DANIMARCA (XII, p. 297; App. I, p. 495; II, 1, p. 749)
La popolazione danese, secondo le rilevazioni censuarie del 1972, ascende a poco meno di 5 milioni di persone, con una densità media di 115 ab. per km2, e presenta un ritmo d'incremento abbastanza regolare, valutato nell'ultimo decennio intorno al 7‰ annuo. Pur restando il paese scandinavo più fittamente popolato, la D. fa registrare un coefficiente di natalità in continuo declino: esso nel 1971 è stato del 15,2‰ contro il 16,3‰ del 1961 e il 17,2‰ del 1951. Molto elevato appare invece il valore della durata media della vita: 69,8 anni per gli uomini e 72,6 per le donne. Tale situazione è determinata dal basso tasso di mortalità (pari al 9,4‰), il quale è compresso in modo determinante dal soddisfacente stato generale delle infrastrutture e dell'assistenza sanitaria. La regione più densamente popolata è il Sjalland (oltre 250 ab. per km2), mentre i valori più bassi si riscontrano nello Jutland (circa 65 ab. per km2). A determinare questa diversa distribuzione della popolazione è stato soprattutto il fenomeno dell'inurbamento, che nell'ultimo decennio si è alquanto accentuato: mentre fino a cinquant'anni fa la popolazione che viveva in città era meno di un quarto di quella complessiva, oggi essa ha superato la metà. Basti ricordare che il solo agglomerato urbano di Copenaghen conta circa 1.400.000 ab. (valore pressoché doppio rispetto a quello censito nel 1955 e pari al 30% della popolazione danese). Pure significativo appare il numero delle città con oltre 20.000 ab., che sono passate da 8 a 28 sempre nel ventennio considerato. Se tale fenomeno da una parte ha vitalizzato le funzioni tipicamente urbane e industriali, d'altra parte ha invece danneggiato l'agricoltura, che resta pur sempre la maggiore attività economica della nazione e alla quale attende ancora circa il 50% degli attivi.
La popolazione è formata per il 96,5% di Danesi, per l'1,7‰ di Tedeschi, per lo 0,4% di Svedesi, mentre si annovera un ristretto numero di comunità minori, tra le quali quella italiana (circa 1000 individui). La religione protestante conserva un indiscusso predominio, con circa 4 milioni e mezzo di osservanti; quella cattolica conta poco più di 26.000 proseliti; esiste pure una piccola comunità ebraica.
La D. è caratterizzata da un sostenuto sviluppo economico generale: il prodotto nazionale lordo pro-capite, raddoppiatosi nell'ultimo ventennio, figura attualmente tra i più alti del mondo. Questa condizione, che pone la regione danese tra i paesi europei di maggiore prosperità, è collegata in modo sostanziale all'esistenza di un'agricoltura d'avanguardia: essa si avvantaggia dell'adozione delle più moderne tecniche agrarie e della presenza di una diffusa organizzazione cooperativistica nei campi, sicché la D. è uno dei paesi in cui meno marcata appare la differenza tra reddito agricolo e quello degli altri settori. Il reddito medio di ciascun addetto al settore primario si aggira infatti intorno ai quattro quinti del reddito medio annuo di ogni addetto all'industria. La superficie destinata ad arativo e a colture arborescenti comprende il 61,8% del territorio nazionale: di essa, oltre la metà è messa a orzo, avena, frumento e segale (in ordine d'importanza). In via d'incremento sono pure le produzioni di patate, cipolle, pomodori, cavoli, mele, pere, prugne e colza.
Strettamente collegato all'agricoltura, con la quale dà vita a un gran numero di cooperative integrate, è l'allevamento, che dispone di prati e pascoli corrispondenti al 6,7% della superficie nazionale. Nel 1972 il parco bovini contava 2.650.000 capi, quello suini 8.864.000 animali. La produzione dei latticini è diffusa ovunque ed è praticata in grandiosi e moderni impianti cooperativi. Anche la pesca dà una produzione (1.443.000 t nel 1972) superiore al consumo nazionale, che in gran parte viene utilizzata nella fabbricazione di farina e dell'olio di pesce.
