CRANIO (dal gr. κρανίον "cranio, teschio", diminutivo di κράνος "elmo"; lat. cranium; fr. crâne; sp. craneo; ted. Schädel; ingl. skull)
Il cranio, scheletro cefalico o della testa, è un apparato scheletrico nel quale si possono distinguere il nevrocranio, o cranio cerebrale, e lo splancnocranio, o cranio viscerale. Il nevrocranio è in forma di capsula nella quale è contenuto l'encefalo e comunica col canale vertebrale che contiene il midollo spinale. Lo splancnocranio è situato ventralmente rispetto al nevrocranio, s'è formato sul contorno del tratto anteriore del canale alimentare, cioè della bocca e della regione branchiale. Nell'uomo e nei Vertebrati superiori costituisce in definitiva con la sua parte principale lo scheletro della bocca e delle fosse nasali. Ambedue le parti del cranio partecipano, in proporzione diversa, a dare ricetto agli organi della vista, dell'udito e dell'olfatto.
La divisione in nevrocranio e in splancnocranio corrisponde nelle linee essenziali a quella dell'anatomia dell'uomo, in cranio propriamente detto (cranium) e faccia (ossa faciei). Il cranio propriamente detto, nell'uomo, è una capsula ovoidale con l'asse maggiore sagittale, con la piccola estremità nella regione della fronte. La faccia è una piramide triangolare a base inferiore, che s'applica e si congiunge alla parte antero-inferiore del cranio. Concorre con questo a delimitare le cavità orbitarie, che contengono gli organi della vista coi loro annessi, e le fosse nasali, e costituisce lo scheletro della bocca.
Le singole ossa del cranio. - Alcune ossa si costituiscono per la fusione di ossa simili formatesi a ciascun lato della linea mediana, o di ossa differenti per posizione, forma, origine, che possono appartenere al nevrocranio e allo splancnocranio. Distinguiamo nel cranio: 1. Ossa della capsula cerebrale: occipitale, sfenoide, temporali, parietali, frontale. 2. Ossa della regione nasale: etmoide, cornetti inferiori, lacrimali, nasali, vomere, insieme con alcune cartilagini. 3. Ossa della regione mascellare: mascelle, palatini, zigomatici, mandibola. 4. Ossicini dell'udito: martello, incudine, staffa (bilaterali). 5. Apparato ioideo: osso ioide e suoi legamenti.
Occipitale (os occipitale). - Ha sede nella parte posteriore del cranio, e s'articola con la colonna vertebrale (articulatio atlanto-occipitalis). Un ampio forame, foro occipitale (foramen occipitale magnum), che lo traversa nella sua parte antero-inferiore, fa comunicare la cavità del cranio con quella della colonna, e permette all'encefalo di mettersi in continuità col midollo spinale. Le varie parti dell'osso si dispongono all'intorno del forame occipitale. In avanti vi corrisponde la parte basilare (pars basilaris), grossa e stretta, che s'insinua nella base del cranio fra le ossa temporali. Sui lati del foro stanno le parti laterali (partes laterales) con i condili, rilievi che servono all'articolazione con la 1ª vertebra (atlante). Dietro al foro l'osso s'espande in un'estesa lamina, la squama (squama occipitalis); questa con la faccia anteriore concava chiude dal didietro la cavità del cranio, con la faccia posteriore convessa completa in alto posteriormente la vòlta del cranio; in basso essa dà attacco ai muscoli della nuca (fig. 2).
Sfenoide (os sphenoidale, dal gr. σϕήν "cuneo"). - È posto nella parte media della base del cranio, al dinnanzi dell'occipitale e dei temporali. Risulta d'una porzione centrale, corpo (corpus), e di due prolungamenti, ali, che si dipartono da ciascun lato del corpo, una anteriore, la piccola ala (ala parva), una posteriore, la grande ala (ala magna). Con la superficie superiore il corpo prospetta verso la cavità cranica, con la posteriore si articola, fin verso la pubertà, con l'osso occipitale, poi si salda con esso con le altre superficie sta in rapporto con la regione nasale. Contiene due spaziose cavità: il seno sfenoidale (sinus sphenoidalis) destro e il sinistro, che comunicano con le fosse nasali. Le piccole ali, strette e sottili, articolate in avanti col frontale, guardano con una faccia verso la cavità cranica, con l'altra corrispondono al tetto della cavità orbitaria. Le grandi ali, voluminose, hanno una faccia interna concava, che si trova nella base del cranio, al dinnanzi del temporale e una superficie esterna, che una cresta verticale divide in due facce; una di queste corrisponde alla parete laterale della cavità orbitaria, l'altra alla superficie laterale del cranio nella fossa temporale. Un grosso prolungamento, processo pterigoideo (processus pterygoideus: dal gr. πτέρυξ "penna, ala"), che si diparte in basso dalla radice della grande ala, s'applica al di dietro della regione mascellare presso l'orifizio della fossa nasale (fig. 3).
Temporale (os temporale: dal lat. tempus "tempia"). - È un osso pari situato fra occipitale e sfenoide, al disotto del parietale, e contiene l'organo dell'udito.
Una parte dell'osso è nella parete laterale del cranio; contribuisce, con una lamina larga e sottile, squama (squama temporalis), a formare la fossa temporale; più in basso presenta il forame uditivo (porus acusticus externus), diretto verso l'organo dell'udito; al davanti di questo, le parti destinate alle articolazioni con la mandibola e un processo che congiunge il temporale all'osso zigomatico; al di dietro del forame la regione mastoidea (pars mastoidea: dal gr. μαστός "mammella"), che termina con quella prominenza comunemente detta ceppo dell'orecchio, e che contiene un sistema di cavità annesse all'organo dell'udito. Un'altra parte del temporale è in forma di piramide (pyramis), quadrangolare, che con la base partecipa alla formazione della regione mastoidea e col rimanente s'incunea nella base del cranio fra occipitale e sfenoide. Essa accoglie nel suo interno le parti essenziali dell'organo dell'udito (figura 4).
Parietale (os parietale: dal lat. paries "parete"). È un osso quadrangolare, posto da ciascun lato nella vòlta del cranio, dinnanzi all'occipitale, dietro al frontale, sopra al temporale. Ha una faccia concava, che guarda verso la cavità cranica, una faccia convessa, la quale partecipa alla formazione della fossa temporale (col frontale, lo sfenoide, il temporale, lo zigomatico; fig. 5).
Frontale (os frontale: dal lat. frons "fronte"). - È l'osso a conchiglia, che chiude in avanti la cavità cranica. La sua parte principale, squama (squama frontalis), corrisponde alla regione della fronte e s'estende fin verso il vertice; per piccola parte compare nella fossa temporale. In basso la squama s'articola sul mezzo con le ossa nasali; a ciascun lato forma il contorno superiore dell'apertura dell'orbita (partes orbitales), e termina lateralmente col processo zigomatico, che unisce il frontale allo zigomo. La parte inferiore del frontale si porta da ciascun lato in dietro nella base del cranio, prospettando con una faccia verso la cavità cranica, mentre con la faccia opposta costituisce quasi tutta la vòlta dell'orbita. Ha un'incisura mediana (incisura ethmoidalis), nella quale s'incastra l'etmoide, e sul contorno di quest'incisura s'articola con quest'osso. Il frontale contiene nel suo spessore due cavità spaziose, i seni frontali. che comunicano con le fosse nasali: occupano lo spazio sovrastante alla radice del naso e s'estendono più o meno lateralmente (fig. 6).
Etmoide (os ethm0idale: dal greco ηϑμός "filtro, crivello"). - È situato al davanti dello sfenoide, al disotto del frontale, fra la cavità nasale e le orbite. Risulta d'una stretta lamina orizzontale (lamina cribrosa) e d'una lamina verticale mediana (lamina perpendicularis), che dalla prima si stacca ad angolo retto, e di due masse laterali (labyrinthi ethmoidales) appese alle estremità della lamina orizzontale. Questa è incastrata nell'incisura mediana del frontale; con una superficie guarda verso la cavità cranica, con l'altra corrisponde alla vòlta della cavità nasale. La lamina verticale ha gran parte nel formare la parte superiore del setto tra le due fosse nasali. Le masse laterali, a forma di parallelepipedi, prospettano lateralmente con una superficie liscia verso l'orbita, e medialmente, con una superficie anfrattuosa, caratterizzata da due lamine accartocciate su loro stesse, cornetti (concha nasalis superior e media), guardano verso la corrispondente fossa nasale. Le masse laterali sono scavate da numerose cellette comunicanti fra loro, che s'aprono nella fossa nasale.
Cornetto inferiore (concha inferior). - È simile agli altri cornetti che si trovano al disopra di esso, nella faccia nasale delle masse laterali dell'etmoide.
Lacrimale (os lacrimale). - È una sottile lamella posta all'angolo mediale dell'apertura dell'orbita. Insieme con un processo del frontale, costituisce una doccia (sulcus lacrimalis), alla quale fa seguito un canale osseo che sbocca nelle fosse nasali: la doccia e il canale dànno rispettivamente ricetto al sacco e al condotto naso-lacrimale, che servono per l'escrezione delle lacrime.
Ossa nasali (os nasale). - Le ossa nasali articolate col frontale e tra loro, formano, insieme coi processi nasali delle mascelle, lo scheletro della parte superiore del naso.
Vomere (vomer). - È una lamina verticale mediana, che forma la parte posteriore e inferiore del setto fra le due fosse nasali (fig. 8).
Cartilagini del naso. - Una delle cartilagini completa in avanti il setto tra le fosse nasali (cartilago septi nasi). Due altre, una per lato, fanno seguito alle ossa nasali e alla parte prossima della mascella, e risalgono sul dorso del naso, dove s'uniscono fra loro e col setto cartilagineo. Altre due cartilagini, cartilagini alari (cartilagines alares maiores), formano lo scheletro delle narici, ciascuna contornando la narice rispettiva in avanti e sui lati; fatte ad ansa, con la loro convessità si mettono accosto fra loro nel lobulo del naso. Tutte concorrono a render flessibile la parte inferiore del naso.
Mascelle (maxillae). - La mascella (m. superiore) è un osso pari, e quelle dei due lati s'incontrano e si articolano sulla linea di mezzo. Sono tra i costituenti più importanti del cranio faciale. Nel corpo della mascella si considerano tre facce. Della faccia laterale la parte anteriore corrisponde alla guancia, e la posteriore, in forma di tuberosità, prospetta verso una fossa che rimane al disotto della regione temporale. La faccia orbitaria costituisce quasi tutto il pavimento dell'orbita. La faccia nasale prospetta verso la fossa nasale. Una spaziosa cavità, il seno mascellare (sinus maxillaris), o antro di Higmoro, è contenuto nel corpo della mascella, e s'apre nella corrispondente fossa nasale. Prolungamenti emanano dal corpo delle mascelle. Il processo frontale è ascendente, e si articola col frontale e con l'osso nasale. Il processo zigomatico, corto, grosso, muovendo dalla faccia laterale raggiunge e si articola con l'osso zigomatico. Il processo palatino è una lamina orizzontale, che si diparte dalla faccia nasale e articolandosi con quella dell'altro lato forma la maggior parte dello scheletro del palato. Il processo alveolare, diretto in basso, descrive con quello dell'altro lato una curva semiellittica, e contiene fossette, alveoli, che si aprono sul suo margine inferiore, nelle quali sono infisse le radici dei denti superiori (fig. 9).
Palatino (os palatinum). - È un osso pari situato al didietro della mascella, fra questa e il processo pterigoideo dello sfenoide. Della mascella è quasi una continuazione. Risulta di due lamine che s'incontrano ad angolo retto. La lamina perpendicolare partecipa alla formazione della parete laterale delle fosse nasali; la lamina orizzontale completa in dietro lo scheletro del palato (fig. 10).
Zigomatico (os zygomaticum: dal greco ζυγόν "giogo"). - È un osso pari quadrilatero che determina il rilievo del pomello. Posto nell'intervallo fra i processi zigomatici della mascella e del temporale congiunge ad arcata queste due ossa. S'articola anche col frontale e con la grande ala dello sfenoide. Con la sua parte principale prospetta verso la faccia, ma contribuisce a formare lateralmente e in basso il contorno dell'orbita e la parte prossima a questo margine, e anche la regione temporale sul davanti (fig. 11).
Mandibola (mandibula). - È un osso impari mediano, il più voluminoso fra le ossa dello scheletro faciale, che si trova al limite inferiore e posteriore della faccia. È a ferro di cavallo: ha un corpo convesso in avanti, dalle estremità del quale partono due prolungamenti, rami, che si portano in alto, formando col corpo un angolo ottuso. Il corpo presenta sul mezzo in avanti la prominenza del mento; in alto si continua in un processo, che descrive una curva parabolica, e contiene fossette, alveoli, che s'aprono sul suo margine, e nelle quali sono contenute le radici dei denti inferiori. I rami, rettangolari, terminano superiormente con due processi: di questi l'anteriore, pr. coronoideo, dà attacco al muscolo temporale; il posteriore, condilo, serve all'articolazione della mandibola col temporale (fig. 12).
Gli ossicini dell'udito (ossicula auditus) sono tre: il martello (malleus), l'incudine (incus) e la staffa (stapes). Articolandosi fra loro formano una catena che traversa il cavo del timpano (dell'organo dell'udito), dalla membrana del timpano alla finestra del vestibolo (fig. 13).
L'apparato ioideo è rappresentato dall'osso ioide (os hyoideum), dai legamenti che lo congiungono da ciascun lato a un processo della faccia inferiore della piramide del temporale (pr. stiloioideo), e da questi processi.
L'osso ioide è impari, mediano, incurvato a ferro di cavallo, ed è posto trasversalmente nella parte anteriore e superiore del collo, tre o quattro dita trasverse al di sotto della mandibola. Risulta d'una parte centrale, corpo, e di due prolungamenti per parte, il piccolo e il grande corno, articolati fino a tarda età col corpo, poi fusi con questo. Il piccolo corno, diretto in alto, dà attacco al legamento che congiunge lo ioide al temporale, il grande corno sta nella diretta continuazione del corpo (fig. 14).
Il cranio dell'uomo nel suo insieme. - Superficie esterna. - Esaminiamo ora il cranio dell'uomo nel suo insieme, dapprima nella superficie esterna. Possiamo considerare in questa: la vòlta, la regione laterale, la base e la regione anteriore (fig. 15).
La vòlta formata dal frontale, dai parietali e dalla squama occipitale, è convessa, a superficie regolare. L'unione fra le varie ossa si fa per suture, cioè per ingranaggio dei loro margini.
