lombardi, dialetti
L’estensione dell’area dialettale comunemente definita lombarda si sovrappone solo parzialmente a quella dell’odierna Lombardia amministrativa. Ciò è certamente in relazione con la storia del territorio, caratterizzato fin dall’epoca preromana dal fatto di essere attraversato da importanti confini politici. Se infatti già prima della latinizzazione l’Adda aveva rappresentato il confine fra le tribù galliche degli Insubri e dei Cenomani, con l’ordinamento augusteo fu l’Oglio a separare la X Regio (Transpadana) dalla XI (Venetia et Histria). Ma con la riforma di Diocleziano le due regioni furono di nuovo separate dall’Adda che, dopo la parentesi medievale, tornò a fare da confine tra Milano e Venezia dal Quattrocento all’epoca napoleonica.
Solo dal XIX secolo, quando le suddivisioni dialettali si erano ormai fissate da tempo, il territorio lombardo tornò ad avere un’unità amministrativa all’interno del Lombardo-Veneto austriaco, sotto l’egida del primato economico e culturale della sua metropoli. Nel frattempo si erano però compiuti l’allontanamento delle terre ticinesi, entrate definitivamente a far parte della Confederazione elvetica, e il passaggio al Piemonte del Novarese.
L’area dei dialetti lombardi (v. fig. 1) corrisponde in gran parte a quella dell’influsso culturale e linguistico di Milano in epoca medievale, che si estendeva dal Sesia all’Adige. Comprende dunque, oltre alla regione Lombardia, il Novarese con la Val d’Ossola, l’intero Canton Ticino e i Grigioni di lingua italiana, nonché alcune valli del Trentino occidentale (Valbona, Rendena, Ledro).
Se la presenza di una koinè lombarda in epoca medievale, almeno a livello di lingua letteraria e cancelleresca, è oggetto di discussione (Sanga 1995: 81-82, 91-93), per l’epoca moderna è invece pacifica la fondamentale divisione dialettale tra una Lombardia occidentale e una Lombardia orientale, separate dal corso dell’Adda. Tale bipartizione, formulata per la prima volta da Bernardino Biondelli a metà Ottocento (Biondelli 1853-1854), non è stata più abbandonata dagli studiosi successivi.
I dialetti lombardi occidentali sono parlati nelle province di Milano, Varese, Como, Lecco, nella bassa e media Valtellina, nel Canton Ticino meridionale, nella parte settentrionale delle province di Lodi e Pavia e in quella orientale delle province di Novara e Verbania. I dialetti lombardi orientali sono parlati nelle province di Bergamo e Brescia e nella parte settentrionale delle province di Cremona e Mantova.
Questa configurazione bipolare è accompagnata sia a nord che a sud da fasce di dialetti con caratteristiche nettamente centrifughe. A nord i dialetti definiti lombardo-alpini a partire da Merlo (1960-1961), parlati nell’Ossola superiore, nelle valli ticinesi a nord di Locarno e Bellinzona, nei Grigioni italiani e nell’alta Valtellina, caratterizzati da tratti arcaici e da una certa affinità con il romancio svizzero. A sud i dialetti «di crocevia» (Lurati 1988: 494-495), caratterizzati dalla presenza di marcati tratti di transizione verso altri gruppi dialettali (piemontese, ligure, emiliano), parlati nella parte meridionale delle province di Pavia , Lodi, Cremona e Mantova. A est infine, oltre ai dialetti delle sunnominate valli trentine occidentali, la transizione al gruppo veneto, peraltro già evidente nel bresciano gardesano, è ben rappresentata dai dialetti di impronta lombarda di due località della sponda veronese del Garda, Malcesine e Torri.
È tipica dell’area dialettale lombarda, che appartiene al gruppo dei dialetti gallo-italici, la scarsità di tratti comuni all’intero territorio che non siano anche più genericamente alto-italiani (lenizione delle consonanti intervocaliche: [ˈrøda] «ruota»; degeminazione consonantica: [ˈgata] «gatta»; ricorrenza dei pronomi clitici soggetto nella coniugazione: ti te càntet «tu canti», propriamente «tu te canti tu») o comuni ai dialetti gallo-italici (presenza delle vocali [ø] ed [y] da lat. ŏ ed ū: [kør] «cuore», [ˈlyna] «luna»; caduta delle vocali finali tranne [a]: cfr. gli esempi precedenti; caduta di [r] finale negli infiniti: [kanˈta] «cantare», [fiˈni] «finire»; negazione posposta al verbo: lü al canta minga «egli non canta»; cfr. fig. 2).