Il settore industriale dà lavoro a un 40% della popolazione attiva ed è strettamente collegato all'agricoltura; circa 40.000 addetti lavorano nel ramo alimentare, che pone in essere oltre un quinto del valore dell'intera produzione industriale. Altri rami importanti e in ascesa sono il tessile, il chimico (per la produzione di fertilizzanti) e il metalmeccanico.
Bibl.: G. Chabot, L'Europe du nord et du nord-ouest, Parigi 1958; A. Somme, A geography of Norden, Oslo 1960; F. J. Monkhouse, The countries of North-Western Europe, Londra 1965; C. T. Smith, An historical geography of Western Europe before 1800, ivi 1967; V. H. Malmostrom, Norden: crossroads of destiny and progress, Princeton 1970; OCDE, Danemark, Parigi 1972; W. R. Mead, The Scandinavian Northlands, Oxford 1974.
Storia. - Il successo del Partito socialdemocratico, con l'aumento di sei seggi al Parlamento, e del suo leader W. Kampmann, nella consultazione elettorale del novembre 1960, fu accompagnato dal calo dei partiti della coalizione governativa (radicali e "georgisti" che persero rispettivamente tre e nove seggi) e quindi dall'impossibilità di formare nuove maggioranze stabili. La spinta contraria al Patto atlantico, all'armamento atomico e al riarmo in generale, viva in una parte cospicua dell'elettorato socialdemocratico, assegnò 11 seggi al Partito socialista popolare (fondato da A. Larsen, ex capo dei comunisti), contrario al riarmo tedesco, all'aumento del potenziale bellico e all'accresciuta partecipazione della D. alla NATO. La crisi fu risolta da Kampmann con l'associare al governo un deputato indipendente della Groenlandia e uno delle isole Faroer. Il contrasto tra socialdemocratici e radicali in politica estera, in particolare sulla creazione di un comando militare unito tedesco-danese nel Mar Baltico, minò la già debole coalizione e la D., pur unita ai paesi dell'area nordica da vincoli di pluriennale cooperazione, operò in quegli anni per l'allineamento con l'Europa comunitaria e per l'ingresso nella CEE. Il cedimento dei radicali nella consultazione elettorale del settembre 1964 costrinse i socialdemocratici a formare un monocolore di minoranza, incapace di sciogliere i nodi della crisi economica danese, apertasi nel 1961-62 per la difficoltà sempre crescente di collocare sul mercato i prodotti agricoli.
Solo nel gennaio 1966, con l'appoggio dei radicali e dei liberali, il governo riuscì a far approvare una serie di inasprimenti fiscali (energia elettrica, pubblicità, alcolici, tabacchi, autoveicoli, benzina, ecc.) e a far votare il bilancio dello stato. I provvedimenti governativi e la posizione dei radicali (a sinistra in politica interna e a destra in politica estera: collaborazione con la Germiania di Bonn, partecipazione alla NATO) finirono per avvantaggiare le formazioni politiche non governative, che ottennero vistosi successi nelle elezioni per il rinnovo dei consigli municipali e provinciali. Il diverso orientamento dell'elettorato e l'opposizione del Parlamento al progetto di legge governativo relativo a un diverso modo di esazione dell'imposta sul reddito, indussero Krag a concludere anticipatamente la legislatura. Le elezioni generali del novembre 1966 confermarono il cedimento socialdemocratico (3,6% e 7 seggi in meno) a favore del Partito socialista popolare (5,1% e 10 seggi in più) e segnarono la ripresa dei radicali (2% e 3 seggi in più) la cui propaganda pacifista si era avvantaggiata dell'atteggiamento incerto assunto dal governo nei confronti della guerra nel Vietnam.