Nella regione laterale sono da considerare la fossa temporale e la infratemporale, tra loro in comunicazione.
La fossa temporale si delimita dalla vòlta del cranio mediante una linea curva a convessità superiore, che muovendo dal processo zigomatico del frontale, decorre su quest'osso, poi sul parietale e sul temporale. Si ricongiunge questa linea al margine superiore dell'arcata formata dal processo zigomatico del temporale e dall'osso zigomatico. A formare la fossa temporale concorrono frontale, parietale, temporale, grande ala dello sfenoide, zigomatico. La fossa, che lateralmente è chiusa da una robusta membrana fibrosa, accoglie un forte muscolo masticatore, il muscolo temporale, che prende inserzione sul processo coronoideo della mandibola.
A delimitare la sottostante fossa infratemporale, che comunica in alto con la fossa temporale, ed è largamente aperta in basso e indietro, principalmente concorrono la tuberosità della mascella e il processo pterigoideo dello sfenoide. Lateralmente è chiusa dal ramo della mandibola.
Nella base si trova: indietro, l'osso occipitale (con la parte basilare, le parti laterali e la porzione inferiore della squama, che guarda verso la nuca) e la parte inferiore della piramide del temporale; sul mezzo, in un piano verticale, sono le aperture posteriori delle fosse nasali, coane, fiancheggiate dai processi pterigoidei dello sfenoide; in avanti, la base della mandibola e più profondamente il palato.
La regione anteriore, regione faciale, è formata dalla mandibola, dalle mascelle, dalle ossa zigomatiche e dalle ossa nasali. In essa s'aprono in alto, da ciascun lato, le cavità orbitarie, che hanno la forma di piramidi quadrangolari, con l'asse maggiore obliquo medialmente e indietro: la loro apertura è in un piano inclinato indietro e in fuori. Più in basso, eliminate le cartilagini del naso, si vede, sul mezzo, l'apertura piriforme delle fosse nasali, che indietro si aprono nelle coane. La loro vòlta è assai stretta; il palato osseo le separa dalla cavità della bocca; un sepimento mediano si trova fra la destra e la sinistra; la loro parete laterale è assai anfrattuosa. Con le fosse nasali comunicano le cavità nasali accessorie o paranasali, ricordate a proposito dello sfenoide, del frontale, dell'etmoide e delle mascelle. Infine, prospettano sulla regione faciale le arcate mascellari, guarnite di denti.
La cavità del cranio cerebrale, ovoidale, a grande asse sagittale, con la piccola estremità dell'ovoide in avanti, riproduce molto esattamente la forma dell'encefalo. Vi possiamo considerare la vòlta e la base. La vòlta è regolarmente concava. La base è ineguale, con fosse profonde e con numerosi fori per il passaggio di vasi e di nervi. È inclinata dall'avanti all'indietro e dall'alto in basso. La fossa anteriore o fronto-etntoidale è formata dalla parte inferiore del frontale, dalla lamina orizzontale dell'etmoide, e dalla parte anteriore dello sfenoide. Dà appoggio ai lobi frontali degli emisferi cerebrali e al lobo olfattivo. La fossa media è formata dal corpo e dalle grandi ali dello sfenoide, dalla squama e dalla faccia superiore della piramide del temporale. Accoglie i lobi temporali degli emisferi cerebrali e sul mezzo l'ipofisi. La fossa posteriore è formata dal corpo dello sfenoide, dall'occipitale con le parti basilare e laterale e con la porzione inferiore della squama, dal temporale con la faccia posteriore della piramide e con la parte mastoidea. Dà appoggio sul mezzo, clivo, al ponte e alla midolla allungata, e da ciascun lato agli emisferi cerebellari.
Sviluppo del cranio. - Tre fasi successive si considerano nello sviluppo embrionale del cranio, la fase membranosa, la fase cartilaginea e la fase ossea.
Il cranio primordiale membranoso è rappresentato da una membrana connettivale, che involge l'encefalo, da addensamenti di connettivo all'intorno degli abbozzi degli organi della vista, dell'udito e dell'olfatto, e da altre formazioni connettivali contenute negli archi branchiali. Nella base del cranio si prolunga dal tronco la corda dorsale, arrestandosi presso a una fossetta che è nella faccia superiore del corpo dello sfenoide; da ciò la divisione del cranio in due grandi regioni, la cordale e la precordale. La corda dorsale ha un'esistenza transitoria.
Nella fase cartilaginea compaiono nel cranio membranoso, in determinati punti, centri di condrificazione. Nel nevrocranio questi centri si accrescono e si fondono in una formazione continua, nella quale si considerano: la regione occipitale, che fa seguito alla colonna vertebrale e caudalmente ne ricorda la struttura, così da far credere che si sia costituita per assimilazione di alcune vertebre da parte del cranio; le regioni otiche, che contengono il labirinto acustico; le regioni orbito-temporali, in rapporto con l'organo visivo e con i muscoli masticatori; la regione etmoidale, che accoglie le fossette olfattive. Il processo della condrificazione nel nevrocranio dei Vertebrati superiori, specialmente nei Mammiferi e nell'uomo, in correlazione con l'ampiezza acquistata dalla cavità cranica per l'aumentato volume dell'encefalo, avviene in maniera incompleta. Rimangono lacune nella cartilagine della base, ma specialmente la condrificazione poco s'estende dal basso in alto sulle parti laterali, e manca per gran parte della volta cranica. In tutte queste aree la parete del cranio rimane temporaneamente formata da connettivo. Alla parziale condrificazione del nevrocranio s'accompagna la formazione di cartilagini in seno agli archi branchiali, le quali si presentano in forma di bastoncelli, che li percorrono assialmente; rappresentano la parte primitiva dello splancnocranio, la quale serve di fondamento alla costruzione dello scheletro della faccia, degli ossicini dell'udito e dell'apparato ioideo.
Segue la fase ossea. A seconda della loro origine le ossa del cranio si distinguono in primarie o di sostituzione e in secondarie o di rivestimento. Le ossa primarie si formano in sostituzione della preesistente cartilagine, la quale per la massima parte si distrugge, cedendo il posto al tessuto osseo che si sviluppa; ne rimangono più o meno a lungo alcuni residui; permanenti sono le cartilagini dello scheletro nasale. Le ossa secondarie si sviluppano nel connettivo del cranio membranoso: alcune di esse, come quelle della vòlta cranica, senza avere alcun rapporto con cartilagini; altre invece si sviluppano presso la superficie di cartilagini, che servono come di substrato o di guida allo sviluppo dell'osso e in seguito scompaiono; tale è per esempio il caso della mandibola, che si forma all'intorno della cartilagine del primo arco branchiale.
Le ossa del cranio si sviluppano in generale per più centri di ossificazione, che, dapprima distinti, con l'accrescersi s'incontrano, e ad epoca varia, per alcune anche a notevole distanza dalla nascita, si saldano fra loro. È opportuno ricordare che nella vòlta del cranio le ossa, nel feto alla nascita e per qualche tempo dopo, sono tuttora separate da sottili strisce di tessuto fibroso, residuo della membrana in seno alla quale s'è svolto il processo dell'ossificazione. In alcuni punti, più particolarmente dove più ossa s'incontrano, rimangono spazî membranosi, che si dicono fontanelle. Tra queste, la più estesa è quella di figura losangica che corrisponde al vertice, fontanella bregmatica, compresa fra i parietali e le due metà del frontale ancora fra loro indipendenti; si chiude di solito fra il secondo e il terzo anno (fig. 16).
Il cranio del bambino differisce da quello dell'adulto (oltreché per l'îndipendenza, in molte ossa, degli elementi che concorreranno a formarle) per molti altri caratteri. È specialmente da notare che è molto voluminoso, tantoché alla nascita è alto ¼, mentre nell'adulto può ridursi fino a 1/8 della statura. Nel confronto fra il cranio cerebrale e il cranio faciale, prevale di molto per volume il primo sul secondo, specialmente per l'imperfetto sviluppo della mandibola e delle mascelle, finché non sono spuntati i denti, e anche a causa della piccolezza dei seni mascellari fin verso la pubertà.
Anatomia comparata.
Nella serie dei Vertebrati grandi differenze esistono nella forma generale, nella costituzione e nello sviluppo relativo delle varie regioni del cranio, e nella struttura di esso. Nei Ciclostomi, nei Selaci e in alcuni Ganoidi il cranio è cartilagineo, in tutti gli altri Vertebrati è più o meno estesamente ossificato. Il volume del cranio in proporzione alla mole del corpo varia assai secondo le specie, ma in grado anche maggiore varia lo sviluppo relativo delle varie regioni che lo compongono. Nell'insieme si può dire che dai più bassi ai più alti Vertebrati aumentano, col crescente volume dell'encefalo, le dimensioni di quella parte del cranio che è destinata a contenerlo, mentre, in proporzione, nei bassi Vertebrati notevole è lo sviluppo raggiunto dalle altre regioni del cranio (fig. 17).
Particolare considerazione merita la costituzione dello splancnocranio cartilagineo, come si trova nei Selaci (fig. 18). Fondamentalmente risulta di archi scheletrici bilaterali, che contornano la parte iniziale del canale alimentare, e possono sulla linea medio-ventrale congiungersi per mezzo di una copula. Il primo di questi archi è l'arco mandibolare: corrisponde all'apertura della bocca, ed è rappresentato dorsalmente dal palato-quadrato e ventralmente dalla mandibola, in articolazione col precedente. Segue l'arco ioideo, che risulta anch'esso di un elemento dorsale (iomandibolare) e d'uno ventrale. Il palato-quadrato e lo iomandibolare, per le connessioni che hanno con la base del cranio nevrale e tra loro, costituiscono un apparato di sostegno per l'articolazione della mandibola. Seguono in vario numero gli archi scheletrici branchiali. Fra l'arco ioideo e il primo arco branchiale, e nei successivi intervalli fra gli altri archi, si aprono le fessure branchiali; gli archi, che le delimitano, dànno sostegno alle branchie.
Questo apparato scheletrico si ritrova, con particolari caratteristiche in altri Vertebrati, e, in forma più o meno ridotta, fa una temporanea apparizione durante lo sviluppo anche in Vertebrati superiori, l'uomo compreso. Ne rimangono residui, con ufficio affatto differente dal primitivo, negli ossicini dell'udito, nell'apparato ioideo e nello scheletro cartilagineo della laringe; ma questo apparato viene in parte sostituito da altri elementi scheletrici.
Un altro punto da considerare è quello dei rapporti che le ossa cutanee contraggono col cranio. Nei Selaci, nei quali lo scheletro è cartilagineo, come negli squali, la pelle è provvista di squamette ossee che sostengono i denti cutanei, e tale è anche la struttura della pelle che è applicata sul cranio. In alcune specie di pesci, ad esempio nello Storione, un Ganoide a scheletro cartilagineo, robuste piastre ossee d'origine cutanea aderiscono alla vòlta del cranio. Nei Teleostei la vòlta del cranio può rimanere cartilaginea o ossificarsi parzialmente, e ad essa si sovrappongono e s'applicano ossa cutanee (fig. 19). Le ossa d'origine connettiva che in Vertebrati superiori, come nei Mammiferi, colmano l'ampia lacuna che è nella vòlta del cranio cartilagineo, si considerano come una derivazione di ossa primitivamente cutanee, che nell'evoluzione delle specie sono entrate a far parte integrante del cranio. Fatti analoghi di sovrapposizione e di sostituzione di ossa cutanee a organi scheletrici cartilaginei si verificano anche in altre parti del cranio, così nella capsula nasale, nella regione mascellare, negli archi branchiali.
Nei Mammiferi in confronto agli altri Vertebrati più intime connessioni si riscontrano fra il nevrocranio e lo splancnocranio. Questo tende, in grado crescente dalle più basse forme di Mammiferi alle più elevate fino all'uomo, a spostarsi dall'avanti all'indietro rispetto al nevrocranio, così da porsi più estesamente alla base di questo, riducendosi progressivamente la sporgenza in avanti delle regioni nasale e mascellare (fig. 20).
Gli elementi scheletrici che concorrono nei Mammiferi alla formazione del cranio si ritrovano nelle varie specie; ma in alcune possono rimanere separate permanentemente ossa che in altre lo sono soltanto durante lo sviluppo. Così, per esempio, mentre nell'uomo le ossa frontali destro e sinistro nella prima infanzia si saldano fra loro, in altri Mammiferi possono rimanere indipendenti anche nell'adulto. Ugualmente ossa d'origine differente e di differente significato morfologico, che in una specie presto s'uniscono in un osso unico, in altre specie rimangono separate; per esempio, la metà superiore della squama occipitale d'origine connettiva, in varie specie di Mammiferi rimane distinta, col nome di osso interparietale, dalla parte inferiore della squama, d'origine cartilaginea, equivalente al sovraoccipitale di forme inferiori; invece nell'uomo la squama occipitale risulta del sovraoccipitale e dell'intraparietale fra loro fusi. Si credette in passato che fosse caratteristica dell'uomo la mancanza dell'intermascellare, un osso che in altri Mammiferi si trova al lato mediale della mascella. Volfango Goethe per il primo ne segnalò la presenza anche nell'uomo; peraltro dopo le prime fasi dello sviluppo non è più delimitabile dalla mascella. Può in alcune specie trovarsi qualche ossicino accessorio.
Variazioni specifiche si osservano nelle dimensioni assolute e relative e nella forma delle singole ossa. Alcune di queste variazioni sono determinate dalle accidentalità nelle superficie, dovute ai rapporti con i muscoli e in correlazione con la robustezza di quest'ultimi.
Molto caratteristiche delle varie specie di Mammiferi sono le differenze nella regione nasale con le parti contigue della fronte e delle mascelle, che possono essere più o meno sviluppate e prominenti; in parte per la varia estensione raggiunta dalla superficie della mucosa olfattiva, cui va aggiunta, negli animali cosiddetti macrosmotici, una grande complicazione della parete laterale delle fosse nasali; inoltre, a seconda dell'ampiezza raggiunta dalle cavità paranasali, che possono essere molto spaziose.
Deve anche nei Mammiferi essere tenuta presente la costituzione dell'arcata zigomatica, la quale risulta dell'osso zigomatico, intercalato fra la mascella e il processo zigomatico del temporale. L'arcata può procedere dall'avanti all'indietro, senza prendere contatto né col frontale né con la grande ala dello sfenoide; in questo caso l'orbita e la fossa temporale si continuano direttamente l'una nell'altra, come si nota, per esempio, nei Carnivori.
