Costantino nella storiografia francese del Novecento: Marrou e Pietri
Henri-Irénée Marrou fu incontestabilmente uno dei maggiori storici europei dello scorso secolo. Nato nel 1904 a Marsiglia, allievo a Parigi dell’École normale supérieure (1926-1928), membro dell’École française de Rome (1930-1932), insegnò poi all’Istituto francese di Napoli (1932-1937), quindi fu professore di Storia antica nelle università del Cairo (1937-1938), di Nancy (1938-1939), di Montpellier (1940-1941) e di Lione (1941-1945). Dal 1945 al 1975, ordinario di Storia del cristianesimo alla Sorbona, esercitò una profonda influenza su parecchie generazioni di studenti e molto fece per la riscoperta della fin allora misconosciuta cultura cristiana del Tardoantico. Nel 1967 fu eletto all’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Morì nel 19771. La sua multiforme opera comprende numerosi contributi di storia antica, storia del cristianesimo antico, patristica, epigrafia e archeologia cristiana2, una tesi continuamente ristampata dal 1938 su Sant’Agostino e la fine della cultura antica3?, una famosissima Storia dell’educazione nell’antichità4?, un’edizione bilingue commentata della celebre apologia A Diogneto5?, un saggio divulgativo che definitivamente introdusse nella lingua francese l’espressione Antiquité tardive6?, ma anche un trattato di epistemologia e metodologia della storia7, una meditazione di spirito agostiniano sulla Teologia della storia8? e, sotto lo pseudonimo di Henri Davenson, diversi libri e articoli sul cristianesimo e la cultura, sulla musica e sulla cultura popolare9. Nel 2006 è stata pubblicata in un volume la serie dei suoi taccuini intimi, che rivela la spiritualità personale di questo fervente cattolico impegnato al tempo stesso nella vita della Chiesa e nella travagliata storia del mondo10.
Charles Pietri nacque nel 1932, anche lui a Marsiglia. Arrivò a Parigi nel 1952 come allievo dell’École normale supérieure. Si laureò alla Sorbona con Marrou nel 1955. Membro a sua volta dell’École française de Rome (1959-1960), insegnò poi la storia antica nelle università di Lille e di Nanterre. Nel 1975 divenne professore ordinario di Storia del cristianesimo antico alla Sorbona, succedendo al suo maestro Marrou. Nominato nel 1983 direttore dell’École française de Rome, ottenne nel 1989 un secondo mandato; ma il 7 agosto 1991, dopo pochi mesi di lotta contro un cancro folgorante, morì all’acme della sua copiosa produzione scientifica come della sua instancabile attività direttoriale11.
Pietra miliare degli studi moderni sulla Chiesa romana di età tardoantica, la sua Roma christiana, che copre gli anni 311-440, fu pubblicata in due grossi tomi nel 197612. I suoi articoli scientifici sono stati raccolti nel 1997 in tre volumi postumi13 mentre i suoi scritti impegnati erano stati ristampati già nel 1992 in un libro dal titolo eloquente: Charles Pietri, historien et chrétien14?.
Storico innanzitutto della cultura, dell’educazione e della civiltà, appassionato ammiratore di sant’Agostino e dei Padri della Chiesa, Marrou invero non dà l’impressione di avere nutrito per Costantino un particolare interesse. Pare appunto significativo che parli di questo imperatore per la prima volta nei suoi lavori pubblicati solo nel 1954, in due pagine del trattato sulla Conoscenza storica in cui la questione della ‘conversione’ di Costantino viene addirittura citata come esempio di un problema molto discusso ma, data la mancanza di documenti affidabili, del tutto insolubile15. Cinque anni dopo, un suo articolo erudito sul monogramma costantiniano appare in una raccolta in onore dell’illustre specialista della filosofia medievale Étienne Gilson (1884-1978)16. Nel 1963, nella seconda parte del primo volume della Nouvelle histoire de l’Église, Marrou spiega invece al pubblico colto la politica religiosa di Costantino nel suo complesso17. Nel 1970, in una seduta dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, fa un breve intervento dopo la relazione presentata sulla ‘questione costantiniana’ da un altro accademico, specialista anche lui del periodo tardoantico, Jean-Rémy Palanque (1898-1988)18. A questi scritti universitari la recente pubblicazione dei Carnets posthumes permette di aggiungere due menzioni ‘private’ del primo imperatore cristiano, l’una del 1928 l’altra del 1940 o del 194119. L’insieme di questi testi sembra abbastanza consistente per consentirci di ricostruire nella sua coerenza la posizione di Marrou di fronte a Costantino.
Nel 1954, alla fine del quinto capitolo del suo trattato di epistemologia della storia, Marrou tiene a concludere la sua riflessione sull’uso dei documenti sottolineando «l’imperdonabile leggerezza» degli storici che hanno piacere a sollevare, pure nell’assenza di adeguate fonti, «problemi insolubili». Tipico esempio di questa tendenza, le controversie sulla conversione di Costantino. Ci sono a questo proposito tre punti saldi: in primo luogo dopo la sua vittoria su Massenzio, Costantino orienta la politica religiosa dell’Impero romano in un senso favorevole al cristianesimo; in secondo luogo egli stesso dimostra una crescente simpatia per questa religione; in terzo luogo muore dopo essere stato battezzato. Si possono inoltre datare le varie manifestazioni di questo atteggiamento nella misura in cui esistono su di esse testi giuridici e monete; ma invece è vano interrogarsi su ciò che accadde nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 312, perché mancano i documenti: non abbiamo memorie sulla corte di Costantino né scritti dell’imperatore stesso sulla sua vita intima20. Nel suo articolo del 1959 sul monogramma costantiniano lo storico si fa filologo: nel racconto del sogno dell’imperatore in Lattanzio, De mortibus persecutorum, 44,5, egli propone di tornare al testo dell’unico manoscritto pervenutoci invece di accettare la correzione adottata nel 1954 dalla collana Sources chrétiennes21?, una correzione che risale all’edizione curata nel 1684 dall’erudito protestante olandese Gisbert Cuypert. Marrou è perfettamente consapevole che così facendo si trova di fronte a un testo latino che descrive a proposito dell’anno 312 non il famoso monogramma delle monete costantiniane dal 315 in poi, bensì la più tarda croce monogrammatica; preferisce però questa «discordanza» tra le fonti all’arbitraria correzione di un manoscritto. Tornando poi al suo mestiere di storico non vuole rischiarsi a ricostruire ciò che potrebbe essere successo nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 312 a partire dal solo racconto di Lattanzio: «Quest’ultimo c’informa […] solo sul modo in cui gli ambienti cristiani della corte imperiale potevano raffigurarsi l’avvenimento a distanza di sei o di otto anni». Quindi dichiara ironicamente la sua ammirazione per i suoi confratelli che non temono di dire che cosa Costantino vide o credette di vedere, oppure se invece non vide nulla22.
