causativa, costruzione
La costruzione causativa (detta anche, meno spesso, fattitiva) è una struttura del tipo seguente:
(1) [ho fatto] [cantare la canzone]
(2) ho fatto cantare i bambini
(3) ho fatto cantare la canzone ai bambini
In altri termini, la costruzione causativa è composta da due frasi accostate senza connettivi (in 1 ciascuna di esse è racchiusa tra parentesi quadre): nella prima il predicato è una forma del verbo fare (o lasciare: vedi sotto) al modo finito, nella seconda il predicato è l’infinito di un verbo qualsivoglia. Per alcuni tratti, la costruzione causativa ha affinità con la costruzione retta da un verbo di percezione (vedere, sentire, guardare, ecc.: Guasti 1993):
(4) ho visto partire i bastimenti
(5) ho sentito suonare la nostra canzone
La costruzione causativa – una delle più tipiche della ➔ sintassi italiana (➔ lingue romanze e italiano) – svolge alcune funzioni specifiche:
(a) mette in scena due agenti: il primo è il soggetto del primo predicato; l’altro quello del secondo all’infinito;
(b) stabilisce tra i due agenti una precisa relazione: il primo è istigatore dell’agire del secondo (per questo è detto talvolta Iniziatore o, meno spesso, Istigatore; ➔ argomenti); il secondo è l’esecutore dell’evento indicato;
(c) tra Iniziatore e Esecutore c’è un rapporto gerarchico: il primo ha il potere di indurre il secondo a fare una cosa, come si vede dall’es. seguente:
(6) non ho fatto io questo dolce, l’ho fatto fare
Per questi motivi, la costruzione causativa ha una vocazione pragmatica: all’Esecutore serve per far risaltare il fatto che la propria responsabilità nell’evento è relativamente scarsa (7):
(7) questo disastro me l’ha fatto fare mio fratello
Dall’altro lato, all’Iniziatore serve per mettere in rilievo la sua capacità di ordinare l’esecuzione di qualcosa (8):
(8) ho fatto portare questo ben di Dio apposta per te
Oltre a queste proprietà pragmatiche, le costruzioni causative hanno anche peculiari aspetti di forma:
(a) quando (come in 1) l’Esecutore non è espresso, l’oggetto (la canzone) appare senza preposizione;
(b) quando (come in 2) l’Esecutore è espresso, la sua forma è identica a quella dell’oggetto (cioè senza preposizione):
(9) a. ho fatto cantare la canzone
b. ho fatto cantare i bambini
(c) quando (come in 3) sono espressi sia l’Esecutore sia l’oggetto, il primo è al dativo (ai bambini), il secondo è codificato con un sintagma nominale senza preposizione.
In altre parole, l’oggetto e l’Esecutore, se appaiono da soli, hanno la stessa forma. L’Esecutore si comporta del resto a tutti gli effetti come un oggetto diretto: per questo, da oggetto diretto di una proposizione transitiva, può diventare soggetto in caso di passivo:
(10) fecero cantare la canzone ai bambini [la canzone fu fatta cantare ai bambini]
(11) hanno fatto partire i bambini [i bambini sono stati fatti partire].
In base a (2), l’atto dell’Iniziatore ha l’effetto di attivare quello del secondo: in altri termini, l’Iniziatore esercita una forza causativa (tecnicamente, un controllo) sull’Esecutore. Questa può avere vari gradi (Comrie 1981) e quindi formare una scala come la seguente:
Scala di forza causativa
+ = l’Iniziatore ordina all’Esecutore di fare qualcosa
– = l’Iniziatore permette che l’Esecutore faccia qualcosa
Nel primo caso l’Iniziatore ordina, impone o comanda: è il grado forte di forza causativa; nel secondo rilascia un’autorizzazione o un permesso: è il grado debole. Per esprimere questi due gradi di forza causativa, l’italiano (al pari del francese) ha due verbi specializzati: fare e lasciare. Fare esprime tanto il grado forte (12) a. quanto quello debole (12) b. di forza causativa:
(12) a. mia madre mi fa studiare anche la notte
b. mio padre mi fa andare in vacanza da sola
Il verbo lasciare, invece, esprime esclusivamente il grado debole:
(13) a. ho lasciato uscire i ragazzi
b. ho lasciato prendere la macchina a mio figlio
In taluni casi, una costruzione causativa è adoperata per frasi fatte e sim., in cui il valore causativo è praticamente impercettibile:
(14) chi te lo fa fare?
