Damiani, Damiano
Regista e sceneggiatore cinematografico, nato a Pasiano (Pordenone) il 23 luglio 1922. Fin dagli esordi, il suo cinema è stato attraversato da una speciale tensione etica e sociale, ereditata direttamente dal Neorealismo e testimoniata dall'iniziale collaborazione con Cesare Zavattini. Successivamente, pur continuando l'interesse per l'attualità italiana, si è allontanato dal modello neorealista, adottando i solidi schemi narrativi del cinema 'classico' statunitense. Il connubio fra passione civile e un intreccio romanzesco ispirato a soluzioni e strutture tipicamente hollywoodiane è evidente nei numerosi ritratti cinematografici dedicati alla Sicilia. Con il passare degli anni il regista friulano ha affrontato generi assai diversi (commedia, horror, spy story) per tornare infine a un cinema di impegno civile che ha trovato nel piccolo schermo una dimensione ideale. La carriera cinematografica di D. si presenta complessivamente come un lungo e avventuroso tragitto visivo segnato da una peculiare coerenza stilistica, riempito da giustizieri solitari ed eroi crepuscolari, dilatato fra ampi spazi urbani e insondabili territori rurali, stretto dai tempi di un montaggio secco e serrato. Quasi un unico grande set chiaramente ispirato al cinema di John Ford e Howard Hawks.
Dopo aver frequentato i corsi di pittura di A. Funi e C. Carrà all'Accademia milanese di Brera, intraprese la carriera cinematografica come scenografo, sceneggiatore documentarista e aiuto regista. Nel 1946 realizzò La banda d'Affori, primo di una serie di cortometraggi girati tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta. Nello stesso periodo collaborò alla stesura di una decina di sceneggiature e filmò una ventina di documentari. L'esordio di D. nel lungometraggio avvenne nel 1960 con Il rossetto, psicodramma poliziesco che affonda lo sguardo nel tessuto sociale dell'Italia del dopoguerra, seguito da Il sicario (1961). Due opere simili, queste, che hanno tracciato precocemente le coordinate di tutto il suo cinema futuro: l'attenzione verso le patologie della società civile, l'ottima direzione degli attori, il ritmo incalzante della narrazione. Dopo tre adattamenti letterari dagli esiti alterni ‒ L'isola di Arturo (1962) da E. Morante, La noia (1963) da A. Moravia e La strega in amore (1966) dal romanzo Aura di C. Fuentes ‒ diresse Gian Maria Volonté in Quien sabe? (1966), western all'italiana che mescola sapientemente azione e denuncia sociale, passione politica e ammirazione per i cineasti d'oltreoceano. Cifre stilistiche che contrassegnano anche le inquadrature di Il giorno della civetta (1968), che inaugurò la grande stagione dell'impegno civile del regista. Tratto dall'omonimo romanzo di L. Sciascia, il film racconta lo scontro fra un eroico capitano di polizia e la mafia in un paese di provincia della Sicilia del dopoguerra. Una sfida che, con il trascorrere dei minuti, assume un sapore epico, trasformando il dramma sociale in western metropolitano e il protagonista in un incorruttibile giustiziere d'altri tempi. La propensione per gli elementi spettacolari della narrazione emerge con decisione nelle opere successive in cui tornò ad affrontare la piaga della mafia: La moglie più bella (1970), esordio di Ornella Muti in un cupo dramma familiare ispirato a un fatto di cronaca dell'epoca; Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica (1971), Perché si uccide un magistrato (1975) e Un uomo in ginocchio (1979). La prospettiva non consolatoria sull'eterno conflitto fra mafia e società civile ritorna nello sce-neggiato televisivo di grande successo La piovra (1984), con Michele Placido nel ruolo del commissario Cattani, uno degli eroi più caratteristici dell'opera di D., in Pizza connection (1985), sempre con Placido, questa volta spietato killer che riesce a coinvolgere nel giro della malavita l'onesto fratello, e nelle successive regie, divise fra cinema e film per la televisione, di Il sole buio (1990), Un uomo di rispetto (1992) e L'angelo con la pistola (1992).In precedenza aveva parallelamente proseguito nella sua personale rivisitazione dei generi dirigendo commedie western come Un genio, due compari, un pollo (1975), film di spionaggio come Goodbye & Amen ‒ L'uomo della CIA (1977), un horror, non molto originale ma efficace per atmosfere e tensione narrativa, dal titolo Amityville II: the possession (1982), che rivisita il classico tema della casa abitata da demoniache presenze, un giallo storico come L'inchiesta (1986), fino al tentativo di commedia fantastica, Assassini dei giorni di festa (2001), da un romanzo di M. Denevi.