CRISTALLO DI ROCCA
Varietà di quarzo purissimo (biossido di silicio), di assoluta trasparenza e totale assenza di colorazione, che trovò largo impiego nella glittica fin dall'Antichità, in particolare ad Alessandria d'Egitto e a Roma, e ancora in epoca tardoantica, specie in area bizantina.Risale per es. al sec. 4° o 5° un c. di rocca a forma di tempio a pianta centrale riutilizzato capovolto nella c.d. grotta della Vergine (Venezia, Tesoro di S. Marco); ritenuto manufatto bizantino del sec. 10°-11° (Grabar, 1971, pp. 81-82, nr. 92), va invece inserito nel contesto della glittica paleobizantina per l'evidenza di elementi architettonico-decorativi neoclassici, come colonnine con capitelli ionici, fregi e volute, ricorrenti nel lessico artistico teodosiano, se si considera il missorium argenteo di Teodosio, del 388 (Madrid, Real Acad. Historia), in cui il sovrano appare circondato da soldati con armi analoghe a quelle raffigurate sul c. di rocca. Il manufatto in origine avrebbe potuto costituire il pomo di uno scettro, considerata la natura del materiale e soprattutto la forma di tempietto, che compare anche sopra lo scettro-cornucopia retto da Iside in uno dei rilievi in avorio del sec. 6° inseriti nell'ambone di Enrico II nella Cappella Palatina di Aquisgrana (Schnitzler, 1957, figg. 117, 123).Nel Medioevo solo a Bisanzio vennero realizzati interi vasi o coppe ricavati da un unico blocco di pietra con quella sofisticata tecnica artigianale di tradizione antica che riemerse sotto la dinastia macedone nel 10° e nell'11° secolo. In quest'epoca infatti - benché fossero molto ricercati gli oggetti antichi in pietre dure, che venivano riutilizzati con montature in oro o in argento dorato con smalti, perle e pietre preziose - si ebbe anche lo sviluppo di un'attività artigianale dedita alla lavorazione delle pietre, che tuttavia oggi ha una documentazione maggiore per l'agata, la sardonica e il diaspro che non per il c. di rocca, di cui sussistono scarsi esempi. La diversità esecutiva più appariscente tra la produzione antica e quella mediobizantina si coglie nello spessore dei manufatti: quelli eseguiti in età romano-imperiale (per es. lo skýphos a Venezia, Tesoro di S. Marco; Volbach, 1971, p. 6, nr. 5, tav. III) sono molto sottili, mentre quelli mediobizantini presentano una maggiore consistenza, se si considera lo spessore delle placche di c. di rocca inserite nell'intelaiatura d'argento dorato con incrostature di paste vitree di un calice (Venezia, Tesoro di S. Marco), il cui piede di c. di rocca è ritenuto opera di artigianato sasanide del sec. 9° o 10° (Il Tesoro di San Marco, 1986, p. 192, nr. 22). Anche la coppa poliloba conservata a Venezia (Tesoro di S. Marco; Grabar, 1971, p. 70, nr. 64, tav. LVI), di c. di rocca chiazzato e poco trasparente, pur nell'eleganza del profilo svasato e lievemente bombato e dell'ondulazione della superficie prodotta dai dieci lobi, presenta uno spessore assai più consistente rispetto a quello riscontrabile nella produzione artistica documentata da un'acquasantiera e da una coppa già ritenute opere dei secc. 10°-11° (Venezia, Tesoro di S. Marco; Grabar, 1971, p. 75, nrr. 75-76, tav. LXIII).Alla rinascenza macedone va invece ascritta la lampada a forma di pesce, ricavata da un c. di rocca molto grande di rara purezza (cm. 31,117,75,5), che sia per il notevole spessore sia per la forma a pesce ripropone, con estrema semplificazione di contorni e curve, una tipologia diffusa soprattutto nelle lampade fittili paleocristiane (Venezia, Tesoro di S. Marco; Grabar, 1971, p. 75, nr. 77, tav. LXIV). Prodotto coevo, ancora di atelier bizantino, sembra essere il vaso a forma sferoidale con montatura veneziana d'argento dorato a filigrana del sec. 13° (Venezia, Tesoro di S. Marco; Grabar, 1971, p. 78, nr. 84, tav. LXIX); il c. è particolarmente puro e presenta tali sottigliezze di lavorazione da indurre Pasini (1885, p. 62, nr. 112) a crederlo vetro. Nell'ambito dei secc. 10° e 11° va collocato il c.d. reliquiario del Preziosissimo Sangue, costituito da un c. di rocca di forma cilindrica, con il coperchio bordato