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Costa d’Avorio
Dopo essere stata il pilastro del sistema di potere della Francia in Africa occidentale anche dopo la fine del colonialismo, la Costa d’Avorio si è trasformata in un’area di crisi, con effetti che si estendono oltre i suoi confini. Le ragioni della crisi riguardano le forme e i contenuti di una difficile transizione che mette in gioco i diritti politici, l’integrazione fra le diverse componenti etniche, culturali e produttive della società e persino l’identità nazionale. L’introduzione del concetto di ivoirité ha avuto infatti un peso rilevante data la presenza nel paese di ingenti comunità di stranieri (Burkina Faso, Niger, Mali). La vittoria di Alassane Ouattara alle elezioni presidenziali del dicembre 2010 e il successo del suo partito alle legislative del dicembre 2011 hanno dato il via a una fase di stabilizzazione irta di difficoltà.
A partire dall’indipendenza, proclamata nel 1960, la storia della Costa d’Avorio si è intrecciata con quella personale di Félix Houphouët-Boigny, che ha retto le sorti del paese fino alla morte, avvenuta nel 1993. Negli anni Novanta fu avviata la transizione dal partito unico al multipartitismo in una situazione di crisi sociale ed economica che trasformò rapidamente quello che era considerato un modello di stabilità politica per l’intera regione in un paese in preda alla guerra civile. Le riforme vennero in particolar modo osteggiate dai dirigenti espressione degli interessi agrari e referenti degli investitori stranieri.
Nel 1993, morto Houphouët-Boigny, divenne presidente Henri Konan Bédié, presidente dell’Assemblea nazionale, sulla base di quanto previsto dalla Costituzione e con il sostegno determinante della Francia. Bédié si fece portavoce del concetto di ivoirité ed escluse dalla vita politica, segregandoli anche costituzionalmente, tutti i residenti provenienti o originari di altri paesi africani, che rappresentavano circa un terzo dell’intera popolazione. Fu messo così a repentaglio il delicato equilibrio di una società composita ma tradizionalmente capace di integrare i flussi di lavoratori stranieri. Bédié fu poi esautorato nel 1999 dal colpo di stato del generale Robert Guei che, a sua volta, non riconobbe i risultati delle elezioni del 2000, vinte dal candidato del Front populaire ivoirien (Fpi) Laurent K. Gbagbo. A seguito di violenti disordini Guei fuggì nell’ottobre del 2000 lasciando la presidenza a Gbagbo. La situazione precipitò nel 2002 quando, dopo un altro colpo di stato, il nord del paese venne di fatto occupato dalle forze anti-governative vicine a Guei, che fu però ucciso in circostanze mai chiarite.
A seguito degli sforzi di mediazione intrapresi dalla Francia, dal Burkina Faso e dalle Nazioni Unite, nell’ottobre del 2002 fu raggiunto un cessate il fuoco con la creazione di una fascia di interposizione tra il nord e il sud del paese, che venne monitorata dalle truppe francesi. I sospetti di Gbagbo circa un possibile sostegno dell’ex madrepatria ai ribelli favorì un più ampio coinvolgimento internazionale che nel 2003 ha portato alla missione della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas), passata poi sotto mandato delle Nazioni Unite dal 2004. L’accordo siglato a Ouagadougou il 4 marzo 2007, che prevedeva la smobilitazione delle diverse fazioni armate e la riunificazione del paese sotto un nuovo governo di transizione, è stato solo parzialmente applicato. L’indizione il 31 ottobre 2010 di nuove elezioni presidenziali (rinviate di anno in anno per contrasti sulle liste elettorali) doveva segnare la fine della crisi ma ha portato al riacutizzarsi delle tensioni: dopo che la Commissione elettorale indipendente ha dichiarato vincitore al secondo turno Alassane Dramane Ouattara, leader del Rassemblement démocratique des républicains (Rdr), mentre il Consiglio costituzionale, forse subendo pressioni dall’alto, ha annullato il voto in alcuni distretti del nord e ha ‘incoronato’ vincitore il presidente uscente Gbagbo. Dopo cinque mesi di guerra civile, la reazione della comunità internazionale, e in particolare l’intervento militare francese a sostegno del riconoscimento della vittoria elettorale di Ouattara, ha portato nel maggio 2011 al suo definitivo insediamento alla guida del paese.
