COSTE (XI, p. 646)
Difesa delle coste (p. 648). - Fino alle esperienze della seconda Guerra mondiale, molti studiosi di arte militare ritenevano assurdo lo sbarco, su coste nemiche, di grandi unità terrestri, o quanto meno essi pensavano che l'aviazione e la flotta ne avrebbero impedito l'attuazione. Con questo preconcetto, a cui spesso si aggiunsero difficoltà finanziarie, non tutte le basi e piazzeforti marittime, i grandi porti del commercio e le coste fra quelli intermedie ebbero l'indispensabile preparazione difensiva, che lo sviluppo dei mezzi di offesa doveva far prevedere (v. anche sbarco, in questa App.).
Difesa dei porti. - Poiché la flotta è obbligata a spostarsi dalle sue basi, e permanere in potenza presso i successivi centri delle zone più probabili di operazione, la difesa dei porti deve poter contare su elementi sempre pronti a funzionare immediatamente: a questa necessità risponde la sola artiglieria antinave e contraerea. Entreranno poi in azione (a seconda della tempestività delle notizie trasmesse dai mezzi in esplorazione), torpediniere, mas, sommergibili ed aviazione, destinati permanentemente in quel porto o nelle immediate vicinanze. Anche l'aeronautica non può esser sempre presente o disponibile in numero e potenza sufficienti: sarebbe quindi gravissimo errore fidare nella sola aviazione.
Durante la prima Guerra mondiale, le flotte, prive com'erano dell'ausilio dell'arma aerea, mal potevano cimentarsi contro le munite fortificazioni terrestri (Venezia, Brindisi, e anche Dardanelli).
Nella seconda Guerra mondiale invece, l'intervento capitale dell'aviazione nelle operazioni navali, ha consentito alle flotte di attaccare con successo basi e porti, anche efficacemente difesi; e gli attacchi sono stati perseguiti con tenacia e a costo della perdita d'importanti unità di superficie, quando l'obbiettivo da raggiungere si presentava adeguato ai sacrifici (Oslo, Cherbourg, Brest). Ne consegue che la difesa dei porti contro i bombardamenti da mare dovrà esser affidata a cannoni di potenza uguale o superiore a quella delle artiglierie di bordo. Le artiglierie di medio calibro delle piazze marittime, difese in massima da semplici scudi paraschegge, si sono dimostrate troppo vulnerabili contro i tiri navali ed aerei, come esperimentò la difesa di Pantelleria. Le batterie tedesche a Cherbourg, situate entro casamatte di cemento superarmato, non furono invece mai del tutto ridotte al silenzio, anche dopo tre ore di tiro navale a distanze serrate della flotta anglo-americana con cannoni di grosso calibro. Ogni cannone delle casamatte doveva esser colpito da proiettile penetrante attraverso le cannoniere.
La difesa contraerea si dimostrò più inefficiente di quella antinave: non tanto per il numero delle armi, cannoni e mitragliere, quanto per il loro calibro. Oggi la difesa antiaerea è basata innanzi tutto sull'avvistamento mediante radar e quindi nel tempestivo intervento della caccia aerea.
Fra i mezzi speciali violatori di basi non dovrebbero esser inclusi i sommergibili ordinarî di qualche centinaia di tonnellate, per quanto non sia lecito dimenticare la brillante azione del germanico U. 4 del 14 ottobre 1939 a Scapa Flow; ne fanno invece parte i sommergibili tascabili, i barchini, i silurotti, i siluri umani, ecc. Per la difesa contro questi nuovi mezzi v. antisommergibile, difesa; assalto, in questa Appendice.
I Tedeschi, nei porti della Francia occupata, costruirono dei veri ricoveri blindati per proteggere i sommergibili dai bombardamenti aerei: in quelli di Brest trovavano sicuro riparo non solo le unità subacquee, ma anche le officine, i depositi e gli alloggi degli equipaggi. Evidentemente, questa protezione non poteva né potrebbe essere estesa alle navi all'ancora; ma si possono prevedere in alcuni casi coperture che nascondano alla vista dall'alto, con opportuna mimetizzazione, le navi in bacino. Il decentramento dei mezzi di riparazione arsenalizî, nonostante gl'inconvenienti che la tecnica delle comunicazioni può diminuire ma non eliminare, è assolutamente indispensabile. Oltre quelle già citate, altre deficienze delle basi la guerra ha messo in rilievo: a) deficienza di forze aeree di esplorazione e da combattimento, a disposizione del comandante della piazza; b) deficienza di truppe mobili nell'interno della piazza, organizzate modernamente nei mezzi a disposizione; c) estrema debolezza del fronte a terra. Queste deficienze sono state comuni a quasi tutte le piazze marittime, in Italia e altrove: e ne fu causa lo scetticismo generale sugli sbarchi.