Qualora, come avviene in alcune specie, lo zigomatico entri in articolazione col processo zigomatico del frontale, si costituisce il contorno laterale dell'apertura dell'orbita, ampia rimanendo la comunicazione di essa con la fossa temporale, per esempio, nei Ruminanti.
Se poi, come nell'uomo, si effettua anche una congiunzione, medialmente, fra l'osso zigomatico e la grande ala dello sfenoide, l'orbita acquista un'estesa parete laterale, e la sua comunicazione con la fossa temporale si riduce a una stretta fessura, la fessura orbitale inferiore. Per il cranio degli Anfibî, Rettili, Uccelli v. le voci relative e la fig. 17.
Il cranio dal punto di vista antropologico.
Nelle vecchie trattazioni antropologiche del cranio si teneva poco o nessun conto dei caratteri di esso nei Primati, limitandosi per lo più dette trattazioni a considerare il cranio delle razze umane o meglio di alcune di esse. Ora non si potrebbe più fare a meno di porre una simile trattazione nel quadro delle caratteristiche del cranio dell'ordine dei Mammiferi cui l'uomo appartiene, quello dei Primati.
Nella più generale concezione, quest'ordine contiene i 4 gruppi dei Lemuri (Proscimmie), Tarsioidei, Scimmie e Uomini, di cui il primo ha la più bassa posizione nel sistema naturale. Il cranio dei Lemuri ha caratteristiche che lo distinguono da quello dei gruppi superiori. Per ciò che riguarda la forma generale, si possono distinguere due tipi estremi, fra i quali tuttavia esistono gradi intermedî. L'uno è allungato, sia nella parte cerebrale, sia nella parte faciale, che è appuntita e aguzza alla guisa del cranio dei Carnivori. Questo tipo è presentato dal genere Lemur (fig. 21). L'altro presenta cranio cerebrale rotondeggiante e muso corto. Questo tipo è presentato da quel gruppo di Lemuri, abitante l'Africa e l'Asia, che è dato dalla famiglia Lorisidae (fig. 22). Alcuni chiamano questi due gruppi dolicocefalico e brachicefalico, per analogia con i fatti presentati dall'Uomo, ma queste denominazioni debbono essere rifiutate, perché possono far sorgere l'idea di legami e rapporti, sia pure solo morfologici, che in realtà non esistono. Sul cranio cerebrale è rara la presenza di una cresta longitudinale (pettine sagittale). Uno dei caratteri fondamentali che distinguono il cranio dei Lemuri da quello degli altri gruppi è il possesso di un'orbita ampiamente comunicante con la fossa temporale, cioè ridotta a un anello osseo che circonda, all'innanzi, il globo oculare, senza parete posteriore. Nelle Lorisidae, che più spiccatamente fanno vita notturna, l'orbita è molto grande, essendo il globo oculare assai grosso. L'orbita guarda sempre più o meno alquanto all'esterno. La posizione del lacrimale era data una volta come faciale, cioè all'innanzi dell'orbita, a differenza della maggior parte dei gruppi soprastanti, ma le ricerche del Forsyth Major, soprattutto, hanno tolto valore a queste differenze. L'aspetto inferiore della parte petrosa del temporale si mostra come una salienza emisferica (bolla uditiva). Per la struttura della regione timpanica, esistono nei Lemuri due tipi diversi. Nei Lemuri del Madagascar, l'osso timpanico, invece di costituire, come nell'Uomo, parte almeno del condotto uditivo esterno, è foggiato ad anello quasi completo (che appunto circoscrive e sorregge, come un telaio, la membrana del timpano), libero nella cavità della bolla, o, meglio, attaccato alla porzione squamosa del temporale con i suoi due estremi. Il breve condotto uditivo esterno è fornito dalla parte petrosa. In tutti gli altri Lemuri il timpanico non ha questa forma ad anello e si approssima perciò alla condizione dei gruppi dei Primati superiori, formando il breve condotto uditivo esterno e prendendo parte alla formazione della bolla. L'apparato olfattorio è bene sviluppato (animali macrosmotici). Nello sviluppo relativo di alcuni turbinati passano differenze fra i gruppi dei Lemuri. È degno anche di essere ricordato che la lamina cribrosa è disposta quasi orizzontalmente nelle Lorisidae, abbastanza inclinata negli altri Lemuri (come è nei Mammiferi in genere). La linea del profilo decorre sotto la glabella rapidamente verso l'innanzi, senza avere quel seguirsi di salienze e rientranze che si verifica nelle Scimmie. Il cranio cerebrale non s'innalza mai molto sopra la glabella, una volta orientato il cranio sull'orizzontale. Se si fa una sezione secondo il piano mediano (sagittale) del cranio, si constata come l'ovoide che rappresenta la sezione del cranio cerebrale è disposto con il suo grande asse press'a poco orizzontalmente nei generi a cranio allungato, inclinato assai verso il basso e all'indietro nei generi a cranio relativamente corto (Sera). Le due metà laterali della mandibola non sono collegate stabilmente con osso.
Il gruppo dei Tarsioidei, rappresentato, fra i viventi, solo dal genere Tarsius, ha il cranio cerebrale rotondeggiante e somigliante nell'aspetto di insieme a quello delle Lorisidae (fig. 23). Ne differisce però soprattutto per due caratteri: per la presenza di una parete posteriore dell'orbita (quantunque la fessura orbitaria inferiore sia più forte che nelle Scimmie), e per la più forte riduzione della parte faciale. L'enorme sviluppo dell'orbita è in realtà una esagerazione dello stesso carattere nelle Lorisidae, onde lo spazio interorbitario è ridottissimo. L'apparato olfattorio è anche in conseguenza ridotto.
Nelle scimmie il cranio cerebrale è relativamente più sviluppato in genere che nei Lemuri, ma anche in questo gruppo talvolta abbiamo sviluppi assai forti del cranio faciale, con forte allungamento del muso. Così, ad esempio, nei cosiddetti Cinomorfi (chiamati appunto così per l'allungamento del muso come nei cani; fig. 24) e persino negli Antropomorfi (fig. 25). Non sono infatti gli Antropomorfi ad avere il più piccolo sviluppo della parte faciale, ciò riscontrandosi in maggior misura in alcune scimmie americane, cioè nelle Platirrine (Chrysothrix, Callicebus, Nyctipithecus; fig. 26) e in qualche Catarrina (Myopithecus). Molto spesso però si erra giudicando della prominenza del muso nel cranio delle Scimmie, giacché si dispone il cranio in guisa che il piano degli alveoli dentali sia disposto orizzontalmente. Questa orientazione è, per i Cinomorfi, affatto erronea e non corrisponde alla posizione presa naturalmente dall'animale, quando guarda tranquillamente all'orizzonte. In tal posizione l'asse del muso è rivolto in forte misura verso il terreno. Ciò che caratterizza il cranio delle Scimmie è che l'innesto della faccia è passato sotto alla parte anteriore del cranio cerebrale, mentre nei Lemuri era per lo più all'innanzi, come è in genere nei Mammiferi. Anche quando il muso è sviluppato all'innanzi, vi è un tratto del profilo abbastanza rientrante sotto la glabella; ciò differenzia fortemente il profilo di un cranio di Scimmia da quello del Lemure, che è meno mosso. Nella cavità cranica il fatto sopraccennato è espresso dalla posizione sempre orizzontale della lamina cribrosa. Sul cranio cerebrale si presentano creste sagittali e occipitali (pettini), in prevalenza negli Antropomorfi, più raramente in altri generi. La posizione del foro occipitale rispetto allo spazio del solido rappresentato dal cranio cerebrale è variabile. Il Bolk ha pensato di analizzare numericamente detta posizione; per far ciò egli si è servito del cosiddetto indice basale.
Sopra una sezione sagittale del cranio, da un punto situato presso a poco in prossimità del forame cieco, vale a dire all'innanzi della crista galli, egli tira una linea che corrisponde alla massima distanza che si può prendere da detto punto al contorno del cavo cerebrale. Su questa linea, che chiama orizzontale del cavo, egli proietta la posizione del basíon (vedi oltre). La distanza che passa da questa proiezione al punto iniziale chiama distanza prebasionale. Il rapporto, moltiplicato per cento, della distanza prebasionale all'orizzontale del cavo è l'indice basale.
I risultati del Bolk permettono di stabilire che non vi è alcuno stretto legame fra la posizione del foro occipitale e il grado gerarchico della forma relativa nel sistema tassinomico. Del resto, era già noto da tempo che un genere delle Platirrine, così basso nel sistema come Chrysothrix, ha un foro occipitale posto, assai all'innanzi, presso a poco come nell'uomo. Non è constatabile neppure alcun rapporto fra la posizione del foro e la stazione bipede. Nel passaggio dal cranio infantile all'adulto si ha uno scorrimento del foro occipitale verso il polo posteriore del cranio, e contemporaneamente si fa più verticale il piano del foro stesso. Questo del resto è un fenomeno che si verifica in molti Mammiferi (Leche, Stehlin). Le orbite guardano verso l'innanzi e hanno sempre una parete posteriore più o meno completa. La riduzione della parte olfattoria (etmoide) è molto inoltrata. La lamina cribrosa spesso è ridotta a un foro, per il quale passano i filetti olfattorî. Nella regione timpanica le Scimmie presentano due tipi, l'uno proprio delle Scimmie dell'America del Sud, in cui il timpanico conserva una forma anulare, senza condotto uditivo esterno o al più solo accennato, l'altro delle Scimmie del Vecchio Mondo, in cui il timpanico forma un condotto uditivo esterno, come una doccia aperta in alto, che si accolla allo squamoso. La mandibola costituisce un pezzo unico.
Le forme del cranio cerebrale dei Primati sono assai diverse. Spesso sono anche difficili a determinare all'esterno, per la presenza di creste e per lo sviluppo del ponte zigomatico. Ma lo stesso cavo encefalico è diverso, ora a forma lenticolare, compresso dall'alto in basso, ora compresso bilateralmente. Ciò non deve sorprendere, perché i fattori che agiscono a determinare la forma del cranio dei Primati sono numerosissimi, per le condizioni di vita, i modi di stazione e locomozione, i tipi di masticazione: in breve, per gli adattamenti particolari, profondamente diversi gli uni dagli altri, che si riscontrano nel gruppo. Una teoria generale del cranio dei Primati è ancora assai lungi dall'essere compiuta, malgrado l'interesse che essa avrebbe e malgrado gli studi numerosi che sono stati fatti sull'argomento. Il Sera ritiene che la orizzontale del cavo craniense non ha nel gruppo delle Scimmie la stessa posizione rispetto all'orizzontale di visione (v. oltre): in alcuni casi essa è press'a poco parallela a questa (Semnopithecus); in altri, fa un angolo aperto all'innanzi e in alto (Macacus e Cinomorfi; fig. 28); ancora in altri fa un angolo aperto in basso e all'innanzi (Mycetes, Simia; fig. 29). Questi fatti trovano anche un'espressione indipendente dal piano orizzontale di visione in alcuni caratteri evidenti alla sezione sagittale del cranio. Considerando, infatti, la base del cranio quale è data dalla continuità del presfenoide, basisfenoide, basiloccipitale, si constata come essa formi nel Cinocefalo con la sezione della vòlta palatina un angolo che si approssima assai al retto, mentre nel Mycetes è ad essa parallela, anzi formano talvolta un angolo negativo. Considerando dunque l'insieme delle diverse forme nei diversi generi si può dire che è come se la parte del cranio relativamente fissa nella sua posizione sia la parte anteriore, corrispondente alla lamina cribrosa dell'etmoide e alla parte anteriore del presfenoide (Sera). La base del cranio in altre parole ruoterebbe intorno alla parte anteriore del presfenoide come centro: non avendosi fra i tre pezzi della base spostamenti angolari forti, l'uno rispetto all'altro pezzo, al contrario di ciò che avviene per l'Uomo, in cui, come vedremo, i massimi cambiamenti nelle forme diverse del cranio cerebrale si hanno nella sincondrosi tra basiloccipitale e basisfenoide. Il Sera pensa che nell'Uomo in genere, mentre il basiloccipitale cambia assai di posizione, al contrario i primi due pezzi presfenoide e basisfenoide hanno una posizione relativamente fissa, la quale è intermedia fra i due estremi rappresentati da Cynocephalus e Mycetes, ma più prossima al primo.
Non si può dire che l'Uomo sia caratterizzato da un cranio cerebrale predominante di gran lunga il faciale, e neppure da un cranio cerebrale forte in relazione alla statura. Entrambi questi rapporti sono presumibilmente altrettanto favorevoli in certi Primati (Chrysothrix, Cebus). Si può dire piuttosto che l'Uomo è l'unico animale che ha, con forti dimensioni corporee, un rapporto encefalico relativamente elevato. In altre parole ciò significa che l'elemento "dimensione corporea" è un elemento non trascurabile nel concetto morfologico "Uomo". Ciò che del resto, sia detto di sfuggita, i fatti finora conosciuti, sopra le dimensioni somatiche dei più primitivi fra gli Uomini viventi e dei fossili, confermano completamente. Nel cranio cerebrale e faciale dell'Uomo noi distinguiamo tre ordini diversi di caratteri, nettamente distinti: 1. caratteri raziali; 2. caratteri architetturali; 3. caratteri fisiopatologici. I primi sono quelli che dànno un aspetto particolare al cranio di un gruppo etnico qualsiasi, che ne fanno la sua fisionomia. Questi caratteri, che hanno uno speciale valore per l'antropologia etnologica, sono assai inegualmente divisi fra il cranio cerebrale e il faciale, essendo assai più frequenti ed evidenti nel secondo. Si crede comunemente che questi caratteri siano di natura prevalentemente descrittiva, non siano traducibili in termini metrici, ma questo è vero solo fino a un certo punto.
A ogni modo di essi, per la loro importanza, si parla in una una voce a parte (v. fisionomia faciale etnica), accennandosene solo qui per quel tanto che basta a comprendere le questioni generali del cranio. I caratteri raziali sono relativamente rari e meno evidenti nel cranio cerebrale, ma non tuttavia assenti completamente, come si dirà. I caratteri architetturali sono i caratteri della forma del solido rappresentato dal cranio. Essi sono presenti in entrambe le parti, ma più imponenti nel cranio cerebrale. I caratteri fisiopatologici sono quelli che dipendono dal modo, più o meno normale, dello sviluppo del tessuto osseo nel cranio stesso.
