DALMAZIA (XII, p. 245)
La Dalmazia fa ora parte interamente della repubblica iugoslava ed è suddivisa tra la Croazia (alla quale appartiene gran parte del litorale e delle isole), la Bosnia-Erzegovina (che si affaccia per breve tratto al litorale adriatico), e il Montenegro (al quale appartengono le Bocche di Cattaro). Alla Iugoslavia, stato tipicamente continentale, la Dalmazia è necessaria come sbocco marittimo, ma essa si salda marginalmente al nucleo statale, piuttosto che inserirvisi, dato che essa rappresenta una unità regionale nettamente circoscritta. Al nome Dalmazia gli Iugoslavi sostituiscono quello di Litorale dinarico o di Litorale (Primorje). Secondo calcoli recenti (M. Ortolani), la superficie della Dalmazia, considerata entro i suoi limiti geografici (tenendo conto delle più piccole ripartizioni amministrative), ammonta a 14.780 kmq. Alla Iugoslavia l'Italia ha dovuto cedere (art. 11 del trattato di pace 10 febbraio 1947) il comune di Zara e le isole di Lagosta, Cherso, Lussino, Unie.
Nel corso della guerra 1941-1945, in conseguenza dello smembramento dello stato iugoslavo, l'Italia aveva occupato e annesso una parte del litorale dalmata. Col patto del 18 maggio 1941 vennero regolati i confini fra la Croazia ed i territorî italiani della Dalmazia. Esso riconosceva come facenti parte dell'Italia i distretti di Castua, Sušak, Čabar ed una parte di quello di Delnice (che vennero aggregati alla prov. del Carnaro), nonché le isola di Veglia, Arbe e quelle dell'arcipelago zaratino. Veniva inoltre assegnato all'Italia un vasto retroterra intorno a Zara, oltre alla Bucovizza, ai territorî di Sebenico e di Traù. L'Italia otteneva anche il distretto di Cattaro e gran parte delle altre isole dalmate. L'ordinamento amministrativo della città di Spalato e dell'isola di Curzola sarebbe stato definito mediante una convenzione speciale. Un secondo accordo concerneva il regime militare della fascia litoranea adriatica, che il governo croato s'impegnava di mantenere smilitarizzata: detta zona fu posta poi, per ragioni di sicurezza, sotto il diretto controllo militare italiano (7 settembre 1941). La Dalmazia italiana si estendeva su 5242 kmq. (pari al 35% della Dalmazia geografica) e contava (1931) 322.712 ab., con la modesta densità di 61,6 ab. per kmq. Il numero degli Italiani era valutato sui 38.000. Poco dopo venne istituito il governatorato della Dalmazia (con capoluogo Zara), suddiviso in 3 provincie di:
Zara, comprendente la piattaforma centrale all'incirca fino alla Punta Planca, con l'arcipelago antistante (3719 kmq. e 179.858 abitanti);
Spalato, costituita dal resto del territorio dalmatico tra Punta Planca e Spalato e dalle isole meridionali (Solta, Lissa, Curzola, Lagosta, Meleda), in tutto con 976 kmq. e 109.052 ab.;
Cattaro, abbracciante il territorio delle Bocche (547 kmq. e 33.802 ab.).
Le isole settentrionali vennero divise tra la prov. di Fiume (Veglia ed Arbe) e quella di Pola (Cherso e Lussino).
Invece la Liburnia (col porto di Segna e l'isola di Pago), la costa dalmata tra Spalato e Ragusa e le isole di Brazza e di Lesina appartennero nel quinquennio 1941-45 al Regno di Croazia.
L'economia della Dalmazia italiana era basata in prevalenza sull'agricoltura e sull'allevamento, integrati dalla pesca (15.000 pescatori con 6.000 t. di prodotto) e da qualche industria (cementifici, impianti elettrochimici, cantieri, manifatture tabacchi). Bauxite e marne da cemento erano i principali prodotti del sottosuolo.
