cristianesimo
Dalla tradizione giudaica alla promessa universale di salvezza
Il cristianesimo, la cui denominazione rivela il legame fondamentale con la figura di Gesù Cristo, è un fenomeno religioso complesso. Nacque nel solco della tradizione culturale e religiosa del giudaismo, a sua volta già influenzata dalla cultura greca nell'epoca dei regni ellenistici. Una volta diffusosi nel bacino del Mediterraneo, anche il cristianesimo assorbì elementi importanti della cultura greca, a partire dalla lingua, per poter avviare un dialogo con interlocutori non giudei; nel tempo ha dimostrato capacità di adattamento a diverse situazioni e contesti storici nel proporre il proprio messaggio di salvezza
Il termine cristianesimo compare nelle fonti per la prima volta con Ignazio di Antiochia, all'inizio del 2° secolo. Invece il termine 'cristiani' era entrato in uso già intorno agli anni Quaranta del 1° secolo, come si legge negli Atti degli Apostoli, per identificare persone che proponevano un messaggio di carattere religioso riconducibile a Gesù di Nazareth detto il Cristo. Di conseguenza, il cristianesimo si presenta come una religione fondata da un personaggio storico, nel senso che il riferimento di fede, diretto o indiretto, a quel personaggio è l'elemento che accomuna le prime notizie sui cristiani.
Da due millenni Gesù il Cristo è oggetto di fede. Relativamente presto si è pensato che nella sua figura ci fosse una componente divina. Il Credo, nella sua formulazione niceno-costantinopolitana (cioè sottoscritta dai partecipanti al Concilio di Nicea del 325 e ripresa e adattata nel Concilio di Costantinopoli del 381) che è tuttora la base dottrinale comune per tutte le confessioni cristiane, così afferma: "generato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, della stessa sostanza del Padre". In queste parole è contenuto il distillato delle molteplici domande e della riflessione su Cristo e su Dio che hanno animato i primi secoli del cristianesimo.
Accanto a questi aspetti dottrinali, il Credo ricorda anche alcuni particolari della vicenda storica di Gesù: "è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato e ha patito ed è stato seppellito ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture". Quindi i dati fondamentali di una vita ‒ le coordinate cronologiche e la morte di Gesù ‒ sono inglobati nel Credo, anche se fino all'età dell'Illuminismo non fu mai avviata una riflessione sulla sua personalità storica, dal momento che l'unico canone di verità (all'interno naturalmente del mondo cristiano) era fornito dalla Chiesa per la quale la fede in Cristo come Dio e salvatore è un dogma. Con l'Illuminismo, che mise in primo piano le esigenze della ragione, cominciò a porsi il problema del Gesù storico.
I risultati dell'analisi storica ‒ molto complessa e compiuta soprattutto sulle fonti evangeliche ‒ ci rivelano che Gesù era un ebreo, nativo della Galilea, il quale, arrivato al trentesimo anno di età, si dette alla predicazione itinerante. L'annuncio della prossima venuta del regno di Dio si univa alla certezza che questo regno fosse già operante nelle guarigioni da lui stesso compiute.
L'orizzonte mentale di Gesù si iscriveva nel giudaismo del suo tempo, di cui egli cercava un rinnovamento interno, come, con alcune analogie e diversità, stava facendo Giovanni Battista, di cui egli fu discepolo per un periodo. Molto significativo e senza analogie con l'esperienza rabbinica era il suo modo di porsi, assolutamente libero e autorevole, con un riferimento diretto a Dio nei confronti della legge impartita da Mosè al popolo d'Israele, che egli vuole riformulare a partire dal precetto, considerato fondamentale, dell'amore, al quale ogni altra prescrizione risulta subordinata.
Gesù appartiene quindi alla storia ebraica, ma è nello stesso tempo ragione sufficiente per spiegare lo sviluppo di un'altra storia, quella cristiana.
