DECRETALI
. Col nome di Decretales (epistolae decretales) si solevano un tempo indicare le costituzioni pontificie di carattere generale, che, redatte in forma di lettera, contenevano spesso norme di diritto. Canonicamente tali norme, emanate dal sommo pontefice, avevano forza obbligatoria per tutti i fedeli, in virtù della sua suprema podestà giurisdizionale, che racchiude in sé il più ampio potere legislativo, tranne il caso che fossero indirizzate a determinate regioni, o a persone di determinata condizione (leggi particolari o speciali). Tale potere non è del tutto illimitato, poiché il papa non può derogare alle leggi di diritto divino, così naturale come positivo: e non è arbitrario, poiché il sommo pontefice tiene per regola delle sue leggi i fini e la natura della Chiesa, e le circostanze e i bisogni del tempo. Tuttavia il papa può derogare alle leggi disciplinari dei suoi predecessori, e al diritto comune stabilito dai concilî ecumenici e dagli stessi apostoli; nonché al diritto locale, anche gallicano. Le decretali hanno però forza di legge soltanto nella parte dispositiva e non in quella storica.
Taluni hanno voluto distinguere le Decretali dai Decreti; in quanto le prime sono promulgate in forma diretta, in rapporto alla domanda di qualcuno, mentre i secondi sono promulgati spontaneamente dal papa. Una simile distinzione è accennata anche nella glossa (ad dictum Gratiani, Dig., III, v. omnes), la quale chiama decretum quello che il papa emana col consiglio dei cardinali e non a richiesta di alcuno; epistola decretalis quella emanata dal papa, o solo o insieme con i cardinali, ma in seguito alla consultazione di qualcuno. Con questa distinzione, il decretum viene a identificarsi con la constitutio, emanata motu proprio, e la decretale col rescritto, che risolve casi particolari in seguito a richiesta; e a ciò accenna anche la glossa alla bolla Rex pacificus, perché l'una e l'altra sono risposte date dal papa. Tuttavia si solevano chiamare decretales queste risposte, allorché erano date per una consultazione, e risolvevano dei dubbî; rescritti, allorché erano date in seguito a una supplica e contenevano concessioni di grazie. Le decretali quindi avrebbero avuto sempre un carattere generale, stabilendo una norma di diritto oggettivo; mentre il rescritto era più propriamente rivolto a far sorgere un diritto singolare. Ma spesso i termini decretum e decretalis furono usati promiscuamente.
Prescindiamo nel presente articolo dalle collezioni non autentiche, sia precedenti (v. compilationes antiquae) sia posteriori (v. estravaganti, decretali) per considerare solo le tre raccolte ufficiali di Gregorio IX, Bonifacio VIII, Clemente V.
Le Decretali di Gregorio IX. - È fama che, fin dal momento della della sua assunzione al pontificato (1227) questo papa avesse in animo di pubblicare una raccolta completa e autentica di decretali, la quale servisse a eliminare quelle che, ad opera di privati, s'erano venute compilando pur dopo il Decretum di Graziano (v.). Ma solo nel 1230 egli incaricò il domenicano S. Raimondo di Peñafort, già maestro a Bologna e allora suo cappellano e penitenziere, di preparare la collezione, che Gregorio IX pubblicò con la bolla Rex pacificus del 5 settembre 1234, inviandola alle università di Bologna e di Parigi. I motivi della collezione, quali sono esposti nella bolla medesima, sono appunto quelli di raccogliere le decretali dei predecessori, fino allora disperse, in un solo corpo, dotato di autorità. Secondo lo Schulte e il Friedberg il pontefice sarebbe stato pure guidato dall'intenzione di collocare definitivamente, anche nella forma esteriore, il diritto canonico all'altezza del diritto romano e di mettere altrettanto definitivamente al riparo da ogni possibile contestazione (a causa del difficile momento storico per il papato) il potere legislativo del pontefice. La collezione (che il papa stesso chiamò compilatio) delle Decretali di Gregorio IX fu paragonata al Codice, come il Decretum di Graziano al Digesto. L'opera è divisa in cinque libri, che trattano differenti materie, secondo l'ordine indicato dal noto verso: iudex, iudicium, clerus, conubia, crimen; comprende 185 titoli (43 nel l. I, 30 nel l. II, 50 nel l. III, 21 nel l. IV, 41 nel l. V) e 1871 capitoli; vi furono inclusi decretali di papi, da Bonifacio I in poi (particolarmente numerose quelle di S. Gregorio Magno, di Alessandro III e di Innocenzo III) fino allo stesso Gregorio IX, e anche, ma in minor numero, canoni di concilî, da quello di Sardica al IV lateranense (1215) e inoltre passi della Bibbia, di opere di santi, e alcuni pochi tolti dalla collezione pseudo-isidoriana, da capitolari franchi, dal diritto romano.