Il ricorso all'elettorato lasciò comunque sostanzialmente intatti gli equilibri tradizionali e il Partito socialdemocratico formò un nuovo gabinetto di minoranza che governò il paese per circa un anno. La politica anti-inflazionistica proposta dal governo (blocco dei prezzi, sospensione temporanea della scala mobile per i salari, aumento del 3% dell'imposta sui redditi non salariali) dopo la svalutazione della sterlina inglese e della corona danese provocò una spaccatura all'interno dei socialisti popolari: i seguaci di Larsen e del suo "socialismo pragmatico", favorevoli al progetto governativo, e gli avversari interni che lo giudicavano come un tradimento degl'interessi della classe operaia. L'impossibilità di concretare una qualsiasi azione di governo portò a un nuovo scioglimento anticipato del Parlamento e nel gennaio 1968 i Danesi furono chiamati alle urne per la terza volta in meno di quattro anni. L'ulteriore perdita in seggi e in percentuale subita dai socialdemocratici e dai socialisti permise la formazione di una nuova coalizione di centro-destra (radicali, conservatori e liberali) diretta da H. Baunsgaard. Mantenendo inalterate le tradizionali linee di politica estera (partecipazione alla NATO, disponibilità per il disarmo, per il superamento dei blocchi e per lo sviluppo del dialogo con i paesi dell'Est europeo), la nuova coalizione, che resse le sorti del paese fino al 1971, accelerò le trattative per l'ingresso nella CEE e operò un taglio netto nella spesa pubblica per un riequilibrio della bilancia dei pagamenti e dell'economia. La perdita di 10 seggi, subita dai tre partiti di governo nelle elezioni del settembre 1971, e la leggera ripresa delle sinistre riportarono i socialdemocratici alla direzione del governo in una situazione sostanzialmente uguale a quella del 1968: monocolore di minoranza con l'appoggio esterno dei socialisti popolari.
L'ingresso nell CEE, definitivamente sanzionato da un referendum popolare (ottobre 1972), determinò un forte esodo di iscritti e militanti di prestigio socialdemocratici verso i socialisti popolari che si erano battuti contro l'adesione. Il leader Krag rassegnò le dimissioni e la direzione del governo e del partito venne affidata ad A. Joergensen, un politico di origini operaie, proveniente dal movimento sindacale e quindi con una maggiore capacità di presa sulle masse popolari. La pratica impossibilità di esercitare il potere per l'equilibrio quasi perfetto stabilitosi nel parlamento danese tra conservatori e progressisti frustrò l'azione di Joergensen (trasferimento della proprietà delle imprese industriali ai dipendenti) e rese necessario il ricorso alle elezioni anticipate (dicembre 1973), i cui risultati provocarono un vero e proprio terremoto politico: i partiti rappresentati al Folketing (parlamento) passarono da 5 a 10 con perdite clamorose di tutte le forze tradizionali. Massicce le perdite dei socialdemocratici (24 seggi), dei conservatori (15 seggi), dei liberali (8 seggi), dei radicali (7 seggi) e dei socialisti popolari (6 seggi). L'affermazione più clamorosa fu quella del Partito progressista, di recente formazione, che con i suoi 28 seggi divenne il secondo partito danese. Il suo fondatore, M. Glistrup, sintetizzò la stanchezza e l'insicurezza della società danese propugnando l'abolizione delle tasse, dell'esercito, della burocrazia, dei partiti politici e dell'ufficio stesso del primo ministro. Tra le nuove formazioni politiche presentatesi ottennero un buon successo il centro democratico di E. Jacobsen (14 seggi) e il Partito democristiano (7 seggi) mentre ricomparvero i georgisti (5 seggi) e i comunisti (5 seggi).
Fu il liberale Hartling a dar vita a una nuova coalizione appoggiata dai cinque partiti moderati (conservatori, liberali, radicali, democratici di centro, democristiani) che potevano disporre di 79 seggi su 179. L'aggravarsi dei problemi connessi all'inflazione, l'aumento dell'indice di disoccupazione, il mutato quadro politico dopo le amministrative del marzo 1974 e la sostanziale ingovernabilità del paese indussero il primo ministro allo scioglimento anticipato della Camera (dicembre 1974) e al ricorso all'elettorato (gennaio 1975): il progetto governativo di bloccare prezzi, salari e dividendi delle imprese ne costituì la causa immediata. I risultati delle elezioni confermarono l'instabilità politica della D. colpita più di altri paesi dal rincaro dei prodotti petroliferi, dalla disoccupazione crescente e da un tasso d'inflazione pari al 16%. Al successo del partito di Hartling che aumentò la propria rappresentanza al parlamento di 20 seggi fece riscontro la rilevante perdita subita da tutti i partiti della coalizione governativa. L'incarico di formare il nuovo gabinetto fu affidato al socialdemocratico Joergensen che, fallite le trattative per una coalizione più ampia, ripiegò su un monocolore di minoranza.
