friulani, dialetti
Il friulano ha un ruolo peculiare tra le varietà dialettali dell’Italia. Si tratta di un idioma romanzo, che ha caratteri comuni con gli altri dialetti settentrionali, ma anche fenomeni originali che gli conferiscono un profilo autonomo. Grazie a questa specificità, assunta dalla comunità dei parlanti come espressione di identità storico-culturale, il friulano ha acquisito lo statuto di lingua minoritaria, e come tale è stato inserito tra le lingue cui si applicano le norme previste dalla legislazione nazionale in materia di tutela delle ➔ minoranze linguistiche.
Il territorio linguisticamente friulano corrisponde alla maggior parte della regione del Friuli-Venezia Giulia, che occupa l’area nordorientale dell’Italia e ha come confini a nord l’Austria, a est la Slovenia, a sud il Mare Adriatico e a ovest (lungo il corso del fiume Livenza) il Veneto. I confini linguistici non sono però del tutto coincidenti con quelli amministrativi (fig. 1): nella fascia orientale del Friuli e nella Venezia Giulia si parlano infatti varietà slovene (➔ slovena, comunità); nell’estrema area nordorientale, dove confluiscono i confini con Austria e Slovenia, si ha una situazione di plurilinguismo con friulano, sloveno e tedesco. In due punti isolati della Carnia (Sauris/Zahre e Timau/Tischelwang) sono ancora presenti varietà tedesche (➔ tedesca, comunità); nella zona di confine occidentale, il veneto è penetrato in territorio friulano. Varietà venete, presumibilmente autoctone, si parlano in due punti della costa adriatica, Marano Lagunare e Grado, nonché nell’entroterra di Monfalcone (il cosiddetto bisiacco). Sono parzialmente venetofoni anche i maggiori centri urbani della regione (Udine, Cividale, Palmanova, Gorizia, Pordenone, ecc.), ove il veneto è stato importato durante la dominazione veneziana del Friuli (1420-1797). È venetofona Trieste, dove però fino alla fine del XVIII secolo si parlava una varietà di tipo friulaneggiante (il cosiddetto tergestino), poi scomparsa.
Secondo l’indagine sociolinguistica di Picco (2001), nell’area identificata come friulanofona i parlanti che utilizzano regolarmente il friulano sono circa 430.000 e rappresentano il 57,2% della popolazione, a cui va aggiunta un’ulteriore percentuale del 20,3% che conosce in qualche misura il friulano e lo usa occasionalmente. A questi vanno aggiunti i friulanofoni che sono emigrati, a partire dalla fine del XIX secolo e in periodi diversi del XX, in molti paesi del mondo (Romania, Germania, Canada, Argentina, Australia, ecc.).
Benché il friulano mostri ancora notevole vitalità, la stessa ricerca rileva che, rispetto a rilevazioni precedenti, esso registra un regresso di circa l’1% l’anno, e il suo uso decresce col passare da una generazione all’altra (fig. 2).
La peculiarità del friulano tra le parlate dialettali dell’Italia settentrionale è stata messa in luce in concomitanza con l’individuazione di una serie di fenomeni comuni a un gruppo di varietà romanze settentrionali, a cui è stato dato il nome di ladino o retoromanzo.
Dal momento che le parlate cosiddette ladine non sono un gruppo omogeneo e unitario, ma sono distribuite in un territorio discontinuo – il romancio o ladino occidentale nel Cantone dei Grigioni, in Svizzera; il ladino centrale o dolomitico in alcune valli tra l’Alto Adige, il Trentino e il Bellunese (➔ ladina, comunità) e il friulano –, sono state avanzate diverse ipotesi per rendere conto di queste affinità. Allo stato presente degli studi, l’ipotesi più plausibile è che queste aree fossero ‘periferiche’, dal punto di vista storico-politico-culturale, e dunque anche linguistico, e che come tali abbiano indipendentemente conservato fasi linguistiche condivise un tempo con gli altri dialetti settentrionali. Mentre il resto dell’Italia settentrionale è stato sottoposto a successive innovazioni che ne hanno mutato la fisionomia dialettale, nelle aree ladine tali cambiamenti non sono avvenuti o sono avvenuti in modo peculiare (G. B. Pellegrini 1991).