d'oro a smalti cloisonnés e un crocifisso di diaspro verde inserito al centro (Venezia, Tesoro di S. Marco; Steingräber, 1971, p. 180, nr. 172, tavv. CLXX-CLXXII).Nonostante il silenzio delle fonti, gli elementi tecnici e iconografici che caratterizzano alcune opere consentono di collocarle nel periodo mediobizantino, confermando l'esistenza di una produzione artigianale di manufatti di c. di rocca accanto a quelli di onice, agata, sardonica e altre pietre dure. Tali oggetti presentano, per quanto riguarda la qualificazione cronologica, la complessa problematica che si ripropone anche nell'analisi di avori e sculture marmoree; infatti sia la ripresa di temi figurativi e decorativi di età classica o tardoantichi sia l'esecuzione raffinata potrebbero determinare la collocazione di questi oggetti in epoca antica se non venissero valutati indizi tecnici quasi impercettibili.Mentre nell'area bizantina la produzione medievale di oggetti in c. di rocca presenta elementi tecnici, iconografici e stilistici che consentono di qualificarla come testimonianza della ripresa in età macedone dell'artigianato e delle manifatture di oggettistica suntuaria che dall'epoca imperiale romana ebbero documentazioni di alto livello tecnico e artistico, i c. di rocca medievali dell'area occidentale non furono legati direttamente alla produzione tardoromana, ma vanno considerati opera d'ispirazione bizantina con influssi sasanidi e orientali, interpretati secondo le istanze d'ordine culturale proprie dei vari centri d'esecuzione o dipendenti dalla volontà dei singoli committenti. Le medesime varianti 'linguistiche' che connotano gli avori occidentali rispetto a quelli bizantini o gli intrecci viminei dei bassorilievi scultorei carolingi rispetto agli stessi intrecci di fettucce della scultura iconoclasta e posticonoclasta caratterizzano pure i c. di rocca dell'Europa postbarbarica rispetto a quelli di Costantinopoli o dei centri di produzione a essa collegati e si possono ridurre a una vistosa durezza del tracciato disegnativo, a una secchezza di profili e a una schematizzazione di forme che, se si discostano dalla riproduzione del dato naturalistico, prediligono per converso l'effetto espressionistico.A Venezia (Tesoro di S. Marco) sono conservati alcuni c. occidentali di varie epoche e provenienze: tra gli esempi più interessanti è una figura per il gioco degli scacchi già ritenuta di fattura islamica (Erdmann, 1971, pp. 118-119, nr. 129, tav. CIV), ma da considerarsi piuttosto manufatto occidentale del sec. 9°-10°, come provano sia il confronto delle quattro coppie di volute simmetriche che riempiono il fregio che avvolge il foro centrale con l'analogo tema decorativo ricorrente in sculture altomedievali (per es. un capitello nella cripta della basilica di Aquileia; Dalla Barba Brusin, Lorenzoni, 1968), sia quello dei rombi dei fregi sulla superficie laterale del c. con i temi ornamentali della plastica occidentale del sec. 10°, ripresi dal lessico decorativo d'età giustinianea. Tali elementi inducono a inserire il c. nella produzione europea altomedievale.A una croce di provenienza mosana databile al sec. 12° (Venezia, Tesoro di S. Marco; Hahnloser, 1971, pp. 141-142, nr. 141, tav. CXIX), con c. di rocca lavorati a cabochon, si affiancano altri analoghi esemplari d'arte iberica o renana, come una croce d'altare del 1250 ca. (Monaco, Bayer. Nationalmus.) o la croce mosana di Scheldwindecke, del 1160-1180 (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire). Dagli esemplari mosani e renani, di estrema semplicità ed eleganza, trassero ispirazione gli orafi veneziani, come attestano alcuni candelabri del sec. 13° conservati nel Tesoro di S. Marco a Venezia, quello del 1296 ca. nel Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco di Assisi, quello nel S. Nicola di Bari, dono di Carlo d'Angiò, e nella Santa Croce di Firenze la croce (Marcucci, 1960) firmata da Bertuccio (v.), autore nel 1300 della porta di bronzo a N dell'ingresso centrale della basilica di S. Marco a Venezia. Poiché la produzione veneziana presenta evidenti richiami di carattere