Bibl.: H. O. Arntzen, Die Bedeutung der europäischen Wirtschaftgemeinschaft und der Freihandelszone für die Volkswirtschaft Dënemarks, Berlino 1961; J. O. Krag, La situazione internazionale da un punto di vista danese, Roma 1961; Denmark, a cura di R. Spink, Copenaghen 1964; K. E. Miller, Government and Politics in Denmark, Boston 1968.
Letteratura. - Alcuni degli scrittori danesi che si erano già affermati nel periodo fra le due guerre mondiali, o subito dopo la seconda, sono oggi ancora operosi, benché tale operosità appaia spesso come variazione e perfino ripetizione di temi già trattati. Così, per es., J. A. Schade (nato nel 1903), che alle numerose raccolte di lirica ironico-erotica in stile surrealista ne ha aggiunto, anche recentemente, di nuove (Schade-Symfonier, 1963; Overjordisk, "Celestiale", 1973); così T. Ditlevsen (nato nel 1918), che, senza vera originalità artistica ma in un linguaggio semplice e garbato, continua ad affrontare i suoi preferiti problemi della sensibilità femminile e infantile, in liriche (Den hemmelige rude, "La finestra segreta", 1961), in romanzi (To som elsker hinanden, "Due che si amano", 1960), in scritti autobiografici (Erindringer, "Memorie", 2 voll., 1967); così W. Heinesen (nato nel 1900), lo scrittore più o meno ortodossamente comunista che, oriundo delle Faerøser, si serve del danese per svolgere, attingendo come M. A. Hansen al mito e alla leggenda locale, la sua polemica sociale nella lirica (Hymne og harmsang, "Inno e canto di sdegno", 1961) e nella narrativa (Det gode håb, "La buona speranza", 1964; Kur mod onde ånder, "Cura contro gli spiriti maligni", 1967); così il drammaturgo C. E. Soya (nato nel 1896), un maestro della scena mezzo pirandelliano e mezzo freudiano, che anche nei più recenti lavori (Brevet, "La lettera", 1964) non si stanca di denunciare, con incisivo sarcasmo, la desolata crisi dei valori del nostro tempo. Sono scomparsi i capofila di correnti letterarie la cui importanza e vitalità è attestata dalla discussione critica intorno alle loro opere, come il drammaturgo surrealista K. Abell (1901-1961), come K. Blixen (1885-1961), che in un'età di crudezze realistiche ha risuscitato il non mai spento culto romantico del meraviglioso; come H. C. Branner (1903-1966), maestro del romanzo psicologico o meglio psicanalitico; come M. A. Hansen (1910-1955) e P. La Cour (1902-1956), ai quali si deve, rispettivamente nella lirica e nella narrativa, la rinascita estetico-religiosa del secondo dopoguerra; come T. Kristensen (1893-1974) infine, che per decenni ha denunciato nella sua prosa tersa e tagliente lo sterile cerebralismo del nostro tempo e la vana fede nel progresso scientifico connessa alle due guerre mondiali.
La generazione dei giovani e maggiormente quella dei loro giovanissimi epigoni riflette la coesistenza e l'urto dei più eterogenei fermenti di pensiero: dalla ricerca d'una fratellanza umana al di là delle menzogne "borghesi" all'esaltazione pansessualista, dalla scepsi nichilista all'ansia religiosa. Specie i giovanissimi vogliono tutti non solo un'arte nuova ma una società nuova, attingibile - come credono con schietto fanatismo o con gregario conformismo - mediante il ripudio d'ogni legame con la realtà storica. Così l'anticultura, l'antiletteratura, l'antiteatro, ecc., rampollano dai loro presupposti assurdisti (v. gli scritti del critico T. Brostrøm, Versets løvemanke, 1960; Poetisk kermesse, 1962). In teoria almeno e nei programmi, perché in pratica il taglio col passato si rivela in tutti illusorio.
