CURIA
I Romani chiamarono curĭa la sede dove i cittadini si radunavano per deliberare o per scopi religiosi. Le curie vecchie, ricollegate dalla tradizione alla primitiva città del Settimonzio, erano alle falde del Palatino, di fronte al Celio e si riferivano agli abitanti dei sette pagi che costituivano il Septimontium; ogni pagus aveva la sua curia, cioè una sala di riunione a scopo religioso; gli aderenti si chiamavano perciò curiales. Divenute insufficienti le vecchie curie in seguito all'ampliamento della città, furono costruite le curiae novae in numero di trenta, attribuite dalla tradizione allo stesso Romolo. Le nuove curie erano, a quanto sembra, sul Celio, un po' a oriente delle vecchie, presso il vicus Fabricii (Festo, p. 174), ma è dubbio che si trattasse di un grande edificio, diviso in 30 scompartimenti, come generalmente si crede.
La c. per eccellenza era quella del Senato, prospiciente il Comizio e in relazione col Foro. Fu chiamata in origine Hostilia, per la tradizione che la diceva fondata dal re Tullo Ostilio, e si mantenne nella forma primitiva fino all'8o a. C. quando fu restaurata da Silla (curia Cornelia). Bruciò nel 52 a. C., in seguito alle lotte fra i partigiani di Milone e quelli di Clodio, e fu ricostruita in fretta, tanto che Giulio Cesare sentì la necessità di darle una forma più decorosa e la ricostruì a fundamentis nel 44, intitolandola al suo nome (curia Iulia); la dedicazione avvenne sotto Augusto nel 29 a. C. col medesimo cerimoniale che si seguiva nella dedicazione dei templi, essendo l'edificio considerato come luogo sacro (cfr. Aul. Gell., Noct. Att., xiv, 7). Domiziano vi apportò miglioramenti nel 94 d. C. La vediamo probabilmente effigiata in uno dei rilievi istoriati di Traiano nel Foro, dove si presenta con un pronao pentastilo, sormontato da un timpano. Nel famoso incendio di Carino (284 d. C.) bruciò di nuovo e fu ricostruita da Diocleziano nella forma in cui la vediamo oggi, ma la fronte, terminante in alto a timpano, non fu più quella di un tempio; ebbe, invece, una grande porta nel centro (l'originale in bronzo fu portato al Laterano ed è oggi sostituito da una copia) e due finestroni ai lati, in alto, similmente alle aule basilicali di quel tempo. Dagli incassi rimasti sulla facciata, fra l'architrave della porta e le soglie delle finestre, sembra inoltre che vi fosse appoggiato un muro a piccole crociere che faceva da copertura ad un portico, a guisa del nartece delle basiliche cristiane, elevato su una gradinata.
L'edificio ha la pianta quadrangolare, con quattro contrafforti agli angoli; la cortina laterizia era rivestita di marmo e stucco. Esso si componeva di tre parti: la c. propriamente detta, dove si radunava il Senato; il chalcidicum, in forma di portico, aggiunto da Augusto alla curia Iulia, forse quello stesso che nei restauri di Domiziano divenne l'atrium Minervae; e il secretarium, sala absidata attigua al chalcidicum. Il lato posteriore aveva una sola finestra in alto e due porte in basso, da cui si passava ad un'area scoperta, nella quale furono rinvenute una bella statua togata in porfido, acefala, probabilmente d'imperatore, e la base iscritta di una statua dedicata, circa il 437, ad Ezio per le vittorie riportate in Gallia. L'interno misura m 27 × 18 circa, secondo le norme vitruviane (v, 2) alle quali obbedisce anche l'altezza, pari alla metà della somma dei lati di base. Su due fianchi della sala si distendono tre bassi gradini sui quali avevano posto i seggi dei senatori; contro il lato di fondo è il basso podio della presidenza con in mezzo la base su cui era collocata la statua della Vittoria, che nel tramonto del paganesimo diede luogo alla nota accesa polemica tra S. Ambrogio e Simmaco (382 d. C.). Il pavimento dei gradini è in pavonazzetto e giallo antico, quello dell'area centrale in un ricco e vivace intarsio di marmi colorati. Nelle pareti si innestano, ad una certa altezza, alcune nicchie adorne in origine di edicole a colonne su mensole. La sala della curia fu trasformata nel sec. VII in chiesa di S. Adriano, il secretarium in chiesa di S. Martina; il chalcidicum andò invece distrutto, soprattutto in seguito all'apertura della via Bonella sotto Sisto V.