tecnico-artistico ai manufatti germanici, si può dedurre che a Venezia venissero conservati non solo prodotti suntuari bizantini, ma anche di altri centri occidentali che si qualificavano nella lavorazione del c. di rocca.Dall'area renana provengono appunto numerosi esemplari di c. di rocca tagliati ed eseguiti con tecniche diverse e destinati a vari usi. Nove c. tagliati a cabochon sono incastonati nella croce a disco, del 1130-1140 ca., conservata a Hildesheim (Diözesanmus. mit Domschatzkammer; Elbern, 1979, p. 21, fig. 73), mentre un reliquiario in forma di piccolo sarcofago, del 1230 ca. (Colonia, Domschatzkammer; Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 83, nr. D 62), presenta in una montatura decorata con filigrana, perle, turchesi, granati e ametiste, lastre in c. di rocca, attraverso cui è visibile il contenuto di reliquie, intagliate con estrema raffinatezza, come mostrano la leggerezza e la perfezione disegnativa del tralcio a piccole foglie e delle archeggiature. L'impugnatura del bastone del primo cantore di Colonia, del 1200 ca. (Colonia, Domschatzkammer; Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 228, nr. E 23), oppure la crocereliquiario in St. Gereon a Colonia, della metà del sec. 13° (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 245-246, nr. E 37), sono decorate con grandi c. di rocca levigati che, in particolare sul cilindro centrale e sul braccio superiore della croce, presentano incavi per contenere le reliquie.La presenza in St. Ursula a Colonia di un leone in c. proveniente dall'Egitto e datato al sec. 10°-11° (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 344, nr. E 108) comprova l'ampia circolazione di manufatti in c. di rocca, che determinò influssi tecnico-artistici sulla produzione locale germanica. Nella croce gemmata conservata a Fritzlar (Domschatz und Mus. des St. PetriDomes), databile al primo terzo del sec. 12° e attribuita alla cerchia di Ruggero di Helmarshausen (Ornamenta Ecclesiae, 1985, III, p. 112, nr. H 29), un grande c. posto all'incrocio dei bracci contiene una reliquia della croce; è questo il più raffinato impiego del c. di rocca come portareliquie a forma di gemma. In altri casi la presenza di un contenitore-reliquiario dietro un grande c. a cabochon (per es. la croce-reliquiario della cattedrale di Notre-Dame a Tournai; Ornamenta Ecclesiae, 1985, III, p. 116, nr. H 35) vanifica quella connotazione simbolicoastratta che distingue la gemma di Fritzlar. Si tratta di un fraintendimento della tecnica impostata sulla perforazione dell'interno del c. e sull'inserimento in esso di pergamene miniate, talora anche avvolgenti le reliquie, che simulano l'effetto di smalti o di cammei.Fra i più celebri c. di rocca-cammeo sicuramente importati dall'Oriente - che possono aver influito sulla produzione successiva, che ne imitò l'effetto con gli espedienti accennati precedentemente - è quello incastonato al centro della c.d. tazza di Salomone (Parigi, BN, Cab. Méd.), la cui denominazione deriva dalla figura di re intagliata sul c., tradizionalmente identificata con il personaggio biblico, ma che più correttamente deve ritenersi un sovrano della dinastia sasanide, forse Kawādh I (488-530; Le trésor de Saint-Denis, 1991, pp. 80-82). Questo vaso fu donato forse da Carlo il Calvo all'abbazia di Saint-Denis, nel cui tesoro si trovavano anche altri importanti recipienti in c. di rocca, come il perduto calice di Saint-Denis (Le trésor de Saint-Denis, 1991, pp. 160-162), costituito da un c. di origine fatimide (sec. 10°), montato probabilmente all'epoca dell'abate Suger (1081-1151), o il vaso di Eleonora, il cui nucleo in c. sasanide (sec. 6°-7°) venne donato da Eleonora d'Aquitania al suo sposo re Luigi VII (1121-1180) e da quest'ultimo all'abate Suger, che lo dotò di una preziosa montatura in argento dorato con gemme, smalti e filigrane.Da ricordare infine è la ripresa in epoca carolingia della tecnica dell'intaglio su gemme che produsse in c. di rocca anche opere con interi cicli figurati, come il c.d. c. di Lotario con le Storie di Susanna (Londra, British Mus.).