(15) che cosa te lo fa pensare?
(16) lasciami stare
(17) lascia perdere!
Le lingue si differenziano per il modo di codificare le costruzioni causative (Song 1996), e una certa varietà si trova in particolare tra le lingue romanze (Cerbasi 1997; Simone & Cerbasi 2000). Lo spagnolo, per es., le utilizza solo per la soluzione di alta forza causativa (non per caso in spagnolo il verbo della prima frase è mandar «ordinare»):
(18) he mandado construir un mueble para mi despacho
lett. «ho ordinato costruire un mobile per mio studio» = «ho fatto costruire un mobile per il mio studio»
In tedesco, per contro, il verbo lassen (lett. «lasciare») codifica tanto i casi di alta quanto quelli di bassa forza causativa.
Una peculiarità dell’italiano rispetto ad altre lingue europee consiste nel fatto che costruzioni causative sono usate anche per codificare situazioni che non hanno nulla di causativo (in cui cioè l’Iniziatore non esercita alcun controllo sull’Esecutore):
(19) ho fatto mangiare il bambino
(20) ho fatto prendere aria al tappeto
In (19), ovviamente, il bambino può essere stato ‘costretto’ a mangiare; ma essa significa anche «ho preparato un alimento adatto per il bambino» oppure «mi sono occupato di far mangiare il bambino» e sim.
Per questi motivi, è stato proposto di distinguere più tipi di causative in italiano (Simone & Cerbasi 2000), di cui solo uno formato da causative in senso proprio.
(a) Il primo tipo comprende le ‘false’ causative, costruzioni che, pur avendo l’aspetto esterno di una causativa, non codificano una situazione di controllo dell’Iniziatore sull’Esecutore:
(21) a. la zia ha fatto mangiare al bambino una buonissima torta
b. la zia fa trovare la cena pronta a suo nipote
c. fatemi avere vostre notizie
d. mi fai lavare le mani?
In questi casi, la forza causativa esercitata dall’Iniziatore sull’Esecutore è nulla: si direbbe che la costruzione serva solo a mettere in scena due agenti distinti, di cui l’uno fa qualcosa per l’altro (non necessariamente di natura imperativa). Per questo motivo si può ipotizzare che l’italiano (che da questo punto di vista funziona come il francese) usi la combinazione fare + infinito come risorsa produttiva per creare verbi polirematici (➔ polirematiche, parole; ➔ sintagmatici, verbi) quando questi siano necessari. Basti pensare a combinazioni come le seguenti:
(22) a. fare avere: fammi avere tue notizie, per favore
b. fare credere: gli ho fatto credere che sono innocente
c. lasciare intendere: mi ha lasciato intendere che era un avvocato
d. fare sapere: fatemi sapere chi ha vinto
e. fare vedere: fammi vedere la tua casa nuova
f. farsi vedere: non devi farti vedere in giro
Queste combinazioni, pur avendo aspetto di causativa, non hanno nulla di causativo dal punto di vista semantico. In effetti fare avere, fare sapere, ecc. si comportano come predicati unici. Ciò si osserva anche dal fatto che una parte di essi (per es., farsi vedere) non codificano l’Esecutore con a + nome ma con da + nome (non devi farti vedere in giro dai tuoi avversari).
Del resto, la struttura fare + infinito ha un’altra fondamentale proprietà: serve a rendere transitivi verbi originariamente intransitivi:
(23) hanno finalmente fatto partire [transitivo] il treno
(24) a che ora fanno uscire [transitivo] i bambini da scuola?