Le decretali non furono tuttavia riportate senza modificazioni, ma spesso per dare ordine alla materia, la medesima decretale, che trattava di materie eterogenee, fu sezionata in diversi frammenti; molte furono abbreviate tralasciando passi meno significativi (cosa indicata con la sigla: et infra); molte infine modificate nel loro tenore, mediante correzioni, aggiunte, omissioni. Si nota insomma, anche qui, lo stesso modo di procedere tenuto dai compilatori del Corpus iuris giustinianeo; e a Raimondo di Peñafort si mossero le stesse critiche che a Triboniano, soprattutto per quanto concerne l'ordine e la chiarezza. Ma nel suo complesso la collezione di Gregorio IX, autentica e universale (cioè emanata dalla suprema potestà legislativa con valore di legge per tutta la Chiesa), una ed esclusiva (perché il papa abolì tutte le collezioni precedenti a eccezione del decreto di Graziano e tolse valore agli stessi originali delle decretali da lui raccolte), incontrò subito il massimo favore; e fu ben presto glossata. La glossa ordinaria fu fissata da Bernardo da Botone, quindi da Giovanni d'Andrea; ma vanno ricordati, tra i glossatori, anche Goffredo da Trani, Sinibaldo dei Fieschi (poi papa Innocenzo IV) e Niccolò dei Tedeschi.
Il fatto che la collezione avesse ricevuto valore di legge per opera di Gregorio IX, fa sì che le decretali in essa raccolte abbiano la stessa autorità, ripetendola tutte da questo fatto; le rubriche hanno valore di legge solo se diano un senso perfetto, altrimenti hanno solo valore dichiarativo; mentre i sommarî e le indicazioni di carattere storico, e dovute a privati, possono valere solo come sussidî all'interpretazione del testo.
Il "Libro VI" di Bonifacio VIII. - È questa la seconda delle collezioni ufficiali. Dal 1234 al 1294 si era infatti andata accumulando una grande quantità di costituzioni pontificie. Alcune di queste Innocenzo IV fece inserire nella collezione delle Decretali di Gregorio IX; di altre, fra il 1246 e il 1251, aveva fatto compilare due raccolte; e, dopo di lui, Gregorio X nel 1274 e Niccolò III nel 1280, compilarono essi pure delle collezioni di decretali; mentre altre venivano raccolte in collezioni private. Ma erano collezioni particolari; e quelle private erano spesso imperfette, e, per di più, trovavano un ostacolo insuperabile nei divieti di Gregorio IX e di altri papi. Perciò Bonifacio VIII, accogliendo i voti di varie università e di autorevoli scrittori, diede incarico a tre prelati: Guglielmo arcivescovo di Embrun, Berengario vescovo di Béziers e Riccardo da Siena, vice-cancelliere della Curia romana, di rivedere diligentemente le costituzioni promulgate dopo la Gregoriana e di riunirle, insieme con diverse di lui stesso, in un libro che, dovendo essere un seguito ai cinque di Gregorio IX, fu detto, dal medesimo Bonifacio, Liber sextus. Però, corrispondendo per le basi e per l'ordinamento della materia alla raccolta di Gregorio IX, fu, com'essa, diviso in cinque libri, i quali comprendono, complessivamente, 76 titoli e 359 capitoli. Alla fine si trovano 88 regulae iuris, tratte dal diritto romano, e attribuite al giurista Dino da Mugello, il quale le ha anche commentate. L'opera, compiuta nel 1298, fu mandata dal papa, con la bolla Sacrosantae Ecclesiae Romanae, del 3 marzo di quell'anno, a varie università fra cui Parigi e Bologna, perché fosse studiata nelle scuole e applicata nei tribunali. Essa contiene i canoni dei due concilî lionesi del 1245 e del 1274; costituzioni di Gregorio IX posteriori alla sua raccolta, di altri papi dopo di lui, e molte emanate da Bonifacio VIII, tra il 1294 e il 1298.
È anch'essa, come la precedente, una collezione autentica e universale, onde i suoi capitoli hanno, nella parte dispositiva, valore di legge per tutta la Chiesa, e abrogano le leggi precedenti a essa contrarie, anche se contenute nella Gregoriana; ed esclusiva, nel senso che le decretali non incluse in essa non hanno più valore, eccetto quelle promulgate dallo stesso Bonifacio, e quelle espressamente riservate. La riserva avviene o per motivo del carattere puramente transitorio di alcune disposizioni, o per la natura che esse hanno di istruzioni e norme esecutive; le quali pertanto non potrebbero essere inserite in un codice. Le decretali riservate sono indicate con la prima parola, ovvero col loro contenuto, e talune, riferentisi a uno stesso argomento, in gruppo. Per conseguenza le costituzioni promulgate fra la raccolta Gregoriana e il Sextus hanno perduto il loro valore, se non sono state incluse in quest'ultimo libro, o riservate. Di quelle accolte, alcune sono riportate integralmente, altre modificate, per lo più generalizzando le disposizioni che in origine erano particolari. Le costituzioni di Bonifacio VIII sono state trasformate e abbreviate in maniera che poco rispondono all'originale. Però la sigla et infra, che è frequente nella Gregoriana, è qui usata rarissime volte. Per il valore dei sommarî e delle rubriche si può ripetere ciò che è stato detto per le Decretali di Gregorio IX. Quanto alle regulae iuris, qualcuno ha ritenuto che non essendo state espressamente rammentate nella costituzione Sacrosanctae, non abbiano alcuna forza di legge; ma altri invece sostiene che esse abbiano il valore che deriva dalla loro origine, poiché furono promulgate insieme con le altre parti della raccolta. Il Liber sextus ha la stessa importanza della Gregoriana, e la presuppone, come presuppone il Decreto di Graziano. L'opera di papa Bonifacio fu ampiamente studiata e commentata nelle scuole, e diede origine a una cospicua letteratura in forma di glosse, summae, breviaria e simili: la Glossa ordinaria è quella di Giovanni d'Andrea (sec. XIV) il quale si valse del proprio apparato e di quelli di Giovanni Monaco e di Guido da Baisio, arricchendola di alcune addizioni. Elia Regnier, nel sec. XV, vi aggiunse alcuni casus et notabilia.