Per quanto riguarda il Friuli in particolare, se non è possibile sostenere l’ipotesi di un isolamento geografico (il Friuli, nella sua parte centro-merid., occupa un’ampia zona pianeggiante, senza soluzione di continuità con la pianura veneta), ben diverso è il discorso sul piano storico-politico-culturale. Come è stato dimostrato da Francescato & Salimbeni (1976), il Friuli partecipò solo marginalmente al processo di cambiamento nei secoli dopo il 1000, con il sorgere e fiorire dei Comuni, in quanto, come Patriarcato di Aquileia, continuò ancora a lungo (fino al 1420, quando passò sotto il dominio della Repubblica di Venezia) a far parte del sistema feudale del Sacro Romano Impero.
Il friulano è un sistema linguistico sostanzialmente unitario per quanto riguarda i principali caratteri. Ciò nonostante si possono individuare ben definite varietà interne, delle quali quelle meglio delineate hanno una distribuzione territoriale che riproduce le antiche circoscrizioni municipali romane (poi convertite in diocesi). Ciascuna di queste aree dialettali comprende poi al suo interno ulteriori sottovarietà (Francescato 1966: 91-125; Frau 1989). Le principali varietà in cui è suddivisa l’area friulana sono le seguenti (fig. 3):
(a) il friulano centro-orientale, corrispondente al territorio della diocesi di Aquileia, il più diffuso e quello che è stato assunto per lo più come modello per gli usi ufficiali, scritti e letterari;
(b) il friulano carnico, che ricopre l’area alpina settentrionale, dipendente nell’antichità dal municipio di Iulium Carnicum (Zuglio), la varietà più conservativa;
(c) il friulano occidentale (o concordiese), corrispondente alla diocesi di Concordia, parlato nella zona a ovest del fiume Tagliamento, per alcuni aspetti il più innovativo (anche per l’influenza del confinante veneto).
I tratti che, a partire dai Saggi ladini di G.I. Ascoli (1873), sono considerati come tipici delle varietà ladine e dunque anche del friulano, sono fenomeni fonologici diacronici che riguardano particolari sviluppi consonantici a partire dal latino:
(a) la palatalizzazione delle consonanti velari /k/ e /g/ davanti ad -a, che, in posizione iniziale e postconsonantica, dà origine alle occlusive prepalatali [c] e [ɟ]: per es., [ˈcaze] «casa», [ɟat] «gatto», [ˈsece] «secca», [ˈmosce] «mosca», [ˈlarɟe] «larga», [ˈlunɟe] «lunga», ecc. (nelle varietà urbane innovative le prepalatali sono evolute alle affricate postalveolari [tʃ] e [dʒ]);
(b) la conservazione dei nessi di consonante + l, rispetto all’ital. e ai dialetti settentrionali in cui l → j: [blaŋk] «bianco», [floːr] «fiore», [klaːf] «chiave», [ˈploe] «pioggia», ecc.;
(c) la conservazione di -s (desinenza latina) come morfema di plurale e come desinenza di seconda persona sing. e pl. nelle forme verbali: per es. [floːrs] < flōres, [ˈcazis] < casas, [muːrs] < mūros, [ˈcantis] < cantas, [canˈtajs] < cantatis.
Se questi tratti gli assegnano una posizione peculiare in ambito italiano, per altri fenomeni il friulano si inserisce invece pienamente nel panorama dei dialetti settentrionali, in contrasto col toscano e con i dialetti centro-meridionali. I tratti rilevanti sono i seguenti:
(a) l’assenza delle consonanti geminate;
(b) la lenizione delle consonanti intervocaliche del latino: ad es. [canˈtade] < cantata(m), [ˈskove] < scōpa(m), [aˈvonde] < abŭnda(t) «abbastanza», ecc.
Per altri fenomeni ancora, il friulano va piuttosto inserito tra i dialetti cosiddetti gallo-italici (lombardo, piemontese, ecc.), in opposizione al vicino veneto; per es., a causa della caduta delle vocali atone finali del latino diverse da -a le parole friulane ammettono consonanti ostruenti in posizione finale: [naːs] < nasu(m), [neːf] < nĭve(m) (dove si nota anche un altro tratto tipico del friulano, vale a dire la desonorizzazione delle consonanti ostruenti in fine di parola), [vinc] < vigīnti.
Ma l’aspetto più notevole e caratteristico del sistema fonologico friulano, che non trova riscontri così sistematici fuori dal dominio friulano, riguarda il sistema delle vocali toniche: il friulano presenta infatti una doppia serie di vocali toniche, brevi e lunghe, e l’opposizione di lunghezza ha valore fonologico, in quanto dà origine a coppie minime (➔ coppia minima) come le seguenti: [laːt] «andato» ~ [lat] «latte», [luːs] «luce» ~ [lus] «lusso», [vaːl] «vale» ~ [val] «valle».