I caratteri architetturali del cranio cerebrale sono quelli che più saltano agli occhi per le dimensioni del cranio cerebrale e per la relativa semplicità della loro osservazione. Anche a un osservatore poco attento appaiono subito le differenze fra un cranio lungo e uno corto, uno basso e uno alto. Oltre questi estremi bene evidenti, l'osservazione scientifica empirica arrivò presto a constatare come esistessero, non soltanto individualmente, ma anche in serie di cranî in cui non si presentano né l'uno né l'altro di questi elementi estremi, ma forme intermedie. Dalla combinazione delle tre possibilità per la forma sul piano orizzontale, con le tre possibilità per la forma nel senso dell'altezza, si hanno nove tipi della forma del cranio cerebrale e cioè, facendo uso della nomenclatura greca (v. cefalici, incici): 1. Dolicoplaticefali (forma lunga-stretta-bassa); 2. Mesatiplaticefali (forma mediocremente lunga-stretta e bassa); 3. Brachiplaticefali (forma corta-larga-bassa); 4. Dolicoortocefali (forma lunga-stretta mediocremente alta); 5. Mesatiortocefali (forma a tre dimensioni medie); 6. Brachiortocefali (forma corta-larga e media per l'altezza); 7. Dolicoipsicefali (forma lunga-stretta-alta); 8. Mesatiipsicefali (forma mediocremente lunga-stretta-alta); 9. Brachiipsicefali (forma corta-larga-alta). Questi nove tipi non sono tipi combinatorî matematici e perciò puramente astratti; ma sono forme realizzate, allo stato relativamente puro, da serie etniche speciali. Questi tipi, bisogna anzi affermare recisamente, sono le forme veramente esistenti, mentre i dolicocefali e i brachicefali, di cui sinora si è tanto parlato, sono astrazioni, in quanto non tengono conto di una dimensione del solido. L'apprezzamento immediato di ognuno di questi tipi, non può essere fatto che da persona assai esperta ma certo i tipi estremi sono diagnosticabili anche da persona non molto pratica, valendosi della norma laterale e soprattutto dell'occipitale (v. oltre; figg. 30, 31). A ogni modo la loro identificazione sicura è possibile per mezzo delle rappresentazioni grafiche, di cui alla voce cefalici, indici. La questione del significato e della genesi di questi tipi architetturali è di enorme interesse. Questa questione si presenta assai meno complicata dell'altra relativa ai tipi diversi del cranio dei Primati. Il cranio umano infatti può raggiungere facilmente il suo equilibrio, data la posizione relativamente centrale dei condili, senza un grande intervento di energia muscolare. I muscoli della nuca, come quelli della masticazione, sono relativamente deboli e l'influenza loro sul cranio è scarsa; il tipo di masticazione è unico e non vi sono tipi diversi, come nei Primati; lo sviluppo dei canini quali armi di difesa non esiste, ecc. Per l'Uomo dobbiamo perciò ritenere che le ragioni dello sviluppo delle forme diverse devono trovarsi prevalentemente nel rapporto intercedente fra lo sviluppo dell'encefalo e la combinazione meccanica dei segmenti ossei, soprattutto nella regione della base.
Prima di entrare nell'esposizione dei fatti principali della craniologia e di esporre una dottrina generale del cranio umano dal punto di vista antropologico, sarà bene far precedere l'esposizione della nomenclatura e della tecnica, allo scopo di facilitare la comprensione delle cose. Lo studio analitico del cranio umano si vale di alcuni punti fissati per convenzione sul cranio stesso, di alcune distanze che intercedono fra detti punti, angoli che sono compresi fra le linee così determinate, circonferenze, archi, corde, ecc. La scelta delle misure dovrebbe essere tale da permetterne l'applicazione anche sui cranî dei Primati, e soprattutto degli Antropomorfi; ma ciò è possibile solo in parte. A ogni modo questo scopo esclude da un significato veramente anatomo-comparativo molte delle misure proposte (soprattutto angoli), che si riferiscono a uno dei diversi piani orizzontali, proposti per l'Uomo. Questi piani infatti non sono applicabili al cranio dei Primati (v. oltre). Un buon sistema di misurazioni dovrebbe far astrazione da qualsiasi piano di orientamento, ma ciò è possibile fino a un certo punto, fra l'altro anche perché alcuni fatti morfologici, come, ad es., quello del prognatismo, sono basati sul concetto, più o meno esplicito, di un piano orizzontale.
Degli elementi diversi proposti da quando la craniologia è sorta, naturalmente, consideriamo solo i più importanti:
Punti antropologici. - 1. Glabella: punto, sul piano mediano, di massima prominenza del margine inferiore del frontale (così chiamato perché corrisponde alla zona glabra fra le due sopracciglia). 2. Ophryon (dal greco ὀϕρύς "sopracciglio"): punto in cui la linea che congiunge i due punti che determinano la distanza frontale minima (v. oltre) incontra il piano mediano. Questo punto è stato ora abbandonato, ma esistono nella letteratura numerose misure dell'altezza della faccia in base a esso. 3. Bregma: punto di incontro della sutura coronale e della sagittale (dal gr. βρέχω "inumidisco"). La denominazione greca della zona del cranio relativa proviene dal fatto che la sierosità, che alcune malattie della pelle producono, era creduta nell'antichità prodotta dal cervello. Di qui anche il nome di fontanelle dato alle zone che ossificano, normalmente o no, dopo la nascita. 4. Lambda: quel punto in cui le due gambe della sutura cosiddetta lambdoidea (dalla forma della lettera greca maiuscola) confluiscono con la sagittale. 5. Opisthokranion (dal greco ὄπισϑεν "dietro"): il punto che corrisponde, sull'occipite, alla massima distanza dalla glabella. Viene determinato quando si prende la lunghezza massima del cranio cerebrale. 6. Inion (dal gr. ἰνίον "nuca"): punto in cui le due linee della nuca superiori s'incontrano. Quando le due linee che sono abitualmente curve, con concavità inferiore, non arrivano al piano mediano, l'inion si determina prolungando la direzione delle due linee all'interno, 7. Opisthion: il punto in cui il margine posteriore del forame occipitale è tagliato dal piano mediano. 8. Basion (dal greco βάσις "base"): quel punto in cui il margine anteriore del forame occipitale è tagliato dal piano mediano. 9. Porion (dal gr. πόρος "strada, canale"): quel punto del contorno superiore del forame acustico, che è sito sopra il centro di detto forame. 10. Euryon (dal gr. εὐρύς "largo"): il punto più sporgente all'esterno della parete laterale del cranio. Lo si determina allorquando si prende la larghezza massima del cranio (v. cefalici, indici), non essendo un punto anatomico definito. 11. Nasion: punto d'incontro della sutura fra nasali e frontale con il piano mediano. 12. Nasospinale: il punto più basso del margine inferiore dell'apertura piriforme, proiettato sul piano mediano. La presenza della spina nasale rende la determinazione di questo punto, che serve per la misura dell'altezza nasale, alquanto laboriosa. 13. Prosthion (dal gr. πρόσϑιος "anteriore"): quel punto del margine alveolare superiore, posto sul piano mediano, che sporge più innanzi. Per la determinazione dell'altezza faciale si prende però il punto più sporgente in basso. 14. Dakryon (dal gr. δάκρυον "lacrima"): punto determinato dall'incontro della sutura fra frontale da una parte, mascellare e lacrimale dall'altra e la sutura tra mascellare e lacrimale. 15. Orbitale: il punto più basso del margine orbitario inferiore. 16. Zygion (dal gr. ζυγόν "giogo"): punto più prominente lateralmente dell'arcata zigomatica. Lo si determina nell'atto di misurare la larghezza faciale, non essendo un punto anatomico. 17. Gonion (dal gr. γωνία "angolo"): quel punto dell'angolo della mandibola che è diretto più in basso, all'esterno, indietro. 18. Infradentale: il punto del margine alveolare della mandibola sul piano mediano. 19. Gnathion (dal gr. γνάϑος "mandibola"): punto più prominente verso il basso sul piano mediano del margine inferiore della mandibola. Per l'esatta localizzazione di questi punti vedi figg. 32 e 33
Distanze. - 1. Lunghezza massima del cranio: Glabella-opisthokranion (per la tecnica v. cefalici, indici). 2. Larghezza massima: distanza massima fra le pareti laterali del cranio, fra i due euria (per la tecnica v. cefalici, indici). 3. Altezza del cranio di Broca: Basionbregma (per altre indicazioni e per la tecnica v. cefalici, indici). 4. Altezza soprauricolare: altezza proiettiva, rispetto al piano mediano, dal porion al bregma (v. cefalici, indici). 5. Linea naso-basilare: nasion-basion. Si prende con il compasso di spessore (v. antropologia: Strumenti antropologici). Esprime uno degli elementi più costanti del cranio. 6. Larghezza frontale minima: è la larghezza minima fra le due linee temporali (compasso di spessore o scorrevole). 7. Altezza faciale superiore: nasion-prosthion (compasso scorrevole). 8. Lunghezza faciale: basion-prosthion (compasso scorrevole). 9. Larghezza bizigomatica: è la larghezza massima che si può misurare dall'una all'altra arcata zigomatica. I punti su cui cadono gli estremi sono gli zygia (compasso di spessore). 10. Altezza faciale totale: distanza dal nasion allo gnathion, essendo mascellare e mandibolare forniti dei loro denti e bene articolati l'uno sull'altro (compasso scorrevole). 11. Larghezza orbitaria; è la larghezza dell'apertura dell'orbita, quale risulta a partire dal dakryon sopra un asse parallelo al bordo superiore e inferioie dell'apertura, fino al bordo tagliente del margine esterno dell'orbita (compasso scorrevole). 12. Altezza orbitaria: distanza del margine inferiore dell'orbita dal superiore, presa perpendicolarmente alla larghezza orbitaria (compasso scorrevole). 13. Larghezza nasale: larghezza massima dell'apertura piriforme dovunque essa cada (compasso scorrevole). 14. Altezza nasale: distanza dal nasion al naso-spinale (compasso scorrevole). 15. Altezza sinfisiana della mandibola: distanza dall'infradentale allo gnathion (compasso scorrevole). 16. Larghezza bigoniaca: distanza tra i due gonia (compasso scorrevole). Per l'esatta identificazione di queste distanze v. figg. 34, 35
Angoli. - Il numero di queste misure speciali è grandissimo. Noi porremo da parte, salvo un'eccezione, tutti gli angoli che hanno, come uno dei lati, una qualsiasi linea scelta come piano orizzontale (v. appresso), e faremo una scelta limitatissima dei restanti. Una notorietà singolare hanno preso gli angoli che si riferiscono alla linea glabella-inion (linea di Rieger o dello Schwalbe). Di essi conviene far menzione particolare, sebbene la critica abbia assegnato loro un'importanza assai minore di quella che si credeva seguendo lo Schwalbe. Questi angoli diversi si misurano quasi sempre, più convenientemente, sopra craniogrammi, cioè sopra diagrammi dei cranî, per lo più presi sul piano sagittale. Tali diagrammi son tracciati con diversi strumenti: i più noti sono lo stereografo del Broca e il dioptrografo del Martin (v. antropologia: Strumenti antropologici). 1. Angolo della glabella-bregma (angolo del bregma di Schwalbe): angolo che la linea glabella-bregma fa con la glabella-inion. 2. Angolo della lambda-inion (angolo del lambda di Schwalbe): angolo che la linea lambda-inion fa sulla glabella-inion. 3. Angolo dell'opisthion-inion (angolo dell'opisthion di Schwalbe): angolo che la linea opisthion-inion fa con la glabella-inion. 4. Angolo di Landzert. È un angolo che si prende sulla base del cranio e, più convenientemente perciò, sopra diagrammi eseguiti su cranî segati in due metà, secondo il piano sagittale. È l'angolo fra il piano sfenoidale (superficie press'a poco orizzontale, in corrispondenza, nel cavo craniense, del presfenoide) e il clivus (superficie endocranica del basilo-occipitale). 5. Angolo del prognatismo: angolo che la retta nasion-prosthion fa con uno dei piani orizzontali che vedremo (fig. 36).
Oltre agli elementi metrici fin qui accennati, esistono circonferenze, archi, corde, ecc. Di questi alcuni sono degni di menzione: 1. Circonferenza orizzontale massima. Si prende sopra un piano che deve passare per la glabella e l'opisthokranion, ed essere perpendicolare al piano mediano (nastro metrico). 2. Arco sagittale (e non circonferenza sagittale, come alcuni dicono): dal nasion all'òpisthion sul piano mediano (nastro metrico). Su questo arco totale si sogliono prendere gli archi parziali corrispondenti al frontale, parietale, occipitale. Come una freccia dell'arco glabella-bregma-lambda-inion, rispetto alla corda glabella-inion si può considerare l'altezza massima calata dalla vòlta sulla glabella-inion. Questa freccia fu da Schwalbe chiamata: 3. Altezza della calotta.
Dalle distanze così misurate, si calcolano molti indici o rapporti fra due di dette distanze. Questi rapporti sono moltiplicati, nell'uso antropologico, per 100. Ne diamo i principali: 1. Indice cefalico orizzontale (o di larghezza-lunghezza): è il rapporto della larghezza (La) alla lunghezza (Lu) secondo la formula:
2. Indice vertico-longitudinale (o di altezza-lunghezza). 3. Indice vertico-trasverso (o di altezza-larghezza). Di questi tre indici si è parlato largamente alla voce Cefalici, indici (v.). 4. Indice della calotta (dello Schwalbe). È il rapporto dell'altezza della calotta alla distanza glabella-inion. 5. Indice fronto-parietale (trasversale); chiamato anche indice frontale. È il rapporto della larghezza frontale minima alla larghezza massima del cranio. Categorie: stenometopici (fronte stretta), fino a 65,9; metriometopici (fronte media), 66 a 68,9; eurimetopici (fronte larga), da 69 in su. Insieme con gl'indici nel cranio cerebrale è da ricordare il cosiddetto modulo craniense (dello Schmidt), che è la media delle tre dimensioni e deve dare un'idea della grandezza assoluta di un cranio, e serve quindi spesso quale valore base a determinare lo sviluppo relativo di una distanza qualsiasi. Infine abbiamo la capacità del cranio di cui si parla a parte. Gl'indici principali della regione faciale sono: 1. Indice faciale totale. Rapporto dell'altezza totale della faccia alla larghezza bizigomatica. Categorie: euriprosopici (faccia bassa), sotto 84,9; mesoprosopici (faccia media), fra 85 e 89,9; leptoprosopici (faccia alta), sopra 90. 2. Indice faciale superiore. Rapporto dell'altezza faciale superiore alla larghezza bizigomatica. Categorie: eurieni (faccia super. bassa), sotto 49,9; meseni (faccia sup. media), da 50 a 54,9; lepteni (faccia sup. alta), da 55 in su. 3. Indice orbitale. Rapporto dell'altezza alla larghezza dell'orbita. Categorie: cameconchi (orbite basse), sotto 82,9; mesoconchi (orbite medie), da 83 a 88,9; ipsiconchi (orbite alte), da 89 in su. 4. Indice nasale. Rapporto della larghezza nasale all'altezza. Categorie: leptorini (nasi alto-stretti), sotto 46,9; mesorrini (nasi medî), fra 47 e 50,9; platirrini (nasi bassi-larghi), sopra 51.5. Indice gnatico o del Flower. Rapporto della lunghezza della faccia alla distanza nasion-basion. È un'espressione non perfetta, ma assai comoda, del prognatismo. Categorie: ortognati, sotto 96,9; mesognati, fra 98 e 102,9; prognati, sopra 103.
