Damasco
Le generali condizioni di instabilità che caratterizzarono la Siria durante il sec. X fecero anche della città di Damasco ‒ dal 132 A.H./750 A.D. ridotta al rango di città di provincia e non più metropoli governativa del Regno dei califfi ‒ una pedina in balia degli interessi e delle forze più disparate, sia all'esterno che all'interno. Per oltre un secolo (359-468/969-1076) Damasco fu soggetta alla sovranità dei Fatimidi, la dinastia di califfi sciiti d'Egitto che erano riusciti a imporre il loro predominio nelle zone centrale e meridionale della Siria, inclusa la Palestina. Comunque la sovranità fatimide rimase spesso solo nominale; in molte località si manifestò infatti in modo ricorrente una violenta resistenza contro i signori stranieri, specialmente verso le loro truppe di occupazione maghrebine.
A Damasco (ma non solo qui) fecero la loro comparsa in questi frangenti soprattutto gruppi paramilitari o milizie che autonomamente, o con l'appoggio di ampie fasce della popolazione, diedero vita a numerose rivolte ed esercitarono temporaneamente anche un vero e proprio dominio sulla città o su singoli quartieri. Si trattava dei cosiddetti 'Giovani Uomini' (in arabo aḥdāth) che sulla base delle loro forme organizzative e delle loro attività possono essere definiti senz'altro 'associazioni maschili' (paragonabili ad altri gruppi analoghi attivi nell'Oriente islamico, per esempio in Iraq e Iran).
Con le loro azioni gli aḥdāth espressero in un certo qual modo gli interessi della popolazione locale, specialmente delle parti più deboli sul piano economico e sociale. Se pure non riuscirono a imporre un'indipendenza cittadina, raggiunsero un elevato grado di partecipazione politica. Solo a prezzo di grandi sforzi e grazie alla loro superiorità militare i Fatimidi riuscirono a tenere in scacco gli aḥdāth e furono appoggiati più volte in quest'impegno dai ceti socialmente più elevati della città (notabili, studiosi, mercanti), i quali, se non da 'lealisti', almeno agirono da mediatori. Gli aḥdāth rimasero comunque un fattore di instabilità e di pericolo a Damasco fino a metà del sec. XII, quindi molto oltre il periodo fatimide.
Le costanti tensioni fra occupanti stranieri e popolazione locale furono sfruttate da un capo militare turcomanno di nome Atsiz; in un primo tempo al servizio dei Fatimidi, nel 468/1076 riuscì a impadronirsi della sovranità su Damasco e a mantenerla per tre anni. In precedenza aveva già posto sotto il suo controllo quasi tutta la Palestina. La presenza militare dei Fatimidi in Siria terminò de facto. A loro seguirono come nuovi sovrani i Selgiuchidi: nel 471/1079 a Damasco, ben presto nei territori settentrionali della Siria (Aleppo).
Dopo un breve periodo di sovranità diretta del Regno selgiuchide il reggente di Damasco delegò le funzioni amministrative al suo collaboratore più stretto, l'atabeg Tughtakīn (un capo militare con le mansioni di 'precettore dei principi'). Negli anni seguenti questi sviluppò una politica largamente autonoma e fondò la dinastia locale dei Buridi (497-549/1104-1154).
Durante l'intero periodo del loro dominio i Buridi dovettero misurarsi con gravi problemi di politica interna ed estera. Oltre ai tentativi per stringere accordi con i crociati al fine di coprirsi le spalle dagli attacchi degli Zengidi ‒ un'altra dinastia di atabeg che minacciava Damasco da nord ‒, la principale posta in gioco consisteva nel ripristinare e mantenere la sicurezza interna.
Un grave pericolo proveniva dai batiniti (ismailiti), una setta sciita estremista di origine iraniana che aveva seminato il panico in Siria compiendo azioni violente soprattutto all'interno delle cerchie religiose sunnite e fra la popolazione più abbiente. Durante il governo di Tāǧ al-Mulūk Būrī e per suo ordine migliaia di batiniti rimasero vittime a Damasco di un massacro perpetrato da masse di popolo riunite sotto il comando degli aḥ-dāth e del ra'īs, il 'capo cittadino' (523/1129).
Dopo quest'evento l'influenza dei batiniti fu ampiamente arginata, ma non ancora annullata in modo definitivo; tre anni più tardi Tāǧ al-Mulūk Būrī morì per le conseguenze di un attentato ordito dai batiniti.
