desinenze
Per desinenze, nella grammatica tradizionale, s’intendono le terminazioni delle parti del discorso variabili (➔ parti del discorso), che in genere recano informazione morfologica di natura flessiva (➔ flessione). Il termine, già in uso nella grammatica latina, allude al fatto che questi morfemi si trovano alla fine della parola (lat. dēsinere «terminare»).
Oggi si preferisce per vari motivi parlare di morfemi (o suffissi, nel caso ricorrano dopo la radice lessicale) flessivi. Innanzi tutto, il termine desinenza fa genericamente riferimento al fatto che questi suffissi si collocano nella parte finale di una parola. Oltre al fatto che ciò non è sempre vero (così nel plurale di composti come capimafia), non è detto che i morfemi flessivi, che in italiano sono in genere suffissi, in altre lingue non possano essere prefissi: si pensi, ad es., all’aumento che il greco antico usava per formare l’imperfetto: lyō «sciolgo» contro è-lyon «scioglievo». Chiaramente, l’aumento, preposto com’è alla radice, non può essere considerato una desinenza; poi, a parte la posizione, non sembra che sussistano differenze tra il suffisso italiano di imperfetto -v- e il prefisso greco e-. Inoltre, in italiano le desinenze possono essere scomposte in una serie di segmenti, sicché, ad es., in parlavano si riconoscono almeno tre suffissi flessivi: -a-, -va- e -no. Sono da considerare tutte desinenze? Oppure a rigore solo -no è la desinenza, in quanto ‘termina’ la parola?
Pur con queste cautele, l’uso del termine desinenza può però tornare utile quando si vuol far riferimento al complesso di marche flessive suffissali di una forma di parola, senza indicarne l’esatta segmentazione. In questo senso, desinenza (e l’omologo francese désinence) corrisponde all’inglese ending, tedesco Endung, e indica genericamente un suffisso flessivo, spesso di tipo cumulativo. Con quest’ultimo termine si intende il fatto che un morfema ‘cumula’ più di un significato, come in parl-a in cui la -a cumula il significato di «terza persona» con quello di «numero singolare». Si parla anche di amalgama (Thornton 2005: 79), che corrisponde all’inglese portmanteau (morph), termine originariamente usato dallo scrittore ottocentesco Lewis Carroll (l’autore di Alice nel paese delle meraviglie), per indicare le ➔ parole macedonia, ma oggi usato prevalentemente per indicare morfemi cumulativi.
La presenza di morfemi cumulativi caratterizza il tipo linguistico fusivo rispetto a quello agglutinante, sulla base del cosiddetto indice di sintesi, già proposto da J. Greenberg (1954), che calcola il numero di morfemi per parola. L’impiego di questo metodo, apparentemente semplice, non è privo di difficoltà. Ad es., nella forma parla vista sopra, in realtà sono presenti anche i significati «indicativo» e «presente»: sono da attribuire al suffisso -a? Oppure a un supposto suffisso zero, foneticamente vuoto? Oppure, infine, si deve pensare che la forma parla è automaticamente interpretata come presente e indicativo in quanto non sono ci sono altri morfemi che indichino il contrario? Quest’ultima interpretazione presuppone il concetto di forma di default, che si utilizza quando nessuna regola più specifica richiede la selezione di un’altra forma (Thornton 2005: 131). Chiaramente il calcolo dell’indice di sintesi varia considerevolmente a seconda dell’interpretazione scelta.
Un altro caso problematico per la segmentazione delle desinenze è dato dalla cosiddetta vocale tematica (➔ coniugazione verbale), che troviamo in forme come parl-a-v-a, tem-e-v-a e dorm-i-v-a. Mentre -v- e -a hanno un valore morfologico abbastanza facilmente individuabile (rispettivamente «imperfetto» e «terza persona singolare»), le tre vocali tematiche -a-, -e- e -i- non ‘significano’ nulla di paragonabile, perché danno solo indicazioni sulla coniugazione a cui il verbo appartiene: ad es., -a- dice che il participio passato è formato per mezzo del suffisso -to: parlato, -e- dice che è formato per mezzo del suffisso -uto: temuto. Non è chiaro se le vocali tematiche e gli altri suffissi flessivi debbano essere trattati allo stesso modo (Thornton 2005: 68).
Infine, un caso parzialmente diverso di cumulo è dato dalla cosiddetta segnalazione estesa, in cui un significato morfologico viene espresso in maniera molteplice in una forma di parola (Thornton 2005: 84): ad es., il significato di -a è stato indicato come «terza persona singolare»: però sappiamo che questo suffisso codifica anche il valore di «imperfetto», segnalato anche da -v-, perché distingue la terza persona singolare di temev-a da quella del presente (tem-e), del futuro (temer-à), ecc. In altre parole, la desinenza -eva «cumula» vari significati morfologici, tra i quali contiamo «imperfetto», «terza persona», «singolare» e «seconda coniugazione», benché quest’ultimo sia di natura diversa rispetto agli altri.
Greenberg, Joseph (1954), A quantitative approach to the morphological typology of language, in Method and perspective in anthropology. Papers in honor of Wilson D. Wallis, edited by R.F. Spencer, Minneapolis, University of Minnesota Press, pp. 192-220.
Thornton, Anna M. (2005), Morfologia, Roma, Carocci.