La questione dell'orientamento del cranio domina tutta la craniologia. Ciò però è stato riconosciuto solo negli ultimi tempi. Questa verità poté essere trascurata fino a che i craniologi si preoccuparono quasi esclusivamente del cranio delle razze umane, mirando a una caratteristica metrica di esse, senza farne un profondo e vero confronto anatomo-comparativo con il cranio dei Primati. La maggior parte infatti si contentava al più di un confronto più o meno superficiale con il cranio degli Antropomorfi. I piani escogitati per l'orientamento del cranio umano poterono così apparire soddisfacenti. Quando però si volle procurare un confronto serio anatomo-comparativo, e, più ancora, si volle entrare nella genesi delle forme diverse del cranio umano, i detti piani non corrisposero più. Il solo piano che è valido in generale e non solo per i Primati, ma anche per i Mammiferi in genere (beninteso in quelli ove l'orbita è almeno costituita da un anello più o meno completo), è quello determinato dagli assi antero-posteriori delle orbite. Queste hanno in genere una forma conica-tetraedrica, con il vertice del cono in corrispondenza press'a poco del forame ottico. È quindi facile giudicare dell'asse della formazione orbitaria già con la semplice ispezione. E, in fondo, il riferimento che si fa intuitivamente alla posizione dell'orbita è quello con cui si orienta un cranio qualsiasi all'ingrosso. Ma un orientamento più rigoroso si ottiene con i cosiddetti orbitostati: un antico modello di orbitogtato del Broca teneva conto, più che dell'orbita stessa come cavo, dell'apertura di essa; un modello più recente del Sera tiene conto soprattutto della parte posteriore dell'orbita, che è quella che meglio conserva la sua posizione caratteristica attraverso i mutamenti della forma generale del cranio cerebrale. Senza entrare nella complicata questione, di natura morfologico-fisiologica, della corrispondenza della direzione degli assi orbitali con la direzione dello sguardo, allorquando l'animale guarda nella posizione di riposo all'orizzonte, possiamo affermare che la bontà del piano di visione, come sopra si è accennato, risulta per un'altra via dalla congruenza dei risultati ottenuti in base a esso con fatti morfologici osservati indipendentemente da ogni piano di orientamento. Un esempio di tale congruenza è quello già da noi riferito al riguardo dei cranî di Mycetes e di Cynocephalus. Fatti simili non si possono spiegare che mediante cambiamenti della posizione della teca cerebrale rispetto alla faccia. Ma questi cambiamenti pone proprio in evidenza immediatamente l'orientamento del cranio sul piano binorbitale, e d'altra parte detto orientamento non è mai in contrasto con fatti simili a quelli sopraccennati, onde si è autorizzati a prendere l'orientamento del piano binorbitale come quello più pratico, più semplice di tutti e più generalmente corrispondente. Con ciò non si nega che la determinazione di essa possa esser solo approssimativa e che le sue indicazioni siano approssimative, ma quello che assolutamente prevale nella scelta di un piano è la sua applicabilità a tutta la serie dei Primati. Ora, certamente, né il piano tedesco per riconoscimento generale degli stessi antropologi tedeschi, né il piano francese per riconoscimento del Broca, suo promotore, si possono applicare all'orientamento di un cranio, ad esempio di Cynocephalus, e tanto meno di Mycetes. Tuttavia l'uno e l'altro dei due piani nominati hanno applicabilità per i cranî delle diverse razze umane; in realtà cioè i cranî umani orientati per mezzo di essi non assumono posizioni troppo distanti dalla naturale. Un cranio si dice orientato sul piano tedesco, quando le due linee (una per lato) che passano ciascuna per l'orbitale e il porion, sono sullo stesso piano (praticamente parlando, ben inteso) orizzontale (fig. 37). Un cranio si dice orientato sul piano francese, quando poggia sullo stesso piano orizzontale per mezzo dei due condili e del prosthion. Perciò il piano francese si dice anche alveolo-condilieno. Esistono altri piani di orientamento, ma sono meno importanti e non usati spesso.
Ma oltre i piani di orientamento veri e proprî, esistono anche alcune linee che meglio si possono dire di riferimento, perché ad esse vengono riferiti sviluppi locali o trasformazioni localizzate del cranio. Ricordiamo fra queste la glabella-inion, proposta prima dal Rieger e poi dallo Schwalbe, la glabella-lambda, proposta prima da E. Hamy e poi dal Klaatsch. Collegate con la posizione nello spazio secondo un piano di orientamento, sono alcune delle cosiddette norme: cioè aspetti del cranio visto da diversi punti dello spazio. Distinguiamo cinque norme diverse, e cioè: superiore o verticale, posteriore od occipitale, anteriore o faciale, inferiore o basale, e infine laterale. Le prime quattro norme possono differire sensibilmente a seconda dell'orientamento del cranio, secondo l'uno o l'altro piano. Un ausilio descrittivo non trascurabile nelle ricerche costituiscono le cosiddette forme del cranio del Sergi. Queste forme sono stabilite soprattutto all'esame del cranio dalla norma verticale, essendo il cranio orientato sul suo massimo diametro di lunghezza. Esse possono completare l'indicazione data dall'indice orizzontale, col dare un'idea della forma reale del contorno del cranio. L'asserzione però del valore tassinomico di dette forme non ha avuto che rarissimi consensi fuori d'Italia e ben più frequenti e vivaci opposizioni, onde si può dire ormai tramontata. Del resto, è bene ricordare, perché quasi obliato, che nell'Italia stessa furono avanzate dal Regalia, fin dal suo inizio, al metodo sergiano le più acute e fondate critiche. Le forme fondamentali stabilite dal Sergi sono le seguenti: 1. Ellissoide; 2. Pentagonoide; 3. Romboide; 4. Ovoide; 5. Beloide; 6. Cuboide; 7. Sfenoide; 8. Sferoide; 9. Platicefalo.
Assai importante per giudicare di alcuni fatti del cranio è la forma della norma occipitale. Nelle condizioni infatti di un sano sviluppo dell'osso, durante la gestazione e dopo la nascita, si ha che il cranio, allo stato adulto definitivo, ha le pareti laterali press'a poco verticali e parallele, qualunque sia la sua forma sul piano orizzontale e qualunque sia il tipo di altezza. Allorquando lo sviluppo del tessuto osseo non è stato normale, per qualche alterazione morbosa che il più delle volte è la rachitide, si ha spesso una salienza notevole delle bozze parietali, in guisa che la larghezza del cranio al loro livello è molto più forte che in basso, nei gradi estremi verificandosi la cosiddetta forma a vaso di fiori. Nella norma laterale in detti casi è constatabile spesso un appiattimento con sede sopra all'occipite (fig. 38).
Avendo in ciò che precede dato gli elementi necessarî della nomenclatura e della tecnica, passiamo a esporre i dati di fatto più importanti per potere arrivare a costruire una dottrina generale delle forme del cranio umano.
La base del cranio, almeno nell'Uomo attuale, presenta una caratteristica fondamentale che lo differenzia da tutti gli altri Mammiferi, compresi gli Antropomorfi.
Durante la crescenza, cioè, e dalla nascita in poi, il pezzo basiloccipitale aumenta la sua inclinazione rispetto allo sfenoide, divenendo più verticale; ciò si indica con il dire che ha luogo flessione della base. Nei Mammiferi in genere ciò invece non ha luogo: la base si estende dalla nascita in poi. Tale considerazione offre un punto di partenza per ogni teoria del cranio umano.
Una questione molto interessante sotto parecchi rispetti è quella dei rapporti dei principali piani usati nella pratica e delle principali linee di riferimento con il piano di visione (binorbitale). Ciò significa, in altri termini, un controllo della bontà dei detti piani e linee, beninteso sempre nell'ambito del cranio umano. Il piano francese forma con l'orizzontale di visione un angolo medio di 3°,70, aperto in basso e in avanti rispetto all'orizzontale di visione, vale a dire che in genere il piano francese alza alquanto la faccia. L'inclinazione media del piano tedesco dà un angolo di 2°,60, aperto in alto e in avanti rispetto allo stesso piano. Quindi esso abbassa alquanto la testa, ma di quantità inferiore a quella per cui il francese la innalza. Entrambi sono praticamente assai prossimi all'orizzontale vera. Il vantaggio però del piano tedesco è aumentato da una sua forte fissità, cioè minore variazione, onde, se si considera che esso è reperibile anche sul vivente, si può dire che sia da preferire, parlando in generale. L'inclinazione media della linea di Schwalbe sull'orizzontale vera dà un angolo di 16°,40 aperto in alto e all'innanzi; la variazione dei valori è piuttosto scarsa, ma la divergenza di tale linea dall'orizzontale è sensibile. Meno sensibile è quella della linea di Klaatsch, con un angolo di 4°,05 aperto in basso e in avanti, ma è più forte la sua variazione. Più importante per il suo significato è il comportamento di queste linee nei tipi principali architetturali. A questo scopo distinguiamo due soli gruppi per la forma nel piano orizzontale, considerando da una parte i cranî dolicoidi, dall'altra i brachioidi, e due soli gruppi per l'altezza, ponendo da una parte i platicefali e dall'altra, insieme, gli ortocefali e gli ipsicefali. Orbene, nei dolicoidi l'inclinazione media del piano francese è di 4°,36; del piano tedesco 1°,54; della linea di Schwalbe 15°,4; della linea di Klaatsch 5°,6. Nei brachioidi l'inclinazione del piano francese è di 2°,98; del piano tedesco 4°,05; della linea di Schwalbe 18°,4; della linea di Klaatsch 3°,1. In questi valori il senso dell'apertura dell'angolo rimane lo stesso di quello della media generale sopra esposta. Dai detti valori si deduce perciò che per i brachioidi è preferibile fare uso del piano francese perché più prossimo al vero, e per lo stesso motivo è preferibile nei dolicoidi il piano tedesco. Passando a esaminare il comportamento dei gruppi architetturali secondarî, faremo uso ora come in seguito, per comodità, invece che dei nove gruppi sopra distinti, di quattro gruppi: dolicoplaticefali; brachiplaticefali; dolicortoipsicefali; brachiortoipsicefali. A loro volta in questi quattro gruppi quello dolicortoipsicefalo e quello brachiplaticefalo si comportano come estremi opposti. Infatti nel primo gruppo l'angolo d'inclinazione del piano francese è di 3°,98, del tedesco 2°; nel secondo gruppo i valori rispettivi sono: 2°,27 e 5°,4. Le differenziazioni più spiccate si hanno con piano tedesco. A ogni modo esse sono nello stesso senso. Dovendosi escludere un abbassarsi del punto anteriore di determinazione dei due piani nelle forme allungate, ché anzi è piuttosto ammissibile il contrario bisogna ammettere che nelle forme brachiplati si abbia un abbassamento dei punti posteriori e quindi delle parti posteriori del cranio. Un'analoga conclusione è consentita dai fatti relativi alle linee restanti. L'abbassamento delle parti posteriori del cranio è però in maggior misura correlativo con il carattere della piccola altezza che con la forma nel piano orizzontale. Se, sopra diagrammi rappresentanti sezioni del cranio secondo il piano mediano sagittale, si rappresenta la direzione del basiloccipitale con la sua bisettrice e di questa si misura l'inclinazione sulla orizzontale binorbitale, si constata come essa si approssimi alla verticale in maggior misura nei plati- e nei brachi- in confronto degli ipsi- e dei dolicocefali. La direzione più prossima alla verticale si constata nei plati-brachi. Esiste però una fortissima variabilità individuale del carattere. Il Sera riuscì a dimostrare tale fatto assai importante per una dottrina craniologica, indipendentemente da qualsiasi piano orizzontale, e valendosi di parecchi valori angolari e rapporti. È utile accennare che questa congruenza di risultati è una conferma validissima della bontà del piano binorbitale, messa in dubbio più volte, senza sufficiente fondamento. Esaminando cranî la cui parte cerebrale è aperta secondo un piano orizzontale, si possono osservare sulla parte basale dell'endocranio fatti interessanti. Nei cranî brachi si trova così che il corpo dello sfenoide è più spinto all'indietro di quello che non sia nei dolico (figg. 39-40); il confronto riesce facile prendendo come punto relativamente fisso nel senso antero-posteriore il punto situato più all'innanzi delle piccole ali (micropterion del Sera). Al contrario la distanza proiettiva antero-posteriore fra il detto punto e il margine esterno delle orbite, è assai più grande nei dolicoidi, beninteso più grande relativamente, cioè anche tenuto conto della loro forte lunghezza massima. Il Sera ha anche dimostrato come il planum sphenoidale sia inclinato all'innanzi nei dolicoidi, press'a poco orizzontale nei brachi. Entrambi questi fatti trovano la loro spiegazione nella posizione più prossima all'orizzontale del basiloccipitale nei dolico, posizione che offre una maggiore resistenza all'accrescimento verso il dietro dello sfenoide. Incontrandosi resistenza anche allo sviluppo verso l'innanzi, lo sfenoide si spingerebbe alquanto verso l'alto, nelle sue parti mediane, producendo così l'inclinazione del piano sfenoidale e, in breve, ciò che Virchow chiamò cifosi sfenoidale e che disse giustamente essere accompagnata da una minore lunghezza antero-posteriore dello sfenoide (figura 41). Sui diagrammi sopra menzionati si può determinare anche, per mezzi diversi, indipendentemente dall'orizzontale binorbitale, la posizione dei punti diversi della vòlta: bregma, lambda, inion, opisthion. Risulta da questi come nei platicefali si abbia scorrimento posteriore del bregma e posizione più bassa del lambda e dell'opisthion. Si può anche nella stessa maniera stabilire come il foro occipitale guardi nei brachiplati in avanti, oltre che in basso, in misura maggiore che nelle altre forme.