L’unico fenomeno panlombardo esclusivo è la desinenza -i/-e nella prima persona del pres. indic. (milan. mi pödi / bergamasco mé pöde «io posso»), subentrata alla più antica forma adesinenziale pös ancora documentata nei dialetti più arcaici.
Tra i fenomeni più importanti che segnano il confine con le aree dialettali circostanti, si possono citare:
(a) a ovest la conservazione di [-ˈa] negli infiniti della I coniug.: [kanˈta] ~ piem. [kanˈte];
(b) a sud la conservazione delle vocali atone: [ospeˈdal] «ospedale» ~ emil. [zbdɛl];
(c) a est la presenza delle vocali [ø]/[y]: [føk] «fuoco», [dyr] «duro» ~ ven. [ˈfogo], [ˈduro].
Anche nel lessico pochissime sono le parole esclusivamente lombarde: tra queste, sciatt (sat nei dialetti orientali) «rospo», la cui diffusione delimita abbastanza fedelmente, con qualche eccezione, l’area dialettale lombarda (v. fig. 3).
Tutti i fenomeni più caratteristici dei dialetti lombardi occidentali sono (o sono stati) presenti nel milanese, riconosciuto già da Biondelli come «il dialetto principale rappresentante il gruppo occidentale» (Biondelli 1853-1854: 4), che ha sempre svolto la funzione di modello per l’intera area. In particolare:
(a) opposizione tra vocali lunghe e brevi: [kaːr] «caro» ~ /kar/ «carro», importante anche a livello morfologico per la distinzione tra infinito ([kanˈta], [fiˈni], [riˈdy] «ridurre») e participio passato ([kanˈtaː], [fiˈniː], [riˈdyː]);
(b) mantenimento, come in italiano e nei dialetti centromeridionali, della distinzione tra s, ce/ci e tj del tardo latino: [sɛt] «sette», [ʃiˈgula] «cipolla», [kaˈvɛʦa] «cavezza», da lat. septem, cepulla, capitia;
(c) vocali nasali lunghe da vocale + [n], specialmente in fine di parola: [kɑ̃ː] «cane», [beː] «bene», [karˈbõː] «carbone», [vyː] «uno»;
(d) rotacismo di [l] interna di parola, oggi fenomeno periferico (Brianza, Ticino), ma in precedenza diffuso anche altrove e ampiamente documentato a Milano fino a un secolo fa: [kanˈdira] «candela», [ˈpyres] «pulce»;
(e) esiti [ʧ] e [ʤ] dei nessi latini -ct- e -cl- intervocalici: [nɔʧ] «notte», [oˈrɛʤa] «orecchio» (tratto anche bergamasco);
(f) plurale adesinenziale dei sost. femm. in -a: dòn, züch, pl. di dòna «donna», züca «zucca» (cfr. fig. 4).
L’area orientale non ha un dialetto guida con un ruolo analogo a quello del milanese: il bergamasco e il bresciano presentano infatti importanti differenze, specialmente rispetto ai dialetti veneti, ma hanno in comune una nutrita serie di fenomeni che li distinguono dal lombardo occidentale:
(a) assenza della lunghezza vocalica con funzione distintiva (➔ quantità fonologica): [kar] «caro» e «carro»;
(b) riduzione all’unico esito [s], come nei dialetti veneti, di lat. s, ce/ci, tj: [sɛt] «sette», [ʃiˈgula] «cipolla», [kaˈɛsa] «cavezza»;
(c) apertura di [y] in [ø] e di [i] in [e] in particolari contesti: [brøt] «brutto», [iˈse] «così» (milan. [ˈbryt], [inˈʃi]);
(d) caduta di [v] intervocalica: [kaˈɛi] «capelli», [la ˈaka] «la mucca» (milan. [kaˈvɛi], [la ˈvaka]);
(e) caduta di [n] in finale di sillaba tonica senza nasalizzazione della vocale: [ka] «cane», [kap] «campo», [ˈveter] «pancia»;
(f) palatalizzazione nel plurale dei sost. in [-t] e [-n] : [gaʧ] «gatti», [ˈazeɲ] «asini» (milan. [gat], [ˈazen]);
(g) mantenimento della consonante dentale finale nei part. pass. sing. masch.: [kanˈtat], [fiˈnit];
(h) plurale dei femm. in -a: [ˈvake] «vacche».