Tra il 1930 e il 1938 sono stati compiuti lo scavo e il restauro della c., la quale è stata ripristinata nell'aspetto dell'ultima ricostruzione dioclezianea. Interamente nuovo è il soffitto a cassettoni che ricopre la sala e ugualmente nuove sono alcune parti del pavimento in opus sectile, peraltro costruite impiegando materiale antico, sicchè non è facile distinguerle.
Bibl.: O. Gilbert, Geschichte und Topographie der Stadt Rom im Altertum, Lipsia 1883, I, p. 38 ss.; S. B. Platner-Th. Ashby, A Topogaphical Dictionary of Ancient Rome, Oxford 1929, s. v. Curia; Curiae novae; Curiae veteres; Chalcidicum; Graecostasis; A. Bartoli, I lavori della Curia (Ist. Studi Romani), Roma 1938; id., Il monum. della perpetuità del Senato, in Capitolium, 1938, p. 547 ss.; G. Lugli, Roma antica. Il centro monumentale, Roma 1946, p. 131 ss.; L. Crema, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, Milano 1956, p. 569 ss.
(G. Lugli)
Nelle colonie e nei municipi era chiamato c. l'edificio destinato alle sedute dei decurioni, come si può ricavare da molti documenti epigrafici (C. I. L., ix, 4065 Carsioli; x, 1226 Avellino; 4643 Cales; 4725 Forum Popili; xi, 3593 Cerveteri; xiv, 2795 Gabii; iii; 8817, 31917 Salona; viii, 757, 1548, 11774, 14436 in Africa, ecc.). Assai rari tuttavia sono gli esempi di edifici sicuramente identificabili come curie. Pur senza prove sicure si riconosce generalmente la c. e locali annessi nei tre ambienti situati nel lato meridionale del Foro di Pompei, che sono, come oggi si presentano, un quasi totale rifacimento posteriore al terremoto del 63 d. C.; l'aula occidentale, più ampia, era forse la c. vera e propria, sede dell'assemblea; quella centrale, provvista di nicchie per scaffali, era forse l'archivio. Molto probabile è anche l'identificazione della c. di Timgad in una grande aula rettangolare situata su un lato del Foro, preceduta da un vestibolo con due colonne; e probabile anche l'attribuzione che è stata proposta per un edificio di Thuburnica, un'aula rettangolare provvista di un emiciclo sul lato di fondo. Sicura è da ritenersi la c. di Cosa scavata recentemente (1953, 1954) e identificata per tale da L. Richardson; essa è situata su uno dei lati lunghi del Foro, è immediatamente preceduta (come a Roma) dal Comizio, il quale ha la forma di un anfiteatro circolare con accesso dal Foro; la c. e un'aula rettangolare a due piani, quello superiore, più importante, aveva accesso dalle gradinate superiori del comizio. La prima costruzione deve risalire all'epoca della fondazione della colonia di Cosa (273 a. C.); successivamente, forse agli inizî del II sec. a. C., l'aula fu rifatta e ai suoi lati furono costruiti altri due ambienti. Un complesso del tutto analogo è il cosiddetto bouleutèrion sul Foro di Paestum, un anfiteatro circolare sul cui fondo si aprono cinque ambienti rettangolari: si devono pertanto anche questi edifici identificare come comizio e c., e la loro origine si deve far risalire alla fondazione della colonia, che cade nello stesso anno di quella di Paestum.
Bibl.: A. Maiuri, L'ultima fase edilizia di Pompei, Napoli 1942, p. 35 ss.; A. Ballu, Les Ruines de Timgad, Parigi 1897, p. 140 ss.; Ch. Tissot, in Bull. Arch. Comité, 1891, p. 167 ss.; L. Richardson, in Amer. Journ. Arch., LIX, 1955, p. 307 ss.; L. Richardson, Cosa a. Rome: Comitium a. Curia, in Archaeology, X, 1957, p. 49 ss.
(F. Castagnoli)