Découpage
Il termine découpage è usato in almeno due o tre accezioni, concernenti la tecnica, l'estetica e la teoria del cinema. Esso designa un'operazione tecnica, l'azione di découper (ritagliare) in piani e in sequenze la sceneggiatura di un film, così come il risultato di questa operazione, l'oggetto materiale chiamato découpage tecnico. In seguito un altro significato, derivato dal vocabolario critico e teorico, è venuto ad aggiungersi ai primi due: parlando l'uno di "evoluzione del découpage classico" ed elaborando l'altro la sua "difesa e illustrazione del découpage classico", il critico André Bazin e il cineasta Jean-Luc Godard evocano non uno strumento tecnico ma la stessa struttura audiovisiva del film in tutta la sua complessità, vale a dire la realizzazione concreta del d. tecnico filmato sulla pellicola, montato nel film terminato e visto dallo spettatore.
L'uso di ritagliare (découper) in unità autonome le sceneggiature dei film è apparso molto presto nell'industria del cinema, cioè sin dal 1908-1910, periodo in cui la società Pathé in Francia e poi le prime società di produzione negli Stati Uniti cominciarono a organizzare le operazioni di ripresa in base a criteri industriali. Il ricorso generalizzato al d. fu introdotto, a partire dal 1911, nella fase iniziale della produzione Triangle a Hollywood, dal regista e produttore Thomas Ince, poiché egli non poteva controllare di persona tutte le riprese. Ma il merito di aver conferito uno statuto letterario al d. cinematografico spetta al cineasta e teorico francese Louis Delluc, che nel 1924 pubblicò con il titolo Drames de cinéma una serie di piani numerati descritti da frasi brevi e concise.
L'esistenza del d. è legata a un modo di produzione che si propone di razionalizzare in base a criteri di economicità le fasi del processo di fabbricazione dei film, in modo da poterle controllare più agevolmente. La sceneggiatura scritta, sviluppata in diverse decine di pagine, è così trasformata in una serie di sequenze, a loro volta suddivise in una serie di piani. Questi ultimi sono corredati da un numero, che consente l'identificazione delle riprese e serve da punto di riferimento fino al momento del montaggio, la cui funzione è quella di combinare tra loro i piani.
Durante la cosiddetta epoca 'classica' delle riprese in studio, un sistema che comportava costi orari molto elevati, le produzioni pretendevano un d. tecnico estremamente minuzioso, che poteva giungere a indicare la scala dei piani, la focale dell'obiettivo e i dettagli dei movimenti di macchina. Questa attività di stesura del d. a volte era svolta da un tecnico specializzato chiamato découpeur (o shooting script writer); solo dopo lo svolgimento di tale lavoro lo scenografo ideava la scena in funzione della regia e della luce. Alcuni celebri registi, come per es. Marcel Carné, hanno esordito nel cinema come specialisti di stesura del découpage.L'organizzazione delle riprese ha generalizzato, a partire dagli anni Sessanta, intensificandone la pratica dagli anni Ottanta e Novanta, l'uso degli storyboard, d. tecnici disegnati, concepiti come una sorta di fumetti. Lo storyboard è meno preciso del vecchio d., poiché dà meno spazio alle scelte di focale e di luce. Si tratta in definitiva di schemi grafici in cui sono descritti a grandi linee i piani del film: il ricorso all'informatica consente poi naturalmente di creare dei veri e propri bozzetti audiovisivi del film da realizzare.
L'analisi del ricorso al d. consente di mettere in luce l'esistenza di due grandi tendenze estetiche che attraversano tutta la storia del cinema, e che oppongono i cineasti che tendono a pianificare le riprese a quelli che puntano di più sull''improvvisazione'. Tra i primi, di gran lunga i più numerosi, sono da citare René Clair, Alfred Hitchcock e Stanley Kubrick: questi registi, infatti, ritenevano che la realizzazione di un film fosse analoga all'esecuzione di una partitura già scritta, rappresentata proprio dal découpage. Tra i secondi si devono menzionare Mack Sennett, Jean Renoir, Roberto Rossellini e alcuni cineasti della Nouvelle vague francese, come Jacques Rivette o, limitatamente a certi film, Jean-Luc Godard. I rappresentanti della seconda tendenza concepiscono la sceneggiatura di un film come un 'programma' flessibile che nel corso delle riprese può svilupparsi in direzioni imprevedibili. Questa concezione si manifesta appieno soprattutto nel 'cinema diretto' (v. cinéma vérité), in cui gli attori improvvisano in una certa misura i dialoghi e le performances drammatiche, come, per es., nei film di John Cassavetes, di Jacques Rozier e di Jean Rouch. Ma il culto dell'improvvisazione può essere ritrovato anche nei principi di Dogme 95 formulati da Lars Von Trier. Questa concezione della finzione cinematografica esclude il ricorso a qualsiasi d. dettagliato; essa, del resto, mette in discussione i confini che separano il film 'di finzione' dal film 'documentario'.