Ma uno dei caratteri più importanti è l'angolo dell'opisthion o angolo che la glabella-inion fa con la inion-opisthion. Sopra 98 casi il valore medio di questo angolo è di 38°,5 con gli estremi di 25° e 56°. I dolicoidi hanno un valore medio di 36°,5, i brachioidi uno di 41°,2. La minore apertura di questo angolo nei dolicoidi si spiega bene con la maggiore loro lunghezza. Le differenze per l'altezza sono meno sensibili: 39° gli ortoipsi; 37°,3 i plati. I gruppi secondarî hanno i valori seguenti: 1. dolicoipsicefali 37°,1; 2. brachiipsicefali 42°; 3. dolicoplaticefali 35°; 4. brachiplaticefali 40°. Dai fatti poc'anzi ricordati si deduce che, mentre gli spostamenti del basiloccipitale sono in funzione dell'indice orizzontale, quelli della teca sono in funzione dell'altezza. I fatti architetturali possono essere modificati e in parte obliterati dai fatti fisio-patologici. Il tessuto osseo che costituisce i vari elementi del cranio può subire modificazioni della sua resistenza per causa di malattie (rachitide, ecc.), come pure esso può in certe condizioni, molto favorevoli, presentare un optimum di sviluppo. Nel primo caso, e quando l'alterato sviluppo sia precoce soprattutto, il peso dell'encefalo e il peso stesso del cranio determinano, essendo il cranio appoggiato sopra i condili, delle forme che si possono dire di gravità. Vale a dire che l'ellissoide craniense, invece di avere la sua forma rotondeggiante con pareti laterali a buona convessità, ha forme angolose, limitate da superficie appiattite. Caratteristica è, come abbiamo detto, la forma a vaso di fiori della norma occipitale. È un vero e proprio afflosciarsi delle pareti del cranio che determina, fra l'altro, il fatto caratteristico di una diminuzione dell'altezza. Nel caso contrario, di un optimum di sviluppo, si ha che l'altezza è anche superiore a quella ordinaria. Questi fatti fisiopatologici sono la maggior parte delle volte individuali, ma possono talvolta essere generalizzati a intere serie della stessa provenienza localizzata.
Nel cranio cerebrale, oltre ai caratteri architetturali, sono alcuni caratteri speciali di valore raziale e prevalentemente definibili, fino ad ora, in termini descrittivi. Ma essi sono molto meno evidenti di quelli che si trovano sulla faccia; tuttavia conviene farne menzione. Essi gono prevalentemente a carico del frontale, il quale può essere sfuggente o bombé, stretto o largo. Ma è soprattutto la curva sagittale nella norma laterale che presenta certe caratteristiche distintive, soprattutto nei cranî delle due serie ipsicefalica e ortocefalica. Queste caratteristiche si obliterano nella serie platicefalica. Tali caratteri costituiscono quello che si è chiamato habitus morfologico.
Si potrebbe credere che certi tipi raziali siano indissolubilmente associati a certe forme architetturali, e infatti nel passato alcuni antropologi hanno inclinato verso questa ipotesi. La provenienza asiatica dei brachicefali europei, asserita ancora da alcuni, è un residuo di una di queste idee che dominarono un tempo. Si credette a lungo che i brachicefali di tipo basso fossero mongolici. Ormai si sa che qualsiasi tipo architetturale si può associare al tipo mongolico, e si può in generale asserire la completa indipendenza del tipo architetturale del cranio cerebrale dal tipo raziale della faccia.
Nel decennio 1900-1910 acquistò grande notorietà il sistema dello Schwalbe di analisi delle calotte fossili. Sebbene esso non costituisca una vera teoria craniologica, occorre parlarne in breve in questa sede. Siccome i cranî fossili del tipo di Neanderthal sono per lo più ridotti a calotte, al fine di permettere la loro comparazione con i cranî degli uomini attuali, lo Schwalbe scelse come linea di riferimento la glabella-inion, riferendo cioè a essa i punti soprastanti della vòlta e, eventualmente, sottostanti. Ma noi abbiamo già visto che la glabella-inion non ha una posizione fissa, bensì variabile a seconda del tipo architetturale, cioè a seconda che il cranio appartenga all'uno o all'altro dei tipi secondarî. Questo fatto è importante, non tanto per la specifica posizione spaziale della linea, quanto perché ad ogni tipo, cioè a ogni posizione, corrispondono certi valori medî degli elementi craniometrici stabiliti dallo Schwalbe e cioè angolo del bregma, del lambda, dell'opisthion, altezza della calotta. Il sistema in questione potrebbe perciò avere un valore per indicarci in funzione dei suoi elementi (cioè indirettamente) con quale forma architetturale abbiamo a che fare, cosa sempre utile, data l'incompletezza dei cranî, ma ben più modesta degli scopi che lo Schwalbe si prefisse e delle sue asserzioni definitive, inquantoché (possiamo qui accennarlo, sebbene ci si mantenga qui nella sfera più generale dei metodi e della teoria craniologica, rimandando alla voce paleoantropologia per la trattazione delle questioni concrete) lo Schwalbe, in base appunto alla sua metodica, stabilì la distinzione specifica dell'Uomo di Neanderthal dall'Uomo attuale. Ma il sistema dello Schwalbe presta il fianco a critiche ancora più radicali, a proposito della sua scelta della glabella-inion. Lo Schwalbe ha infatti creduto di poter omologare lo sviluppo delle arcate sopraorbitali dell'Uomo della razza di Neanderthal con le arcate degli Antropomorfi, asserendo un arretramento del frontale cerebrale, cioè del frontale contenente effettivamente cervello, come ha luogo negli Antropomorfi. Ma un esame attento delle caratteristiche della regione in parola nel cranio di La chapelle-aux-Saints, che è quello di questa razza che meglio conserva la faccia, in confronto alle parti sottostanti dell'orbita, permette di stabilire che il frontale cerebrale non si comporta in maniera molto differente da quella dei cranî attuali e che l'appȧrente somiglianza con gli Antropomorfi è dovuta a uno sviluppo secondario verso l'innanzi delle arcate sopraorbitali, mentre negli Antropomorfi le arcate sono sviluppate soprattutto in altezza. In altri termini nel tipo di Neanderthal vi è uno sviluppo locale, secondario, esterno e aggiunto in certa guisa alla lunghezza comune. Lo stesso si dica per lo sviluppo del toro occipitale, forte nei cranî stessi, cioè della prominenza esterna orizzontale della regione dell'inion. Noi dunque, considerando questi cranî dall'esterno, non prendiamo in considerazione la vera forma del cranio cerebrale, cioè del cranio contenente cervello, bensì questo, insieme con altro di eterogeneo. Giustamente il Symington propose perciò di trasferire le nostre misurazioni alla superficie interna del cavo endocranico, perché in tal modo più rigorosamente comparabili. È naturale allora che i valori degli elementi analitici dello Schwalbe manifestino un certo distacco dagli estremi riscontrati nell'umanità attuale, avendo la glabella-inion valori, nei Neanderthal, superiori a quelli medî attuali. Ciò si verifica, non soltanto per gli angoli al bregma, al lambda e all'opisthion, che risultano nei Neanderthal più piccoli, evidentemente solo perché gli apici relativi sono collocati più eccentricamente in ragione degli sviluppi locali, ma anche per l'altezza della calotta. La glabella infatti e l'inion sono nei Neanderthal collocati più in alto che nei cranî attuali, ma sempre per ragioni locali esterne e non architetturali e di struttura generale, onde si spiega la minore altezza assoluta e il minore indice della calotta.
Gli antropologi che non hanno avvertito l'erroneità del metodo dello Schwalbe si sono sforzati di trovare nell'umanità attuale dei casi che la riallacciassero alla variazione dei Neanderthal, dando buon giuoco ai sostenitori dell'opinione dello Schwalbe, che loro opposero come l'esistenza di casi sporadici ed eccezionali di riavvicinamento non infirmi la distinzione specifica dei Neanderthal. Occorre invece persuadersi che è il metodo artificioso quello che crea il distacco dei Neanderthal dall'umanità attuale. Ci possiamo domandare se il tipo craniense di Neanderthal abbia un grande interesse per la questione dell'origine delle forme architetturali del cranio umano recente. A questa domanda noi crediamo di dover rispondere negativamente. Ciò non soltanto per quello che si è esposto a proposito del sistema analitico dello Schwalbe, ma anche per un fatto assai importante: la capacità craniense del tipo di Neanderthal è molto elevata. Non mai una forma sicuramente ancestrale potrebbe avere una tale capacità. E ci sembra che l'argomento sia decisivo, malgrado l'ingegnosità delle giustificazioni di alcuni sostenitori dei vecchi concetti intorno alla razza di Neanderthal (Boule). Esponiamo infine brevemente una dottrina generale del cranio umano da un punto di vista antropologico, quale sintesi di quanto abbiamo esposto.
Nella cosiddetta base del cranio, la parte anteriore, dal nasion (o meglio dal forame cieco) alla sincondrosi sfeno-basilare, ha una posizione spaziale relativamente fissa. La parte assai variabile è invece quella relativa al basiloccipitale (Clivus della superficie endocranica). La posizione del basiloccipitale è in più stretta correlazione con l'indice orizzontale e in minor grado con l'indice di altezza; cioè, in maggior misura, a cranio corto, largo, in minore, a cranio basso, corrisponde una posizione più prossima alla verticale del basiloccipitale. Non esiste praticamente alcuna correlazione dei caratteri fisionomici della faccia con quelli della base e con quelli della teca: vale a dire la forma del cranio cerebrale, quale almeno è espressa negli indici, non è, in guisa generale e necessaria, indicativa di differenze raziali fisionomiche. Le variazioni architetturali del cranio cerebrale non hanno perciò significato raziale, ma, al più, indicativo di fasi di un progressivo miglioramento spaziale del cavo encefalico; persino, per ciò che riguarda la forma platicefalica, si può legittimamente pensare a influenze ambientali determinatrici. Ricordando come negli Antropomorfi e nei Primati in genere, si abbia una base estesa e che sempre più si estende dalla nascita in poi, mentre nell'Uomo abbiamo condizioni opposte, si deduce che la base nelle forme dolicocefaliche presenta disposizioni più prossime alle primitive. Ciò del resto è anche indicato dal fatto che i cranî più antichi delle diverse regioni della terra (facendo pure astrazione dalle comuni vedute sulla dolicocefalia della razza di Neanderthal, che, per noi, non è dolicocefalica né morfologicamente primitiva) appartengono a forme dolicoipsicefaliche. La regione più importante, anatomo-comparativamente parlando, del cranio umano è la commissura sfenobasilare, che si può dire la vera cerniera del cranio umano. Gli spostamenti e ampliamenti che in esso si verificano hanno luogo soprattutto per movimenti, il cui asse passa per questa cerniera. La posizione più bassa e posteriore dei punti antropologici della vòlta nei platicefali, in confronto degli ortoipsicefali, dimostra una discontinuità tra le due serie. Se infatti è possibile spiegarci, con posizioni successive del basiloccipitale, il passaggio dalla dolicocefalia alla brachicefalia, non è possibile fare altrettanto per la genesi della platicefalia delle serie attuali. La platicefalia delle serie attuali, almeno nella loro grande maggioranza, perché può darsi che tale regola non viga per tutte, non ha nulla a che fare con la platicefalia di tipo antropoidico. Ma il solo esempio sicuro nell'umanità di platicefalia di natura teromorfica è il cranio di Gibilterra. Si vedano, a persuadersene, le figure relative del cranio di Gibilterra e del brachiplaticefalo alpino, che noi diamo (figg. 42, 43). La platicefalia delle serie recenti ha avuto un'interpretazione che appare sempre più probabile. Il Sera e la sua scuola hanno indicato la localizzazione primaria (cioè prima dei fenomeni emigratorî intensificatisi così fortemente nella modernità per lo sviluppo delle città e dei centri industriali, soprattutto nel mondo civilizzato) dei platicefali in sedi montagnose, e posto in evidenza la stretta relazione delle sedi primarie dei platicefali con le sedi dei fenomeni glaciali. Quindi si è resa assai verosimile una dipendenza della platicéfalia da fattori ambientali e una genesi di essa dalla ipsicefalia. Rimane ancora oscura la genesi della serie ortocefalica, che l'osservazione empirica ha stabilito aver diritto uguale a un'esistenza indipendente, come le altre due. Se il basiloccipitale meno inclinato è caratteristico dei dolicocefali e quello più inclinato (base più flessa) dei brachicefali, ne segue che la brachicefalia sarebbe uno svolgimento della dolicocefalia. Pur volendoci limitare alla questione relativa alla serie alta dei cranî, in quale maniera la dolicocefalia iniziale si collega alle forme precedenti? È noto che gli Antropomorfi, e soprattutto il Gorilla e lo Scimpanzé, che più spesso entrano in questione per le teorie filetiche, hanno un cranio platicefalico a sezione lenticolare, nei due sensi sagittale e trasversale. Questa sezione è propria anche del cranio di Gibilterra, la cui base presenta appunto il massimo avvicinamento alle condizioni dello Scimpanzé. Ora il cranio di Gibilterra possiede, secondo il Sera, estensione della base unitamente a forma brachioide (indice 80) e piccola capacità (intorno a 1000 cmc.). Se supponiamo che in una forma simile si sia avuto un piccolo incremento della capacità, si dovette verificare, con la crescenza, l'inversione dei movimenti del basiloccipitale. Allora l'accrescimento dello sfenoide si dovette risolvere in una tensione che portava il basiloccipitale in una direzione verticale (fig. 44). Tale movimento però doveva trascinare con sé tutto il cranio posteriore, in grado più sensibile nelle zone mediane. Insieme a questo le parti laterali venivano a essere sollecitate verso l'interno e le rocche petrose a ruotare, intorno al loro apice, verso dietro e in basso. Ma ciò non significa altra cosa che il prodursi di una forma stretta, alta, lunga. In altre parole l'acquisto graduale e lento dello spazio encefalico rese necessario lo svolgimento del cranio attraverso forme lunghe, strette, alte, perché così soltanto la base del cranio, cui dapprima il cavo encefalico era tangenziale, poté entrare nel cavo stesso, come è nell'Uomo mentre nello stesso tempo essa aumentava la sua flessione. È da aggiungere che l'accrescimento osseo della base produce anche una forza di tensione in direzione opposta, e sulla zona mediana, nella parte anteriore del cranio, forza che produce anch'essa lo stesso fenomeno. La serie architetturale di sviluppo sarebbe quindi: brachiplaticefalia teromorfica-dolicoipsimfalia-brachiipsicefalia. La forma brachicefalica, infatti, deriverebbe dalla dolicocefalica, perché con incrementi successivi cerebrali, facendosi il basiloccipitale più verticale, mentre i fenomeni di tensione della vòlta sul piano sagittale diminuiscono, se ne produrrebbero nuovi nel piano orizzontale che passa al livello della commissura sfenobasilare. I fatti di distribuzione geografica della brachicefalia su tutta la superficie terrestre, posti in luce dal Biasutti, dimostrando la presenza di numerosi centri di essa sulla superficie terrestre, indicano come essa molto probabilmente si sia prodotta più volte da un substrato dolicocefalico in tipi diversi dell'umanità. Dolicocefalia e brachicefalia, perciò, non avrebbero che un limitato valore tipico; esse non sarebbero come due entità irriducibili, quali spesso sono state presentate e come ritengono ancora molti antropologi, potendo evolvere la seconda dalla prima e potendo l'una e l'altra essere associate agli stessi caratteri raziali. A ogni modo, potendo il carattere della forma nel piano orizzontale dissimulare varietà di componenti etnici in un dato gruppo, è assolutamente necessario precisare a quale tipo di altezza esso sia associato, a produrre un determinato tipo secondario. Assai più grande valore discriminativo ha la differenziazione delle serie per l'altezza, che ha dato già e promette ancora di dare più importanti risultati per l'avvenire.
