DE CURTIS, Giovanni Battista
Menzionato in due documenti dell'Archivio di Stato di Napoli del 10 genn. 1596 e del 31 luglio 1596 come napoletano e "intagliatore d'avolio", appartiene probabilmente ad una famigha di artigiani di Cava dei Tirreni, intagliatori e mobilieri, ricordati a partire dal terzo quarto del XVI secolo (Filangieri, 1891, pp. 154 ss).
Nei due documenti citati il D. si impegna con "Iacobo Fiamengo scrittorista" a "ingravare delle ystorie del testamento vecchio uno scrittorio d'avolio de palmi tre longo, et palmi dui et mezzo alto con dudici cascettini dentro et una portella in mezzo con lo coverchio",.secondo quanto riportato nel primo contratto (González Palacios, 1978, pp. 136-138, 146-148), e, come risulta dall'altro documento, "ad ingravare doi scrittorj d'avolio" con delle "fabole d'Ovidio de palmi quattro scarsi l'uno et d'altezza palmo uno et mezzo" (Filangieri, 1891, p. 156; González Palacios 1978, pp. 136, 148; Alfter, 1979, p. 140).
Sulla base di documenti dal 1594 al 1602, riportati da González Palacios (1978, pp. 144-148), Iacobo Fiamengo risulta essere stato principalmente uno "scrittorista", cioè uno stipettaio, e secondariamente intagliatore di avorio, che ricorreva a specialisti per l'esecuzione di elementi decorativi in avorio da inserire in mobili di maggior prestigio (tra questi intagliatori vengono ricordati, oltre al D., anche Iacobo Manganiello e Petrus Pax).
Non sono stati finora rintracciati i mobili citati nei due documenti, ma nel Museum ffir Kunst und Gewerbe di Amburgo è conservato un pregevole stipo d'ebano con bassorilievi e pannelli d'avorio graffito, poggiato su un piedistallo del XIX secolo, proveniente dal mercato antiquario, che nel pannello centrale reca la firma: "Io: Baffista, de Curtis faciebat"; si tratta dell'unica opera finora conosciuta firmata dall'artista, che risulta quindi essere abile intagliatore d'avorio.
Il mobile (González Palacios, 1975; 1978; Alfter, 1979) presenta, chiuso, un assetto piuttosto semplice, a pianta e prospetto rettangolarì, sormontato da una balaustra rientrante, arricchito dalla decorazione in placche ebumee e da un fregio, pure in avorio, con motivi classici, che corre sotto al coronamento terminante con la balaustra. I pannelli eburnei sono costituiti da medaglioni con teste di imperatori sulle fasce superiori e inferiori degli sportelli, da quattro grandi riquadri posti al centro degli stessi sportelli e delle fiancate dove sono raffigurati Giulio Cesare, Alessandro Magno, Nino e Ciro, e da pannelli rettangolari con scene di battaglia, separati da riquadri verticali con cariatidi e telamoni, sul basamento. Aperto, lo stipo rivela una decorazione di grande ricchezza e complessità: esso presenta infatti, in una serie continua, due ordini di nicchie contenenti piccoli vasi e fiancheggiate da colonnine, incise e a tutto tondo, cariatidi in bassorilievo e altri elementi decorativi. I due compartimenti laterali e il portico centrale sono arricchiti da cinque pannelli, di cui tre più grandi centinati, posti in basso, raffiguranti episodi della Leggenda di Romolo e Remo, con scritte esplicative e due, più piccoli e posti in alto sugli sportelli laterali, che rappresentano due scene della Vita di Ercole. Completano la decorazione altri pannelli con scene di battaglia, grottesche, elementi vegetali ed allegorie delle stagioni.
Sul basamento è possibile far scorrere un piano estraibile, decorato da tre riquadri raffiguranti una carta emisferica tra due scene di battaglia, con cariatidi ed elementi decorativi. La firma del D. si trova in basso, nel corpo centrale, e la carta reca la scritta: "lanuarius picicato fecit Anno 1597", elemento che permette la datazione dello stipo. Il González Palacios individua come fonte iconografica per le scene raffigurate - in particolare per i ritratti di imperatori e le battaglie - alcune incisioni di Antonio Tempesta (1978, p. 136) e di Virgilius Solis (ibidem, p. 148); After (1979) sottolinea la derivazione delle immagini dalle incisioni di G. B. Fontana. Sempre l'Alfter rileva nella decorazione un programma iconografico, alludente al ruolo svolto da Filippo II come mediatore tra umano e divino e fondatore di una Monarchia universalis, cui, si riferirebbero la storia di Romolo e la carta emisferica, e più in generale alla politica attuata dagli Asburgo.