Bibl.: J. Labarte, Histoire des arts industriels au Moyen Age et à l'époque de la Renaissance, 3 voll., Paris 1872-1875; A. Pasini, Il tesoro di San Marco in Venezia, I, Venezia 1885; E. Molinier, Histoire générale des arts appliqués à l'industrie du Ve à la fin du XVIIIe siècle, I, Ivoires, Paris 1896; id., L'orfèvrerie religieuse et civile, Paris 1901; E. Babelon, Histoire de la gravure sur gemmes en France, Paris 1902; K. Erdmann, Rock Crystals, Berlin 1951; J. Baum, Karolingische Kunst in den Alpen-Ländern, Olten-Lausanne 1954; H.R. Hahnloser, Schola et artes cristellariorum de Veneciis. 1284-1319 opus veneticum ad filum, in Venezia e l'Europa, "Atti del XVIII Congresso internazionale di storia dell'arte, Venezia 1955", Venezia 1956, pp. 157-165; H. Schnitzler, Rheinische Schatzkammer, I, Düsseldorf 1957; L. Marcucci, Per gli ''armarj'' della sacrestia di Santa Croce, MKIF 9, 1960, pp. 141-158; O. Doppelfeld, Römisches und fränkisches Glas in Köln (Schriftenreihe der archäologischen Gesellschaft Köln, 13), Köln 1966; P. de Palol, M. Hirmer, L'art en Espagne du royaume wisigoth à la fin de l'époque romane, Paris 1967; R. Gallo, Il tesoro di San Marco e la sua storia (Civiltà veneziana. Saggi, 16), Firenze 1967; D. Dalla Barba Brusin, G. Lorenzoni, L'arte del Patriarcato di Aquileia dal secolo IX al secolo XIII, Padova 1968; W.F. Volbach, Opere antiche, tardo-antiche e proto-bizantine, in Il tesoro di San Marco. Il tesoro e il museo, a cura di H.R. Hahnloser, Firenze 1971, pp. 1-11; A. Grabar, Opere bizantine, ivi, pp. 13-97; K. Erdmann, Opere islamiche, ivi, pp. 99-127; H.R. Hahnloser, Opere occidentali dei secoli XII-XIV, ivi, pp. 129-174; E. Steingräber, Opere occidentali dei secoli XV e XVI, ivi, pp. 175-197; H.P. Bühler, Antike Gefässe aus Edelsteinen, Mainz a. R. 1973; V.H. Elbern, Dom und Domschatz in Hildesheim, Königstein i. T. 1979; Ornamenta Ecclesiae. Kunst und Künstler der Romanik, a cura di A. Legner, cat., 3 voll., Köln 1985; Il Tesoro di San Marco, cat., Milano 1986; Le trésor de Saint-Denis, cat., Paris 1991.R. Polacco
Numerose fonti arabe riportano notizie sul c. di rocca: il celebre geografo di epoca mongola al-Qazvīnī (m. nel 1283), riprendendo un'espressione attribuita ad Aristotele, definì nel 'Kitāb 'ajā'ib al-makhlūqāt (Libro delle meraviglie del creato) il c. di rocca come un tipo di vetro più duro, più chiaro, più puro (Lamm, 1929-1930, II, p. 509). Numerosi autori riportano notizie circa i luoghi di estrazione del c.: Abu'l-Layth nel Lapidario del rey D. Alfonso X (1248) rilevava che il minerale poteva trovarsi in molte località, ma che il più pregiato era quello di origine etiopica. Al-Ghuzūlī (m. nel 1412), facendo riferimento ad autori precedenti, riportava nel Maṭāli' al-budūr fī manāzil al-surūr (Dove sorgono le lune piene nelle gioiose stagioni astrali) la notizia dell'esistenza di un tipo di c. di rocca di non particolare qualità importato dalla Cina, mentre per altri tipi individuava la provenienza dall'Europa, dall'Armenia o dal lontano Maghreb. Altri luoghi di estrazione furono la regione di Hamadān in Persia, la zona costiera lungo il mar Rosso, lo Yemen, il Kashmir, l'Africa orientale (Zanj), nonché le isole Laccadive (Dībajat) a O dell'India. A proposito delle caratteristiche del minerale, al-Bīrūnī (m. nel 1050 ca.) nel Kitāb al-Jamāhir (Libro delle nazioni), citando come fonte al-Kindī (m. nell'870), riferiva che alcuni c. potevano superare il peso di kg. 5,5 (Lamm, 1929-1930, I, p. 346).Nelle fonti arabe emerge anche