Anche nel lessico i due gruppi presentano significative differenze: alle voci milanesi tus «ragazzo», gióven «celibe», legnamé «falegname», ghèz «ramarro», erbiùn «piselli», scighéra «nebbia», straluscià «lampeggiare», bergamasco e bresciano rispondono con s-cèt, pöt, marengù, liguròt / lüsertù, ruaia / ruaiòt, ghèba, sömelgà.
All’interno dell’area lombarda orientale si può però osservare per diversi fenomeni anche una marcata transizione dal tipo dialettale lombardo a quello veneto: ciò si verifica in particolare nel bresciano, come si ricava dallo specchietto riportato qui sotto:
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milanese bergamasco bresciano veneto
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«notte» (lat. -ct-) [nɔʧ] [nɔʧ] [nɔt] [ˈnɔte]
«zucche» züch söche söche suche
«battere» bat bat / batì bàter bàtar
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La bipartizione tra lombardo occidentale e orientale, ricondotta a lungo anche ad antiche differenze di sostrato, è stata reinterpretata negli ultimi trent’anni, alla luce di dati più precisi sulle varietà rurali delle due sezioni, come una differenziazione maturata a partire dal medioevo rispetto a una situazione precedente più unitaria (Sanga 1984; Loporcaro 2009). Lo confermerebbero da un lato la presenza di molti tratti orientali anche in dialetti rurali della Brianza, del Comasco, del Ticino, dall’altro tracce di importanti fenomeni occidentali (lunghezza vocalica distintiva, sistema consonantico) in punti isolati del territorio bergamasco e bresciano. Infine una considerazione areale: il lombardo in area trentina concorda in diversi casi (per es., ai punti b, c, d, e, g) col milanese e non col bresciano.
I dialetti lombardo-alpini sono accomunati da una serie di tratti conservativi in cui è ancora viva quell’impronta gallo-romanza che doveva caratterizzare fino a buona parte del medioevo una parte consistente dell’Italia settentrionale. Si tratta di fenomeni oggi in forte regresso o addirittura scomparsi, ma che anticamente erano presenti anche in pianura e perfino nella stessa Milano, dove «verso il dodicesimo secolo si pronunciava assai verosimilmente las kˈavras «le capre» con intacco palatale di ca- […] e con la conservazione di -s finale latino» (Pellegrini 1975: 69). La cosa è di particolare evidenza mettendo a confronto gli esempi lombardo-alpini con le corrispondenti forme del francese, specialmente di quello medievale ricavabile dalla grafia per fenomeni quali:
(a) palatalizzazione di [k]/[g] seguite da [a]: [can], [ɟat] «gatto» (fr. chien, chat);
(b) conservazione dei nessi di cons. + [l]: [blank] «bianco», [klaf] «chiave», [ˈflama] «fiamma», [glaʧ] «ghiaccio», [pløf] «piove» (fr. blanc, clef, flamme, glace, il pleut).
I dialetti parlati lungo la fascia lombarda meridionale, sulla riva sinistra del Po nonché nell’Oltrepò pavese e in quello mantovano, presentano marcati tratti di transizione ad altri gruppi dialettali. Per es., nel pavese (ad eccezione di quello cittadino, che ha subito l’influsso milanese) si trova la vocale centrale /ə/ tonica, come in piemontese: [sək] «secco», [ˈməsa] «messa». Il cremonese conosce l’opposizione tra vocali lunghe e brevi anche in sillaba non finale, come nei dialetti emiliani: [ˈveːder] «vetro» ~ [ˈveder] «vedere». In mantovano è molto frequente la caduta delle vocali atone, fenomeno tipicamente emiliano: [fnir] «finire», [ˈdmɛnga] «domenica». Più in generale sono presenti, specialmente in mantovano e cremonese, ma talvolta anche più a ovest, tipi lessicali emiliani come brisa «briciola», ris «trucioli».