La storia navale non deve dimenticare la prassi seguita dai Tedeschi nell'abbandonare un porto, perché il massimo danno ne venisse al nemico: la guarnigione aveva ordine di resistere il più a lungo possibile, per poter attuare la distruzione sistematica delle opere portuali. Senza dimenticare quanto fecero a Napoli, che fu fonte di ammaestramenti per gli Alleati, a Cherbourg, per ricordare solo il primo avvenimento del genere dopo lo sbarco in Normandia, i Tedeschi demolirono le banchine d'accosto, buttarono in mare gru, elevatoi, vagoni ferroviarî, affondarono 67 navi, seminarono mine magnetiche, acustiche e di quelle a molti scatti prima di attivarsi. Ci vollero 4 mesi d'indefesso lavoro prima che tutto il porto fosse utilizzabile; e fu per gli Alleati una fortuna che il porto artificiale di Arromanches fosse ancora in buone condizioni. Per la pulizia del fondo del porto dovettero organizzare un corpo speciale, di "dragamine umani". Una riflessione sulla ubicazione delle basi navali può trarsi dall'abbandono che Inglesi e Francesi fecero fin dall'epoca della tensione diplomatica dell'agosto 1939, dei porti più vicini ai probabili nemici; mentre in Italia, dopo l'attacco delle navi a Taranto del 12 novembre 1940, la squadra dové trasferirsi nei porti del Tirreno, in attesa che venisse compiuta una più sicura difesa retale, anche contro i siluri con acciarino magnetico. Se l'avvenimento conferma quanto sia dannoso risparmiare sui mezzi di difesa delle piazze marittime esso insegna pure che, qualora si possa disporre di più porti, si debbono scegliere quelli più lontani dai nemici, compatibilmente con le necessità strategiche e logistiche. All'inizio della guerra, Taranto rispondeva perfettamente a quei requisiti e vi rispose quando la Grecia non poté più offrire i suoi porti agli Alleati.
Quanto si è detto sulla difesa delle basi navali, vale in gran parte per i maggiori porti del commercio e delle industrie navali, le cui attività, nell'interesse delle nazioni in guerra, non devono esser compromesse da azioni belliche. Occorrerà perciò tener presente nel decidere i provvedimenti di difesa, che i bombardamenti aerei e navali durano pochi minuti, e sono tanto più disastrosi quanto più tardiva è la reazione locale: ad esempio se la difesa aerea debba venire da campi relativamente lontani e chiamata attraverso lunghe e mal sicure comunicazioni (Genova).
Difesa delle coste propriamente dette. - Gli esempî da cui trarre materia d'insegnamento intorno alla difesa delle coste, ci vengono principalmente forniti da quanto fecero i Tedeschi in Francia, per integrare "il vallo occidentale sul mare". I Tedeschi, che si dimostrarono maestri, nella conquista della Norvegia e dell'Olanda, di come negli attacchi costieri debbano collaborare fra loro le tre armi, non ebbero occasione di palesare le loro capacità organizzative nel progettato grande sbarco in Inghilterra.
In Norvegia e in Olanda, più che le coste essi attaccarono i porti, la cui difesa era affidata a batterie scoperte, facilmente eliminabili dall'aviazione, come avvenne poi a Pantelleria. Un insegnamento però però subito trarsi dalle imprese germaniche: la grande importanza che assumeva l'uso dei paracadutisti e delle truppe aviotrasportate a mezzo di alianti rimorchiati fin sopra l'obbiettivo da conquistare o distruggere (v. aerotrasportate, truppe). La lezione non andò perduta, perché un po' dappertutto, si intensificò la preparazione di gruppi di antiparacadutisti con relativi centri di informazione e di mezzi celeri di autotrasporto. La guerra, anche sotto l'aspetto della difesa delle coste divenne, sempre più, come già in mare, un problema di trasporti.
