DAZIO E DOGANA (XII, p. 423; App. II, 1, p. 756)
Fra le conseguenze che le due guerre mondiali, combattute in un solo trentennio, hanno avuto sulla economia e sulla politica economica degli Stati europei vi è una differenza profonda: la guerra 1914-18 aveva determinato, con la mutilazione dell'Impero Germanico, con lo spezzettamento dell'Impero Asburgico e con l'appoggio dato da W. Wilson ai minori gruppi nazionali, la moltiplicazione degli Stati europei e un enorme allungamento delle frontiere doganali, di cui ogni Stato tentò di valersi con l'illusione di raggiungere una larva di indipendenza economica.
Ad aggravare la situazione si aggiunse la tremenda crisi mondiale, scoppiata nell'autunno del 1929 e durata in tutta la sua gravità fino al 1933, per salvarsi dalla quale e tentare di combattere il mortale flagello della disoccupazione, tutti gli Stati, grandi e piccoli, adottarono una serie di provvedimenti, che dovevano condurre al loro totale isolamento dal resto del mondo: svalutazione monetaria, rigide restrizioni quantitative delle importazioni col sistema delle quote fissate da trattati di commercio bilaterali e di breve durata, inasprimento fortissimo delle tariffe doganali, che in molti casi raggiunsero un carattere proibitivo.
Del tutto diverse furono le conseguenze del conflitto 1939-45 che portò bensì alla soppressione di molti dei piccoli Stati, creati nel 1919, ma determinò un gravissimo indebolimento di tutte le potenze europee, di fronte al formarsi di due grandi colossi ad ovest e ad est dell'Europa ed all'irresistibile ribellione del mondo coloniale in Asia ed in Africa.
Dell'estremo pericolo che il persistere del frazionamento e dei meschini egoismi nazionalistici rappresentava per l'economia e per tutta la civiltà dell'Europa, si incominciò ad avere coscienza prima ancora della fine del conflitto. Già nel settembre 1944 i rappresentanti dei tre governi in esilio, dell'Olanda, del Belgio, del Lussemburgo, riunitisi a Londra, si trovarono d'accordo circa la necessità di sopprimere ogni divisione economica fra i tre paesi.
La situazione militare, per cui alcune zone specialmente dell'Olanda seguitarono ancora per più di un anno ad essere occupate dai Tedeschi, e anche, dopo la liberazione totale, le necessità urgenti dell'opera di ricostruzione, determinarono un ritardo nell'attuazione del programma, deciso nelle sue linee più generali nel settembre 1944. Soltanto nell'aprile del 1946 si poté aprire a l'Aia la prima riunione dei ministri dei tre Stati e soltanto il 1° gennaio 1948 si poté sancire la creazione del Benelux come unione doganale, nella quale si sarebbero, entro breve termine, soppresse tutte le dogane interne, sostituendole con una tariffa comune sulle merci importate dal resto del mondo.
In realtà non solo non si riuscì ad ottenere, come si era sperato, che quello fosse il primo passo per raggiungere in breve l'unità economica fra i tre paesi, ma anche l'unione doganale urtò, in pratica, contro gravissime difficoltà, determinate principalmente dalle difficoltà incontrate dagli agricoltori olandesi nell'esportare in Belgio i loro prodotti, i quali costituivano la maggiore ricchezza del loro paese.
Anche meno fortunata del Benelux fu l'unione doganale franco-italiana, che fin dal 1947 sembrava incontrare un consenso abbastanza largo, e che, in seguito al parere favorevole di una prima commissione mista, portava all'approvazione di un protocollo, firmato il 20 marzo 1948 a Torino dai due ministri degli Esteri, Bidault e Sforza, i quali facevano proprie le conclusioni della commissione mista e dichiaravano che "era loro formale desiderio di stabilire una unione doganale franco-italiana". Ma il desiderio, per quanto formale, rimase un desiderio, e non solo non si procedette alla minima attuazione dell'unione, ma si approvarono successivamente varî inasprimenti della tariffa doganale, e specialmente si crearono nuovi ostacoli al libero movimento delle forze di lavoro.
Quello che non si era ottenuto, o si era ottenuto in misura del tutto insufficiente con gli accordi diretti fra singoli Stati, si tentò di raggiungere con la creazione di organizzazioni internazionali, sorte evidentemente in rapporto col Piano Marshall e col consenso del governo americano, che vedeva il danno del frazionamento e delle gelosie degli Stati europei.
Fra queste organizzazioni le più importanti, in rapporto alla politica economica e soprattutto doganale fra gli Stati europei, sono l'OECE ed il GATT.
