delocalizzazione
Trasferimento del processo produttivo, o di alcune fasi di esso, in aree geografiche o Paesi in cui esistono vantaggi competitivi. Questi consistono generalmente nel minore costo dei fattori produttivi e in particolare della manodopera. Tra i motivi che spingono le imprese alla d. vi sono anche le agevolazioni derivanti dagli incentivi legati a politiche economiche di sviluppo messe in atto da governi locali e nazionali per attirare investimenti diretti esteri, e da un miglioramento dell’efficienza del sistema organizzativo e logistico. La scelta di delocalizzare può anche essere motivata dalla possibilità di sfruttare i benefici che derivano dalla prossimità fisica a mercati più ampi o dinamici, oppure dall’opportunità di migliorare l’accesso a reti di fornitura. La d. implica una frammentazione del processo produttivo, rappresentando di conseguenza un modello di frattura rispetto al sistema di produzione verticalmente integrato di stampo fordista, in cui ogni singola fase di produzione avviene nello stesso luogo.
La d. ha un impatto rilevante sia sul mercato dei beni, sia su quello del lavoro. Sul mercato dei beni si assiste generalmente a un aumento della competitività e a una diminuzione del prezzo dei beni prodotti o assemblati negli stabilimenti dislocati. Sul mercato del lavoro, invece, si osservano variazioni rilevanti nei livelli del salario e dell’occupazione, sia nel Paese di origine, sia in quello di destinazione. Nel Paese di origine i processi di d. portano a una riduzione della domanda di lavoro, spesso a svantaggio dei lavoratori non qualificati, data la propensione a dislocare fasi di produzione a basso valore aggiunto, mentre nel Paese di destinazione si osserva generalmente un incremento dell’occupazione. In entrambi i Paesi, tuttavia, si assiste a un crescente divario salariale tra lavoro qualificato e non qualificato.