Questo erudito scetticismo verso Lattanzio sbocca nel manuale di storia della Chiesa del 1963 in un agnosticismo che fortemente ricorda il trattato Della conoscenza storica: non c’è dubbio che Costantino si sia convertito al cristianesimo e abbia prima di morire chiesto il battesimo, ma rimane intero – e insolubile – il problema della cronologia di questa sua conversione: un processo evolutivo? Un mutamento repentino? E quando? Per quanto poi riguarda la battaglia di ponte Milvio, è probabile che l’aneddoto del simbolo cristiano sugli scudi dei soldati abbia circolato tra i cortigiani cristiani negli anni 318-320, ma risulta difficilissimo estrarre un nucleo di realtà dall’accumulo di retorica, di idealizzazione della figura imperiale, di volontà di mostrare l’imperatore come cristiano e addirittura di mero gusto per il meraviglioso. Marrou sceglie dunque la «prudenza» che consiste nell’interessarsi della politica religiosa di Costantino anziché delle sue intime convinzioni23.
Lo stesso agnosticismo ritroviamo nel 1970 nel breve intervento di Marrou all’Académie des inscriptions: il problema della conversione di Costantino è «insolubile»24.
Ora bisogna precisare che questo agnosticismo a proposito del primo imperatore cristiano, lungi dall’essere un fenomeno isolato, s’inquadra perfettamente nell’organica riflessione di Marrou sul metodo e il senso della scienza storica. Consapevolissimo dell’assoluta necessità dei documenti, egli consiglia di non sprecare sforzi nella vana ricerca di risultati irraggiungibili: lo storico deve piuttosto applicare al suo mestiere un’esigenza di rendimento25. Tale atteggiamento scaturisce probabilmente dal senso che Marrou aveva della sua responsabilità sociale d’intellettuale impegnato, e forse ancora più profondamente da ciò che i suoi taccuini intimi chiamano «l’utilitarismo agostiniano»: non si fa ricerca per il piacere della curiosità e del dibattito, ma per rendersi utile agli uomini26.
Questo suo agnosticismo di fronte alla psicologia di Costantino non induce affatto Marrou a sottovalutare la portata storica della svolta costantiniana. Al contrario è proprio la sua decisa rinuncia alla cosiddetta ‘questione costantiniana’ che gli concede di prestare più attenzione alla politica religiosa del primo imperatore cristiano. Egli pensa che la legalizzazione del cristianesimo nel 313 sia stata per la Chiesa la mutazione magari più importante prima di quelle dell’epoca moderna27. «Eccoci entrati», scrive, «in una fase del tutto nuova della storia del cristianesimo: è davvero la Pace della Chiesa»28. In che cosa consiste precisamente per lui l’importanza di questo cambiamento? Nell’avere eliminato tutti gli ostacoli, sia legali sia materiali, che fin allora avevano rallentato il processo di evangelizzazione. La conversione al cristianesimo poteva ormai diventare un fenomeno di massa29. Allo storico Marrou, intellettuale impegnato nei grandi avvenimenti politici, sociali ed ecclesiali del suo tempo, questa dimensione collettiva da numerosissime fonti documentata sarà parsa senz’altro ben più affascinante delle aporetiche speculazioni sull’inconoscibile cammino interiore dell’individuo Costantino.
C’è di più: nel 1940 o nel 1941 Marrou scriveva nei suoi taccuini intimi con calma rassegnazione: «C’è stato un accidente storico, la conversione di Costantino, che fece attorno al Mediterraneo e poi in Europa della nostra religione di setta una religione di massa. Oggi che questo accidente è stato eliminato, ci ritroviamo ad essere una minoranza»30. Questi appunti personali di un intellettuale non ancora quarantenne ci aiutano a capire sia l’importanza che negli anni successivi i suoi lavori accademici riconoscono alla svolta costantiniana (passaggio dalla «religione di setta» a «una religione di massa»), sia il distacco con cui gli stessi lavori parlano del primo imperatore cristiano (si pensi all’espressione «accidente storico»). Amico di Emmanuel Mounier (1905-1950) dal 1933, Marrou condivideva con l’autore di Feu la chrétienté31? la consapevolezza di appartenere a un cattolicesimo ormai minoritario. Questa loro presa di coscienza era abbastanza serena da non portarli né all’amarezza di fronte al presente né alla nostalgia di un idealizzato passato. Libero da ogni provvidenzialismo, questo scritto intimo del 1941 preannuncia in qualche modo l’agnosticismo storico di Marrou dal 1954 in poi a proposito della notte prima della battaglia di ponte Milvio.