In base ai dati della rilevazione ISTAT del 2006, la Lombardia si colloca nelle posizioni di coda per quanto riguarda l’uso esclusivo o prevalente del dialetto, sia in famiglia (9,1%, sette punti sotto la media nazionale) che con gli amici (7,1%, sei punti sotto). Rispetto ai dati del 1991, in 15 anni il calo è stato molto più sensibile in casa (– 8,5, in pratica la metà ) che fuori (– 4,6, circa un terzo). Se però si aggiungono anche coloro che alternano l’uso di dialetto e italiano, la percentuale dei dialettofoni sale al 35,7% in casa e al 32,1% fuori, dunque circa un terzo dei parlanti. Rispetto al 1991, il dialetto resiste fuori casa (solo – 5%), assai meno in famiglia (– 17%), per il probabile aumento di bambini e ragazzi italofoni esclusivi. Se il dato rappresenta comunque la media regionale, la realtà è molto diversificata e l’uso del dialetto è ancora ben radicato nelle valli, nelle zone rurali e tutto sommato anche nelle città della fascia padana. Diversa la situazione della Svizzera italiana, dove il dialetto, anche se in evidente calo nell’ultimo ventennio, gode tuttora di un prestigio che ne conserva l’uso con percentuali vicine (anche se inferiori) a quelle italiane del Triveneto.
L’assenza di una koinè regionale fa sì che in Lombardia tale ruolo sia ricoperto dai dialetti dei singoli capoluoghi di provincia: bergamasco, bresciano, cremonese, ecc. Solo il milanese ha (o, meglio, ha avuto) una funzione sovraprovinciale estesa originariamente a tutta l’area occidentale, funzione che è andata però riducendosi con l’autonomia amministrativa dei territori svizzeri – dove si è sviluppata una koinè ticinese – e con il passaggio nell’orbita piemontese delle terre a ovest del Ticino. Se nelle città e nei centri maggiori il repertorio dialettale è ridotto ormai alla sola varietà urbana, nelle zone rurali si ha ancora spesso la compresenza di una varietà «rustica» conservativa di arcaismi e localismi e una varietà «civile» modellata sulla città e italianeggiante: per es., [ˈskøra] / [ˈskøla] «scuola» in Brianza, [ˈpjaha] / [ˈpjasa] «piazza» in molte zone del Bergamasco e del Bresciano.
L’influsso dell’italiano sui dialetti cittadini (➔ italianizzazione dei dialetti) è documentato già nell’Ottocento: confrontando due vocabolari milanesi usciti a distanza di mezzo secolo (cioè Cherubini 1839-1856 e Angiolini 1897), si nota, per es., il passaggio da barba / àmeda a zio / zia, da becchée a macelâr, da bonaman a mancia, ecc. Negli ultimi decenni il fenomeno si è esteso anche ai centri minori e sempre più spesso si incontrano italianismi lessicali che finiscono per annullare anche le differenze tra un dialetto e l’altro: per es., pipistrèl «pipistrello» e pisèi «piselli» sostituiscono sia i milanesi tegnöra e erbiùn, sia i bresciani sgrignàpola e ruaiòt.
La letteratura dialettale lombarda è rappresentata in larga misura da quella milanese, che si snoda regolarmente a partire dalla fine del Quattrocento e annovera quasi tutte le figure più significative. Da Lancino Curti (1462-1512), al pittore Gian Paolo Lomazzo (1538-1600), a Carlo Maria Maggi (1630-1699), celebre per aver riprodotto nei suoi versi il cosiddetto parlà in zetta dell’aristocrazia, nel quale venivano resi con z i suoni sc, c’, s del dialetto: per es., zener «cenere», azet «aceto» rispetto a scendra, asé, riportati dallo stesso poeta per la parlata popolare. E ancora: Carlo Porta (1775-1821), che ci dà l’esempio più alto del milanese della prima metà dell’Ottocento; Delio Tessa (1886-1939), testimone del passaggio al più italianizzato milanese «contemporaneo» (Sanga 1999: 159); Franco Loi (1930), milanese d’adozione, nel quale il dialetto si fa laboratorio espressivo in una commistione di arcaismi e italianismi.