Le Clementine. - Clemente V pubblicò nel concistoro del 21 marzo 1314 (non 1313) una nuova raccolta, che comprendeva, oltre due di Bonifacio VIII e di Urbano IV, le costituzioni da lui emanate e i canoni del Concilio di Vienna. Esse formarono il cosiddetto Liber septimus o Decretali clementine o anche semplicemente Clementine; la raccolta è divisa anch'essa in 5 libri secondo il solito criterio e comprende 52 titoli (11 nel l. I, 12 nel l. II, 17 nel l. III, i nel l. IV, 11 nel l. V) e 106 capitoli, e ha gli stessi caratteri delle due precedenti, ma non è esclusiva. Essendo il pontefice morto poco dopo (20 aprile 1314), a eliminare ogni dubbio intorno alla validità della promulgazione, Giovanni XXII pubblicò nuovamente la raccolta delle clementine, con la costituzione Quoniam nulla, del 25 ottobre 1317. Anche la glossa ordinaria delle Clementine è opera di Giovanni d'Andrea, rimaneggiata poi da Francesco Zabarella (sec. XV). V. anche clementine, costituzioni.
Citazioni. - Le Decretali di Gregorio IX, conosciute dapprima come Extravaoantes e contraddistinte con la sigla X (o Liber extra), si citavano anticamente per lo più indicando le prime parole del capitolo e la rubrica; oggi la citazione piena comprende il numero e le prime parole del capitolo, quindi la sigla X, e finalmente la rubrica, seguita dai numeri che indicano il libro e il titolo: p. es. Suffraganeis alicuius, 11, X, de elect., I, 6; o anche c. 11 (Suffraganeis alicuius) X, de elect., I, 6; il Libro sesto e le Clementine si citano allo stesso modo, omettendo, com'è naturale, la X e facendo rispettivamente seguire alla rubrica o al numero del libro o del titolo le parole in VI o in Clem.; p. es.: c. 2 (si post) de confess. in VI, II, 9.
Ediz.: I manoscritti, di tutte e tre le raccolte sono numerosi e numerose altresì le edizioni, sia anteriori sia posteriori al 1500. Quella che ha valore definitivo è l'edizione romana del 1582 promulgata da Gregorio XIII; sono da ricordare anche quelle dei fratelli Pithou e le più recenti, condotte con intenzioni critiche del Döhner e del Richter nelle loro edizioni del Corpus iuris canonici. La migliore, critica, è quella del Friedberg, nella seconda parte del suo Corpus iuris canonici (II, Lipsia 1881). Il Friedberg riprodusse il testo dell'edizione romana, dichiarata autentica, quindi la sola con valore di legge, ma raccolse le varianti nell'apparato critico. Per le Decretali di Gregorio IX egli inserì nel testo, distinguendole con varî artifici, le parti omesse da Raimondo di Peñafort; per quelle di Bonifacio VIII egli riprodusse in nota il testo delle costituzioni modificate. V. anche: corpus iuris canonici.
Bibl.: Oltre i manuali generali di diritto ecclesiastico e di storia del diritto, vedi: J. F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts von Gratian bis auf die Gegenwart, II, Stoccarda 1877; E. Friedberg, Prolegomena all'ed. del Corpus iur. can., cit.; A. Tardif, Histoire des sources du droit canonique, Parigi 1887; F. Laurin, Introductio in Corpus iuris canonici, Friburgo in B. 1889; F. X. Wernz, Ius decretalium, I, 2ª ed., Roma 1905, p. 162 segg. e 354 segg.; F. Maroto, Institutiones iuris canonici, Madrid-Roma-Barcellona 1919, pp. 72 segg. e 382 segg.; per il Liber sextus: Milles, Die Daterung des Liber sextus Bon. VIII iuncta glossa, in Zeitschrift für kathol. Theologie, XXV (1901), p. 1 segg.; id., Über den Titel der Dekretaliensammlung Bonifaz VIII., Liber Sextus Decretalium Bonifacii Pp. VIII, in Archiv für Katholisches Kirchenrecht, LXXXII (1902), p. 425 segg.