Sebbene l’instabilità politica abbia parzialmente invertito questa tendenza negli ultimi anni, l’emigrazione ha contribuito all’aumento del tasso di urbanizzazione e all’aggravarsi del problema della disoccupazione urbana, in particolare ad Abidjan, anche se la povertà continua a colpire soprattutto la popolazione rurale. Riveste infine una particolare importanza culturale ed economica la comunità di espatriati francesi, che nel 2008 ammontava a più di 10.000 persone (erano circa 37.000 un decennio prima).
La lingua ufficiale è il francese, che viene utilizzato nei media, nel sistema scolastico e nell’amministrazione pubblica. Sono più di 60 le lingue e i dialetti africani parlati nel paese, in particolare agni, baoulé, senoufo e malinke. Sulla base del censimento del 1998 la fede più diffusa è quella musulmana (38,6 %), seguita da quella cristiana cattolica (19,4%) e da quella protestante (6,6%). Rimangono diffusi i culti tradizionali e sincretici insieme alle Chiese indipendenti africane. Nonostante gli sforzi compiuti il tasso di analfabetismo rimane alto, in un sistema scolastico ampiamente improntato al modello francese. Il rispetto dei diritti umani, in quello che era definito un paese parzialmente libero, si è considerevolmente deteriorato a causa della guerra civile, che ha portato anche alla contrazione della libertà di stampa. Il presidente Ouattara, sulla scorta dell’esempio di altri paesi africani, ha nominato una Commissione per la verità e riconciliazione, con l’obiettivo di processare i responsabili delle violenze commesse su entrambi i fronti durante la guerra civile. Si teme che un processo sbilanciato contro i sostenitori dell’ex presidente Gbagbo, al momento detenuto presso la Corte penale internazionale, possa avere degli effetti devastanti sulle possibilità di ripresa della Costa d’Avorio.
I danni derivanti all’economia più sviluppata dell’Africa occidentale (il paese era conosciuto come la ‘Svizzera d’Africa’) da dieci anni di conflitto interno sono ingenti. Il nuovo presidente sta dando fondo a tutte le proprie risorse di credibilità internazionale (ha svolto in passato incarichi di vertice nel Fondo monetario internazionale) per riallacciare rapporti con i donatori, attori indispensabili per trovare le risorse per ricostruire una rete di infrastrutture tra le più sviluppate della regione e per mobilitare investitori interessati. Tra il novembre 2011 e il giugno 2012 i creditori esteri hanno condonato il 60% del debito, aprendo la strada del ristabilimento di relazioni economiche internazionali più favorevoli.
Dall’epoca coloniale in avanti l’economia della Costa d’Avorio si è basata sulla produzione ed esportazione di prodotti tropicali (cacao, caffè, cotone, ananas, olio di palma, gomma e legnami tropicali), a cui si è aggiunto in anni più recenti il petrolio, venduto soprattutto agli Stati Uniti. L’intera economia nazionale è particolarmente dipendente dalla variazione dei prezzi dei più importanti prodotti da monocoltura. Lo sfruttamento sistematico delle foreste per la produzione di legnami pregiati o per far spazio alle monocolture agricole ha portato alla deforestazione di circa l’80% della loro estensione originaria, mettendo a rischio la biodiversità del paese. L’abbozzo di una legislazione ambientale è stato compromesso una volta di più dalla guerra civile.
A tutt’oggi la maggioranza della popolazione è impiegata nel settore agricolo. La proprietà della terra è riservata ai cittadini ivoriani ed è largamente privata, nonostante l’esistenza di alcune aziende pubbliche. Grazie agli impianti di produzione di gas naturale, la Costa d’Avorio è un esportatore netto di energia. Nel 2008 gli investimenti stranieri diretti pesavano per il 40-45% su quelli totali e in particolare quelli francesi rappresentavano il 55-60% di quelli esteri, ulteriore testimonianza dello strettissimo legame politico ed economico con l’ex madrepatria. Dopo una prima crisi economica negli anni Ottanta, il paese passò per una nuova fase di ripresa attraverso le riforme guidate dal Fondo monetario internazionale, con la svalutazione nel 1994 per la metà del suo valore del franco Cfa, valuta garantita una volta dal franco francese e oggi dall’euro. La svalutazione fu a lungo osteggiata da Parigi malgrado le insistenze della Banca mondiale. L’aumento dell’instabilità politica ha prodotto una forte contrazione degli investimenti esteri e un peggioramento dei parametri economici e della qualità di vita. Dal 2004 si è registrata una nuova fase di crescita che è continuata attraverso la crisi economico-finanziaria internazionale del 2008 (il tasso nel 2009 era del 3,6%). Un’estesa economia informale contribuisce a limitare le entrate fiscali, dando però sollievo alla disoccupazione.
