di 72 anni, si è dovuto infatti assentare a più riprese dalla vita politica nel corso del 2014 per seguire cure specializzate in Francia, lasciando interrogativi riguardo alla sua candidature alle prossime elezioni, previste per la fine del 2015.