Già all’indomani della sua vittoria su Massenzio Costantino manifestò «una simpatia attiva» per il cristianesimo32. Nel suo manuale del 1963 Marrou fa naturalmente la lista dei provvedimenti (doni al clero africano, primi simboli cristiani sulle monete, riconoscenza della giustizia episcopale, capacità successoria concessa alle Chiese, etc.) che progressivamente conferiscono al cristianesimo uno statuto privilegiato33. La sua originalità si manifesta piuttosto nel discernere i limiti dell’influenza cristiana sul diritto romano di età costantiniana: egli dubita che l’abolizione della legislazione augustea sfavorevole al celibato debba interpretarsi un omaggio all’ideale cristiano della verginità consacrata; attribuisce più volentieri un probabile carattere evangelico alle leggi sul matrimonio e a quelle che mirano a addolcire la condizione degli schiavi o la vita dei prigionieri34. Bisogna però notare che queste osservazioni non sono centrate sul personaggio di Costantino, bensì fanno parte di una più ampia riflessione sull’espressione agostiniana christiana tempora. Storico della civiltà, specialista di sant’Agostino, intellettuale cattolico appassionato di progresso sociale, Marrou si pone innanzitutto la questione se il cosiddetto Impero cristiano sia stato «una civiltà cristiana». E a questa domanda risponde in modo assai sfumato. Già nel 1928, a ventiquattro anni, Marrou vedeva in Costantino il «primo tentativo» di costruire un «mondo cristiano», di passare dalla «città» antica al «popolo delle anime»: «Cosa talmente formidabile che mille anni non sono stati troppi»35. Da giovane credente attento alla propria situazione nella storia in corso, ricordava allora l’era costantiniana come l’inizio di un mondo nuovo. Ma non per questo lo idealizzava: lo considerava mero «tentativo», solo l’inizio di un millenario svolgimento storico. Più di quarant’anni dopo egli mantiene la stessa idea: il IV secolo diede la mossa a «un lento lavoro di cristianizzazione delle istituzioni sociali» destinato a svilupparsi nel Medioevo36.
Nell’ambito della «simpatia attiva» entrano pure gli interventi di Costantino nelle controversie tra i cristiani. A questo proposito Marrou sottolinea due realtà principali, una novità e un retaggio del passato. Nuova è «la struttura bipolare della società cristiana»37, vale a dire l’interdipendenza ossia la dialettica tra i vescovi e l’imperatore, tra la Chiesa e lo Stato: se il principe cambia idea, come Costantino negli anni successivi al concilio di Nicea, viene anche modificato l’equilibrio delle forze all’interno della Chiesa. Esistono ormai tra il potere politico e le autorità ecclesiastiche nuove interazioni, della cui ambivalenza lo storico pare pienamente consapevole. Eredità invece del regime del basso Impero, «la caratteristica atmosfera di terrore poliziesco» che si verifica ad esempio nella prima fase dell’atteggiamento di Costantino nei confronti dei donatisti38. Marrou mette così in luce un fenomeno che oggi viene spesso dimenticato: l’intolleranza degli imperatori cristiani non è che un aspetto, tra molti altri, dell’autoritarismo tipico del regime risalente a Diocleziano, se non addirittura dell’Impero romano in genere.
Si potrebbe magari riassumere l’atteggiamento di Marrou di fronte al primo imperatore cristiano nel modo seguente: né elucubrazione né demonizzazione né idealizzazione. Egli si rifiuta di aggiungere il proprio contributo all’ingente mole della bibliografia sulle intime convinzioni di Costantino, perché considera insolubile, nella mancanza di adeguate fonti, il problema dell’evoluzione interiore e delle più profonde motivazioni del principe. Questo suo agnosticismo gli permette conseguentemente di evitare il ben noto discorso sul machiavellismo e sull’ipocrisia di Costantino. Infine il suo focalizzare sui dati oggettivi (decisioni politiche, leggi, atti di beneficenza, vari interventi nella vita della Chiesa) lo conduce a portare sull’imperatore uno sguardo distaccato e sfumato, conforme al fondamentale principio di «complessità della realtà» che egli stesso difende nel suo saggio di epistemologia39. Per di più la lettura dei taccuini recentemente pubblicati ci rivela una forte coerenza tra le prospettive dei suoi scritti storici e le sue preoccupazioni personali. Appare così l’armonia del suo pensiero.
Abbiamo già visto che l’imperatore Costantino non è nell’opera di Marrou uno dei personaggi principali; lo è invece nell’opera di Pietri. Nel 1975 questo comincia con il pubblicare su Costantino – è cosa degna di nota – non un articolo meramente accademico, ma un saggio molto personale in cui affronta il mito europeo della cosiddetta ‘Chiesa costantiniana’. Questo contributo appare nel terzo quaderno della rivista Les Quatre Fleuves, fondata nel 1972 da Marrou in quanto strumento di riflessione per gli universitari che, nel travagliato periodo dopo il concilio Vaticano II, si interrogavano sulla situazione della Chiesa cattolica40. Con questo articolo Pietri intende scartare tutti gli stereotipi della storiografia e della cultura per proporre del cristianesimo del IV secolo, da storico, un’idea molto più sfumata41. Nel 1976, nella sua monumentale Roma christiana42?, egli tratta dei rapporti tra Costantino e il vescovo di Roma agli inizi della crisi donatista. Nel 1981 presenta in un convegno dell’Università di Strasburgo una comunicazione sulla propaganda e l’ideologia di Costantino all’indomani della sua definitiva vittoria su Licinio, nel 32443. Nel 1989 pubblica in un volume degli Entretiens della Fondation Hardt di Ginevra un ampio studio sulla politica religiosa di Costanzo II, ponendo la questione se questa sia stata una prima esperienza di ‘cesaropapismo’ oppure una fedele imitazione del paterno esempio44. Infine, nel 1995, quattro anni cioè dopo la prematura scomparsa del maestro, esce il tomo secondo della grande Histoire du christianisme della casa editrice Desclée45, in cui quasi tutta la parte narrativa è stata redatta da lui: tre capitoli sono ivi dedicati al regno di Costantino, uno spazio quindi molto più vasto rispetto a quello di cui aveva disposto Marrou nella Nouvelle histoire de l’Église. Occorre aggiungere che l’opera di Pietri, se non fosse rimasta incompiuta, avrebbe compreso anche un commento alla Vita Constantini di Eusebio di Cesarea, rimasto allo stato di abbozzo, e una biografia del primo imperatore cristiano. Malgrado l’assenza di questi due lavori l’insieme appare, come ora vedremo, ricco e coerente.