Un altro problema per i Buridi fu il rapporto teso con alcuni personaggi e gruppi della popolazione damascena, specialmente con il ra'īs e gli aḥdāth. Costretti da un lato a riconoscerne il potere e a cooperare con loro (per esempio, nella lotta contro i batiniti, ma anche a causa della cessione temporanea della carica di visir al ra'īs), dall'altro i Buridi cercarono di neutralizzare le forze politiche locali o di sfruttare ai propri fini le rivalità che le dividevano. Ma queste manovre ottennero solo un successo limitato.
A dispetto di queste difficoltà i Buridi riuscirono nel complesso a imporre nuovamente a Damasco un certo ordine e una relativa tranquillità, provvedimenti che ebbero ripercussioni positive sulla vita economica, culturale e religiosa. Un tangibile incremento dell'attività edilizia nell'ambito sociale e religioso (ospedali, madrase), come pure la promozione della cultura e della propaganda islamico-sunnita crearono le premesse per gli ulteriori sviluppi che Damasco avrebbe conosciuto sotto Nūr al-Dīn e la dinastia del Saladino, ossia gli Ayyubidi.
Con la presa di Damasco da parte del principe zengide Nūr al-Dīn (549/1154) per la città si inaugurò una nuova era. In qualità di capitale di un territorio ampliato, riunito e retto da un governo centralizzato, Damasco si avvantaggiò notevolmente della politica di Nūr al-Dīn, sia sotto l'aspetto del ǧihād contro i crociati sia in senso economico e culturale. La città recuperò la sua importanza militare e il suo prestigio religioso. La costruzione di opere di difesa, il consolidamento dell'economia, l'organizzazione di istituzioni religiose, giuridiche e scolastiche (Dār al-Ḥadīth, Dār al-῾Adl, moschee e madrase), così come la protezione programmatica accordata agli uomini di cultura islamico-sunniti testimoniano le idee e le ambizioni di Nūr al-Dīn: l'edificazione di una compagine statale musulmana forte e unitaria.
Per imporre quest'obiettivo si procedette anche al ripristino delle cariche ufficiali classiche, ossia al rafforzamento dei poteri amministrativi, pubblici e giuridici. Le istituzioni relative all'amministrazione della giustizia civile e penale riacquistarono un profilo forte, come pure 'l'ufficio per il controllo sui pubblici costumi e la vita dei mercati'. A ciò si aggiunse l'insediamento di guarnigioni turche sotto il comando di un governatore militare. Le forze decentralizzate scomparvero quasi completamente dall'ambito locale: in ogni caso gli aḥdāth non sono più menzionati nelle fonti storiche dopo la metà del sec. XII. Le istituzioni 'locali', ossia non ufficiali, furono soppresse con risolutezza: il ra'īs perse le sue precedenti competenze (di polizia, militari, amministrative e fiscali) e, di conseguenza, gran parte della sua influenza. La politica di accentramento di Nūr al-Dīn, che fu perseguita anche sotto gli Ayyubidi con determinazione ancora maggiore, alla fine segnò la conclusione della partecipazione politica della popolazione locale e del suo coinvolgimento nell'organizzazione della vita pubblica.
Nel 571/1176, due anni dopo la morte di Nūr al-Dīn, il Saladino (Salāḥ al-Dīn ibn Ayyūb) si insediò a Damasco e vi stabilì il dominio degli Ayyubidi. Si presentò alla popolazione come 'erede' e continuatore della politica di Nūr al-Dīn: unificazione della Siria e lotta contro i crociati. Dopo la morte del Saladino a Damasco (589/1193), in un primo tempo la città fu soggetta a uno dei suoi figli, poi al fratello al-῾Ādil. Quando quest'ultimo nel 596/1200 si proclamò sovrano d'Egitto e quindi impose il suo riconoscimento come capo di tutta la federazione delle famiglie ayyubidi, Damasco passò sotto l'autorità del Cairo (v. Siria); ciò nonostante la città rimase una base importante del dominio ayyubide. I numerosi tentativi compiuti dai principi ayyubidi (in special modo da al-Mu῾aẓẓam ῾Isā), che reggevano la città come 'governatori', di ottenere una maggiore indipendenza dal Cairo fallirono, sia durante la reggenza di al-῾Ādil, sia sotto il suo successore al-Kāmil (615-635/1218-1238).