La lezione preesistenziale di Kierkegaard, gìà sul piano criticostorico rivalutata negli anni Trenta dallo storico delle religioni V. Grsnbech (1873-1948) e poi da M. A. Hansen, riaffiora oggi vivissima in uno dei più brillanti ma anche dei più elusivi narratori e saggisti danesi, Villy Sørensen (nato nel 1929), autore di fiabe "filosofiche", dove sulla forza creativa prevale senz'altro la sottigliezza dialettica (Sœre historier, ("Racconti strani", 1953, Ufarlige historier, "Racconti innocui", 1955; Formynderfortœllinger, "Racconti di interdetti", 1964), di studi critici sui più svariati temi letterari politici religiosi, ecc. (Nietzsche, 1963; Kafkas digtning, 1968; Schopenhauer, 1969; Hverken-eller, Né-né, 1961; Mellem fortid og fremtid, "Tra passato e futuro", 1969; Uden møl og med, "Senza fini e con", 1973), miranti tutti a una difficile fusione di esistenzialismo e marxismo.
La polemica intorno alla convergenza o divergenza di queste due, diciamo così, ideologie era da quasi due decenni uno dei temi salienti del dibattito culturale in periodici filosofico-letterari (Heretica, 1948-1953; Dialog, 1950-1961; Perspektiv, 1953-1969; e perfino in alcuni astrusamente specialistici come Vindrosen, 1954 segg.), che indubbiamente ebbero il merito di far conoscere correnti spirituali e scrittori stranieri contemporanei anglosassoni, francesi, tedeschi, e d'influenzare in misura determinante la cultura nazionale.
Così nei più dotati si riscontra un alternarsi dell'opera creativa con traduzioni e saggi e studi di forte impegno ideologico, legato alle vicende mondiali: nei lirici Th. Bjørnvig (nato nel 1918), ultimo erede del decadentismo europeo, poeta (Vibrationer, 1966; Ravnen, "Il corvo", 1968), saggista (Kains alter, "L'altare di Caino", 1964), traduttore e interprete (Rilke, 1949-1959), critico di musica moderna (Oprør mod neonguden..., "La rivolta contro il dio del nèon", 1970); F. Jæger (n. 1926), rimasto fedele attraverso gli anni alla sua musa primitivista (Idylia, "Idilli", 1967); O. Sarvig (nato nel 1912), autore di poesie di pensiero (Efterskrift, "Postilla", 1966); O. Wivel (nato nel 1921), poeta e penetrante critico di M. A. Hansen e di K. Blixen; J. Sonne (nato nel 1925) e U. Harder (nato nel 1930), traduttori questi due ultimi di poesia antica e moderna anche italiana e facili versificatori (rispettivamente: Krese, "Circoli", 1964; Sortpåhvidt, "Nero su bianco", 1968); nei narratori e drammaturghi, fra i quali spiccano L. Panduro (nato nel 1923) e K. Rifbjerg (nato nel 1931); il primo per i suoi romanzi e radiodrammi assurdisti (Øgledage, "Giorni di vipera", 1961; Kuffesten, "La valigia"; Kannibaler i kœlderen, "Cannibali in cantina", 1962; Ka' de li'østers?, "Vi piacciono le ostriche?", 1967); il secondo, "bonne à tout faire" della letteratura danese, per le punte scattanti del suo umorismo patibolare che anima i versi i racconti i copioni per il cinema il teatro la radio la televisione (Camouflage, 1961; Fœdrelandssange, "Inni patriottici", 1967; Udviklinger, "Crescere", 1965; Anna (jeg) Anna, "Anna (io) Anna", 1969, recentemente tradotto anche in italiano).
Giovanissimi scrittori, infine, come per es. K. Holst (nato nel 1936) e H. Nordbrandt (1945), S. Holm (1940), J. Ørnsbo (1932) e U. Ryum (1937), e molti altri, più che generosamente antologizzati in italiano, sono qui appena menzionati perché, a tutt'oggi, non hanno dato alcun frutto maturo della loro arte.
Bibl.: M. Gabrieli, Storia delle letterature della Scandinavia, Firenze-Milano 19692; G. Albeck, F. J. Billeskov Jansen e altri, Dansk litteraturhistorie, 4 voll., Copenaghen 19712; M. Giacobbe, Poesia moderna danese, Milano 1971.