Di solito uno studioso comincia con il produrre vari articoli scientifici destinati, per così dire, agli addetti ai lavori, prima di rivolgersi al pubblico colto tramite testi divulgativi se non addirittura impegnati. Pietri dà l’impressione – basti guardare l’elenco cronologico testé proposto – di avere fatto esattamente il contrario. Bisogna in realtà considerare un po’ più attentamente la cronologia dei suoi scritti: quando nel 1975 pubblica il suo saggio Mythe et réalité de l’Église constantinienne, egli ha già discusso tre anni prima nella Sorbona la sua monumentale tesi sulla Roma christiana, che verrà poi stampata nel 1976. La sua riflessione sulla Chiesa ‘costantiniana’ si nutre dunque di lunghi anni di solitaria e silenziosa ricerca. Dal 1975 in poi le sue pubblicazioni sono invece numerose e regolari. Chi scrive Mythe et réalité è uno storico già maturo, un giovane maestro dal pensiero già coerente e organico. Questo articolo contiene infatti le idee che si ritroveranno nelle pubblicazioni successive: ci fornisce in verità la chiave di una parte notevole dell’opera di Pietri. Il metodo molto analitico di questo testo fondatore conduce l’autore a una serie di distinzioni: tra l’elaborazione mitica e l’indagine storica; tra l’illusione di una rottura brutale e la visione più sfumata di un processo di lunga durata; tra la Chiesa ‘costantiniana’ e quella che si può chiamare ‘teodosiana’; tra la volontà dell’imperatore stesso e la logica propria alla realtà delle cose; tra la conversione del monarca e quella dell’aristocrazia; tra l’oligarchia dei vescovi di corte e i pastori atti a resistere alle pressioni del potere politico, etc. La prima di queste distinzioni percorre tutto l’articolo che così oppone il dibattito storiografico ai clichés, «la realtà molteplice e complessa» a una «specie di archetipo», le «povere certezze dello storico» ai «pregiudizi della polemica»46. Le altre dicotomie saranno studiate più avanti: presenti nel saggio inaugurale, si ritrovano nelle ulteriori ricerche di Pietri.
Fa parte della prospettiva narrativo-analitica di Pietri (cioè di un racconto che lascia regolarmente uno spazio all’analisi e alla riflessione) l’accento posto sulla cronologia e sul concreto svolgimento dei fatti nel corso del tempo. Questo suo atteggiamento sembra tipico della sua volontà d’introdurre nel dibattito, come già abbiamo visto, tutte le necessarie distinzioni e sfumature. Il primo aspetto di questa analisi consiste nel parlare di una «inflessione costantiniana» dell’Impero romano anziché di una «rottura brutale»47. Gli storici europei dalla Riforma all’Ottocento sono stati in qualche modo «vittime di Eusebio e di Lattanzio», che nel loro profondo sollievo di vivere la fine delle persecuzioni hanno esagerato l’idea del passaggio da un’era a un’altra48. Già nel II secolo tanti cristiani, sia laici sia vescovi, aspiravano a una buona intesa tra la Chiesa e il potere imperiale, a una tranquillità per così dire ‘costantiniana’49. Per quanto poi riguarda «il grande movimento di conversione», questo è cominciato molto prima di Costantino: bisogna dunque evitare di attribuire in questo campo al primo principe cristiano un ruolo «primordiale», ma piuttosto chiedersi in quale misura egli abbia potuto dare a questo movimento già in corso un andamento nuovo50.
L’attenzione di Pietri a una precisa periodizzazione della storia del cristianesimo antico lo conduce anche a sottolineare questo fatto semplice ma generalmente dimenticato: la Chiesa criticata da Dante, dai riformatori, dai filosofi del Settecento e da alcuni storici dell’Ottocento (qui si potrebbe aggiungere: e da tanti nostri contemporanei) «è più teodosiana che costantiniana»51. Troppo spesso si è parlato di una «rivoluzione costantiniana» includendo più o meno consapevolmente in questa espressione tutti gli sviluppi della politica religiosa dei diversi imperatori cristiani del IV secolo, «come se Costantino fosse totalmente responsabile di Teodosio»52. Viene quindi respinta una storia per così dire teleologica ossia determinista, che tende a unificare retrospettivamente i vari momenti del passato come se fossero stati i meccanismi necessari di un processo del tutto coerente.
Terzo aspetto di quest’uso molto sfumato della cronologia: Pietri mira sempre a collocare il primo imperatore cristiano in una visione globale della storia romana e nel solco delle tradizioni imperiali più o meno recenti. Quando nell’estate del 313 Costantino, sollecitato dai donatisti, si rivolge al vescovo di Roma, si tratta di «una ben nota procedura del diritto romano»: Milziade è semplicemente uno iudex datus53? (e non un primo esempio di una pretesa alleanza tra il papato e il potere politico). Similmente Pietri parla volentieri di Costantino come di un «evergete»54: ciò gli permette di presentare i favori concessi da questi alla Chiesa non come una novità assoluta (né retrospettivamente come la prima tappa della storia bizantina dei rapporti Stato-Chiesa) ma più concretamente come la continuazione, a vantaggio questa volta del cristianesimo, del tradizionale evergetismo dei monarchi del mondo ellenistico-romano. Considera poi che «il cristianesimo costantiniano» ovviamente non è potuto sottrarsi al peso di «un sistema totalitario stabilito molto prima di Costantino»55: raggiunge così il suo maestro Marrou nel tenere conto delle tradizioni governative del basso Impero, invece di attribuire all’influsso cristiano un venir meno della libertà. Nel complesso si può notare in questa prospettiva di Pietri la traccia della sua preparazione accademica di stampo laico: come il suo maestro, ha studiato in una facoltà di Storia e non di Teologia, ed è stato docente di Storia antica prima d’insegnare la Storia del cristianesimo.
