DEMITIZZAZIONE
Con tale termine (in tedesco Entmythologisierung) R. Bultmann (v. App. III, 1, p. 271) ha indicato - per la prima volta in uno scritto programmatico (Offenbarung und Heilsgeschehen) pubblicato a Monaco nel 1941 - il procedimento da lui proposto per liberare il messaggio cristiano da ogni elemento mitologico commisto al kerygma negli scritti neotestamentari. In seguito all'ampio dibattito suscitato nel secondo dopoguerra dalle tesi bultmanniane il concetto di d. ha avuto notevole fortuna negli ultimi decenni ed è stato utilizzato sempre più spesso per designare qualsiasi processo di revisione e di critica nei confronti di dottrine, principi e istituti tradizionali, anche al di fuori dell'ambito in cui era stato originariamente formulato.
Appare dunque opportuno precisare che in questa sede tale significato generico del termine non verrà preso in esame, così come, dal punto di vista storico, sarà evitato ogni riferimento ai pur importanti tentativi operati nella medesima direzione di Bultmann ancor prima della sua proposta; in particolare da parte della cultura illuministica.
Per quel che concerne il discorso bultmanniano, è necessario innanzi tutto osservare come la d. nasca non dall'intento di eliminare il mito presente nel Nuovo Testamento, ma piuttosto dal desiderio d'interpretarlo, se possibile, in maniera adeguata alla mentalità non più mitica dell'uomo moderno. In questo senso la d. si configura, secondo quanto lo stesso Bultmann non si è mai stancato di sottolineare, come un'operazione dettata da preoccupazioni ermeneutiche e non sistematiche. Mito, infatti, è per Bultmann tutto ciò che, in generale, mira a esprimere con immagini e linguaggio di carattere mondano una realtà trascendente; esso è perciò di natura essenzialmente cosmologica e, in quanto tale, viene a trovarsi in contraddizione con l'odierna immagine del mondo, basata nei suoi tratti fondamentali sulle acquisizioni e sui principi metodici della scienza. Anche il mito rinvenibile nel Nuovo Testamento non sfugge, a giudizio di Bultmann, a queste regole generali; sicché di fronte a esso sembra oggi necessario chiedersi se al di sotto della forma mitica non si celi una realtà in qualche modo autonoma, e dunque dissociabile, da una visione del mondo definitivamente superata.
A tale decisiva domanda Bultmann risponde in modo positivo, sostenendo che ogni forma di pensiero mitico, e più specificamente quella che si esprime negli scritti neotestamentari, nasconde sotto il rivestimento cosmologico una sua essenza più profonda, che è di natura antropologica. Il mito esprime sempre, in altri termini, una maniera d'intendersi dell'uomo, una valutazione globale della sua vita e della sua posizione nell'universo: è questo il suo vero -nucleo e l'unico elemento che meriti, eventualmente, di essere salvato dalla condanna irreversibile che il pensiero scientifico moderno ha pronunziato nei confronti di ogni visione mitica del mondo. Prende forma così, all'interno della problematica bultmanniana, il fondamentale principio dell'interpretazione esistenziale del mito, dalla cui applicazione è destinato a scaturire il concreto processo di d.: l'interpretazione esistenziale interroga infatti tutto il discorso neotestamentario in vista della comprensione dell'esistenza che in esso indirettamente si esprime, preoccupandosi soltanto di rendere accessibile all'uomo moderno, con lo scartare appunto ogni altro elemento estraneo, il nocciolo di quella comprensione.