Il problema circa le origini cristiane si identifica dunque con il problema del momento in cui si può parlare del cristianesimo come di una religione differente dal giudaismo. Più in generale, dietro questo problema se ne nasconde un altro: la definizione di cristianesimo. Quali e quanti elementi (di carattere istituzionale, dottrinale, rituale e così via) devono entrare nella definizione del cristianesimo? È chiaro che quanto maggiore sarà il numero di elementi che la definizione vuole comprendere, tanto più si sposterà in avanti l'effettiva nascita del cristianesimo.
È un dato di fatto che il cristianesimo rappresenti all'inizio solo una delle tante correnti interne al giudaismo. Lo stesso titolo di Cristo, che venne subito attribuito a Gesù e che divenne parte del suo nome, proviene dalla tradizione giudaica (Bibbia). I discepoli credettero nella resurrezione di Gesù dalla morte, ma interpretarono in modi diversi la sua persona e la sua funzione sia riguardo al suo rapporto con la Torah (la dottrina contenuta nel Pentateuco che, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme compiuta dai Romani nel 70 d.C., divenne l'unico punto di riferimento religioso per gli Ebrei) sia riguardo al suo rapporto con la missione di Israele, popolo eletto.
Molte quindi, all'inizio, furono le forme del cristianesimo. Fra le varie forme, quella di Paolo ebbe il maggior successo fra i pagani, perché non li obbligava ad assumere le osservanze dei Giudei (come le prescrizioni alimentari, o la circoncisione). Anche Paolo intendeva rifondare la religione di Israele piuttosto che stabilirne una nuova, ma di fatto la sua impostazione affrettò il distacco del cristianesimo dal giudaismo. Ma accanto al cristianesimo di Paolo sussistevano altre versioni, e a lungo continuarono a esserci cristiani (detti giudeo-cristiani) che osservavano le prescrizioni giudaiche e si consideravano parte del popolo eletto. L'autocoscienza dei cristiani, come pure il loro distacco dai Giudei, furono quindi diversi nei vari gruppi. Il requisito minimo per definire il cristianesimo (facendo riferimento sia al periodo delle origini sia ai secoli successivi) è la fede in Gesù Cristo inviato da Dio come personaggio salvifico, inteso in senso esclusivo da Paolo o come personaggio principale, accanto alla dottrina della Torah, dai giudeo-cristiani.
Personalmente Gesù afferma nei Vangeli la distinzione fra la sfera di Dio e quella di competenza delle autorità politiche (con la celebre affermazione: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"). Ma il cristianesimo, nella sua concreta vicenda storica, è stato soggetto a una dinamica di integrazione e di confronto con la società e le istituzioni politiche all'interno delle quali si è inserito. Tale problematica di confronto è iscritta nelle stesse origini cristiane, a causa della condanna a morte subita da Gesù per opera dei Romani.
Nel 2° secolo il cristianesimo appariva alle autorità dell'Impero Romano come una religione nuova, ormai diversa dal giudaismo. Diffusasi innanzitutto nelle città del bacino del Mediterraneo ‒ mentre fino al 3° secolo inoltrato restò quasi sconosciuta nelle campagne ‒ lungo le vie del commercio, non godeva dei privilegi della religione giudaica, tollerata invece e protetta in quanto religione di un popolo solo (religione etnica). I cristiani furono invece considerati seguaci di una 'religione non lecita', e a volte subirono persecuzioni. Fino a metà del 3° secolo i cristiani, tranne qualche caso di ostilità popolare con eccidi, erano perlopiù processati solo in caso di denuncia non anonima e nominativa; ma dalla metà del 3° secolo, essendo ormai una minoranza numerosa in Oriente, furono soggetti a persecuzioni per editto o generali, la più sanguinosa delle quali fu l'ultima, quella di Diocleziano. Il cristianesimo era visto come una minaccia all'unità e universalità dell'Impero Romano, in quanto non ne accettava quei culti ufficiali che erano invece considerati un fattore di coesione sociale e politica, e proponeva a sua volta un messaggio altrettanto universale dell'ideologia imperiale.