L’ultimo aspetto di questo senso pietriniano della diacronia è l’attenzione alle varie fasi del regno dello stesso Costantino. L’anno 324 segna l’apparire di un «nuovo stile di politica religiosa», di un periodo in cui Costantino, invece di utilizzare termini abbastanza banali del vocabolario religioso tardoantico, manifesta ormai molto apertamente le sue convinzioni cristiane56. Poi l’anno 330 dà inizio alla «nuova monarchia cristiana»: trasferitosi a Costantinopoli, sensibile alle influenze della corte come della propria famiglia, l’imperatore si fa più duro nei confronti del politeismo e, dichiarandosi ormai «vescovo degli affari esteri», diventa più invadente nella vita della Chiesa e meno tollerante verso il politeismo57. Nel tomo secondo dell’Histoire du christianisme, alla fine del capitolo che dedica al regno di Costantino nel suo complesso (prima di quelli che narrano rispettivamente la controversia donatista e la crisi ariana), Pietri presenta l’esercito mandato contro i persiani come composto addirittura di «crociati» accompagnati da vescovi58.
Pietri evita decisamente l’eccessiva focalizzazione su Costantino come tipo del ‘grande uomo’ oppure dell’‘uomo provvidenziale’ grazie alle sue analisi di una specie di «meccanica» dei fatti, che egli descrive concretamente invece di supporla a priori nel nome di qualche astratto determinismo. Osserva cioè alcune concatenazioni di cause ed effetti che certo sono state messe in moto dall’imperatore, ma che in seguito scappano alla sua volontà. I privilegi e i favori concessi dal monarca alle Chiese diventano per l’aristocrazia un esempio: si passa nell’arco di mezzo secolo da un’iniziativa individuale a un processo collettivo. L’imperatore ha riconosciuto alle comunità rappresentate dai loro vescovi la capacità di ricevere doni ed eredità: poco a poco l’evergetismo aristocratico è succeduto all’evergetismo imperiale, con conseguenze che talvolta preoccupano lo Stato. Il potere costantiniano perde così, almeno parzialmente, il controllo di un fenomeno che egli stesso ha suscitato59.
Infatti l’accento solitamente posto, quando si parla della svolta costantiniana, sulla conversione dell’imperatore non deve nascondere la conversione, forse meno spettacolare, ma non meno importante, dei ceti dirigenti dell’Impero60. Si modifica così il reclutamento del clero. Si vedono vescovi molto consapevoli della loro forza, che utilizzano il potere giudiziario concesso loro dallo Stato per «scappare il più possibile all’influenza del potere politico». C’è sicuramente da scommettere che tale «evoluzione» non corrispondeva con le «intenzioni di Costantino»61.
Oltre a questi fenomeni sociali Pietri mette anche in luce «i meccanismi di un’evoluzione» che porta dal riconoscimento ufficiale del clero cristiano da parte di Costantino a una minaccia sulla ‘libertà religiosa’ proclamata dallo stesso principe. Se, infatti, il clero diventa un ordine definito dal diritto pubblico e gode in quanto tale di determinati privilegi, bisogna dire chi ne fa parte e secondo quali criteri: così il criterio dell’«ortodossia» diventa ormai «una legge dello Stato». Pietri sottolinea il pericolo che questo processo fa pesare sulla libertà religiosa, ma precisa che per il momento le leggi romane che definiscono l’ortodossia «si applicano esclusivamente ai chierici»62, il che lascia intatta per i laici la libertà di coscienza.
Un processo di questo tipo si verifica nella crisi donatista. Dal momento che lo Stato attribuisce ai chierici alcuni vantaggi, deve far conoscere chi ha diritto a questo statuto e di conseguenza definire «la Chiesa legittima». Insomma i favori dell’imperatore alla Chiesa conducevano concretamente – senza però nessun globale progetto di egemonia da parte di Costantino – ai provvedimenti repressivi del potere politico nell’ambito della vita ecclesiale63.
Anche nel caso della crisi ariana Pietri analizza una concatenazione di iniziative e di conseguenze di cui gli attori non potevano essere pienamente consapevoli. Tale «evoluzione» si potrebbe schematizzare nel seguente modo: l’imperatore vuole la pace e l’unità della Chiesa come dell’Impero; egli appoggia l’idea di un concilio; non lascia che si rimetta in dubbio il simbolo di questo concilio; nell’arco però di una diecina d’anni vari vescovi chiedono gli interventi dell’imperatore per applicare decisioni conciliari, convocare sinodi, arbitrare conflitti: i vinti di Nicea contribuiscono ad accelerare questo processo e i niceni, tra i quali Atanasio, sono costretti a combattere sullo stesso campo; preso giorno dopo giorno nel gioco di questa sua concreta politica ecclesiastica, Costantino giunge ad attribuirsi una competenza teologica e una regolare responsabilità negli affari della Chiesa; al contempo subisce un’evoluzione anche l’atteggiamento dei vescovi, che formano gruppi e partiti64. Tutto questo procede dalla «meccanica stessa» di un concilio convocato dal principe e poi da lui difeso65.
Si capisce che l’attenzione di Pietri a tutte queste evoluzioni, a questa sottile meccanica delle cause e delle conseguenze, lo abbia tenuto assai lontano da ogni speculazione sul cosiddetto ‘machiavellismo’ di Costantino come da ogni ingenua o provvidenzialista idealizzazione del primo imperatore cristiano.
Già nel suo articolo del 1975 Pietri distingue l’«oligarchia episcopale dominante» e una Chiesa «della resistenza e dell’intransigente contestazione»66. La prima consiste principalmente in una specie di «sinodo permanente» dei vescovi presenti alla corte, «organo delle decisioni imperiali in materia di religione», sorta di «consilium ufficioso» del monarca67. Nella sua Roma christiana, egli mostra che negli ultimi anni del regno di Costantino le vittime del potere politico non trovano nel vescovo di Roma un appoggio atto a lottare efficacemente contro questo energico «sinodo permanente»68. Ma durante tutto il IV secolo si alzano «i testimoni della resistenza e della libertà ecclesiale», tra i quali il vescovo di Roma (che non è mai stato un vescovo di corte), contro la prepotenza degli imperatori cristiani e «contro la teologia politica dei vescovi palatini»69. Insomma «la pace costantiniana non ha completamente anestetizzato il cristianesimo» e sarebbe quindi uno sbaglio grosso considerare la Chiesa costantiniana «il simbolo di una Chiesa sottomessa al potere o compromessa con lui»70.