(b) Il secondo tipo di causativa contiene casi di significato ambiguo, nel senso che il rapporto tra Iniziatore e Esecutore può essere letto sia in senso imperativo sia in altro senso:
(25) ho fatto studiare mio figlio
(26) il dottore ha fatto alzare l’ammalato
(27) ho fatto lavare la lattuga
Per es., (25) può avere tre interpretazioni diverse: «ho aiutato mio figlio a studiare» (per es., studiando con lui); «ho obbligato mio figlio a studiare»; «ho aiutato (per es., finanziariamente) mio figlio a studiare». Solo la seconda interpretazione è causativa in senso proprio.
(c) Il terzo tipo contiene le ‘vere’ causative, cioè quelle in cui la costruzione codifica un alto grado di forza causativa tra un Iniziatore e un Esecutore e che soddisfa tutte le condizioni pragmatiche illustrate sopra:
(28) l’imperatore fece costruire una flotta ai marinai
(29) il comandante ha fatto spostare il reggimento in un altro reparto
(d) In italiano si potrebbe ravvisare anche un quarto tipo (probabilmente dovuto dall’influsso del francese, in cui la costruzione in questione è corrente), di uso relativamente ristretto e limitato alla lingua parlata: si tratta di costruzioni formalmente causative, che in effetti codificano situazioni in cui quello che è apparentemente l’Iniziatore è in realtà un Paziente soggetto a una forza non controllabile:
(30) per la sua sbadataggine si è fatto rubare il portafogli da un mariolo
(31) si è fatto investire da un autobus
Quest’ultimo tipo si caratterizza per un dettaglio: il costituente corrispondente all’Esecutore (negli esempi è sottolineato) non può essere codificato con a + nome ma necessariamente con da + nome, la forma tipica del complemento di agente.
In sostanza, l’italiano tende a estendere l’uso delle causative ben al di là della codifica di situazioni realmente causative. Per questo motivo lo si può considerare, dal punto di vista tipologico, come una lingua «a forte orientamento causativo» (Simone & Cerbasi 2000), al pari del francese (con cui ha in comune tutte le proprietà finora descritte), ma diversamente dallo spagnolo (che – come si è accennato – codifica con costruzioni causative solo il grado forte di controllo).
Nella costruzione causativa i pronomi ➔ clitici hanno un comportamento particolare: infatti si collegano non al secondo verbo (quello all’infinito) ma al primo (il verbo fare o lasciare):
(32) mi ha fatto guidare la macchina → me l’ha fatta guidare ~ * mi ha fatto guidarla
(33) facendomi guidare la sua macchina → facendomela guidare ~ * facendomi guidarla
Ciò può significare che la combinazione di verbi tipica della costruzione causativa si comporta come un blocco unitario.
Il latino (Chamberlain 1986) faceva relativamente scarso uso di costruzioni causative nel senso sopra descritto, preferendo codificare la relazione causativa con mezzi lessicali, cioè mediante verbi dal significato intrinsecamente causativo (Biville 1995): per es., una successione come fare uccidere in latino non trovava espressione parola per parola ma si codificava col solo verbo interficĕre «uccidere, dare la morte a». Del resto questa modalità esiste anche in altre lingue: in italiano la frase mi sono operato di ernia significa in realtà «mi sono fatto operare di ernia».