La formazione delle vocali lunghe è il risultato di un’innovazione che ha modificato il sistema vocalico del friulano rispetto all’iniziale sistema delle vocali toniche del latino volgare. Si sono cioè allungate le vocali, originariamente in sillaba aperta latina, che, a causa della caduta delle vocali atone finali diverse da -a, si sono trovate in sillaba chiusa finale friulana («posizione forte», nella definizione di Francescato 1966: 130-143). In ogni altra posizione (cioè in sillaba chiusa friulana < sillaba chiusa latina, o in sillaba aperta friulana) le vocali sono brevi, cioè in «posizione debole». Da notare che le vocali ĕ e ŏ latine in posizione debole dittongano rispettivamente in [je] e [we]: pĕtra(m) > [ˈpjere], sĕptem > [sjet], schŏla(m) > [ˈskwele], ŏssu(m) > [wes].
La suddivisione tra vocali in posizione forte e debole è rispettata in tutta l’area friulana, anche se gli esiti possono essere diversi a seconda delle varietà: ad es., nel friulano carnico al posto delle [eː] e [oː] si hanno i dittonghi [ej] e [ow], nel friulano occidentale le vocali lunghe sono state eliminate dal sistema, ma rimane comunque la distinzione tra posizione forte e posizione debole.
Per quanto riguarda il vocalismo atono finale, in posizione finale si conserva solo la vocale che continua -a: l’esito più diffuso è una [e]: [ˈbjele] «bella», [ˈcante] «canta», ecc. Nel friulano occidentale, orientale e in parte del carnico, si mantiene invece la [a] (in alcuni punti isolati della Carnia, l’esito è [o]: [ˈcazo] «casa»).
Tra gli aspetti più rilevanti della morfosintassi vanno citati i seguenti:
(a) nella morfologia nominale, per quanto riguarda la formazione del plurale esistono due modalità:
(i) plurale sigmatico (tipico dell’area romanza occidentale), che è quello non marcato e più frequente: [muːrs] «muri», [blaŋks] «bianchi», [maʦ] «matti» (con ulteriore passaggio [ʦ] → [s] nelle varietà urbane innovative), [mans] «mani», [ˈcazis] «case» (sing. [ˈcaze]);
(ii) plurale palatale, per una classe lessicale particolare di parole maschili (appartenenti alla seconda declinazione latina) terminanti nelle consonanti coronali -t, -n, -l (e nelle varietà conservative, ad es. nel carnico, anche -s), che consiste nel sostituire alla coronale la palatale corrispondente: [tant] / [tanc] «tanto / tanti», [aŋ] / [aɲ] «anno / anni», [caˈval] / [caˈvaj] (con [j] < [ʎ]) «cavallo / cavalli», ecc.;
(b) nella morfologia verbale sono fenomeni degni di nota:
(i) le desinenze della prima persona sing. del presente indicativo: -i nella prima coniugazione ([ˈcanti] «canto»), Ø nelle altre coniugazioni ([bat] «batto», [taːs] «taccio», [sint] «sento»);
(ii) la distinzione tra la seconda persona pl. dell’indicativo presente e dell’imperativo: indic. [canˈtajs] (< cantatis) ~ imperat. [canˈtajt] (< cantate);
(iii) la forma del condizionale in -arès-: prima e terza sing. [cantaˈrɛs], seconda sing. [cantaˈrɛsis], ecc.
(c) nel sistema pronominale, il friulano presenta per la prima e seconda persona sing. tre forme diversificate di pronomi liberi e tonici a seconda del caso: jo e tu nominativo; mi e ti dativo, a indicare l’oggetto indiretto retto dalla preposizione a (a mi, a ti); me e te in dipendenza da un verbo (oggetto diretto) o da preposizioni diverse da a.
Nell’ambito del sistema dei pronomi clitici e atoni, il friulano si allinea con gli altri dialetti settentrionali in quanto possiede, oltre ai tonici, anche una serie di clitici con funzione di soggetto.
Le forme più diffuse, presenti in tutte le persone, sono:
prima sing. o
seconda sing. tu
terza sing. al (m.) / e (f.)
prima pl. o
seconda pl. o
terza pl. a (ma le forme variano a seconda delle varietà)
I pronomi soggetto clitici si usano obbligatoriamente in ogni occorrenza verbale, anche se il soggetto è già espresso da un elemento nominale o da un pronome tonico: ad es. (lui / Toni) al cante ben «(lui / Toni) canta bene».