Un esame, sia pur sommario, dell'interpretazione esistenziale sviluppata da Bultmann nei confronti della mitologia neotestamentaria non può prescindere ovviamente dalla considerazione dei presupposti basilari della d., individuati con sufficiente unanimità dalla critica nei risultati della ricerca storico-morfologica da un lato e nell'utilizzazione dei concetti filosofici del giovane Heidegger dall'altro. Per quanto concerne il primo punto occorre ricordare come già molti anni prima di pervenire alla formulazione dell'ipotesi demitizzante Bultmann avesse sottolineato, con M. Dibelius e K. L. Schmidt, che lo studio del carattere e dello stile letterario dei Vangeli induceva a ritenere che i Vangeli stessi dovessero essere interpretati non come descrizione di avvenimenti storici, bensì come testimonianza e annunzio di una fede, e cioè - per parlare nel linguaggio della d. - come una forma di comprensione dell'esistenza. Quanto al secondo argomento è necessario far cenno almeno al debito contratto da Bultmann nei confronti della "comprensione di sé" (Selbstverständnis) teorizzata da M. Heidegger in Sein und Zeit. Interpretazione esistenziale significa infatti interpretazione di un testo guidata essenzialmente dalla ricerca della "comprensione di sé" che nel testo stesso l'autore è giunto inconsapevolmente a esprimere; interpretazione esistenziale significa quindi esegesi rivolta a cogliere non il senso manifesto ma quello occulto di un qualsiasi discorso e, per questa via, significa dunque interpretazione demitizzante, in quanto fondata sul rifiuto di ogni aspetto cosmologico che miri a oggettivare quella realtà vissuta nella "comprensione di sé" propria del mito come un qualcosa di assolutamente trascendente e d'inoggettivabile.
Per completare l'esposizione delle linee maestre della riflessione bultmanniana è necessario tuttavia precisare che l'interpretazione demitizzante del Nuovo Testamento proposta dallo studioso di Marburgo non intende esaurirsi in un'opera, sia pur importante, di chiarificazione scientifica, ma aspira a toccare una dimensione più radicale dell'esistenza, dal momento che guarda in primo luogo al comportamento dell'uomo moderno e alla possibilità di offrirgli un'effettiva scelta di carattere esistentivo. Mentre infatti, secondo Bultmann, il kerygma cristiano risulta assolutamente inaccessibile, nella sua forma tradizionale, all'uomo moderno, poiché è celato da un rivestimento mitologico che non può essere oggetto di scelta, ma la cui accettazione o il cui rifiuto sono soltanto frutto di condizionamenti storici precisi, lo stesso kerygma può, nella sua forma demitizzata, divenire materia d'una opzione, dal momento che in esso giunge a esprimersi una maniera di comprendere l'esistenza, rispetto a cui anche l'uomo d'oggi è chiamato a prendere posizione.
Ridotta ai suoi elementi essenziali la comprensione cristiana dell'esistenza quale emerge dal processo di d. è infatti una comprensione rigorosamente dualistica, che mira a porre l'individuo di fronte a una radicale alternativa: la scelta di un'esistenza autentica o l'accettazione della quotidiana inautenticità. Autentica, da questo punto di vista, è la comprensione dell'esistenza fondata sul riconoscimento del carattere finito e labile dell'esistenza stessa, che può ottenere il suo riscatto solo attraverso un'incondizionata apertura al futuro, resa possibile dalla consapevolezza della vanità di ogni fiducia nel passato o nell'esperienza presente; inautentica, invece, è l'abituale convinzione di poter dare senso al proprio esistere fidando su ciò che si possiede, si realizza o s'insegue nell'ambito del mondano e che, proprio per questo, è destinato a finire nell'insignificanza e nello scacco. Il Nuovo Testamento parla, mitologicamente, di vita nel peccato, per contrapporre a essa la vita nella fede e solo a quest'ultima riconosce la possibilità di superare la finitezza connaturata all'esistenza. In maniera non dissimile anche Bultmann attribuisce all'esistenza autentica la capacità di vincere i suoi limiti, dal momento che l'incondizionata apertura al futuro segna, a suo avviso, la fine di ogni angoscia mondana, non esclusa quella della morte.