Pietri sottolinea invece nel cristianesimo di epoca costantiniana l’importanza della «missione». In ciò consiste l’apporto principale del primo imperatore cristiano: egli ha dato alla Chiesa molto di più di alcuni privilegi; ha facilitato «lo sviluppo della missione», l’espansione di una religione di massa71.
Si vede che Pietri, lungi dal limitarsi alla troppo nota, troppo semplice ed eccessivamente astratta polarità Chiesa-Stato, intende distinguere nella prima realtà diversi gruppi ecclesiastici, vari atteggiamenti di vescovi, e nella seconda, come abbiamo visto prima, i singoli momenti dell’evoluzione personale del principe, le influenze della famiglia e della corte. Tra questi due poli i vescovi palatini fanno da tramite: sono per così dire un terzo elemento; partecipano al tempo stesso dell’autorità religiosa e del potere politico.
Al di là però dei «conflitti ecclesiastici» e delle «proclamazioni della Chiesa insegnante e dei suoi teologi» Pietri richiama infine l’attenzione sul «camminare dell’intero popolo cristiano» e sull’«opera di conversione compiuta nell’oscurità malgrado ostacoli e difficoltà»72. Egli scrive la storia non dei soli potenti del mondo e della Chiesa ma di tutta la moltitudine dei cristiani. S’interessa, come aveva fatto Marrou, della dimensione collettiva della svolta costantiniana.
Pietri si distingue invece dal suo maestro con la sua ampia riflessione sulle convinzioni e le idee di Costantino. Certo condivide globalmente l’agnosticismo storico di Marrou: si limita a presentare brevemente il vincitore della battaglia di ponte Milvio come «un generale più o meno convertito»73; preferisce studiare «l’inflessione costantiniana» dell’Impero anziché «le peripezie personali di Costantino»74; consiglia di non trattenersi sul problema della «sincerità» di questa «conversione»75; si rifiuta di speculare sulle «motivazioni» che avranno indotto il principe a fondare Costantinopoli76. Ma sa peraltro riconoscere nella «propaganda» di un monarca che parla «alla prima persona» l’espressione di «un impegno personale»77. Pietri ha studiato questa propaganda in un documento che non aveva interessato molto Marrou: la Vita Constantini di Eusebio di Cesarea. Se non fosse prematuramente scomparso, avrebbe pubblicato nella collana Sources chrétiennes un commento a questo testo. Nel suo intervento al convegno strasburghese del 1981, pubblicato nel 1983, egli analizza quattro testi costantiniani trasmessici da Eusebio, tutti e quattro del 324, all’indomani della vittoria su Licinio: un messaggio agli abitanti della provincia di Palestina; una breve lettera a Eusebio stesso; un testo indirizzato a tutti gli orientali; una lettera per esortare Alessandro di Alessandria e il prete Ario a riconciliarsi78.
Attraverso queste quattro testimonianze Pietri mostra come Costantino presenta sé stesso agli abitanti dell’Oriente romano come un «liberatore» dei cristiani, un «restauratore» dell’ordine, un «pacificatore» che a tutti porta «la concordia civile»79. Per di più Costantino dichiara apertamente la sua fede cristiana e fa addirittura di questa fede «il segno e la garanzia della concordia civile»: la sua dinastia diffonde la pace intendendo fondarla sulla sua fede cristiana80. Meglio ancora: Costantino afferma la sua tolleranza, promette che i templi non verranno distrutti, scarta l’idea di costringere i pagani a convertirsi al cristianesimo, dichiara di volere la pace proprio secondo i comandamenti del suo Dio. «È la religione del principe a fondare la tolleranza»81.
Queste proclamazioni non sono solamente una propaganda, ma suppongono «in colui che prende la responsabilità di tali testi una sorta di elementare teologia politica», cioè una certa idea di Dio, del popolo di Dio e, in seno a quest’ultimo, della funzione dell’imperatore82. Costantino si vede, infatti, come «strumento di Dio» e «servo di Dio»83. La forte originalità di Pietri sta nel fare risalire al principe stesso, un principe consapevole di ciò che voleva, questo discorso sul monarca cristiano che altri storici tendevano a considerare un’invenzione della «retorica dei chierici»84. Egli riconosce a Costantino «una filosofia del potere»85. Vede persino in lui la volontà, dopo Nicea, di «perfezionare la sua cultura teologica»86. Lo considera «un principe curioso di idee e di cultura, che ha lasciato l’opera scritta d’un uomo d’azione desideroso di spiegare la filosofia della sua politica»87. Insomma Costantino sembra per Pietri (anche se non lo dice esplicitamente) una specie di imperatore filosofo, che potremmo paragonare a Marco Aurelio e a Gallieno.
Nei lavori di Pietri su Costantino ci sono due poli: una riflessione molto ampia e articolata sull’idea e la realtà della ‘Chiesa costantiniana’; uno studio della dimensione proprio ideologica e intellettuale del primo imperatore cristiano. Il primo tema s’ispira all’attualità: all’indomani del secondo concilio Vaticano si diceva spesso, almeno in Francia, che la Chiesa cattolica fosse finalmente uscita dal lungo periodo della ‘Chiesa costantiniana’. Il secondo dipende dall’attenta lettura di una fonte alla quale Pietri seppe riconoscere un alto valore documentario: la Vita Constantini di Eusebio. Ambedue i temi sono trattati con serenità e con un acuto senso delle sfumature. Lo storico non ha idealizzato né disprezzato né Costantino né il cristianesimo costantiniano.
È vero che Marrou e Pietri sono stati maestro e discepolo, che sono tutti e due appartenuti all’Università statale di un paese laico, che sono stati l’uno e l’altro dei ferventi cattolici politicamente orientati a sinistra. Questi dati sono certamente interessanti, ma non bastano a spiegare i loro rispettivi (e conciliabili) atteggiamenti di fronte a Costantino. La cosa più importante sta probabilmente nel sottolineare che sono stati ambedue degli appassionati lettori di sant’Agostino. La riflessione del primo sui christiana tempora e quella del secondo sulla Chiesa costantino-teodosiana sono indubbiamente di stampo agostiniano: le loro sfumature e la loro serenità ricordano bene la profonda consapevolezza che il vescovo d’Ippona aveva dell’ambivalenza della storia, dell’intrecciarsi della ciuitas Dei e della ciuitas terrena. Nella conclusione del suo articolo del 1975 Pietri evoca «le difficoltà del pellegrinaggio ecclesiale»88; è ovviamente un’allusione all’ecclesia peregrina di cui molto spesso parla Agostino89.