Arti figurative. - L'evoluzione artistica nei diversi paesi scandinavi non ha seguito vie parallele. L'arte danese, che negli anni Trenta era stata dominata da artisti che si richiamavano all'espressionismo, quali O. Rude, E. Weie, O. Høst e J. Søndergaard, ha avuto, nel dopoguerra, sviluppi molto più vivaci, per es., di quella svedese. All'inizio degli anni Quaranta la scena era dominata da esponenti dell'arte concreta come V. Lundstrøm, incline a un certo classicismo, e il cubista-espressionista V. Bjerke-Petersen.
E. Bille e R. Mortensen invece, dopo un'iniziale fase di astrattismo geometrico, si volsero a un'arte informale in cui erano esaltati lo spazio e il movimento. Il movimento era presente anche nelle sculture di E. Møller-Nielsens, progettate per parchi-gioco per bambini. H. Heerup, pittore e scultore, cominciava a usare assemblages di residuati metallici per costruire figure umane. Emblemi rituali, simboli primitivi, decorazioni contadine esaltanti la natura, caratterizzano le sculture in ferro di R. Jacobsens, dalle forme sperimentali, geometriche, spaziali. E. Jacobsen dipingeva maschere ornamentali e figure in movimento, C.-H. Pedersen ritraeva persone e animali con violento umorismo, W. Freddie, partito da una pittura di oggetti surreali, si faceva via via più astratto e sottilmente ironico.
Il movimento dello spontaneismo astratto ha avuto il suo organo, in D., nella rivista Helhesten, che proclamava una primitiva gioia di vivere e tentava un'apertura verso altre forme di esperienza artistica, come il jazz, la poesia e il cinema. "Cobra" (1948-1951) ne ha, in un certo senso, continuato l'opera in direzione dell'arte informale. Il nome COBRA era stato composto con le iniziali di COpenaghen, BRuxelles e Amsterdam, in riferimento ai membri del gruppo, composto dal danese A. Jorn, dal belga C. Dotremont e dagli olandesi K. Appel e Constant. Loro proposito era quello di saldare una sperimentazione libera e senza dogmi e lo spontaneismo surrealista alle forme d'arte più popolari. Un aspetto importante delle loro teorie è l'idea che l'arte debba realizzarsi come intervento collettivo sull'ambiente. Alle attività del gruppo, vere manifestazioni di libertà artistica, presero parte anche artisti come C.-H. Pedersen, H. Heerup, E. Alfeldt, E. Bille, E. Thommesen e altri.
Nelle pitture, nell'opera grafica e nelle sculture di S. Wiig-Hansen domina l'elemento fantastico, con figure umane che si dilatano e si librano nell'aria. P. Nielsen si è dedicato alla grafica con un suo particolare mondo di immagini, fatto di visioni spettrali: nella serie Orfeo ed Euridice la società di oggi appare descritta come il mondo dell'oltretomba.
Intorno al 1960 comincia a farsi luce una tendenza neo-realistica che, per certi aspetti, fonde lo sperimentalismo ludico con la semplificazione geometrica. Ciò trova espressione nell'opera, tra gli altri,. di A. Mertz e S. Dalsgaard - quest'ultimo dedito al collage e all'assemblage - e in quella di J. J. Thorsen e J. Nash che nel corso degli anni Sessanta opereranno nel campo degli happenings:
Ciò che ha caratterizzato gli ultimi tre decenni sono proprio queste frequenti oscillazioni tra i due poli - non antagonistici - della semplificazione classica e dell'anarchismo ludico. O. Schwalbe, P. Gadegaard, A. Andersen e I. Geertsen hanno indirizzato il loro lavoro verso forme concrete, architettonicamente decorative, con opere spesso eseguite nell'ambito delle commesse per la decorazione di edifici pubblici. È un'arte che struttura gli spazi, che apre un dialogo con l'osservatore, che - ed è questa una caratteristica tipicamente danese - ha un preciso ruolo sociale.
Bibl.: N. Th. Mortensen, Dansk billedkunst, Odense 1964; J. J. Thorsen, Modernisme i dansk kunst specielt efter 1940, Copenaghen 1965; J. Zibrandtsen, Moderne dansk maleri, ivi 1967.
