Ferretti, Dante
Scenografo cinematografico, nato a Macerata il 26 febbraio 1943. Sostenitore di una estetica del 'meraviglioso', si è mosso attraverso le diverse epoche con una libertà che ha sfiorato talvolta la trasgressione storica, rivoluzionando il panorama della scenografia cinematografica dapprima in patria, al fianco di registi come Pier Paolo Pasolini e Federico Fellini, e poi fuori dai confini nazionali. Intuizioni geniali come il labirinto verticale in Der Name der Rose (1986; Il nome della rosa) di Jean-Jacques Annaud, la forza visionaria espressa nel kolossal fantasy The adventures of Baron Munchausen (1989; Le avventure del barone di Munchausen) di Terry Gilliam, la capacità di trasfigurare città e quartieri nelle ricostruzioni realizzate per i film di Martin Scorsese hanno fatto di lui uno dei più brillanti scenografi del cinema mondiale. Candidato per sei volte all'Oscar, ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, oltre a nove Nastri d'argento e tre David di Donatello.
Dopo gli studi al liceo artistico di Macerata, si trasferì a Roma, dove frequentò i corsi di scenografia dell'Accademia di Belle Arti. Inseritosi rapidamente nell'ambiente del cinema, compì il suo apprendistato con lo scenografo Luigi Scaccianoce, accanto al quale lavorò sui set dei film di Pier Paolo Pasolini: Il Vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1966), Edipo re (1967). Fu proprio Pasolini, in anni di radicale rinnovamento per il cinema italiano, ad abbandonare il professionismo vecchio stampo di Scaccianoce in favore delle più oltranziste idee del ventiseienne F. e ad affidargli la responsabilità della scenografia dei suoi film, da Medea (1969) in poi. Grazie al rapporto con l'universo pasoliniano e con l'estro pittorico del costumista Danilo Donati, si affinò in lui la percezione di un cinema dominato dalla potenza dell'invenzione. Tale approccio si ritrova nella semplicità evocativa degli ambienti di Medea, ma soprattutto nella ricostruzione dei mondi e delle epoche della 'trilogia della vita', e nell'impianto fantasy di Il fiore delle Mille e una notte (1974), dove F. opta per una 'scenografia di poesia', fondata sull'uso di poche ma intense pennellate, forti cromatismi, piccoli ma meditati elementi architettonici, assunti nella loro valenza simbolica e non come tracce di ricostruzione storica. Più fedele al 'vero' fu, invece, il suo lavoro per Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Negli stessi anni F. collaborò anche con Marco Ferreri, aderendo al suo progetto di cinema, ben più realistico, ma mantenendo una sua vena fantastica, come nel caso degli esterni della New York metafisica in Ciao maschio (1978). Alla fine degli anni Settanta l'incontro con Fellini diede a F. la possibilità di spingersi più in là sul terreno di un uso evocativo degli ambienti, dalla semplicità sintetica dell'apologo in Prova d'orchestra (1979), al gorgo labirintico di La città delle donne (1980), alle dimensioni kolossal di E la nave va (1983), film in cui il barocco felliniano viene declinato da F. in una chiave quasi kitsch, più evidente nella ricostruzione del paesino emiliano in La voce della luna (1990). Nel corso degli anni Ottanta, dopo aver ottenuto i primi importanti riconoscimenti, F. era stato scritturato per grandi produzioni, scoprendo nel cinema spettacolare un fertile campo d'investimento. In Der Name der Rose la biblioteca dei monaci viene resa mediante un labirinto verticale, simbolo dei meandri della mente umana, operando una rivoluzione spaziale delle forme scenografiche. Negli ambienti del kolossal fantastico The adventures of Baron Munchausen, ricostruiti negli stabilimenti della vecchia Dinocittà, il senso del meraviglioso di F. spazia liberamente, fondendosi con il gusto visionario del regista e le fiabesche atmosfere dell'ultimo Fellini. Nel 1993, chiamato da Scorsese per The age of innocence (1993; L'età dell'innocenza), film in apparenza lontano dalle sue corde, F. ha conquistato la fiducia del regista: in una dimensione apparentemente viscontiana, è riuscito a fornire un'immagine vivissima della New York della seconda metà dell'Ottocento, dimostrando che il suo paradigma di scenografia come trasfigurazione poteva essere applicato anche a narrazioni improntate al realismo psicologico, come il romanzo di E. Wharton da cui il film è tratto. Con Scorsese ha poi ricostruito Las Vegas, vista come una Disneyland per bambini senza più innocenza, in Casino (1995; Casinò). Sempre protagonista dei progetti nei quali viene coinvolto, le sue scelte sfiorano talvolta i confini della provocazione, come in Titus (1999) di Julie Taymor, film in cui ottiene un singolare effetto di riflesso temporale, proiettando nella sanguinaria tarda epoca imperiale icone dell'architettura novecentesca della città di Roma quali il Palazzo della civiltà del lavoro all'EUR. Nel 2002 ha raccontato con Gangs of New York, sempre di Scorsese, le miserie dell''altra' New York di metà Ottocento, quella dei bassifondi e degli immigrati, mettendo in scena con grande forza evocativa la 'leggendaria' Paradise Square, lo splendore dell'antica Pagoda cinese e la desolazione della Brewery, punto d'incontro delle gangs dell'epoca. Tra gli altri registi con i quali ha collaborato sono da ricordare Sergio Citti, Elio Petri, Liliana Cavani, Dino Risi, Maurice Pialat, Franco Zeffirelli, Claude Chabrol e Martin Brest. Ha lavorato raramente per il teatro ed è stato costumista soltanto due volte, per Mio Dio, come sono caduta in basso! (1974) di Luigi Comencini e Kundun (1998) di Scorsese. Nel 1995 ha firmato gli allestimenti scenografici della grande mostra del Centenario del cinema, a Cinecittà. Nel 2002 gli è stata dedicata una mostra presso la Academy of Motion Picture Arts and Sciences a Los Angeles.
N. Dentico, Münchausen design includes whale's belly, moonscapes, in "American cinematographer", 1989, 3, pp. 32-34 e 36; S. Masi, Costumisti e scenografi del cinema italiano, 2° vol., L'Aquila 1990, pp.155-66; Drawing dreams: Dante Ferretti, production designer, a cura di S. Bizio, Los Angeles - Roma 2002 (catalogo della mostra).