1 Esiste una preziosissima biografia su Marrou: P. Riché, Henri Irénée Marrou, historien engagé, préface de R. Rémond, Paris 2003. Marrou stesso, seondo i suoi familiari, scriveva il suo nome senza trattino tra Henri e Irénée; Pierre Riché ne ha tenuto conto nel titolo e nel testo del suo libro. Parecchi scritti di Marrou sono però stati stampati (e saranno dunque citati sotto) con il nome Henri-Irénée. Sulla situazione di Marrou nella storiografia, si veda De Renan à Marrou. L’histoire du christianisme et les progrès de la méthode historique (1863-1968), éd. par Y.-M. Hilaire, Villeneuve-d’Ascq 1999. Fondata a Parigi nel 2007, la Société des Amis d’Henri Irénée Marrou (Davenson) pubblica dal 2008 i Cahiers Marrou, che offrono studi su di lui e suoi testi inediti.
2 Si veda la bibliografia intitolata L’œuvre historique de Henri-Irénée Marrou, in H.-I. Marrou, Patristique et humanisme. Mélanges, Paris 1976, pp. 9-24, poi completata in Id., Christiana tempora. Mélanges d’histoire, d’archéologie, d’épigraphie et de patristique, Roma 1978, p. VII.
3 H.-I. Marrou, Saint Augustin et la fin de la culture antique, Paris 19584. È questa l’edizione che viene tuttora ristampata: contiene il testo della prima edizione del 1938 e la Retractatio del 1949.
4 H.-I. Marrou, Histoire de l’éducation dans l’Antiquité, Paris 1948. La sesta e ultima edizione è del 1965. Si veda Que reste-t-il de l’éducation classique? Relire «le Marrou». Histoire de l’éducation dans l’Antiquité, éd. par J.-M. Paillet, P. Payen, Toulouse 2004.
5 À Diognète, éd. par H.I. Marrou, Paris 1951 (Sources chrétiennes 33); 2e édition revue et augmentée, 1965 (Sources chrétiennes 33 bis).
6 H.-I. Marrou, Décadence romaine ou Antiquité tardive ? IIIe-VIe siècle, Paris 1977.
7 H.-I. Marrou, De la connaissance historique, Paris 1954. Una versione riveduta e aumentata della sesta edizione esiste dal 1975 nella collezione tascabile «Points Histoire» (è l’edizione citata sotto). Cfr. J.-M. Salamito, H.-I. Marrou, De la connaissance historique, in Encyclopédie philosophique universelle, éd. par A. Jacob, III, Les Oeuvres philosophiques. Dictionnaire, Paris 1992, pp. 3523-3524.
8 H.-I. Marrou, Théologie de l’histoire, Paris 1968 (rist. Paris 2006). Si veda Ph. Blaudeau, La genèse de Théologie de l’histoire, in Cahiers Marrou, Marrou par lui-même. L’apport des Carnets posthumes, hors-série, 1 (2012), pp. 62-82.
9 H. Davenson, Fondements d’une culture chrétienne, Paris 1934; Id., Traité de la musique selon l’esprit de saint Augustin, Neuchâtel 1942; Id., Le livre des chansons. Introduction à la connaissance de la chanson populaire française, Neuchâtel 1944; Id., Les troubadours, Paris 1961 (ristampato dal 1971 con la firma di Henri-Irénée Marrou). Una preziosa raccolta di articoli: H.-I. Marrou. Crise de notre temps et réflexion chrétienne (de 1930 à 1975), éd. par J.-M. Mayeur, Ch. Pietri, V. Décarie et al., Paris 1978 (con una bibliografia alle pp. 459-468).
10 H.I. Marrou, Carnets posthumes, éd. par F. Marrou-Flamant, J.-M. Lustiger, J. Prévotat, Paris 2006. Si vedano gli studi raccolti in Cahiers Marrou, Marrou par lui-même, cit.
11 Cfr. J.-M. Salamito, Charles Pietri (1932-1991), in Universalia 1992, Paris 1992, p. 584.
12 Ch. Pietri, Roma christiana. Recherches sur l’Église de Rome, son organisation, sa politique, son idéologie de Miltiade à Sixte III (311-440), 2 voll., Roma 1976.
13 Ch. Pietri, Christiana respublica. Éléments d’une enquête sur le christianisme antique, 3 voll., Roma 1997. Si veda M.-Y. Perrin, Christiana respublica. Charles Pietri (1932-1991) et l’histoire du christianisme antique, in Antiquité tardive, 8 (2000), pp. 305-319.
14 Charles Pietri, historien et chrétien, éd. par Ph. Levillain, J.-R. Armogathe, Paris 1992.
15 H.-I. Marrou, De la connaissance historique, cit., cap. 5, pp. 138-139 (nell’edizione del 1975).
16 H.I. Marrou, Autour du monogramme constantinien, in Mélanges Étienne Gilson, Toronto-Paris 1959, pp. 403-414, ristampato in Id., Christiana tempora, cit., pp. 239-250.
17 Nouvelle histoire de l’Église, dir. de L.-J. Rogier, R. Aubert, M.-D. Knowles, I, J. Daniélou, H. Marrou, Des origines à saint Grégoire le Grand, Paris 1963.
18 Cfr. Comptes rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 114,2 (1970), pp. 227-228: il riassunto della comunicazione di Palanque su L’état présent de la question constantinienne è seguito dalle osservazioni di Marrou.
