DECEMVIRI
. Nome generico dato a collegi di dieci membri, suddistinti poi con espressioni indicanti le loro particolari funzioni. S'incontrano così nella storia del diritto romano i seguenti collegi:
Decemviri (st)litibus iudicandis. - Collegio di giudici, che, secondo una tradizione, si vorrebbe da qualche scrittore far risalire all'organizzazione della plebe e alla legge Valeria-Orazia del 440, e, secondo un'altra versione, sarebbe stato introdotto fra il 242 e il 227 a. C., ma la cui esistenza è sicura solo dopo l'anno 139. La loro competenza riguardava soprattutto i processi di libertà. In origine scelti di anno in anno dal pretore, vennero poi eletti dai comizî tributi. Ma le notizie intorno alla loro attività sono molto scarse e confuse. Sotto Augusto essi perdettero definitivamente il carattere di collegio giudicante e furono assegnati quali presidenti alle sezioni del collegio giudicante dei centumviri.
Decemviri agris dandis adsignandis e coloniae deducendae. - Commissioni, ordinate collegialmente, che avevano il compito di assegnare le terre pubbliche ai privati, soprattutto in occasione della fondazione di colonie. Queste commissioni compaiono a cominciare dal sec. II a. C.; e il numero dei loro membri è talora appunto di dieci, ma altre volte minore (tre, cinque, sette), altre volte maggiore (quindici, venti). Il modo di nomina di questi collegi era fissato dalla legge che disponeva per la fondazione della colonia: nel periodo più antico la scelta era affidata al console o al pretore, più tardi fu attribuita ai tribuni o ai comitia tributa. I membri di questo collegio, la cui posizione e le cui insegne potevano essere variamente stabilite dalla legge, dovevano considerarsi come magistrati straordinarî, privi però del comando militare, come pure del diritto di convocare il popolo e il senato. Avevano solo gli auspicia minora e il loro potere, sia pure in una sfera più ristretta, poteva assomigliarsi alla potestà del censore; e anche la durata della carica, ove la legge che creava la commissione non disponesse diversamente, era determinata secondo i criterî che regolavano la censura (i decemviri agris dandis adsignandis dovevano cioè deporre l'ufficio non appena avessero condotto a termine il loro compito) ma, ad evitare abusi, era sempre stabilita la durata massima. Le loro competenze erano variamente determinate dalla legge speciale che le istituiva, ma la funzione essenziale consisteva nell'attribuire la proprietà (dare) e nel consegnare effettivamente (adsignare) i terreni. Per le controversie che potessero sorgere circa il carattere pubblico dei terreni da distribuire, competenti erano i magistrati ordinarî; ma talora (così dalla lex Sempronia del 133) venne attribuita a queste commissioni (ma quella della lex Sempronia era di tre membri) una giurisdizione speciale.
La distribuzione di terre pubbliche a privati era accompagnata talora dalla deductio, cioè dal trasferimento di cittadini o soci da una regione a un'altra. Quando questo trasferimento non era fatto per rafforzare comunità cittadine o alleate già esistenti, ma al fine di creare una nuova comunità, allora il collegio prendeva il nome di coloniae deducendae.
Decemviri sacris faciundis. - Collegio sacerdotale dei custodi degli oracoli sibillini, originariamente composto di due membri, poi di dieci (donde il nome) dal 367 a. C. fino all'epoca di Silla; poi di quindici (quindecemviri), di sedici sotto Cesare, anche di più di venti in epoca imperiale. Ad esso spettava il controllo dei culti stranieri ammessi nello stato.
Decemviri legibus scribundis et rei publicae constituendae. - Secondo la tradizione romana, anzi secondo Livio, nel 462 a. C., in uno dei momenti più acuti del conflitto tra patrizî e plebei, il tribuno C. Terentilio Arsa per porre un freno agli abusi dei consoli avrebbe proposto che si nominassero cinque magistrati legibus de imperio consulari scribundis. Per una serie di anni, e cioè fino al 454, i patrizî, pur facendo altre concessioni ai plebei, sarebbero riusciti a resistere alle pressioni dei tribuni; ma poi si sarebbero lasciati indurre a inviare una commissione in Grecia, la quale avrebbe dovuto studiare la legislazione di Atene e di altre città elleniche, anzi secondo Dionigi d'Alicarnasso anche di quelle della Magna Grecia. Al ritorno dell'ambasciata, dopo un nuovo periodo d'incertezze, essendo morto il console L. Menenio, il suo collega Appio Claudio avrebbe indotto i patrizî ad accedere alla proposta riforma. Si sarebbero così abolite le magistrature ordinarie e i tribuni, sarebbe stato abolito il diritto di provocazione, e si sarebbe nominata per il 451 una magistratura straordinaria, i decemviri legibus scribundis. A tale collegio, composto esclusivamente di patrizî, e che avrebbe preparato dieci tavole di leggi, sarebbe poi succeduto nel 450 un secondo collegio, nel quale alcuni posti sarebbero stati riservati ai plebei; ma avendo questo collegio preparato due tavole di leggi, contenenti disposizioni ritenute inique, come il divieto di connubio fra patrizî e plebei, e non dimostrando i decemviri l'intenzione di abbandonare il potere, sarebbero ricominciati torbidi e sommosse: secondo un'altra versione, cui contrastano però i Fasti Capitolini, i collegi sarebbero stati tre. Ma l'una e l'altra tradizione concordano però nell'affermare che, in seguito ad una serie di atti di prepotenza, sarebbe scoppiata una rivoluzione, favorita da avvenimenti esterni, dopo la quale si sarebbe ripristinata l'antica costituzione, sarebbero stati eletti mediante un interrex i due consoli M. Valerio e M. Orazio, ristabilendosi al tempo stesso il tribunato e la provocazione. I due consoli avrebbero poi pubblicato le leggi decemvirali dette delle dodici tavole e le avrebbero fatte affiggere nel foro. Scomparse durante l'incendio gallico, sarebbero state, secondo una tradizione, ricercate e trovate. Tali leggi avrebbero contenuto quel codice primitivo, che i Romani consideravano come la fonte di tutto il loro diritto pubblico e privato.
