Vedi Cuba dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Repubblica di Cuba, isola del Mar dei Caraibi, è uno degli ultimi stati socialisti rimasti dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Dal 1976 la Costituzione ha stabilito l’elezione quinquennale dell’Assemblea popolare, composta da 614 membri, e delle sue articolazioni locali, ma a tutt’oggi esiste un solo partito, il Partito comunista cubano (Pcc). Il potere è fortemente concentrato nelle mani del presidente, carica che per circa trent’anni è stata esercitata da Fidel Castro, leader insieme a Ernesto ‘Che’ Guevara della rivoluzione comunista che nel 1959 rovesciò il governo militare di Fulgencio Batista, appoggiato dagli Stati Uniti. Nel corso della Guerra fredda l’allineamento di Cuba con Mosca, data la vicinanza geografica agli Stati Uniti e gli interessi economici americani sull’isola, ha reso il teatro cubano cruciale nel confronto tra le due superpotenze. Con il crollo dell’Unione Sovietica, Cuba è sprofondata in una doppia crisi, politica ed economica, che ha provocato i gravi scontri di piazza del 1994. Tuttavia il regime castrista ha resistito e ha risposto alternando limitate aperture a strette repressive e accentratrici. Nel 2006, a causa di problemi di salute, Fidel Castro ha lasciato la guida del paese nelle mani del fratello Raúl Castro (più giovane di lui di soli cinque anni). La fase di transizione si è formalmente conclusa nel 2008, quando anche l’Assemblea popolare ha ratificato l’elezione del nuovo presidente. Dal punto di vista internazionale, la perdita del tradizionale alleato sovietico ha inciso fortemente sulle scelte del regime cubano, che si è trovato in una situazione di grave isolamento diplomatico per tutti gli anni Novanta. Gli Usa hanno introdotto nel 1960 un provvedimento di embargo contro L’Avana che rende illegale per le aziende americane fare affari con Cuba e ciò ha di conseguenza impedito l’afflusso di importanti investimenti sull’isola. Tuttavia, il recente riavvicinamento diplomatico tra i due paesi il 17 dicembre 2014, avvenuto dopo 53 anni di silenzi grazie ad uno scambio di prigionieri, potrebbe dare avvio ad un reset delle relazioni bilaterali. Per evitare l’isolamento internazionale, Cuba ha quindi dovuto impegnarsi a cercare e rafforzare rapporti con altri possibili alleati, soprattutto a livello regionale. Dall’inizio del primo decennio del Ventunesimo secolo l’Avana ha costruito saldi legami ideologici, politici e commerciali con alcuni paesi dell’America Latina, i cui governi erano retti da politici di sinistra vicini alla causa cubana. Di grande rilievo sono stati in particolare i rapporti tra i Castro e l’ex presidente del Venezuela Hugo Chávez. La profondità del legame strategico tra i due paesi si è concretizzata con la creazione dell’Alleanza bolivariana per le Americhe (AlBa), il progetto di cooperazione il cui obiettivo è stabilire in America Latina una zona di libero scambio non soggetta all’influenza statunitense. Caracas rappresenta il primo partner commerciale dell’isola e il principale fornitore delle risorse energetiche. L’incertezza politica così come gli squilibri fiscali ed esterni che interessano ora il Venezuela destano preoccupazioni nei politici cubani sul futuro della fornitura di petrolio in cambio di servizi sanitari, un accordo diventato vitale per l’economia cubana. Per prevenire i possibili danni di una sospensione, Cuba sta già rafforzando i legami con la Cina e altri partner stranieri e creditori.
La popolazione cubana supera gli 11 milioni di abitanti. Il 75% di questi vive in centri urbani e poco meno del 25% risiede a L’Avana, capitale del paese e unica città con oltre un milione di residenti. A oggi più di 7700 emigrati hanno ottenuto lo status di rifugiati politici nei paesi ospitanti. La politica di immigrazione degli Usa prevede che i cubani che riescono a raggiungere le coste statunitensi possano acquisire la cittadinanza.
Il sistema sanitario cubano è paragonabile, per efficienza, ai sistemi dei paesi industrializzati. Cuba ha investito molto, negli scorsi decenni, per garantire gratuitamente a tutti i cittadini le cure mediche di base e la spesa per la sanità si attesta sull’8% del pil nazionale. La struttura sanitaria attuale, basata sulla formazione di un alto numero di medici di famiglia, è stata ideata negli anni Ottanta: nel 2012 i medici erano circa 75.000, ovvero 6,72 ogni 1000 abitanti, rapporto tra i più alti al mondo e che si traduce in un’elevata aspettativa di vita. La specializzazione medica cubana in ortopedia e nel trattamento delle patologie neurologiche, inoltre, attira molti pazienti stranieri che scelgono gli ospedali dell’isola, contribuendo così ad accrescere i proventi del turismo. Dal 2008 inoltre Raúl Castro ha aumentato il numero dei dottori cubani impegnati nei paesi vicini (quasi la metà opera in Venezuela). In particolare, dall’estate del 2014 sono aumentati i medici cubani nelle regioni più bisognose del Brasile, grazie a un importante accordo sottoscritto tra i governi dei due paesi nell’ambito del programma ‘Brazil Mais Medicos’– sotto l’egida della Pan American Health Organisation (Paho). La vendita di servizi specializzati all’estero è un’importante fonte di entrate per il governo, che prevede attraverso questo mezzo di raccogliere circa 8,2 miliardi di dollari nel 2014.