Esistono infine delle forme pronominali enclitiche in posizione postverbale nella flessione interrogativa: ad es. càntjo?, càntistu, càntjal (m.)? / cantje (f.)?, cantìno?, cantàjzo?, càntino? «canto?, canti?, ecc.».
I tratti tipici del friulano si riflettono anche nell’➔italiano regionale dei friulani, in particolare nel registro informale e trascurato (Marcato 2001: 64-80). Nella fonetica, a parte l’intonazione (su cui esistono però ancora troppo pochi studi per trarre considerazioni generali), anche in Friuli, come in molte pronunce settentrionali in genere, è comune ad es. la tendenza a non pronunciare le consonanti geminate e a realizzare sempre sonore sia la sibilante alveolare intervocalica ([ˈkaza], [ˈrɔza], ecc.), che l’affricata alveolare a inizio di parola ([ˈʣukːero], [ˈʣio]).
È invece tipicamente friulana la pronuncia nettamente più bassa e centralizzata ([ɪ] e [ʊ]), rispetto all’italiano, delle vocali alte quando sono brevi, specialmente in sillaba chiusa, come in [ˈfrɪtːo] o [ˈbrʊtːo].
Nella morfologia (Scalco 1986) si osserva tra l’altro che:
(a) per quanto riguarda l’uso delle preposizioni, al posto dell’italiano da con valore locativo si utilizza spesso il tipo friulano là/ lì di: vado là di Maria, ci vediamo lì del tuo amico;
(b) per i pronomi, si nota che come clitico dativo sing. si usa spesso le anche per il maschile (in friulano esiste la sola forma i per entrambi i generi, mentre c’è ur < illōrum per il pl.); il clitico riflessivo di prima pl. ci viene spesso sostituito da si: si siamo visti ieri. L’assenza in friulano del clitico locativo corrispondente all’ital. ci si riflette anche nell’italiano, dove ci viene talora omesso, specialmente nella costruzione locativo-esistenziale: non è nessuno lì (= «non c’è …»), non sono più posti (= «non ci sono …»);
(c) l’imperativo negativo si fa con la perifrasi non stare / state a + infinito: non stare / state a far rumore.
Numerosi sono anche i calchi sintattici sul friulano, tra cui si possono citare:
(a) l’➔ accordo del participio passato con l’oggetto diretto, anche quando questo è costituito da un elemento nominale, possibile in friulano: hai vista la partita?;
(b) la ripresa di un oggetto indiretto nominale con il pronome clitico dativo, obbligatoria in friulano: gli ha dato il libro a Gianni, le ho detto a Maria che ho fame;
(c) l’uso di introduttori di frasi subordinate costituiti dalla congiunzione subordinante + il complementatore che: siccome che, quando che, sebbene che, ecc.
Naturalmente anche il lessico risulta influenzato dal friulano; per citare soltanto qualche esempio: aria «vento», cragna / cragnoso «sudiciume / sporco», usato «abituato», disfreddare «raffreddare», ecc., o, tra le locuzioni, a stupido via «stupidamente», dietro mano «di seguito», essere buono di «essere capace di», tornare a + infinito (con valore iterativo: torna a farlo «fallo di nuovo»), ecc.
I più antichi usi scritti del friulano sono documentati a partire dalla fine del XIII secolo, e sono costituiti da testi di carattere pratico-amministrativo (Vicario 2006). Le più antiche attestazioni letterarie sono invece della fine del XIV - inizio del XV secolo, epoca a cui risalgono alcuni componimenti di genere amoroso nella tradizione della lirica provenzale, provenienti per lo più da Cividale (R. Pellegrini 1987: 56-71).
L’uso letterario del friulano ebbe uno sviluppo importante nel Cinquecento, con alcuni scrittori provenienti da diverse aree del Friuli (Giovan Battista Donato, Girolamo Sini, Girolamo Biancone, Nicolò Morlupino). Ma è il Seicento il secolo in cui si affermarono personalità letterarie di spicco, come Eusebio Stella (di Spilimbergo) ed Ermes di Colloredo, che viene considerato il vero iniziatore della letteratura friulana, e che, adottando come lingua poetica il friulano centrale, gettò le basi di quella che diventò una sorta di koinè letteraria friulana.
Nell’Ottocento la produzione letteraria assume proporzioni sempre più rilevanti, grazie a due tra gli autori più noti della letteratura friulana, Pietro Zorutti e Caterina Percoto, il primo autore prolifico di versi di varia ispirazione raccolti negli ‘almanacchi’ (Strolic furlan), pubblicati annualmente e con una grande diffusione; la seconda autrice di prose realistiche (in friulano e in italiano) con finalità educative.