L'OECE (v., in questa App.), costituita nel 1948, si era fatta promotrice di una azione concorde per giungere all'integrazione economica dei paesi europei sulla base di un'unione doganale. Ma in questa azione essa urtò contro tali difficoltà che, dopo due anni, dovette rinunciarvi, concentrando la propria attività nel campo della eliminazione delle restrizioni quantitative, dove poté raggiungere risultati sensibili, portando in varî anni la così detta liberalizzazione al 50% degli scambî totali, con la speranza, solo in parte raggiunta, di elevarne la misura al 75%.
Ma la riduzione delle restrizioni quantitative rimetteva in prima linea il problema delle tariffe doganali, le quali riprendevano la loro funzione di massimo ostacolo alla libertà degli scambî internazionali. Appunto per rimuovere questi ostacoli fu costituito press'a poco nello stesso tempo dell'OECE, il GATT (v., in questa App.), il General Agreement on Tariffs and Trade, firmato a Ginevra nel 1947 da 23 Stati contraenti con la possibilità di adesione di altri paesi.
Ma anche quest'accordo fu soprattutto una manifestazione di buona volontà: mancava ogni possibilità di sanzione contro quegli Stati che non mantenessero gli impegni. Si tentò bensì di creare una "organizzazione internazionale del commercio" (ITO), che avesse questa facoltà di far rispettare l'accordo. Ma anche questo tentativo fallì completamente. Finalmente maggiori speranze di risultati concreti si son potute concepire in seguito alla conferenza tenuta dai ministri degli Esteri dei sei stati della Piccola Europa a Messina, la quale aprì la strada al trattato di Roma, firmato il 20 febbraio 1957, che istituisce la Comunità Economica Europea (v. CEE, in questa App.).
L'articolo 3 dello Statuto stabilisce l'abolizione fra gli stati membri dei dazî doganali e delle restrizioni quantitative all'entrata e all'uscita delle merci; l'istituzione di una tariffa doganale comune nei confronti degli stati terzi, che dovrebbe risultare dalla media dei varî dazî oggi in vigore, e non superare, a seconda delle voci, i massimi del 3, del 10 e del 15%; l'eliminazione fra gli stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizî e dei capitali. Nell'art. 8° si assegna al Mercato Comune un periodo transitorio di 12 anni (prorogabile ad un massimo di 15), diviso in 3 tappe di 4 anni ciascuna, di cui la prima può essere prorogata di uno od anche, sotto certe condizioni, di due anni. Nella prima tappa si dovrà attuare una prima riduzione del 10% dopo un anno dall'entrata in vigore del trattato; una seconda riduzione del 10% dopo altri 18 mesi, una terza riduzione del 10% alla fine della tappa. Altre 3 riduzioni del 10% si faranno durante la seconda tappa. Così poi per la terza tappa in modo che alla fine del periodo di 12 od al massimo di 15 anni, le barriere doganali entro i sei stati dovrebbero essere totalmente scomparse.
La riduzione dovrebbe effettuarsi da ogni stato membro in base alla propria tariffa in vigore al 1° gennaio 1957, che dopo quella data non avrebbe dovuto subire aumenti od aggiunte.
Per assicurare il rispetto di queste disposizioni fondamentali si è nominata una commissione che annualmente esercita il controllo sull'operato dei singoli stati membri e prende in esame i ricorsi presentati per vere o presunte infrazioni. Di questi ricorsi e delle decisioni della Commissione di controllo si dà ampia notizia nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea. Sebbene le infrazioni denunciate siano numerose e spesso anche gravi e rivelino ancora una volta le forti resistenze degli interessati ad adattarsi ad un regime, anche limitato, di libero scambio, è tuttavia indubitato che un notevole passo in avanti si è finalmente compiuto, sicché è sperabile che, mantenendosi viva la vigilanza dei più convinti fautori del mercato comune, questo possa diventare una realtà benefica.
Bibl.: W. Diebold, Trade and payments in Western Europe, New York 1952; F. E. Nonis, Dal Piano Marshall alla Comunità economica europea, Roma 1959; A. Marchal, Mercato comune europeo, zona di libero scambio a differenza nel grado di sviluppo economico, in Rivista di politica economica, ag.-sett. 1958; F. Coppola d'Anna, L'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (G.A.T.T.), dopo la revisione del 1955, in Rivista di politica economica, novembre 1958; E. Spina, Infrazioni alle regole del Mercato Comune, in Ricerche economiche, Venezia 1960.