19 H.I. Marrou, Carnets posthumes, cit., pp. 74 (del 29 marzo 1928) e 237 (tra il 31 agosto 1940 e il 31 luglio 1941).
20 H.-I. Marrou, De la connaissance historique, cit., cap. 5, pp. 138-139 (nell’edizione del 1975).
21 Lactance, De la mort des persécuteurs, ed. J. Moreau, 2 voll., Paris 1954 (Sources chrétiennes 39).
22 H.I. Marrou, Autour du monogramme constantinien, cit., pp. 409 [245]-410 [246].
23 J. Daniélou, H. Marrou, Des origines à saint Grégoire, cit., pp. 276-277.
24 Cfr. Comptes rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, cit.
25 H.-I. Marrou, De la connaissance historique, cit., cap. 3, p. 78 (nell’edizione del 1975): «j’aime à introduire ici la notion de rendement».
26 Si veda J.-M. Salamito, Spiritualité extatique. Augustin maître de vie chrétienne dans les Carnets posthumes, in Cahiers Marrou, Marrou par lui-même, cit., pp. 30-61.
27 J. Daniélou, H. Marrou, Des origines à saint Grégoire, cit., p. 276.
28 Ivi, p. 279.
29 Ibidem.
30 H.I. Marrou, Carnets posthumes, cit., p. 237 (Carnet X, n. 144).
31 E. Mounier, Feu la chrétienté, Paris 1950.
32 J. Daniélou, H. Marrou, Des origines à saint Grégoire, cit., p. 277.
33 Ivi, pp. 276-277.
34 Ivi, pp. 362-363.
35 H.I. Marrou, Carnets posthumes, cit., p. 74 (Carnet VIII, XIII, n. 12).
36 J. Daniélou, H. Marrou, Des origines à saint Grégoire, cit., p. 369.
37 Ivi, pp. 284 e 298.
38 Ivi, p. 286.
39 H.-I. Marrou, De la connaissance historique, cit., cap. 7, p. 176 (nell’edizione del 1975).
40 Si veda M.-J. Rondeau, Aux origines des Quatre Fleuves, in Cahiers Marrou, Marrou par lui-même, cit., pp. 83-94.
41 Ch. Pietri, Mythe et réalité de l’Église constantinienne, in Les Quatre Fleuves. Cahiers de Recherche et de Réflexion Religieuses, 3 (1974), ristampato in Charles Pietri, historien et chrétien, cit., pp. 1-18.
42 Cfr. Ch. Pietri, Roma christiana, cit.
43 Ch. Pietri, Constantin en 324. Propagande et théologie impériales d’après les documents de la Vita Constantini, in Crise et redressement dans les provinces européennes de l’Empire (milieu du IIIe siècle-milieu du IVe siècle ap. J.-C.), Actes du colloque de Strasbourg (décembre 1981), éd. par E. Frézouls, Strasbourg 1983, pp. 69-90, ristampato in Ch. Pietri, Christiana respublica, cit., I, pp. 253-280.
44 Ch. Pietri, La politique religieuse de Constance II: un premier «césaropapisme» ou l’imitatio Constantini?, in L’Église et l’Empire au IVe siècle, Vandoeuvres-Genève 1989, (Entretiens sur l’Antiquité classique 36), pp. 113-178, ristampato in Id., Christiana respublica, I, cit., pp. 281-346.
45 Histoire du christianisme, éd. par J.-M. Mayeur, Ch. Pietri, L. Pietri et al., II, Naissance d’une chrétienté (250-430), éd. par Ch. Pietri, L. Pietri, Paris 1995.
46 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., pp. 2 e 17.
47 Ivi, pp. 4-6; Naissance d’une chrétienté, cit., p. 187.
48 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., pp. 4-5. Cfr. Naissance d’une chrétienté, cit., p. 189.
49 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., p. 5.
50 Naissance d’une chrétienté, cit., p. 190.
51 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., p. 6.
52 Ch. Pietri, La politique religieuse de Constance II, cit., p. 114 [282]-115 [283].
53 Ch. Pietri, Roma christiana, cit., I, pp. 160-162; Naissance d’une chrétienté, cit., p. 234.
54 Naissance d’une chrétienté, cit., p. 206.
55 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., p. 17.
56 Naissance d’une chrétienté, cit., p. 204.
57 Ivi, pp. 222-224.
58 Ivi, p. 225.
59 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., p. 7.
60 Ivi, p. 9.
61 Ivi, p. 8.
62 Naissance d’une chrétienté, cit., p. 216.
63 Ivi, p. 233.
64 Ivi, pp. 286-287.
65 Ivi, p. 284.
66 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., rispettivamente pp. 12 e 13.
67 Ivi, p. 12; Ch. Pietri, La politique religieuse de Constance II, cit., p. 139 [307].
68 Ch. Pietri, Roma christiana, I, cit., p. 187.
69 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., pp. 14-15.
70 Ivi, rispettivamente pp. 15 e 17.
71 Ivi p. 15; Naissance d’une chrétienté, cit., pp. 213-214.
72 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., p. 17.
73 Ivi, p. 1. Cfr. Naissance d’une chrétienté, cit., pp. 196-197: «L’episodio del ponte Milvio conta poco per se stesso». Per quanto riguarda il famoso testo di Lattanzio, Pietri non segue la lettura di Marrou: ci vede non una croce monogrammatica ma «la prima menzione del crisma costantiniano», (ivi, p. 194 nota 17).
74 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., p. 5.
75 Ch. Pietri, Constantin en 324, cit., p. 82 [272].
76 Naissance d’une chrétienté, cit., p. 207.
77 Ch. Pietri, Constantin en 324, cit., p. 82 [272].
78 Ivi, pp. 64 [254]-65 [255] e passim.
79 Ivi, p. 73 [263].
80 Ivi, p. 81 [271].
81 Ivi, p. 82 [272].
82 Ivi, pp. 272 [82]-273 [83].
83 Ivi, pp. 278 [88]-279 [89].
84 Ivi, p. 90 [280].
85 Naissance d’une chrétienté, cit., p. 206.
86 Ivi, p. 275.
87 Ch. Pietri, La politique religieuse de Constance II, cit., p. 117 [285].
88 Ch. Pietri, Mythe et réalité, cit., p. 18.
89 Cfr. P. Borgomeo, L’Église de ce temps dans la prédication de saint Augustin, Paris 1972, pp. 146-150.