Architettura. - Le tappe obbligate dell'evoluzione dell'architettura danese precedente il suo inserimento nell'ambito del Movimento Moderno internazionale, sono pressappoco le medesime conosciute dagli altri paesi europei: dal neoclassicismo ai revivals, dall'eclettismo a un nuovo classicismo. Tuttavia l'interesse per i temi a carattere più largamente sociale, legato al contesto storico generale del paese - case operaie, scuole, municipi rurali, attrezzature collettive - riscatta il nuovo classicismo dalle sue connotazioni retoriche, nazionaliste e celebrative.
È pertanto naturale che intorno al 1930, sotto l'influenza del razionalismo europeo, l'architettura danese abbandoni la tradizionale piattaforma classicista, comune ai paesi nordici, per adottare senza particolari traumi i metodi e il linguaggio figurativo del razionalismo stesso. I protagonisti di tale fase di transizione sono P. V. J. Klint (chiesa di Grundtvig, 1913-40), Kaare Klint (mobili funzionalisti, 1929), C. F. Møller (università di Aarhus, 1931; in coll. con K. Fisker e P. Stegmann), Kay Fisker (Hornbaekhus, Copenaghen 1923). Dopo il 1930, e fino all'ultimo decennio, la figura più rappresentativa, quella che riassume in sé, superandole e improntandole di un'altissima qualità artistica, le esperienze e le ricerche della cultura architettonica danese, s'identifica nel nome prestigioso di Arne Jacobsen (nato nel 1902), il massimo architetto della D. moderna. Le sue opere principali coprono un arco di tempo intercorrente tra gli ultimi anni Venti e oggi. La produzione dello Jacobsen passa da un iniziale romanticismo (casa Streensen, 1932), in cui il vernacolo si depura attraverso un attento controllo delle funzioni e dell'immagine, a un razionalismo di osservanza internazionale (complesso "Bellavista", 1934). Da questo momento in poi, lo Jacobsen elabora una propria originale versione del Movimento Moderno, connettendo, nel quadro di un raffinatissimo design, istanze sociali, tradizione intimista schiettamente nordica e ricerca di un nuovo linguaggio trasmissibile e ripetibile, benché fortemente caratterizzato nelle singole soluzioni. Tra le assai numerose opere da lui progettate e realizzate, le più significative restano il Municipio di Aarhus (1937), il complesso residenziale di Gentofte (1946), il grattacielo SAS a Copenaghen (1937-62), il St. Catherine's College a Oxford (1964). Ricordata l'eccezionale importanza delle personalità di K. Klint e di K. Fisker, soprattutto sotto un profilo pedagogico nei campi dell'edilizia sociale e dell'industrial design, occorre ancora, per concludere un disegno riassuntivo dell'architettura danese contemporanea, richiamare il nome di Jørn Utzon (nato nel 1918), la cui realizzazione più conosciuta è il progetto per l'Opera di Sidney, ma il cui esperimento più interessante s'identifica probabilmente nel complesso residenziale di Kingö (1960). Mentre all'apparenza l'Utzon sembra evadere la matrice di tipo sociale che sta alla base della tradizione moderna danese, in realtà il suo estro esplicato in un linguaggio straordinariamente duttile introduce nel panorama contemporaneo uno stimolo in direzione del recupero di un'autonomia creativa della disciplina architettonica. Gli stretti rapporti che hanno a lungo unito esigenze sociali e architettura, subordinando questa a quelle, sembrano con l'ultimo Jacobsen e con l'Utzon avviarsi a risoluzione in termini schiettamente di architettura. Vedi tav. f. t.
Bibl.: The architecture of Denmark, Londra 1949; T. Paulsson, Scandinavian Architecture, ivi 1958; Guide to Modern Danish Architecture, Copenaghen 1964; S. Ray, L'architettura moderna nei paesi scandinavi, Bologna 1965 (con bibl.); L'architecture d'aujourd'hui, 134 (1967); Dau, Diz. Arch. Urb., Roma 1969, ad voces; T. Faber, A history of Danish architecture, Copenaghen s. d.