Storia (p. 251). - Nonostante le buone intenzioni del trattato di Rapallo (1920), del patto di amicizia italo-iugoslavo (1924), delle convenzioni di S. Margherita (1922), di Nettuno (1924), di Brioni (sulla pesca, 1923), il problema della convivenza fra la grande maggioranza croata e la piccola - ma socialmente elevata - minoranza italiana è stato irto di difficoltà nel ventennio fra le due guerre mondiali. Slavi, Croati e Serbi, forti della conseguita indipendenza urtarono violentemente contro le superstiti posizioni economiche e sociali privilegiate degli Italiani. Sulla base del principio che la terra dovesse appartenere unicamente a chi la lavorava, la riforma agraria iugoslava, applicata effettivamente negli anni 1928-1936, tolse la terra ad oltre mille proprietarî cittadini italiani ed aventi, nella maggior parte, piccoli appezzamenti per oltre 35.000 ettari, contro un indennizzo inadeguato.
Nel campo religioso l'ortodossia, appoggiata da Belgrado, riprese la marcia ascendente da sud verso nord, lungo la costa adriatica: il numero degli ortodossi crebbe nelle cittadine già venete; fu creata una comunità serbo-ortodossa nell'isola di Lissa; a Spalato, gli ortodossi, che ai tempi dell'Austria erano poche centinaia, salirono a molte migliaia; nel 1941, nel centro della città si era già iniziata la costruzione di una sontuosa cattedrale di stile russo. Per qualche tempo ancora dopo il trattato di Rapallo, fino al 1923, l'Italia tenne occupata provvisoriamente la cosiddetta "III zona" intorno a Zara e fino al 1922 navi italiane stazionarono nei porti principali. Il resto della Dalmazia, divenuto iugoslavo, continuò ad essere amministrato dalla luogotenenza di Dalmazia, con a capo un alto funzionario dell'avvocatura erariale, il dr. Metličič. Nel 1923 furono istituite le Županije (una specie di prefetture) e la Dalmazia fu organizzata come Banato, detto "marittimo", ma senza le Bocche di Cattaro, passate al Montenegro.
Per gli italiani che avevano optato per la cittadinanza italiana ed erano rimasti nei tre ceritri principali di Spalato, Sebenico e Ragusa, e nelle isole più importanti di Curzola, Lesina, Lissa (quasi tutti gl'italiani di Dalmazia, ex funzionarî dello stato asburgico e i liberi professionisti, nonché buona parte dell'elemento operaio di Sebenico erano già trasmigrati a Trieste, nell'Istria, o altrove in Italia), furono istituite scuole elementari e chiese italiane, con maestri e sacerdoti venuti per lo più dalla penisola. In questo modo si salvavano i giovani alla nazionalità italiana, i quali, però, una volta compiuti gli studî medi a Zara e quelli superiori in Italia, non rientravano più nella terra d'origine, dove non avrebbero potuto esplicare le loro attività; sicché la superstite italianità della Dalmazia ne veniva sempre più indebolita. L'avvento del fascismo al potere in Italia diede agli Italiani della Dalmazia la sensazione di essere meglio sostenuti, moralmente e materialmente, dalla madrepatria. Notevoli provvedimenti furono presi per favorire lo sviluppo della provincia di Zara.
La convivenza pacifica tra Slavi e Italiani in Dalmazia era turbata oltreché dai malintesi, dalle intemperanze e dai rancori locali, anche dai riflessi dei reciproci rapporti politici fra Italia e Iugoslavia: l'appartenenza della Iugoslavia alla Piccola Intesa, l'appoggio dato da questa alle sanzioni contro l'Italia e la penetrazione italiana in Albania erano fatti che non contribuivano a migliorare quei rapporti. Secondo le rivelazioni del ministro italiano a Belgrado, Carh Galli, il governo iugoslavo e lo stesso re Alessandro tentarono più volte degli approcci, promettendo di staccarsi dalla Francia e di unirsi intimamente all'Italia, purché questa avesse rinunziato alle sue aspirazioni sulla Dalmazia. Invano, nel 1937, Ciano e Stojadinovič stipularono il secondo, non sincero, patto di amicizia italo-iugoslavo, che non riuscì, però, a cancellare i risentimenti provocati dall'incursione degli ustascia di Pavelič nella Dalmazia settentrionale nel 1932.