Questa situazione si rovesciò bruscamente e completamente con l'imperatore Costantino: egli intraprese la strada, proseguita dai successori (con l'eccezione di Giuliano detto l'Apostata), che portò il cristianesimo a diventare il fondamento religioso dell'Impero Romano e l'imperatore a essere di fatto e di diritto il capo della Chiesa. In Oriente, durante tutto l'Impero bizantino ‒ che conservò una sostanziale continuità istituzionale fino alla caduta di Costantinopoli del 1453 ‒ si mantennero le condizioni perché l'imperatore continuasse ad avere la funzione di guida delle chiese (Giustiniano, nel 6° secolo, fu insieme teologo e imperatore), mentre in Occidente la progressiva perdita di contatto con l'impero a seguito della formazione dei regni romano-barbarici nel 5° e 6° secolo pose le premesse perché il vescovo di Roma diventasse il capo effettivo della cristianità. L'unione e il mutuo sostegno fra autorità statale e Chiesa cristiana è tuttora un valore per la Chiesa ortodossa.
In Occidente, il rapporto fra politica e religione fu più dialettico e tormentato per il ruolo papale di cui si è detto, e ancor più lo è diventato a seguito della Riforma e dell'affermazione dell'autonomia di valori e istituzioni secolari con l'Illuminismo (secolarizzazione). Nelle chiese orientali la situazione è differenziata: a volte i cristiani sono minoranza riconosciuta, a volte tollerata. In generale, uno dei grandi problemi della coscienza cristiana di tutti i secoli è il rapporto con il mondo, di cui l'autorità statale è l'espressione più forte: i cristiani oscillano fra un atteggiamento di libertà interiore rispetto al mondo esterno e la volontà di influenzare le scelte politiche in nome di valori considerati irrinunciabili.
Il 2° secolo fu cruciale nella storia del cristianesimo. Innanzitutto si decise la partita dei rapporti con l'eredità giudaica, che vennero mantenuti stretti attraverso la Bibbia dei Settanta, in opposizione a quei movimenti (marcionismo, gnosticismo) che volevano separarsi da questa eredità. Alla Bibbia ebraica però venne affiancato sia il corpo del Nuovo Testamento, costituito alla fine del 2° secolo in canone, sia un metodo esegetico in base al quale i fatti della storia ebraica venivano reinterpretati come prefigurazioni dei fatti di Cristo e della Chiesa: in sostanza era la fede in Cristo che forniva la chiave per assimilare la Bibbia giudaica.
La persistenza dell'eredità giudaica comportò il dogma dell'unicità di Dio, creatore della realtà umana. Risultava quindi inaccettabile per il cristianesimo ogni svalutazione troppo forte del mondo (ascetismo) e il dualismo, cioè l'idea che il mondo fosse stato creato da un altro dio, inferiore o cattivo, come affermavano gnostici e manichei e, nel Medioevo, i movimenti dualisti come i catari. Ma il dogma dell'unicità di Dio comportò anche che dal 2° secolo divenne centrale il dibattito su Cristo, o meglio sulla compatibilità della sua componente divina, riconosciuta ormai dalla maggioranza dei cristiani, con l'unico Dio. I dibattiti e i conflitti che si svilupparono intorno a questo problema avevano un carattere differenziato, perché il cristianesimo dei primi secoli era formato da tante comunità autonome, unite solo da un sentimento di unità spirituale, ognuna governata in un primo tempo da un collegio di presbiteri (anziani) e successivamente da un vescovo.
Dopo la svolta impressa da Costantino, le dispute e i dibattiti divennero generali e si cercò la soluzione con concili ecumenici. Una delle peculiarità del cristianesimo fu lo straordinario sviluppo dell'insieme di dottrine riguardanti Dio (teologia) che dovevano rafforzare il fondamento della retta fede, o ortodossia, contro le deviazioni o gli errori. Questa peculiarità nacque proprio dalla riflessione sulla persona di Cristo (cristologia) e proseguì in una serie di tappe e di definizioni, di cui si devono ricordare almeno il già menzionato Credo niceno-costantinopolitano del 381, in base al quale il Dio cristiano è uno in tre persone (Padre, Figlio e Spirito santo) e quello di Calcedonia del 451, molto contestato e fonte di divisioni secolari, per cui Gesù Cristo è una sola persona in due nature complete, umana e divina.