A partire dalla metà del Novecento la letteratura friulana (la poesia soprattutto) ha avuto una fase di deciso rinnovamento grazie alla nascita negli anni Quaranta di due gruppi letterari, la Risultive («Acquasorgiva»), fondata da Giuseppe Marchetti (notevole studioso del friulano e autore, tra l’altro, della prima importante grammatica friulana nel 1952), e l’Academiuta di lenga furlana, istituita da ➔ Pier Paolo Pasolini. Gli scrittori che fanno capo a Risultive mantengono l’uso della koinè basata sulla varietà centrale, mentre Pasolini e i suoi seguaci propongono che ogni autore scriva nella propria varietà di friulano, come fa lo stesso Pasolini scrivendo le sue poesie nella varietà occidentale di Casarsa.
Le due linee convivono al presente: nel panorama della fiorente produzione poetica in friulano, accanto per es. a Ida Vallerugo che scrive nella koinè, autori come Novella Cantarutti, Amedeo Giacomini, Leonardo Zannier, Federico Tavan o Pierluigi Cappello che utilizzano come lingua poetica quella della propria varietà.
Nell’ambito delle tradizioni popolari friulane (Nicoloso Ciceri 1985), accanto a racconti, filastrocche, proverbi e altre produzioni orali, particolare rilievo assume la musica di tradizione orale. Accanto a canti liturgici su testi in latino, eseguiti tuttora specialmente in Carnia, vanno soprattutto citati i tipici canti friulani chiamati villotte. Si tratta di composizioni eseguite normalmente in coro, di argomento lirico-amoroso o satirico, che sono documentate a partire dal XVII secolo (ma la loro origine va presumibilmente retrodatata).
Il friulano, come è normale per le lingue locali, è sostanzialmente una lingua orale. Ciò nonostante, il problema di creare una grafia unitaria e coerente del friulano è presente in tutta la storia dei suoi usi scritti, con particolare riguardo per l’uso letterario (Moretti 1985).
La prima proposta sistematica di grafia fu quella elaborata da Ugo Pellis nel 1920 per la Società filologica friulana, basata sul friulano centrale della koinè letteraria: successivamente ritoccata, è diventata la grafia più usata, anche se nel frattempo sono state avanzate altre proposte. Nel 1986 sono state elaborate le norme di quella che è stata adottata come la Grafie ufficiâl de lenghe furlane (2002), in virtù della legge regionale 15/1996: «Norme per la tutela e la promozione della lingua e della cultura friulane». L’intento non è solo quello di diffondere una grafia il più possibile unitaria, ma anche quello di promuovere in generale l’uso di un friulano ‘comune’, standard, basato sulla varietà centrale.
Queste ed altre iniziative di politica linguistica hanno trovato stimolo anche nel fatto che il friulano è compreso tra le lingue minoritarie cui si riferisce la legge dello Stato 482/1999: «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», che prevede tra l’altro la possibilità di introdurre la lingua tutelata, il friulano in questo caso, nella scuola, nella comunicazione e nella pubblica amministrazione.
Francescato, Giuseppe (1966), Dialettologia friulana, Udine, Doretti.
Francescato, Giuseppe & Salimbeni, Fulvio (1976), Storia, lingua e società in Friuli, Udine, Casamassima (2a ed. Roma, Il Calamo, 2004).
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Marcato, Carla (2001), Friuli Venezia Giulia, Roma - Bari, Laterza.
Moretti, Aldo (1985), La grafia della lingua friulana, Udine, Ribis.
Nicoloso Ciceri, Andreina (1985), Tradizioni popolari in Friuli, Reana del Rojale (Udine), Chiandetti, 2 voll.
Pellegrini, Giovanni Battista (1991), La genesi del retoromanzo (o ladino), Tübingen, Niemeyer.
Pellegrini, Rienzo (1987), Tra lingua e letteratura. Per una storia degli usi scritti del friulano, Tavagnacco (Udine), Casamassima.
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Vicario, Federico (2006), Fonti documentarie tardomedievali e studi lessicografici sul friulano, in Lessicografia dialettale. Ricordando Paolo Zolli. Atti del Convegno di studi (Venezia, 9-11 dicembre 2004), a cura di F. Bruni & C. Marcato, Roma - Padova, Antenore, 2 voll., vol. 1º, pp. 189-200.