Nel rapporto con il d. dunque, è in gioco soprattutto una questione estetica che oppone specularmente, tra i cineasti contemporanei, quelli che privilegiano la programmazione e il controllo assoluti a quelli che coltivano la spontaneità e la libertà di ispirazione.
Sulla scia delle riflessioni critiche di André Bazin e dei suoi epigoni dei "Cahiers du cinéma", il cineasta e teorico del cinema Noël Burch ha approfondito il terzo livello di significato del termine découpage che, al contrario della nozione di découpage tecnico, non riguarda la fase in cui un film, prima di essere realizzato, è rappresentato in forma scritta, ma si riferisce alla "più intrinseca fattura dell'opera finita" (1969, trad. it. 1980, p. 17). In effetti, dal punto di vista tecnico e formale, ogni film montato è una successione di ritagli di tempo e ritagli di spazio. Il d. di cui prende visione lo spettatore è la risultante e il punto di convergenza di un d. dello spazio, o piuttosto di una serie di d. dello spazio realizzati nel corso delle riprese attraverso le operazioni di inquadratura, e di un d. del tempo, in parte previsto nel corso delle riprese e completato poi durante il montaggio. Secondo Burch, è attraverso questa nozione dialettica di d. spazio-temporale che si può definire e quindi analizzare la forma stessa di un film, il suo divenire essenziale.
Analizzando il modo in cui questi d. parziali dello spazio e del tempo si combinano all'interno di un unico d., si finisce per compilare un inventario dei differenti tipi di rapporto che possono esistere tra due messe in scena successive (d. dello spazio attraverso l'inquadratura) da un lato, e tra due durate successive (d. del tempo realizzato attraverso i tagli e il montaggio) dall'altro. I rapporti esistenti tra due piani successivi possono essere continui o discontinui e la discontinuità può essere misurabile o indeterminabile. Combinando tra loro lo spazio, il tempo, la continuità e la discontinuità, Burch giunge a individuare quindici principali tipi di raccordo possibili tra due piani successivi. Il modello di base del d. classico nel film sonoro è rappresentato dalla sequenza dei dialoghi tra due personaggi ripresi in campo/controcampo. In questo caso, i raccordi tra i piani sono fondati sulla continuità (verbale) e la contiguità (spaziale). Questo modello presuppone altri, fondamentali obblighi, come per es. il rispetto delle regole di direzione e di posizione nel caso in cui si voglia porre in evidenza il fatto che i personaggi che parlano si trovano l'uno di fronte all'altro.
Lo stile dei cineasti e le caratteristiche formali delle scuole estetiche si basano in gran parte sui tipi di raccordo che essi tendono a privilegiare. Si può parlare così di uno stile 'classico', fondato sulla continuità e sulla trasparenza visiva, che si opporrebbe a tutti gli altri: arcaico, d'avanguardia, sperimentale, moderno ecc. Il merito di aver messo in luce il ruolo creativo dei raccordi e, più in generale, del montaggio, nella logica della comprensione audiovisiva del film, spetta ai formalisti russi e ai primi cineasti sovietici (come dimostra il caso ormai celebre dell''effetto Kulešov'; v. formalismo e avanguardia sovietica). L'enfatizzazione del significato strutturale del concetto di d. ha svolto del resto un ruolo decisivo nella fase iniziale dell'analisi sequenziale dei film, che coincide con i primi anni Settanta. In effetti, queste analisi estremamente minuziose risultano fondate sull'osservazione della logica interna di successione dei piani, e quindi dei principali tipi di raccordo audiovisivo così come operano nel découpage. La trascrizione esaustiva del d. di un film già montato riveste, altresì, un innegabile valore pedagogico.
A. Bazin, Qu'est-ce que le cinéma?, 1-4, Paris 1958-1962.
N. Burch, Praxis du cinéma, Paris 1969 (trad. it. Parma 1980).
Lectures du film, Paris 1976 (trad. it. Attraverso il cinema: semiologia, lessico, lettura del film, a cura di A. Costa, Milano 1978).
V. Pinel, Vocabulaire technique du cinéma, Paris 1999.