Il problema che la d. bultmanniana si trova tuttavia dinanzi nella fase conclusiva della sua elaborazione è costituito dal fatto che essa non può ignorare come anche la filosofia, e soprattutto la filosofia dell'esistenza, si presenti all'uomo di oggi con la pretesa d'indicargli forme di esistenza autentica, che minacciano pertanto di rendere superfluo il ricorso a ogni tipo di messaggio religioso. È in particolare l'heideggeriano "essere-perla-morte" che appare come la teorizzazione di un'esistenza resa significativa dalla capacità di accogliere in sé il futuro e che rischia così di svuotare il kerygma cristiano, promettendo all'uomo quella stessa esistenza autentica che in precedenza era stata prospettata come frutto esclusivo e peculiare della visione cristiana della vita. Da questo punto di vista la d. bultmanniana si può dire trovi una coerente prosecuzione nell'idea, sostenuta esplicitamente da F. Buri, di dekerygmatizzare il cristianesimo, risolvendo in sostanza i principi e gli asserti fondamentali della religione in quelli della filosofia. Al riguardo è necessario tuttavia sottolineare come Bultmann rifiuti di trarre dal suo pensiero queste più radicali conclusioni e sostenga invece che la filosofia dell'esistenza ha solo in linea di principio, non in linea di fatto, la possibilità d'indicare all'uomo i modi dell'esistenza autentica. Se ciò accade, tale circostanza significa, per il teorico della d., che la filosofia dell'esistenza per un verso elabora la sua visione dell'uomo in stretta dipendenza dalla concezione neotestamentaria, per l'altro che essa rappresenta un sapere esclusivamente teorico, capace di additare la via che l'individuo deve seguire per liberarsi veramente del suo passato e del presente, ma del tutto inidonea a rendere tale strada percorribile, a consentire cioè una sua vera apertura al futuro. Tale apertura, infatti, può essere - a giudizio di Bultmann - soltanto il frutto di un evento, non di una riflessione o di una scelta, legate sempre, per un verso o per l'altro, alle capacità dell'individuo, mentre nell'idea di un'apertura radicale è sempre pensata la rinunzia a tutto ciò che proviene dall'uomo stesso ed è implicito dunque l'accoglimento di una salvezza offerta dall'esterno, che solo così può rappresentare il definitivo superamento dell'orizzonte mondano e della finitezza ad esso indissolubilmente congiunta.
Bibl.: I documenti più importanti della polemica sulla d. in Autori vari, Kerygma und Mythos, a cura di H. W. Bartsch, 5 voll., Amburgo 1948-1955; la parziale trad. it. in Autori vari, Il dibattito sul mito, I, a cura di G. Conte, Roma 1969. Il "manifesto" bultmanniano si trova anche in R. Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia, a cura di I. Mancini, Brescia 1970. Nell'ampia letteratura critica si segnalano: K. Barth, Rudolf Bultmann. Ein Versuch ihn zu verstehen, Zurigo 1953 (trad. it. in Autori vari, Capire Bultmann, a cura di L. Tosti, Torino 1971, pp. 137-96); K. Jaspers, R. Bultmann, Die Frage der Entmythologisierung, Monaco 1954; G. Miegge, L'evangelo e il mito nel pensiero di Rudolf Bultmann, Milano 1956; A. Caracciolo, Studi jaspersiani, ivi 1958; Autori vari, Il problema della d., a cura di E. Castelli, Padova 1961; F. Bianco, Distruzione e riconquista del mito, Milano 1962; I. Mancini, Linguaggio e salvezza, ivi 1963; A. Babolin, Mito-Precomprensione-Storia nella d. bultmanniana, Bologna 1964; W. Schmitals, Die Theologie Rudolf Bultmanns. Eine Einführung, Tubinga 1965; V. Mehta, The New Theologian, Londra 1965 (trad. it. a cura di M. Ranchetti, Torino 1969); B. Lorenzmeier, Exegese und Hermeneutik. Eine vergleichende Darstellung der Theologie Rudolf Bultmanns, Herbert Brauns und Gerard Ebelings, Amburgo 1968; E. Castelli, La critica della d., Padova 1972; R. A. Johnson, The origins of demythologizing, Leida 1974.