Schematicamente le coste italiane furono divise in settori, assegnati per la prima difesa a divisioni costiere dell'esercito, che reclutavano i loro uomini dai riservisti locali (e fu errore), distendendoli a cordone lungo le coste, a difesa delle opere più rilevanti (ponti, tunnel, stazioni e linee ferroviarie, nodi stradali, palificazioni delle comunicazioni, ecc.), mantenendo nel baricentro della zona un nucleo di armati che avrebbe dovuto intervenire nei punti minacciati con autocarri e carri armati, dietro segnalazione dei posti avanzati che avrebbero dovuto essere muniti, teoricamente, di stazioncine portatili radiotelefoniche. Un'organizzazione complessa e costosa che necessitava preziosi elementi specializzati, e che diveniva sempre più problematica per un paese di molte migliaia di chilometri di confini marittimi, quasi tutti atti a sbarchi modernamente concepiti.
Di più, una saggia organizzazione di difesa costiera prevedeva che l'avvicinarsi alla costa di unità navali nemiche doveva esser segnalato dall'esplorazione aerea e navale, dalla rete dei radar e resa praticamente difficile da banchi di torpedini, possibilmente magnetiche ed acustiche, da ostruzioni con palafitte minate e con mine anticarro e antiuomo sulla spiaggia, anche nella previsione che la costa fosse raggiunta, per obbiettivi modesti, da qualche mezzo anfibio. Se questa complessa organizzazione (che i Tedeschi misero in pratica sulle coste normanne, ma che non fu del tutto valorizzata dall'ormai depresso spirito combattivo della truppa) è in gran parte manchevole, non deve far meraviglia che possa avvenire uno sbarco importante. In ogni caso, il dominio dell'aria è assolutamente indispensabile; questo fu certamente il fattore decisivo dello sbarco vittorioso in Normandia e sulle coste di Sicilia.
Le ostruzioni predisposte dai Tedeschi presso le spiagge normanne (formate da tronchi d'albero, da pezzi di binarî ferroviarî ed anche da piccole colonne di cemento conficcate nel fondo e tutte munite di mine esplodibili all'urto) rappresentarono la maggiore difficoltà opposta ai mezzi da sbarco alleati durante il grande sbarco in Francia. In molti casi i capofila delle colonne si buttarono contro di esse, immolandosi, aprendo così la strada a coloro che li seguivano. Questo tipo di ostruzioni è un ottimo sistema per dar tempo alle truppe mobili di accorrere verso i punti più minacciati, ma che è facile mettere in opera solo nei luoghi ove l'ampiezza della marea è notevole, e la spiaggia è a dolce declivio. Un'idea più concreta di come fosse organizzata a difesa dai Tedeschi la spiaggia normanna, si può avere dai seguenti dati relativi ad una delle 5 zone ove avvenne lo sbarco: la zona "Omaha" contigua alla "Utah" confinante, a ponente, col fiume Vire presso la penisola del Cotentin. La spiaggia dell'"Omaha" era lunga 7500 metri: il suo sistema difensivo consisteva di capisaldi entro, sopra e ai piedi delle colline prospicienti la spiaggia, riuniti da passaggi sotterranei e da portavoci di zinco, circondati da fossi, muri e filo spinato; la spiaggia fino alle colline era largamente minata. Le armi consistevano in 8 batterie in casamatte con cannoni da 75 o di maggior calibro, 35 ridotte con cannoni simili, 4 postazioni per batterie da campagna, 18 batterie anticarro con armi da 37 e 75 mm., 6 pozzi per mortai, 38 pozzi per razzi da 38 mm. con armi a 4 tubi, 85 posti da mitragliere.
Nelle considerazioni fin qui esposte non si è tenuto conto delle bombe atomiche in quanto né Hiroshima, né Nagasaki erano attrezzate contro così impreveduti metodi di guerra. Però dal rapporto ufficiale del grandioso esperimento di Bikini, che doveva dimostrare gli effetti delle bombe atomiche sulle navi, possono trarsi utili ammaestramenti anche per la difesa delle coste.