Al governatorato di Damasco apparteneva anche la città di Gerusalemme. Dopo la sua conquista da parte del Saladino (583/1187) l'entusiasmo religioso per Gerusalemme si affievolì rapidamente e quindi, in generale, declinò l'idea di ǧihād, malgrado le vibranti proteste dei teologi e dei predicatori popolari. L'atteggiamento prevalentemente pragmatico e improntato al realismo politico degli Ayyubidi individuava altrove le priorità: sia nella difesa della loro posizione di predominio e dello statu quo territoriale, sia nella costruzione di relazioni economiche con i partners commerciali europei.
Su questo sfondo si colloca l'accordo raggiunto nel 626/1229 fra il sultano al-Kāmil e l'imperatore Federico II: in base a quest'intesa Gerusalemme doveva essere ceduta per dieci anni ai crociati e l'accesso alla città sarebbe stato consentito ai soli cristiani, a eccezione del distretto religioso che continuava a sottostare al controllo dei musulmani. Per il sultano quest'accordo con l'avversario cristiano si traduceva soprattutto in un rafforzamento nei confronti dei suoi rivali ayyubidi; nella sua prospettiva la città in seguito sarebbe stata facilmente riconquistata.
Per l'imperatore il trattato rappresentava un netto guadagno in prestigio per la sua posizione a livello europeo, soprattutto nel conflitto che lo contrapponeva al pontefice. Federico II fece il suo ingresso a Gerusalemme e nella chiesa del S. Sepolcro si pose orgogliosamente sul capo la corona imperiale (non la corona del Regno di Gerusalemme), simbolo dei suoi diritti di sovranità universale e dell'adempimento del voto pronunciato a proposito della crociata (v. Incoronazioni). A Gerusalemme, tuttavia, non fece coniare nessuna moneta che manifestasse la sua sovranità, allo scopo di non indisporre la controparte musulmana. L'imperatore limitò l'espressione della sua autorità a ciò che riteneva necessario per la propaganda imperiale europea.
In seguito quest'accordo doveva ritorcersi contro i cristiani: infatti nel 636/1239 Gerusalemme cadde di nuovo in mano agli Ayyubidi, fu riconsegnata ai crociati nel 641/1243, ma un anno più tardi fu riconquistata dagli Ayyubidi d'Egitto, al prezzo di efferate violenze, con l'appoggio delle truppe nomadi turche dello shāh dei corasmi. Dal 642/1244 Gerusalemme è rimasta definitivamente ‒ fino al più recente passato ‒ sotto la sovranità musulmana.
Dopo la morte di al-Kāmil (635/1238) divampò una vera e propria lotta fratricida fra gli Ayyubidi per la sovranità al Cairo e a Damasco. In questo frangente entrambe le parti contendenti cercarono appoggi all'esterno: Damasco si rivolse ai crociati. Nel 643/1245 la città cadde di nuovo sotto l'autorità egiziana, con il risultato che scoppiarono, fra l'altro, nuove ostilità fra l'Egitto e i crociati. Cinque anni dopo il principe ayyubide di Aleppo s'impadronì di Damasco (frattanto gli Ayyubidi del Cairo erano stati soppiantati dai mamelucchi). Fu l'ultimo della sua dinastia a regnare a Damasco: infatti nel 658/1260 la città fu conquistata dai mongoli e in quello stesso anno i mamelucchi, dopo aver vinto a loro volta i mongoli, fecero il loro ingresso in città. Damasco, come la maggior parte della Siria, fu incorporata nel sultanato dei mamelucchi.
Malgrado i numerosi problemi politici e le contese militari in cui Damasco fu coinvolta sotto il dominio ayyubide, la città conobbe uno sviluppo economico e culturale eccezionalmente ampio. Quanto era già stato avviato da Nūr al-Dīn e, in misura minore, dai Buridi proseguì nel sec. XIII senza subire flessioni: promozione della produzione artigianale e del commercio sovraregionale, vivace attività edilizia, patrocinio della vita religiosa e intellettuale. Damasco in questo periodo divenne uno dei centri più importanti della cultura musulmana e nella messe di testimonianze scritte e architettoniche che si è conservata si riflette la grandiosa fioritura della società damascena sotto gli Ayyubidi.
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(Traduzione di Maria Paola Arena)