Questa tradizione fu per la prima volta attaccata, specialmente per quanto riguarda l'ambasciata in Grecia, da G. B. Vico: poi da George Cornewall Lewis, e in epoca recentissima da E. Pais e da E. Lambert. Il Pais tende a ridurre in confini più ristretti di quelli tradizionali l'attività dei decemviri, ma non mette in dubbio la storicità di questa magistratura straordinaria. Il Lambert invece ritiene che tutta la tradizione sia un'invenzione tarda e che le pretese dodici tavole non siano altro che una collezione di norme consuetudinarie composte attorno al 200 a C. da quello che ne fu il primo commentatore nei suoi Tripertita, e cioè da Sesto Elio Peto Cato. La controversia storica si svolge intorno a due problemi che importa tenere distinti: il primo è quello della storicità, della natura e dello scopo del decemvirato; il secondo è quello dell'indole e del contenuto dell'opera dei decemviri. Circa il primo di questi problemi non è possibile negare il grande numero d'incertezze, di contraddizioni di oscurità contenute nelle diverse versioni. Ma nonostante tali incertezze e contraddizioni, che riguardano soprattutto i particolari e che possono derivare dalla varietà delle fonti degli annalisti, la dottrina, oggi prevalente, che tiene fede alla storicità del decemvirato, può sempre opporre la piena concordia degli autori circa la sostituzione, in un determinato momento, alle magistrature ordinarie di questa magistratura straordinaria dei decemviri legibus scribundis, nonché la coincidenza di questa tradizione concorde coi Fasti Capitolini, nei quali per gli anni 451 e 450 la lista delle magistrature ordinarie è interrotta da due collegi di decemviri. Dall'analisi delle diverse tradizioni appare ancora che lo scopo del decemvirato fosse quello di distruggere il dualismo fra patrizî e plebei e di aequare leges: di sostituire alla duplicità d'organizzazione e di cariche un organismo unico nel quale patrizî e plebei fossero parificati. Il decemvirato corrisponde in tutto a questo fine: si aboliscono i consoli da un lato, i tribuni dall'altro e si affida l'imperium ai decemviri. Si trattava dunque d'una riforma costituzionale: e tale il decemvirato fu considerato da Polibio, da Livio, da Dione Cassio presso Zonara, da Diodoro Siculo, per il quale il nuovo ordinamento sarebbe stato appunto un tentativo non riuscito per stabilire l'uguaglianza fra patrizî e plebei. Per raggiungere tale fine sarebbe stato necessario stabilire su nuovi principî comuni e ugualmente accetti ai due ordini tanto il diritto pubblico quanto il diritto privato. Ma il decemvirato non riusci a tale intento: e le dodici tavole, nella loro redazione primitiva, che subì poi aggiunte, modificazioni, interpolazioni d'ogni genere dovute in gran parte alla trasmissione orale dovettero essere ben lungi dal costituire una codificazione delle norme fondamentali del diritto pubblico e del diritto privato. La rapida caduta del decemvirato e la tradizione riguardante gli eventi successivi dimostrano come con le dodici tavole non si fosse conseguita affatto l'unificazione del diritto privato: e circa il diritto pubblico si può ritenere che la legislazione decemvirale si fosse limitata a fissare i principî essenziali del procedimento civile sia di cognizione sia di esecuzione, nonché una serie di norme di diritto penale.
Bibl.: Per i decemviri litibus iudicandis: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, II, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 605 segg.; M. Wlassak, Römische Prozessgesetze, II, Lipsia 1888, p. 139 segg.; M. Voigt, in Studi in onore di C. Fadda, Napoli 1906, p. 147 segg.; B. Kübler, s. v. Decemviri, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 2260 segg. Per i decemviri agris dandis adsignandis e coloniae deducendae: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, II, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 624 segg.; O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte, I, Lipsia 1885, p. 268. Per i decemviri sacris faciundis: G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, pp. 534 segg., 76, 319 segg., 404, 424, 451; O. Groag, Zeitschrift für die österreichischen Gymnasien, LVI (1905), p. 733 segg. Per i decemviri legibus scribundis: P. de Francisci, Storia del diritto romano, I, Roma 1926, p. 193 segg. ed ivi p. 208, n. 15 segg., tutta la bibliografia, su cui si deve aggiungere K. J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino 1926, p. 236 segg.