La soluzione sintattica più frequente, documentata sin dagli inizi della storia del latino, è formata da due frasi: la prima contiene un verbo di comandare, la seconda un verbo con complementatore. Una tipica struttura latina per la causativa è quindi iubēre «ordinare» + ut + congiuntivo, corrispondente all’italiano «ordinare affinché qualcuno faccia». Il verbo della principale poteva anche essere facĕre, efficĕre ut e altri, tutti col significato di «fare affinché …» (Chamberlain 1986: 5):
(34) non potuisti ullo modo facere ut mihi illam epistulam non mitteres (Cicerone, Ep. ad Att. XI, 21, 1)
«non hai potuto in nessun modo non fargli mandare quella lettera»
Il primo verbo poteva anch’essere un verbo di persuadere: suadeo, persuadeo, induco, ecc., sempre con ut + congiuntivo:
(35) inducere aliquem ut mentiatur
«persuadere qualcuno perché menta» = «far mentire qualcuno»
Anche la soluzione facĕre + infinito (antenata della costruzione italiana) si trova nella fase aurea della lingua, ma meno spesso delle altre:
(36) quae […] faciunt lumina gigni (Lucrezio, De rer. nat. III, 301)
lett. «che fanno le luci essere generate» = «che fanno nascere le luci»
(37) ignes qui faciunt solem certa de surgere parte (Lucrezio, De rer. nat. V, 703)
«fuochi che fanno sorgere il sole da una parte determinata»
La costruzione con facĕre è diffusa in particolare nel genere testuale delle ricette di cucina:
(38) mel infervere facito (Columella, De re rustica XII, 38, 5)
«fa’ bollire il miele»
(39) et lento igni fervere facias (Apicio, De re coquinaria III, 2, 8)
«e fa’ bollire a fuoco lento»
È solo nel medioevo che il latino mostra segni frequenti di una struttura causativa nel senso descritto (Chamberlain 1986: 59 segg.):
(40) mulierem clamare fecit (Gregorio di Tours, Historia Francorum, 11)
letteralm. «una donna chiamare fece» = «fece chiamare una donna».
La costruzione causativa nel senso descritto all’inizio (con la sua costruzione tipica e con la sua alta frequenza d’uso) sembra essere, se non un’innovazione romanza, perlomeno un frutto della tarda latinità. In italiano è attestata dalle prime fasi, anche se con un ordine dei costituenti diverso da quello attuale (Brambilla Ageno 1956; Robustelli 1992; Robustelli 1994). Si vedano gli esempi seguenti di Dante:
(41) La grave idropesi [...] faceva lui tener le labbra aperte (Inf. XXX, 52-55)
(42) la ’mpresa che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo (Inf. XXXIII, 94-96)
(43) e fece i prieghi miei esser contenti (Purg. XXVIII, 58)
In questi casi, i costituenti indicanti l’Esecutore (rispettivamente lui, Nettuno e i prieghi miei, sottolineati) si trovano subito dopo la forma del verbo fare del quale fungono da oggetto (più o meno al modo dell’ordinamento dell’➔accusativo con l’infinito).
Biville, Frédérich (1995), Enoncés factitifs latins. Syntaxe et sémantique, in De usu. Études de syntaxe latine offertes en hommage à Marius Lavency, éd. par D. Longrée, Louvain-La-Neuve, Peeters, pp. 31-44.
Brambilla Ageno, Franca (1956), Il verbo in italiano antico, Milano, Ricciardi.
Cerbasi, Donato (1997), Las construcciones causativas del tipo ‘hacer’ + ‘infinitivo’ en español, portugués, e italiano, «Lingüística española actual» 19, 2, pp. 155-171.
Chamberlain, Jeffrey T. (1986), Latin antecedents of French causative faire, New York - Berne - Frankfurt, P. Lang.
Comrie, Bernard (1981), Language universals and linguistic typology. Syntax and morphology, Chicago, University of Chicago Press.
Guasti, Maria Teresa (1993), Causative and perception verbs. A comparative study, Torino, Rosenberg & Sellier.
Robustelli, Cecilia (1992), Alcune osservazioni sulla sintassi del costrutto fare + infinito nell’italiano dei primi secoli, «The Italianist» 12, pp. 83-116.
Robustelli, Cecilia (1994), Il costrutto latino ‘fare’ e infinito nell’italiano dal 1400 al 1800, «Studi e saggi linguistici» 4, pp. 151-203.
Simone, Raffaele & Cerbasi, Donato (2000), Types and diachrony of Romance causatives, «Romanische Forschungen» 113, pp. 441-473.
Song, Jae J. (1996), Causatives and causation. A universal-typological perspective, Harlow, Longman.