Al di fuori di Milano si ricordano la cinquecentesca Massera da be di Galeazzo dagli Orzi, in un dialetto bresciano con numerosi tratti non cittadini, la traduzione in bergamasco della Gerusalemme liberata ad opera di Carlo Assonica (1626-1676) e, ai nostri giorni, le liriche della sirmionese Franca Grisoni (1945).
Testi dialettali (oltre che in italiano popolare/regionale) relativi alle tradizioni popolari sono presenti in grandissima quantità in tutto il territorio lombardo e sono stati ampiamente raccolti, documentati e pubblicati. Va ricordato in primo luogo l’impegno della Regione Lombardia e del suo Ufficio per la cultura del mondo popolare, attivo fin dai primi anni Settanta del Novecento e diretto a lungo da Bruno Pianta (con la collaborazione di Glauco Sanga e Roberto Leydi). Ad esso si devono, fra l’altro, i 15 volumi della collana Mondo popolare in Lombardia e la parallela collana discografica. Per quanto riguarda l’area svizzera, un ruolo analogo è svolto dal Centro di dialettologia e di etnografia della Svizzera italiana di Bellinzona.
Angiolini, Francesco (1897), Vocabolario milanese-italiano, coi segni per la pronuncia. Preceduto da una breve grammatica del dialetto e seguito dal repertorio italiano-milanese, Torino, Paravia.
Biondelli, Bernardino (1853-1854), Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano, Bernardoni, 3 voll. (vol. 1º, Dialetti lombardi; vol. 2º, Dialetti emiliani; vol. 3º, Dialetti pedemontani).
Cherubini, Francesco (1839-1856), Vocabolario milanese-italiano, Milano, Stamperia Regia; Società tipografica dei classici italiani, 5 voll. (1a ed. Milano, Stamperia Reale, 1814, 2 voll.).
LRL 1988-1995 = Lexikon der romanistischen Linguistik, hrsg. von G. Holtus, M. Metzeltin & C. Schmitt, Tübingen, Niemayer, 8 voll. (vol. 4º, Italienisch, Korsisch, Sardisch, 1988; vol. 2º/2, Die einzelnen romanischen Sprachen und Sprachgebiete vom Mittelalter bis zur Renaissance, 1995).
Loporcaro, Michele (2009), Profilo linguistico dei dialetti italiani, Roma - Bari, Laterza.
Lurati, Ottavio (1988), Italienisch: Areallinguistik III. Lombardei und Tessin, in LRL 1988, pp. 485-516.
Merlo, Clemente (1960-1961), I dialetti lombardi, «L’Italia dialettale» 24, pp. 1-12.
Pellegrini, Giovanni Battista (1975), I cinque sistemi linguistici dell’italo-romanzo, in Id., Saggi di linguistica italiana. Storia, struttura e società, Torino, Boringhieri, pp. 55-87.
Salvioni, Carlo (1907), Lingua e dialetti della Svizzera italiana, «Rendiconti dell’Istituto lombardo - Accademia di scienze e lettere. Classe di lettere» s. 2a, 40, pp. 719-736 (rist. in Id., Scritti linguistici, a cura di M. Loporcaro et al., Bellinzona, Edizioni dello Stato del Cantone Ticino, 2008, 5 voll., vol. 1º, Saggi sulle varietà della Svizzera italiana e dell’Alta Italia, pp. 151-168).
Sanga, Glauco (1984), Dialettologia lombarda. Lingue e culture popolari, Pavia, Università di Pavia, Dipartimento di scienza della letteratura.
Sanga, Glauco (1995), Italienische Koine. La koinè italiana, in LRL 1995, pp. 81-98.
Sanga, Glauco (1999), Il dialetto di Milano, «Rivista italiana di dialettologia» 23, pp. 137-164.