L'idea che la retta fede sia iscritta nella rivelazione originaria portata da Cristo e che le eresie siano deviazioni dalla verità stabilita fu dunque convinzione precoce dei cristiani, ma non corrisponde a quello che sappiamo dello sviluppo storico, nel quale la riflessione ‒ a partire dall'intuizione di fede ‒ si sviluppò lentamente attraverso il confronto di diverse posizioni, alcune delle quali risultavano minoritarie e venivano emarginate. Perciò quella fra eresia e ortodossia è una delle dinamiche che percorre la storia del cristianesimo e ne costituisce uno dei tratti caratteristici. Ne possiamo individuare altre.
Nel 2° secolo, in conseguenza della progressiva stabilizzazione dell'organizzazione gerarchica con a capo la figura del vescovo (epìscopos "sorvegliante"), si instaurò una più o meno aperta conflittualità con movimenti carismatici e profetici (come il montanismo) che pure erano stati fortemente presenti agli inizi del cristianesimo. La tensione fra movimento e istituzione ha poi continuato a manifestarsi ogni qual volta il rafforzarsi dell'istituzione è apparso ad alcuni gruppi di cristiani come un tradimento o un allontanamento dagli ideali del Vangelo.
Queste tensioni si ripresentarono nel 12° secolo in Occidente, quando il monachesimo tradizionale non sembrò più in grado di soddisfare le esigenze di vita evangelica: di conseguenza comparvero una serie di movimenti che predicavano vita evangelica e povertà, i quali, accusati di eresia (come fu il caso dei catari e dei valdesi), furono successivamente fatti oggetto di una politica di recupero (specificamente per una parte dei valdesi) o, se questa falliva, di sterminio (nel caso dei catari).
Dalla stessa esigenza di vita evangelica nacquero anche il movimento promosso da Francesco d'Assisi agli inizi del 13° secolo e gli altri nuovi ordini mendicanti. Anche la riforma iniziata da Martin Lutero recava in sé, fra le sue componenti, quella della riscoperta del Vangelo, contro la politica religiosa papale del tempo.
La tensione fra innovazione e tradizione è in parte connessa con quanto abbiamo già detto. Il cristianesimo nacque come nova religio ("nuova religione"), sul tronco di una religione antichissima (il giudaismo) e come tale rispettata dai Romani. Una parte dei primi difensori della fede cristiana cercò di presentare il cristianesimo come una religione solo in apparenza nuova, perché in realtà si riallacciava alla prima rivelazione data da Dio e che sarebbe stata tradita dai Giudei. Un'altra parte dei difensori avrebbe puntato proprio sulla novità del cristianesimo per accreditare l'idea che mai come in esso Dio si era rivelato pienamente. In generale, nel corso dei secoli nei vari ambiti (ecclesiastico, teologico, sociale) prevalse l'idea che il nuovo è deviazione dalla perfezione originaria e che quindi il 'vero' nuovo deve essere proposto come un ritorno all'antico: per esempio, le nuove proposte di vita comunitaria nel 12° e 13° secolo si rifacevano alla Ecclesiae primitivae forma, "forma della Chiesa primitiva".
Ma, al di là del credito dato a ciò che è antico, il costante fermento di nuove proposte ed esperienze, sorretto dalla convinzione che lo spirito di Dio continua a operare nella storia degli uomini, di fatto ha reso il cristianesimo una religione dinamica e aperta all'innovazione. Lo stesso termine 'tradizione' sembrerebbe avere solo una funzione di freno e di stabilizzazione: in pratica però la tradizione si affianca come un altro elemento di autorità accanto al testo scritto della Bibbia e può, a volte, determinare una dinamica di progresso, perché di fatto la tradizione si modifica storicamente.