Tra gli altri servizi garantiti dallo stato figura l’istruzione, che è gratuita e obbligatoria dai 6 ai 12 anni, e assorbe risorse corrispondenti a circa il 12,8% del pil. A fronte di tali servizi, il governo cubano non garantisce tuttavia alla popolazione adeguati diritti politici e civili e Cuba non può essere definita un paese libero. I media, per esempio, sono controllati dallo stato, che esercita una forte censura: esistono tre quotidiani nazionali – Granma, Juventud Rebelde e Trabajadores – tutti appartenenti al Partito comunista. Anche l’accesso a Internet è fortemente limitato e controllato. Le scuole, gli istituti di ricerca, gli uffici della pubblica amministrazione sono dotati di computer; tuttavia, nel 2004, anno in cui è stato concluso il cablaggio dell’isola, solo 13 abitanti su mille avevano accesso a Internet, il cui utilizzo è ancora oggi formalmente consentito solo per necessità professionali. Tale divieto non ha tuttavia impedito la diffusione di alcuni blog indipendenti che si sono affermati come strumenti di informazione alternativa. Tra questi, il blog ‘Generación Y’ della giornalista Yoani Sánchez, che ha milioni di contatti in tutto il mondo e rappresenta oggi la più conosciuta voce di opposizione al regime. La censura si estende alle altre forme di comunicazione, dall’arte alla musica e alla letteratura: le opere giudicate ‘contro-rivoluzionare’ possono provocare l’arresto dell’autore.
In teoria, la lotta alla corruzione è la priorità del governo cubano. Anche se i livelli di corruzione sono inferiori a quelli degli altri paesi dell’America Latina, i bassi salari dei funzionari pubblici e il sistema della doppia valuta, rimasto in vigore fino al 2013, ne hanno indotto un aumento negli ultimi anni.
Il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 ha sottratto a Cuba il suo maggiore partner commerciale, provocando la più grave crisi economica dell’isola dai tempi della rivoluzione. Soltanto dal 2005 Cuba si è risollevata ai livelli precedenti alla crisi, e solo al prezzo di una vasta ristrutturazione del sistema economico, che resta però centralizzato e di tipo pianificato. Le dimensioni del settore pubblico sono progressivamente calate dal 95% del totale nel 1990 al 75% nel 2005, e il programma di liberalizzazioni perseguito negli ultimi anni inizia a dare risultati, consentendo al paese anche il progressivo riassorbimento del debito pubblico.
Oggi Cuba possiede un’economia relativamente ampia (la seconda tra i paesi caraibici), ma il pil pro capite della popolazione è tra i più bassi della regione. La struttura economica dell’isola è dominata dai servizi: quelli interni si concentrano sul welfare state (sanità e istruzione), eccezionalmente sviluppato per gli standard regionali. Quelli rivolti all’estero sono centrati, a partire dagli anni Novanta, sull’industria del turismo. Turismo e rimesse dall’estero, sebbene siano stati entrambi colpiti duramente dalla recessione globale del 2009, costituiscono dunque due settori fondamentali per lo sviluppo economico dell’isola (7% del pil). Anche per questo l’isola si è dotata nel 1994 di una doppia moneta: il peso e il peso convertibile. Il peso convertibile ha un cambio fisso collegato al dollaro, quasi equivalente alla parità, ed è impiegato per gli acquisti di prodotti di lusso da parte dei turisti. Il peso normale, invece, è utilizzato quotidianamente dai cittadini cubani. Il 22 ottobre 2013 il governo cubano, nell’ambito delle riforme strutturali stabilite nel 2011, ha annunciato l’avvio del processo di unificazione della moneta e del tasso di cambio, che richiederà circa 18 mesi. Dal punto di vista industriale e del commercio estero, Cuba è il sesto produttore mondiale di nichel, mentre la produzione di zucchero, un tempo dominante, sembra ormai essere avviata verso una crisi irreversibile. Carattere distintivo dell’economia cubana è la rilevanza del lavoro nero. Nonostante la disoccupazione ufficiale sia relativamente bassa, il dato nasconde un forte sottoimpiego, che porta gran parte dei cubani a ricorrere ad un secondo lavoro per sopravvivere. A ciò si unisce circa un terzo della forza lavoro che non compare nelle statistiche, perché viene considerato economicamente inattivo: gli individui sottoimpiegati e inattivi alimentano un’estesa economia sommersa.