La Costa d’Avorio figura tra i 20 paesi più poveri al mondo nella classifica stilata dalla Banca mondiale nel 2010. Il dato riflette il basso livello di reddito pro capite, ma soprattutto sconta gli effetti negativi della guerra e la crescente corruzione. A livello regionale la collocazione della Costa d’Avorio è inferiore a quella del Ghana (il principale rivale economico nella regione), ma moderatamente superiore ai suoi vicini più poveri (Burkina Faso, Mali, Guinea e Liberia).
La Costa d’Avorio è membro delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, dell’Ecowas – di cui Ouattara è presidente di turno –, della Comunità degli stati sahelo-sahariani (Cen-Sad) e della Comunità Francofona. La Francia rimane il principale partner politico ed economico, anche se le relazioni bilaterali avevano subìto un peggioramento durante la presidenza Gbagbo a partire dalle proteste antifrancesi scoppiate ad Abidjan nel gennaio-febbraio 2003. Ottimi sono anche i rapporti con gli Stati Uniti, oggi come durante tutta la Guerra fredda. Sul piano regionale il paese ha più volte giocato un ruolo di mediazione. Il presidente ivoriano Bédié, ad esempio, ha svolto un ruolo fondamentale nel conseguimento del cessate il fuoco che nel 1996 portò alla fine della guerra civile in Sierra Leone. Tra 1996 e 1997 un contingente ivoriano ha partecipato alla missione internazionale di pace nella vicina Liberia, dove la guerra civile rischiava di destabilizzare l’intera regione.
Sul piano prettamente strategico, l’esercito ivoriano si trova ad affrontare la sfida della smobilitazione delle truppe dopo la fine della guerra civile. Rilevante è anche la presenza di forze militari internazionali come residuo dell’operazione dell’Onu. Dal 1961 la Francia ha mantenuto un proprio contingente nel paese, fornendo armi e addestramento all’esercito locale, e durante la crisi del 2002 tale contingente è arrivato a contare 4000 soldati. Durante la crisi succeduta alle elezioni presidenziali del novembre 2010, la Francia ha nuovamente rafforzato la propria presenza e contribuito con un intervento militare in piena regola a determinare la resa di Gbagbo e dei suoi sostenitori (ora la Francia conta 1650 militari nel paese, che verranno ridotti a 300). Nel gennaio 2003 l’Ecowas ha dispiegato una forza di 1500 uomini, confluita poi insieme al contingente francese nella United Nations Operation in Côte d’Ivoire, decisa dal Consiglio di sicurezza nel 2004 e ad oggi operante sul territorio.
Il concetto di ivoirité è stato promosso durante gli anni Novanta del 20° secolo dall’allora presidente Bédié ed è stato poi fatto proprio da Laurent Gbagbo. L’ivoirité pretende di definire la nazionalità ivoriana sulla base di una serie di nozioni culturali, nell’intento di demarcarne i confini identitari. In realtà l’ivoirité ha incoraggiato un nazionalismo dai risvolti xenofobi, esacerbando l’identità etnica quale forma di auto-identificazione politica di un nucleo ‘autentico’, in contrasto con la politica di accoglienza funzionale ai bisogni dell’economia nazionale. Coniato in un periodo di crescente crisi economica, l’ivoirité è servita a proteggere i privilegi economici dei ricchi contro gli strati più poveri della società e contro le richieste di integrazione da parte dei lavoratori immigrati. In termini marcatamente politici, l’ivoirité è stata adoperata per consolidare una gestione autoritaria del potere, creando di fatto due livelli di cittadinanza: quella dei ‘puri’ ivoriani e quella dei figli di ‘unioni miste’ o degli ‘alloctoni’. La legge elettorale approvata nel 1994 ha introdotto forti restrizioni al godimento dei diritti politici, sancendo che solo i figli di entrambi i genitori ivoriani avrebbero potuto candidarsi alla presidenza del paese. Proprio su tali basi è stata messa in discussione la piena cittadinanza dell’attuale presidente Alessane Dramane Ouattara, musulmano nativo di Kong, nel nord del paese, figlio di un cittadino del Burkina Faso; Ouattara, che era stato peraltro ministro con Houphouët-Boigny, non aveva potuto così candidarsi alle presidenziali del 1995 e poi a quelle del 1999. L’ivoirité, orgoglio nazionale per i suoi sostenitori e ideologia razzista per i suoi detrattori, ha veicolato un sentimento implicitamente anti-musulmano nell’intento di rafforzare il consenso della classe dirigente al potere.