Negli ultimi tempi alcuni autori sono passati dal credere ad una fissità, quasi assoluta e immutabile, delle forme del cranio sul piano orizzontale, all'opinione opposta di una variabilità straordinaria. Dobbiamo dirne qualcosa a causa della grande importanza dell'argomento (non soltanto per l'antropologia), e per l'autorità dell'assertore principale di tale opinione, il Fischer. Questi ha ammesso una variabilità forte per il cranio dovuta a cause ambientali. Esaminando i risultati del Wacker sui caratteri antropologici degli abitanti della valle di Wals nel Vorarlberg, egli osserva che la statura, il colorito degli occhi, quello dei capelli, la lunghezza della faccia, seguono press'a poco le regole di Mendel, per quanto riguarda la frequenza dei casi, e come se la popolazione risultasse da una miscela dell'elemento nordeuropeo xantocroide e dell'elemento alpino. Invece l'indice cefalico dimostrerebbe troppo frequenti i casi di brachicefalia estrema (come è caratteristica del tipo alpino). Onde egli ammette che il genotipo sia alterato da fattori ambientali (peristatici) e che il cranio dei Walsesi sia un fenotipo. Sennonché ci sembra che molte obbiezioni si possano fare: 1. Le frequenze dei tipi hanno rapporti numerici solo approssimativamente simili a quelli mendeliani. 2. Il colorito chiaro degli occhi e dei capelli non è affatto una caratteristica esclusiva del tipo nordeuropeo. Noi vediamo il colorito chiaro della pelle in moltissimi luoghi della terra e certamente in più tipi generali antropologici. Persino per il colorito azzurro degli occhi abbiamo fondati argomenti per ritenere probabile almeno un secondo centro di occhi azzurri (oltre quello nordeuropeo) nell'Africa, sull'Atlante. Le alte stature poi sono assai comuni in tutti i luoghi della terra. 3. La sede assai elevata degli abitanti della Valle di Wals rende abbastanza probabile uno stato di relativa purezza del tipo alpino, il quale appunto potrebbe aver subito localmente un ulteriore processo di depigmentazione. Ma il Fischer appoggia le sue affermazioni soprattutto su alcuni risultati raggiunti da una sua allieva, la Neubauer. L'avitaminosi (privazione delle vitamine nell'alimentazione) sperimentale determinerebbe, secondo la Neubauer una deviazione nell'indice cefalico verso la brachicefalia, e questo sarebbe, secondo l'autrice, il primo esempio di un cambiamento della forma del cranio per un fatto biochimico. I dati della Neubauer indicano che la brachicefalia sarebbe prodotta soprattutto da un ridursi della lunghezza, così del cranio totale, come del cranio cerebrale. Ma i fatti esposti dalla Neubauer non sono gran che diversi da quelli, ben noti, determinati nell'Uomo dalla rachitide. È interessante osservare che i ratti, soggetti dell'osservazione della Neubauer, erano appunto colpiti da rachitide, in seguito alla avitaminosi. L'osservazione delle fotografie che accompagnano il lavoro e l'esame dei dati numerici fanno rilevare che, malgrado le differenze che possono passare fra un cranio di roditore e un cranio umano, esistono somiglianze nell'azione modificatrice della forma normale del processo morboso. Esse consistono in: 1. allargamento della regione posteriore del cranio; 2. appiattimento occipitale; 3. strettezza della base. La brachicefalia sperimentale ha quindi lo stesso significato della brachicefalia per rachitide nell'Uomo, cioè non è una vera e propria brachicefalia, ma è espressione dell'effetto del peso dell'encefalo sopra un cranio, la cui resistenza è anormalmente diminuita: non è un cambiamento complessivo della forma sana, ma di alcuni elementi (quelli su cui cade la misura) di essa, alterata. I risultati dell'esperimento non sono espressione dell'attività di sostegno del tessuto osseo, bensì proprio di una sospensione o diminuzione, almeno temporanea, di essa. La brachicefalia umana è in realtà tutt'altra cosa. È un sistema bene specifico e particolare di rapporti spaziali fra i diversi elementi del cranio, morfologicamente caratterizzato dal fatto della forte flessione della base. La somiglianza fra i due ordini di fatti è perciò puramente apparente. Questo è, secondo noi, un esempio fra tanti, delle illusioni che è capace di produrre il metodo metrico, quando non sia vigile la coscienza della sua subordinazione all'esame biologico. Concludendo, non ci sembra che le idee da noi innanzi esposte debbano essere in qualche guisa modificate. Ammettere l'evoluzione della dolicocefalia nella brachicefalia quale evento storico, filetico, non significa ammettere una trasformabilità rapida e fenotipica del cranio.
Bibl.: H. Welcker, Untersuchungen über Wachstum und Bau des meschl. Schädels, Lipsia 1862; I. C. Lucae, Zur Morphologie d. Saügethier-Schädels, in Abh. Senckenb. Naturforsch. Gesellsch., VIII (1872); W. Leche, Über Beziehungen zw. Gehirn u. Schädel bei d. Affen, in Zoolog. Jahrb., suppl. 15; Festschrift Spangel, II (1912); L. Bolk, Über Lagerung, Verschiebung und Neigung des Foramen magnum, ecc., in Zeitschr. Morph. Anthrop., XVIII (1915); G. L. Sera, Sui rapporti della conformazione della base del cranio colle forme cranicavi e colle strutture della faccia nella razza umana, in Memorie Soc. ital. scienze naturali di Milano, IX (1920).
Capacità del cranio. - La capacità del cranio è stata considerata come un sostituto del peso dell'encefalo, al quale è per più di un motivo quasi preferibile. Essa permette infatti soprattutto il confronto diretto delle razze attuali con le fossili, sotto il rispetto della cefalizzazione, cioè dello sviluppo relativo del cervello. Si comprende perciò l'importanza che ad essa è stata attribuita. I metodi per stabilire la capacità di un cranio sono comunemente divisi in empirici e matematici. Con i primi si determina il volume di una sostanza della quale viene riempito il cranio, con i secondi si calcola il volume dalle misure del cranio e secondo certe formule. In realtà però queste formule sono state stabilite in base a verifiche empiriche, fatte inizialmente e in generale per un determinato gruppo etnico.
I procedimenti empirici constano di due fasi, quella del riempimento con la sostanza scelta (stazzatura) e quella della cubatura vera e propria del materiale introdotto nel cranio. Le sostanze scelte sono state numerosissime, liquide e solide (cioè pulverulente e granulose). A tutta prima sembrerebbe che la misurazione diretta con l'acqua fosse il mezzo più semplice. In realtà, invece, anche quando il cranio, preventivamente segato, spalmato con sostanze speciali sulla sua superficie interna (vernici, ceralacca, cera, ecc.), allo scopo di renderlo impermeabile all'acqua, e poi risaldato, viene riempito di acqua, non si può quasi mai evitare che parte di essa penetri fra i due tavolati delle ossa della calotta e nei seni delle ossa della base. Il metodo d'introdurre nel cranio una vescica di gomma che s'inietta successivamente di acqua, sotto una certa pressione, fu rigettato dalla maggioranza di coloro che se ne servirono, perché la vescica si rompe abitualmente.
Delle sostanze solide fu usata nei primi tempi la sabbia, quindi furono soprattutto in uso i semi granulosi (miglio, senape, orzo, piselli, ecc.), i granuli artificiali, palline di vetro o di piombo. Il metodo di giudicare del volume dal peso delle sostanze introdotte, usato nei primi tempi, poi abbandonato, fu recentemente ripreso dal Bartels, ma senza seguito. La grande maggioranza degli autori, pure usando processi diversi, ha di mira la determinazione diretta del volume. I metodi dei diversi autori differiscono del resto più per il modo e la successione delle manipolazioni operatorie che per la scelta delle sostanze. La prima operazione nella determinazione della capacità è la più semplice, per dir meglio è quella in cui la natura propria delle sostanze e le caratteristiche del loro scorrimento hanno minore influenza. Giacché infatti da lungo tempo la pratica aveva indicato che le condizioni della caduta di una sostanza granulare influiscono fortissimamente, in guisa diversa, sul volume che alla fine la sostanza stessa assume. Facendo ad esempio cadere una certa quantità di pallini di piombo, attraverso un imbuto a gola piccola, in una provetta di vetro graduata, lo spazio che essi vengono a occupare sul fondo è minore che se si lascia cadere la stessa quantità con un imbuto a gola più larga. Lo spazio occupato dal piombo è più piccolo, se la caduta ha luogo da maggiore altezza, se si effettua più lentamente, se il diametro della provetta è più piccolo, ecc. In dette condizioni, cioè, l'assestamento è più inoltrato; meno nelle condizioni opposte.
L'assestamento dei granuli in entrambe le fasi della determinazione è diverso nei diversi metodi. Ancora oggi si può dire che vigano quattro metodi, i quali sono seguiti da scuole diverse: 1. Metodo di Busk o della dolcezza. Ci si serve di grani di senape introdotti per il foro occipitale con un imbuto a gola larga. L'assestamento dei grani è ottenuto con inclinazioni a destra e a sinistra, innanzi o indietro, senza colpi o scuotimenti. Quando il cranio è pieno, si versa il contenuto più rapidamente che si può in una provetta graduata, e si legge il valore, senza preventivi colpi o altro procedimento. Questo metodo è l'unico possibile per i cranî fragili, come sono la gran parte dei cranî fossili. In mani esperte dà buoni risultati. 2. Metodo di Flower. È quello tuttora più usato dagl'Inglesi. La sostanza è la senape. S'introduce nel cranio e si procura il suo assestamento con colpi delle mani sulle pareti laterali, fino a che della senape entri. Si vuota il contenuto nella provetta graduata e si batte sempre con la mano, fino alla massima diminuzione verificabile del contenuto. 3. Metodo di Broca. Questo, e il successivo, sono caratterizzati dalla coordinazione perfetta dei minimi particolari in un insieme d'indicazioni precise. relative allo strumentario, ai colpi del cono percussore (con il quale si produce l'assestamento del piombo), al modo di versare, ecc. La sostanza usata è il piombo da caccia di certe dimensioni. Con questo metodo furono eseguite dal Broca stesso e dalla sua scuola numerosissime misurazioni. Ma, per un errore iniziale del Broca, che partì dalla determinazione erronea del cranio campione, con una capacità superiore alla vera (a causa di un'infiltrazione del mercurio nel tessuto osseo, come si è accennato essere assai facile che accada), tutte le determinazioni del Broca vanno abbassate. Inoltre esperienze successive di Topinard stabilirono che il piombo usato più di cento volte si deforma in guisa da alterare i risultati. Per questa alterazione e per correggere l'errore di cui sopra, Topinard propose di togliere il sei per cento alle determinazioni del Broca. 4. Metodo di Ranke. Si vale del miglio mondato. La stazzatura si fa con colpi della mano e con coni compressori, fino a resistenza invincibile. La sostanza si versa in una provetta, in cui si determina l'assestamento con colpi indeterminati di numero, sopra un sostegno cedevole, posto sopra il tavolo. È quindi un assestamento estremo che il metodo ha di mira e in questo esso è un buon elemento di riuscita. È inoltre essenziale al metodo che l'osservatore procuri di raggiungere la capacità di un cranio di bronzo, campionato per la sua capacità, allo scopo di esercitare la mano alle operazioni. Lo Schmidt disse che il metodo di Broca era preferibile a ogni altro per la comparabilità dei dati, ma dà valori troppo alti (appunto in seguito all'errore di cui sopra). A noi pare che in complesso il metodo Ranke sia il più semplice e quello che meglio garantisce che osservatori isolati, non formati a una scuola, possano fare buone determinazioni.
Le formule per raggiungere, da misure esterne, la capacità sono moltissime. Diamo la formula che Lee e Pearson raccomandano.
Togliendo da ognuna delle tre dimensioni, espresse in mm., 11 mm. come spessore delle parti molli, la stessa formula si applica alla determinazione della capacità sul vivente. Da ciò che si è detto si deduce che i dati della capacità di autori diversi sono comparabili soltanto con grande cautela, e che conclusioni generali debbono ricavarsi specialmente sopra i dati di autori che abbiano misurato una grande quantità di razze diverse, con numeri di casi sufficienti. Perciò riproduciamo solamente alcuni dati del Broca (ridotti al vero valore), del Flower e qualche altro comparabile più sicuramente.