Dal punto di vista energetico l’isola si affida in misura considerevole al petrolio ed è in buona parte dipendente dalle importazioni estere che, nel 2012, hanno coperto oltre la metà dei consumi nazionali. La produzione di petrolio dell’isola, che negli ultimi anni ha raggiunto il suo picco, rimane modesta e la concessione di diritti di esplorazione del mare territoriale non ha condotto all’individuazione di giacimenti importanti. Per sopperire alla cronica carenza di energia Cuba fa oggi affidamento sul Venezuela.
Il Presidente Raúl Castro è comandante in capo dell’esercito e dirige l’apparato della difesa assieme al generale Leopoldo Cintra Frías, attuale ministro delle forze armate. Sono 49.000 i soldati arruolati tra marina, aviazione ed esercito, ma sono più di un milione i civili addestrati a resistere in caso di invasione statunitense e inquadrati nella milizia territoriale. Tale dispiegamento di forze rientra nella strategia di deterrenza internazionale. Il maggior timore del governo è costituito, in base alle esperienze storiche, dall’invasione dell’isola da parte degli Stati Uniti. Nella Baia di Guantánamo, nel sud del paese, esiste ancora una base militare statunitense, adibito a campo di prigionia per presunti terroristi, dove sono acquartierati 902 soldati statunitensi. La chiusura del struttura di detenzione, formalmente promessa da Barack Obama nel 2009, è stata rimandata sine die. Sul versante interno, il ministero della difesa di Cuba è da sempre impegnato in operazioni di polizia che prevedono intercettazioni telefoniche, intimidazioni e rigidi controlli per contrastare la dissidenza politica. Il Partito comunista – l’unico partito legalmente riconosciuto – non ammette, infatti, opposizione politica e le carceri cubane sono affollate di prigionieri.
Il 17 dicembre 2014 ha rappresentato una data storica per le relazioni tra Usa e Cuba. 54 anni dopo la Baia dei Porci, i due paesi hanno posto un reset nei propri rapporti diplomatici riaprendo un canale di dialogo ufficiale. A favorire il riavvicinamento ha influito uno scambio di prigionieri (il contractor Alan Gross e una spia Usa tenuta in carcere a Cuba per oltre venti anni in cambio di tre delle cinque spie del Wasp Network) che ha fornito il pretesto per lo stabilimento di un accordo di più ampio respiro.
Obama e Raùl Castro hanno inoltre concordato un’intesa che dovrebbe permettere da un lato un allentamento economico dell’embargo vigente dal 1960 (facilitazioni nei visti e nei ricongiungimenti familiari, allentamento nel tetto massimo delle rimesse, eccetera), dall’altro un ristabilimento delle relazioni politiche ufficiali attraverso la riapertura di un’ambasciata nei rispettivi paesi. Un’operazione politica, questa, che dovrebbe preludere nell’arco del 2015 dapprima a uno scambio di visite delle rispettive delegazioni governative a Cuba e negli Usa, e in secondo luogo a un possibile incontro ufficiale del presidente Obama o del segretario di stato Kerry nell’isola caraibica.
A facilitare il rapprochement tra Usa e Cuba hanno giocato un ruolo decisivo due fattori: da un lato il quasi default economico venezuelano, dall’altro l’attivo ruolo diplomatico della Santa Sede e, in particolar modo, di Papa Francesco. Nel primo caso, le difficoltà finanziarie e politiche di Caracas hanno avuto uno spessore non indifferente poiché Cuba, con un’economia asfittica e incapace di garantirle una certa sussistenza, ha potuto mantenersi in attivo grazie agli aiuti finanziari ed energetici del partner venezuelano. Non potendo più dipendere unicamente dagli aiuti economici venezuelani, L’Avana ha iniziato nel 2013 un lento ma costante processo di avvicinamento agli Usa promuovendo sia alcune riforme interne (semplificazioni sulle norme per i visti ed eliminazione del sistema della doppia moneta), sia imbastendo un negoziato segreto nell’estate dello stesso anno, mediato dal governo canadese del premier Stephen Harper e dalla Santa Sede.
Questo riavvicinamento ha portato un primo risultato concreto il 10 dicembre 2013 quando i due presidenti si sono dati una storica stretta di mano in occasione del funerale di Nelson Mandela a Johannesburg. In questo processo, la Santa Sede ha giocato una partita fondamentale non solo attraverso il Papa – che nel marzo del 2014 aveva incontrato in Vaticano Obama discutendo proprio di Cuba e inviando poi due lettere ai due leader americani con un invito alla distensione nei rapporti bilaterali –, ma anche con il ruolo attivo del segretario di stato vaticano Pietro Parolin, già nunzio apostolico in Venezuela e profondo conoscitore delle realtà del continente latino-americano.