Così trascorsero gli anni, in un'atmosfera piuttosto tesa, fino alla primavera del 1941, allorché l'apertura delle ostilità fra le potenze dell'Asse e la Iugoslavia portò, senza gravi incidenti e in pochi giorni, all'occupazione italiana di tutta la Dalmazia, fino a Cattaro. La Dalmazia fu divisa fra l'Italia e il nuovo stato indipendente di Croazia. Per governare le nuove terre il governo fascista istituì un "commissariato civile per la Dalmazia", che visse due mesi; poi istituì in Dalmazia un governatorato, presieduto da Giuseppe Bastianini. Le difficoltà serie incominciarono nel giugno 1941 dopo l'entrata in guerra contro la Russia. Il governatore credette di salvare la situazione con i sistemi della reazione squadrista. Ma la rivolta si estese da Spalato a tutta la Dalmazia.
Le truppe italiane furono portate a sostenere una guerriglia, alla quale erano impreparate, in un terreno sconosciuto ed impervio e più volte subirono imboscate e scacchi. Grossi combattimenti contro i partigiani ebbero luogo nella zona delle Dinariche e nel triangolo della vecchia Dalmazia veneta. Dopo quasi due anni (febbraio 1943) Bastianini fu richiamato e sostituito, non meno improvvidamente, da Francesco Giunta. Gli eventi successivi all'8 settembre 1943 portarono al crollo dell'effimero dominio italiano nella Dalmazia. Tranne poche eccezioni (fra tutte da ricordare la costituzione a Spalato del battaglione "Garibaldi", che si batterà gagliardamente accanto ai partigiani di Tito), le formazioni militari, abbandonate a sé stesse, tagliate fuori da ogni sicura comunicazione con la penisola, si dispersero aprendo il varco a una situazione caotica in cui si precipitarono, a seconda dei luoghi, gli ustascia di Zagabria o le truppe tedesche o i partigiani schierati già, nella grande maggioranza, attorno a Tito. Ustascia e partigiani, per quanto nemici mortali fra loro, si trovarono concordi nell'infierire contro gli Italiani, specialmente a Zara, a Spalato, a Curzola, che furono presidiate dai Tedeschi solo saltuariamente. Zara fu abbandonata definitivamente dai Tedeschi il 30 ottobre 1944, dopo che ebbe sostenuto potentissimi bombardamenti aerei per opera degli Anglo-americani e dopo che l'esercito di liberazione di Tito cominciò ad investire la Dalmazia, in terraferma e nelle isole. Già il 20 settembre 1943 lo Zavnoh (Comitato di liberazione nazionale croato) aveva proclamato l'annessione alla Croazia di tutta la Dalmazia; decisione che era stata fatta propria dall'Avnoj (Comitato antifascista iugoslavo), nella seconda sessione di Jajce (26-27 novembre 1943).
Soltanto la regione delle Bocche di Cattaro, popolate prevalentemente da ortodossi, appoggiati dal Montenegro, fece parte a sé e riuscì a sottrarsi all'annessione croata mantenendosi in una sorta di quasi indipendenza, non mal vista dai Tedeschi, finché le forze di Tito non ebbero anche qui partita vinta. Nel novembre 1944, tranne qualche punto isolato, esse avevano occupato tutta la Dalmazia e nelle isole cominciava a rientrare la popolazione che gli Inglesi avevano fatto quasi interamente sgomberare durante la lotta.
Bibl.: A. Mori, La Dalmazia, Roma 1942; A. R. Toniolo, U. Giusti, G. Morandini, La Dalmazia, Bologna 1943; G. Zanussi, Guerra e catastrofe d'Italia, voll. 2, Roma 1945-46; C. Galli, La politica serba per un accordo coll'Italia, in Mondo Europeo, Roma 1946; Notiziario dell'Esercito, Roma, n. 11 del 14 marzo 1946; C. Umiltà, Jugoslavia e Albania, Milano 1947.