la distinzione tra c. di rocca privi di decorazione o solamente sfaccettati ed esemplari con figure, questi ultimi considerati di gran lunga i più pregiati. Nelle opere islamiche in c. di rocca i motivi decorativi sono costituiti prevalentemente da racemi con foglie e palmette e da animali (volatili, felini, ungulati), mentre manca la rappresentazione della figura umana e sono rare le scene di combattimento tra animali e le iscrizioni. Si conservano ca. centosettanta oggetti islamici medievali in c. di rocca (Rice, 1956, p. 85ss.) e di questi quasi nessuno proviene da ritrovamenti archeologici. Poiché la morfologia dei recipienti della prima età islamica è la medesima di quelli tardoantichi e sasanidi, appare assai complessa la classificazione cronologica e geografica degli esemplari privi di decorazione rispetto a quelli che presentano ornati a intaglio o a molatura.Nel Vicino Oriente il c. di rocca venne lavorato in tutte le epoche, ma il maggior numero di esemplari significativi risale all'età fatimide (909-1171). La gran parte di questo patrimonio, conservato oggi in tesori di chiese e collezioni europee, è pervenuta in Europa già in epoca medievale, spesso attraverso Bisanzio, sull'onda di un fiorente commercio di reliquie. In un momento di difficoltà, al tempo del califfo al-Mustanṣir (1061-1069), coincidente con una fase di produzione assai abbondante di manufatti in vetro e c. di rocca in Egitto, si ebbe lo smembramento di tutto il tesoro dei califfi fatimidi, nel quale andarono dispersi ca. trentaseimila oggetti in vetro e c. di rocca (Kahle, 1935, p. 344; Rice, 1956, p. 85).Tra i c. fatimidi conosciuti nessuno reca la data e solo due riportano il nome di un califfo: una brocca, del 975-996 (Venezia, Tesoro di S. Marco), sul cui collo compare l'iscrizione cufica "La benedizione di Dio sia con l'imam al-'Azīz bi'l-lāh" (Erdmann, 1971, p. 113, tav. XCVIII); un manufatto in forma di mezzaluna, trasformato in ostensorio (Norimberga, Germanisches Nationalmus.; Rice, 1956, p. 86), che porta come unica decorazione un'iscrizione di benedizione per il califfo al-Ẓāhir (1021-1036). Un'altra brocca (Firenze, Palazzo Pitti) venne realizzata per il dignitario fatimide Ḥusayn ibn Jawhar, in carica dal 1000 al 1008.La brocca di al-'Azīz bi'l-lāh rappresenta il migliore tra i sei esemplari analoghi conservati (Venezia, Tesoro di S. Marco; Firenze, Palazzo Pitti; Parigi, Louvre; Londra, Vict. and Alb. Mus.; Fermo, Tesoro del duomo); sulla sua superficie sono molati due leopardi affrontati e l'albero della vita; l'ansa che sale verticalmente, realizzata a traforo, è completata da un capricorno lavorato a tutto tondo.I tre oggetti precedentemente citati, sicuramente databili grazie alle iscrizioni, consentono di classificare sulla base di criteri stilistici il gruppo dei c. fatimidi, che si compone di brocche, bottiglie, bacili, bicchieri, coppe, recipienti zoomorfi, cassette e pomelli; precursori di questi esemplari possono essere considerati i due piccoli fusti in c., oggi montati in due candelabri del sec. 16° (Venezia, Tesoro di S. Marco), con palmette e racemi intagliati in uno stile prossimo alla produzione di Samarra, che risalgono probabilmente all'epoca tulunide (868-905; Erdmann, 1971, p. 108ss., tav. XCVI).Non sono pervenuti altri esemplari risalenti a periodi precedenti quello fatimide, nonostante l'ampia testimonianza delle fonti relative ai periodi omayyade e abbaside (Lamm, 1929-1930, II, p. 513). A epoche molto diverse risalgono inoltre altri oggetti in