Il González Palacios ha pubblicato un altro stipo (1981), molto simile a questo, di forma analoga tranne che per l'assenza del coronamento con la balaustra; in quest'ultimo ritorna la decorazione a medaglioni raffiguranti gli imperatori all'esterno ed all'interno a nicchie e pannelli eburnei con la Storia di Romolo, uno dei quali ripete la scena centrale dello stipo di Amburgo, con la stessa scritta. Le strette analogie stilistiche tra i due mobili permettono di avanzare l'ipotesi dell'attribuzione al D. anche delle decorazioni eburnee del secondo stipo, pur se i documenti relativi a Iacobo Fiamengo individuano un ambiente omogeneo in cui lavoravano diversi artisti specializzati nell'incisione dell'avorio.
Il González Palacios (1978, 1981) presenta anche altre opere riconducibili allo stesso ambito napoletano e allo stesso periodo, anche se presentano differenze compositive e iconografiche più sensibili rispetto agli stipi esaminati.
Si tratta di due stipi conservati nel Museo di S. Martino a Napoli, donati, secondo la tradizione, dalla città di Napoli al duca d'Alba nel 1623 e databili al 1619 e al 1623, decorati con carte geografiche emisferiche sul fronte esterno e, sui due piani ribaltabili, con due carte del Regno di Napoli incorniciate dai ritratti dei re d'Angiò, d'Aragona e di casa d'Austria, dell'imperatore Carlo V e dei re di Spagna Filippo II, Filippo III e Filippo IV: le carte geografiche presentano, per la finezza compositiva e d'esecuzione, analogie con la carta emisferica dello stipo di Amburgo. In essi si ritrovano anche una scena raffigurante la Battaglia di Lepanto e piante delle principali città italiane ed europee, che permettono di stabilire un confronto con un terzo stipo conservato al Philadelphia Museum of Art; quest'ultimo presenta sul fronte anteriore la mappa d'Italia tra le piante di Roma e di Napoli, all'interno figurazion, mitologiche e sul piano ribaltabile una carta geografica incorniciata da piante di città che riconducono l'opera allo stesso ambiente degli stipi di Amburgo, di Napoli e di Filadelfia.
La raffigurazione del pannello centrale dello stipo di Amburgo si ritrova all'interno del corpo centrale di un altro mobile, conservato nella Galleria Doria Pamphili di Roma, composto da due parti, di cui l'inferiore risalente probabilmente al XVIII secolo e la superiore allo stesso periodo dei mobili esaminati; più precisamente, la tipologia dell'insieme e alcune particolarità della decorazione in avorio ricordano lo stipo di Filadelfia. Il González Palacios menziona anche altri mobili (uno stipo in collezione privata spagnola, un altro nel Museo Correale di Sorrento, due tavoli in ebano ed avorio nella Galleria Doiria Pamphili di Roma, un pannello pure in ebano con placche d'avorio graffite conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna ecc.), riconducibili allo stesso ambito di derivazione napoletana, in cui si sviluppa la tipologia dei mobile manierista. Il González Palacios individua in quest'ambito influssi nordici, con un possibile riferimento, soprattutto per lo stipo di Filadelfia, alle raffinatezze fiamminghe di Francesco Duquesnoy.
Fonti e Bibl.: G. Filangieri, Docum. per la st., le arti e le industrie delle provincie napol., V, Indice degli artefici delle arti maggiori e minori, Napoli 1891, p. 156; D. Dubon, Masterpieces of the Reinassance Collection, in Apollo, C (1974), p. 22; A. González Palacios, Questo mese nell'antiquariato, che cosa mi è piaciuto e che cosa no nella biennale di Firenze, in Bolaffi Arte, nov. 1975, n. 54, pp. 13, 115; Id., G. B. D., in Antol. di belle arti, II (1978), 6, pp. 136-148; D. Alfter, Ein neapolitanischer Kabinettschfrank des Giacomo Fiammingo (?) und G. B. D., in Pantheon, XXXVII (1979), pp. 135-141; A. González Palacios, Objects 'for a "Wunderkammer" (catal.), London 1981, pp. 226-229; Id., Il tempio del gusto, Milano 1984, ad Ind.