Le capacità dei Primati viventi sono fortemente distanziate da quelle dell'Uomo attuale e fossile. La Oppenheim stabilì le seguenti capacità: Hapale 6 cmc.; Cebus 63; Cynocephalus 163; Hylobates 103; Orango 395, con un massimo di 480; Gorilla 508, con un massimo di 585; Scimpanzé 404, con un massimo di 470. È stato trovato nel Gorilla però un massimo di 623, per il maschio. Al Pithecanthropus è stata attribuita una capacità di 850. La differenza sessuale è nell'umanità intorno a 150 cmc.; la capacità della donna è l'89,6% di quella dell'uomo. L'oscillazione individuale all'interno dei gruppi etnici, anche rimanendo nei limiti della normalità, è enorme, assai più forte della variazione raziale. Un giudizio esatto, però, della sua intensità è reso assai difficile dal fatto che ogni gruppo etnico si può considerare una miscela di entità elementari. In genere l'oscillazione all'interno di un gruppo si aggira intorno a 400-500 cmc.
ln base alle misurazioni esposte e ed altre parziali comparabili, si può dire che la massima capacità si ha nelle popolazioni europee. Seguono i popoli culturali dell'Oriente. Gl'Indiani americani hanno ancora una buona capacità. Fra le capacità più basse sono quelle degli Australiani, degli abitatori dell'India anteriore meridionale, dei Boscimani, degli Andamanesi. La forma del cranio ha probabilmente correlazione con la capacità. Bolk per gli Olandesi, Tappeiner per i Tirolesi, hanno trovato che le massime capacità sono collegate con i massimi valori dell'indice orizzontale; lo stesso si può dire per le capacità degli Alvergnati del Broca. Noi aggiungiamo che in tutti e tre i casi si tratta di brachiplaticefali. Questo dato di fatto è di una grande importanza per ogni teoria craniogenetica. Osserviamo ancora che le più piccole capacità sono quasi tutte presentate da forme dolicoipsicefaliche, talvolta assai strette. E anche questo è importante per una teoria del cranio. È certo che le più piccole capacità si osservano presso le popolazionì che, per i loro caratteri etnografici, si possono dire nei gradini più bassi dell'umanità, ma occorre dire che esse presentano spesso piccole stature. Ci si aspetterebbe infatti che il rapporto della capacità con lo sviluppo somatico fosse sfavorevole in questi gruppi etnici a piccola capacità, ma non è sempre così, dato che spesso sono dotati di piccole dimensioni corporee; onde spesso questi gruppi posseggono una più forte capacità relativa. D'altra parte è probabile che la forte capacità cranica abbia qualche rapporto, sia pure non diretto e non semplice, con la potenzialità psichica individuale. Molte ricerche in più paesi d'Europa tenderebbero a dimostrarlo, sebbene non esenti da critiche. Altra cosa è invece quanto all'asserzione di un progresso cronologico nella capacità che alcuni autori hanno creduto di stabilire per paesi diversi. In realtà ricerche più accurate spesso hanno dimostrato il contrario, cioè una diminuzione in tempi successivi. A ogni modo incrementi o decrementi, in realtà, non dimostrano progressi o regressi intellettuali dentro un gruppo etnico, bensì interventi di razze diverse. Ciò che già risulta abbastanza bene è che almeno nei territorî europei una forte capacità deve essersi stabilita già da tempi remotissimi. La razza di Neanderthal aveva capacità forti. Un altro fatto interessante è che certi gruppi etnici che sono a un livello culturale non troppo elevato posseggono una forte capacità. Così, ad es., gli Eschimesi. Il problema è, evidentemente, molto complesso. Da una parte forse è da modificare la nostra concezione "europea" del livello culturale d'un gruppo etnico. Certo gli Eschimesi presentano un caso di adattamento perfettissimo a condizioni di vita straordinariamente difficili: e questo si deve tenere in gran conto. Noi non sappiamo per quali adattamenti specifici il cervello eschimese possa essersi specializzato. La direzione "conoscitiva" dello sviluppo della nostra mentalità europea non copre tutte le possibilità dello sviluppo del cervello. La forte capacità del cranio è la veste comune a tutte queste possibilità. Dall'altra parte, bisogna ricordare che una capacità relativamente piccola può essere compensata da una forte superficie della corteccia cerebrale, cioè da una corteccia cerebrale molto circonvoluta. Alcuni hanno creduto di togliere almeno gran parte del suo valore alla capacità del cranio, appunto con questo argomento. Ma, per potergli dar credito, occorre dimostrare questo maggiore sviluppo della corteccia, caso per caso. A parità delle altre condizioni, a maggiore capacità deve corrispondere maggiore sviluppo della superficie encefalica, e questo è per noi sufficiente per continuare ad accordare alla capacità un notevole significato.
Bibl.: S. Topinard, Éléments d'Anthropologie générale, Parigi 1885; id., Modifications à apporter à la méthode de cubagr. de Broca, in Bull. Soc. Anthrop. de Paris, s. 3ª, VIII (1885).
Le deformazioni patologiche del cranio. - Alcuni autori pongono la microcefalia e l'idrocefalia fra le deformazioni patologiche del cranio: in questi fatti però l'elemento predominante, più che la forma, è quello delle alterate dimensioni generali. A ogni modo di essi si parlerà altrove.
Le deformazioni patologiche del cranio propriamente dette sono parecchie: 1. La più comune di tutte è la plagiocefalia. Consiste in una maggiore o minore asimmetria delle due metà del cranio, constatabile soprattutto nella norma verticale, ma anche nelle altre norme. La più frequente è la piagiocefalia incrociata, per la quale una metà del frontale è sita a un livello più arretrato dell'altra metà, mentre si verifica il fatto opposto per l'occipite. Sembra che sia assai meno frequente nei popoli naturali, in confronto agli Europei. 2. La scafocefalia (fig. 45). Consiste in un eccessivo restringimento e allungamento del cranio (in confronto alle caratteristiche del tipo etnico cui esso appartiene), accompagnato da conformazione del vertice a carena di nave, sviluppo indietro e in basso dell'occipite. L'anormalità è accompagnata da sinostosi più o meno estesa della sagittale, iniziantesi nella regione dell'obelion (al disopra del lambda). È spesso presente (Backman) una sporgenza del frontale, mediana, lungo quella che, nel feto, era la sutura metopica (fra le due metà del frontale). Si trova anche presso i popoli naturali, abbastanza frequente. 3. L'acrocefalia e l'oxicefalia. Sono due aspetti diversi della stessa forma anormale, rappresentata da un eccessivo sviluppo in altezza del cranio, a preferenza delle altre dimensioni (in confronto delle caratteristiche del tipo etnico cui il cranio appartiene). L'acrocefalia (o trococefalia o tirsocefalia) si ha quando le pareti del cranio nella norma laterale, anteriore e occipitale si elevano verticalmente come i muri di una torre (cranî a torre). L'oxicefalia si ha quando le pareti (figg. 46-47), nelle stesse norme, convergono in alto (testa a pan di zucchero). Esiste insieme sinostosi della sutura coronaria. Quest'anomalia è accompagnata spesso, secondo il Glavan, da riduzione del diametro antero-posteriore delle orbite, capacità del cranio ridotta, angoli della base (di Welcker e di Landzert) più ampî. È noto da molto tempo che quest'anormalità accompagna spesso disturbi della visione e in particolare l'atrofia del nervo ottico. In base ai fatti presentati dalla scafocefalia e dall'acrocefalia, il Virchow formulò la sua legge, per cui le deformazioni patologiche del cranio consistono essenzialmente in uno sviluppo compensativo, in una direzione perpendicolare a quella in cui era concesso lo sviluppo del cranio dalla sutura in cui ha luogo la sinostosi. In altre parole la sinostosi arresterebbe un determinato sviluppo, quello in larghezza, nel caso che essa colpisca la sagittale (scafocefalia), quello in lunghezza, nel caso che colpisca la coronale (acrocefalia); perciò il cervello, crescendo, farebbe pressione, nel primo caso, nel senso della lunghezza, nell'altro, in quello dell'altezza. L'ipotesi messa innanzi dal Virchow è ancora quella, oggi, che spiega il maggior numero dei casi, quando si tenga conto che non è necessario, perché lo sviluppo in una dimensione non si verifichi più, che la sinostosi colpisca tutta la sutura, bensì è sufficiente che ne colpisca una parte. 4. La trigonocefalia è data da un aspetto triangolare, con vertice anteriore, del cranio nella norma superiore. Si ritiene data da un precoce saldarsi, nella vita fetale, della sutura metopica. 5. La batrocefalia consiste in una sorta di stacco della superficie della parte corrispondente all'occipitale dal restante del solido craniense, in guisa che ne risulta una specie di gradino (fig. 48). Il raccordo fra l'occipitale e il restante è costituito da una serie più o meno numerosa di ossa vormiane. Sembra più frequente nei cranî brachicefali. Il Sera ritiene questo fatto prova della diminuita tensione periostea, sulla superficie del cranio, sopra il piano mediano, nei brachicefali. La squama occipitale è molto curva nel piano sagittale. 6. La clinocefalia è un affondarsi, a foggia di sella, della parte superiore del cranio. 7. La platibasia è un affondamento nell'interno del cranio delle parti ossee che costituiscono la cosiddetta base del cranio (corpo dello sfenoide, basio-occipitale) mentre si fanno più ampî gli angoli della base (di Welcker e di Landzert).
La causa immediata anatomo-fisiologica delle sinostosi che abbiamo visto è in un'ipervascolarizzazione del tessuto osseo dei bordi delle suture, constatabile quasi sempre anche nell'adulto. Riguardo però ai fattori patogeni, all'etiologia di detta ipervascularizzazione, le opinioni divergono assai. Non pare accettabile l'opinione di coloro i quali vorrebbero ridurre quasi soltanto alla sifilide ereditaria la causa di essa. Ancora più ampie possibilità etiologiche dobbiamo ammettere per le deformazioni in cui non si è constatata frequenza di sinostosi; ciò soprattutto per la plagiocefalia. Probabilmente tutte le malattie, o condizioni subpatologiche, che alterano lo sviluppo e il ricambio del tessuto osseo sono capaci di divenire fattori della produzione almeno della plagiocefalia e della platibasia.
Bibl.: Hanotte, Anatomie pathologique de l'oxycéphalie, Parigi 1898; V. Nisticò, La plagiocefalia, in Riforma medica, XVIII (1903); G. Backman, Über Scaphocephalie, in Anat. Hefte, XXXXVII (1908); J. Hochsinger, Bathrocéphalie (in cèco e riassunto francese), in Anthropologie, I, Praga 1923; L. Glavan, Examen anthropométrique des crânes oxycéphales, ecc., (in cèco e riassunto francese), in Anthropologie, II, Praga 1924.
Il cranio come trofeo. - La caccia alle teste umane è un costume diffuso nell'Africa, nell'Oceania, nell'America Meridionale, ma soprattutto nell'Insulindia, ove ha tanta parte nella vita religiosa e sociale che in alcune regioni un uomo non può prender moglie se non ha prima conquistato una testa. In altri luoghi si ritiene che colui il quale non noveri una simile vittoria non può entrare nel regno dei morti. Talvolta la caccia alle teste è in relazione con i sacrifici umani e col cannibalismo. I cranî vengono generalmente appesi nella grande stanza della dimora comune degli uomini, a volte essi sono ricoperti di una pasta di aspetto simile alla carne, che viene in alcuni casi anche dipinta; le orbite poi vengono riempite di diverse sostanze in sostituzione degli occhi.
Nell'Insulindia, prima degl'influssi indiani, buddhistici, musulmani, cinesi, tale costume era diffuso ovunque, e lo è tuttora presso le genti rimaste estranee a tali culture recenti o all'azione della civiltà coloniale europea. Esso si è riscontrato anche presso popolazioni che nell'Indocina (Assam, Birmania settentrionale) e nell'India stessa (Gond, Kui, Khond) conservano un complesso simile di cultura. Non è possibile tuttavia sapere con certezza a quale fase dello sviluppo culturale esso propriamente risalga. Il prospetto è molto più chiaro per l'Oceania. Quivi il culto dei cranî risale ai cicli culturali IV e V, cioè a quello delle due classi e a quello dell'arco (v. civiltà), ed è perciò diffuso in tutta la Melanesia, ma con una notevole differenza fra i due cicli. In quello delle due classi sono conservati e venerati senza preparazione speciale se non l'asportazione delle carni, i cranî dei parenti o degli antenati. Nel ciclo dell'arco vengono raccolti e conservati, non solo i cranî dei parenti, ma anche quelli dei nemici, e in questo ciclo si riscontrano la plastica e la pittura dei cranî. Non è quindi ingiustificato pensare che la caccia alle teste provenga dall'uso di conservare i cranî dei membri della famiglia, quale si osserva anche tra i Negriti delle isole Andamane (v.).
Le osservazioni fatte in Africa concordano con quelle dell'Oceania. I crani trofei s'incontrano soprattutto nel dominio guineo-congolese, che è appunto un dominio degli elementi combinati delle due classi e dell'arco. In America il fenomeno è più complesso, nel senso che esso dev'essere posto eventualmente in relazione, non solo col cannibalismo, ma anche con altre usanze, quali lo scotennamento (scalp) e la mummificazione "ridotta" dei Jivaro (confine Ecuador-Perù), che tolgono dalla testa il cranio a pezzi dopo di averlo fratturato, conservando la pelle del capo e della faccia, la quale, affumicata, si riduce al volume di una testa di bambola, ma conserva le fattezze del morto. Tale costume pare fosse conosciuto nell'antico Perù già prima degli Inca: i Jivaro non ne sono che gli eredi. Anche i popoli civili dell'America Centrale tagliavano le teste, ma solo dopo lo svolgimento di sacrifici cruenti (asportazione del cuore della vittima). Nell'America Meridionale la caccia alle teste era diffusa soprattutto nelle Ande, ma anche in altri luoghi: a sud del Rio delle Amazzoni, presso i Tupi e fra i Botocudo, a nord dello stesso fiume presso i Caribi, specialmente quelli delle Antille.
In quanto allo scotennamento, esso si riscontra in due regioni dell'America, dove si trovano varî altri elementi di antiche culture: l'una, nel sud, dalla Terra del Fuoco al Chaco, l'altra, nel nord, dove si era largamente diffusa per opera specialmente, a quanto pare, degli Irochesi. Tra questi due gruppi d'Indiani scotennatori soltanto i Huaztechi del Messico, sulla costa atlantica, praticavano tale costume.
La caccia alle teste è stata pure in uso nell'Asia anteriore e nelle regioni vicine, in epoca preistorica. Ma i rapporti possibili fra il costume preistorico e le usanze attuali non sono stati per ora definiti.
Bibl.: A. C. Haddon, Head-hunderts, black, white and brown, Londra 1901; A. Grubauer, Unter Kopfjägern in Central-Celebes, Lipsia 1913; R. Heine-Geldern, Kopfjagd und Menschenopfer in Assam und Birma und ihre Ausstrahlungen nach Vorderindien, in Mit. der Anthrop. Gesells., XLVII, Vienna 1917. - Sui Jivaro, v.: P. Rivet, Les Indiens Jibaros, in L'Anthropologie, XVIII-XIX, Parigi 1907-08; E. Seler, Präparierte Feindesköpfe bei den Jivarostämmen des oberen Marañon und bei den alten Bewohnern des Departments Ican der Küste von Peru, in Bässler-Archiv, VI, Lipsia e Berlino 1916.