c., quali pedine per il gioco degli scacchi, matrici per sigilli e anelli.Dal punto di vista tecnico e stilistico le opere in c. di rocca più antiche sono legate da una parte alla tradizione tardoantica, bizantina ed egiziana, dall'altra a quella persiano-sasanide. Un vaso, il cui piede si trova inserito in una montatura veneziana duecentesca (Venezia, Tesoro di S. Marco), per il fregio a calici fogliati fortemente stilizzato potrebbe essere stato realizzato in Iraq nel sec. 10° nello stile di Samarra. Un pezzo senza confronti è una bocca di fontana in forma di protome leonina (cm. 2115), certamente eseguita in Egitto nel sec. 11° (Karlsruhe, Badisches Landesmus.).I progressi nella produzione del vetro, soprattutto a Venezia, consentirono tecniche di lavorazione più semplici e meno costose di quella del c. di rocca, che subì una flessione sin dal 13° secolo. Due manufatti più o meno rielaborati attestano comunque che continuarono a essere apprezzati sia gli oggetti in c. di rocca sia lo stesso materiale: una brocca fatimide venne rimolata (Rice, 1956, p. 85ss.); un grande boccale (Istanbul, Topkapı Sarayı Müz.; The Topkapi, 1987, nr. 54) fu talmente rilavorato e arricchito di oro e rubini che le ipotesi relative alla sua provenienza oscillano tra India, Egitto fatimide e Occidente medievale. È possibile perciò ipotizzare che numerosi oggetti islamici medievali in c. di rocca siano stati in età successiva trasformati e rielaborati al punto da renderli irriconoscibili. I pochi esemplari di eccezionale bellezza tardomedievali si caratterizzano non tanto per la ricca ornamentazione a intaglio o a molatura, quanto per le costose montature in oro e pietre preziose che spesso li rivestono completamente, come mostrano i recipienti, i boccali e gli altri oggetti del Topkapı Sarayı Müz. di Istanbul.
Bibl.:
Fonti. - al-Bīrūnī, Kitāb al-Jamāhir [Libro delle nazioni], Ḥaydarābād 1936-1937, pp. 181-189; Abu'l-Layth, Lapidario del rey D. Alfonso X, a cura di J. Fernandez Montaña, Madrid 1881 (ed. in facsimile), pp. 8, 38; al-Qazvīnī, Kitāb ῾ajā'ib al-makhlūqāt [Libro delle meraviglie del creato], a cura di F. Wüstenfeld, II, Göttingen 1949, p. 212; al-Ghuzūlī, Maṭàli῾ al-budūr fī manāzil al-surūr [Dove sorgono le lune piene nelle gioiose stagioni astrali], II, Cairo 1883, pp. 134ss., 151ss., 281ss.
Letteratura critica. - C.J. Lamm, Mittelalterliche Gläser und Steinschnittarbeiten aus dem Nahen Osten (Forschungen zur islamischen Kunst, 5), 2 voll., Berlin 1929-1930; P. Kahle, Die Schätze der Fatimiden, Zeitschrift der deutschen morgenländischen Gesellschaft 89, 1935, pp. 329-362; id., Bergkristall, Glas und Glasflüsse nach dem Steinbuch von el-Bērūnī, ivi, 90, 1936, pp. 322-356; K. Erdmann, Islamische Bergkristallarbeiten, JPreussKS 61, 1940, pp. 125-146; id., ''Fatimid'' Rock Crystals, OrA 4, 1951, p. 3ss.; id., Die fatimidischen Bergkristallkannen, in Wandlungen christlicher Kunst im Mittelalter (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 2), Baden-Baden 1953, pp. 189-205; D.S. Rice, A Datable Islamic Rock Crystal, OrA, n. s., 2, 1956, pp. 85-93; J. Ruska, C.J. Lamm, s.v. Billawr, in Enc. Islam2, I, 1960, pp. 1256-1257; K. Erdmann, Opere islamiche, in Il tesoro di San Marco. Il tesoro e il museo, a cura di H.R. Hahnloser, Firenze 1971, pp. 99-127, tavv. LXXXIX-CXV; G. Goodwin, A History of Ottoman Architecture, London 1971; E. Petrasch, Die Türkenbeute, Karlsruhe 1977; The Topkapi Saray Museum. The Treasury, a cura di J.M. Rogers, C. Köşeoğlu, London 1987.H. Erdmann