dialettica
D. parla specificamente della d. (il cui termine ricorre quattro volte) in Cv II XIII 8, 11-12, là dove illustra la simbolica corrispondenza dei primi sette cieli con le sette arti del trivio e del quadrivio. Il poeta, che segue la classificazione delle arti - grammatica, dialettica e retorica, per il trivio; aritmetica, musica, geometria e astronomia, per il quadrivio (v. ARTI LIBERALI) - ormai fissata da una lunga tradizione classica e medievale (cfr. principalmente Marciano Capella De Nuptiis Mercurii et Philologiae III 410-439; Boezio Ad Cic. Top. I; Cassiodoro Institutiones, ediz. R.A.B. Mynors II, praef. 4; Isidoro Etym. Il 22-24; Rabano Mauro De Cler. inst. III 20; Ugo di San Vittore Didasc. I 12), così scrive a proposito della corrispondenza tra il cielo di Mercurio e la dialettica: E lo cielo di Mercurio si può comparare a la Dialettica per due proprietadi: che Mercurio è la più picciola stella del cielo, ché la quantitade del suo diametro non è più che di dugento trentadue miglia, secondo che pone Alfagrano, che dice quello essere de le ventotto parti una del diametro de la terra, lo quale è sei milia cinquecento miglia: l'altra proprietade si è che più va velata de li raggi del Sole che null'altra stella. E queste due proprietadi sono ne la Dialettica: ché la Dialettica è minore in suo corpo che null'altra scienza, ché perfettamente è compilata e terminata in quello tanto testo che ne l'Arte vecchia e ne la Nuova si truova; e va più velata che nulla scienza, in quanto procede con più sofistici e probabili argomenti più che altra. Dalle parole di D. appare quindi chiaro che egli si attiene, anche in questo caso, al concetto tradizionale di d. qual era generalmente accolto nelle scuole e nella cultura filosofica del tempo.
È noto infatti che il termine ‛ dialettica ' (διαλεχτιχὴ τέχνη) significa, alla lettera, " arte di discutere, di ragionare, di disputare o dialogare " (διαλέγεσται) e implica pertanto sempre un diretto riferimento alla funzione specifica del ‛ ragionamento ' e all'attività dell'intelletto o ‛ ragione ' (λόγος) nei suoi procedimenti discorsivi. In questo senso la d. è stata concepita da Platone (cfr. Cratylus 390 c) come " arte del dialogo " e della " discussione ", ossia abilità di disputare mediante domande e risposte, ma anche come " arte di dividere le cose secondo generi e specie " per poterle esaminare e discutere. Sicché i termini διαλέγειν, διαλέγσται hanno assunto il significato più complesso di " metodo di divisione logica " (cfr. Platone Sophista 253 C D; Phaedrus 266 B C). Inoltre, sempre per Platone, la d. ha il compito di procedere di concetto in concetto, di proposizione in proposizione, sino ai concetti più generali e ai principi primi (cfr. Republica 533 E-534 B; Philebus 57-58).
Diverso invece fu l'atteggiamento di Aristotele nei confronti della d. che egli distinse nettamente dall'analitica. Mentre questa somma arte logica ha per oggetto la dimostrazione, cioè la deduzione operata a partire da premesse vere e necessarie, la d. ha per oggetto soltanto i ragionamenti che procedono da opinioni probabili e concernono materie non necessarie ma possibili (cfr. Anal. I IV 46 a; Metaph. II I 995 b); è, pertanto, un'arte che occupa una posizione intermedia tra l'analitica e la retorica, e ad essa sono dedicati i Topici.
Nella filosofia classica il concetto di d. è venuto così assumendo un significato duplice e ben distinto a seconda che con esso si volesse indicare il rigore e la forza della distinzione logica, oppure un'abilità eminentemente persuasiva e legata sovente all'arte sofistica o alla capacità di discussione litigiosa. Ma, soprattutto in ambiente stoico (cfr. Aezio Placita I proem., II [in Crysippi Placita, fr. 35, Von Arnim, II 15, 10]), è prevalso il primo significato, sino a identificare la d. con l'intera arte logica. Tale identificazione, accettata e divulgata da Cicerone, ha prevalso anche durante l'età medievale allorché il termine d. è stato comunemente e prevalentemente usato per indicare il complesso dell'insegnamento logico e delle materie o strumenti a essa pertinenti; e in tal senso è stato adoperato da alcuni degli autori di manuali o testi di logica maggiormente diffusi negli ambienti scolastici (cfr. Pietro Ispano Summulae logicales, ediz. I.M. Bochenski, Torino 1947; Guglielmo di Shyreswood Introductiones in logicam, ediz. M. Grabmann, in " Sitzb. d. Bayer. Akad. d. Wissens. Philos. Kl. " 1937, fasc. 10, Monaco 1937). Altri scrittori però, come ad es. Lamberto di Auxerre (e cfr. C. Prantl, Geschichte der Logik, III 26), mantennero invece abbastanza chiara la distinzione tra la logica o analitica, che è " scientia... de omni syllogismo docens ", e la d. che tratta invece " de syllogismo dyalectico solum vel apparenti dyalectico ". Per quanto concerne la conoscenza dei testi logici aristotelici nelle scuole medievali (e quindi anche la distinzione accennata da D. tra Ars vetus e Ars nova), si ricordi che nel IX secolo tale conoscenza era ridotta alla lettura del De Interpretatione (nella versione di Boezio e di Mario Vittorino) e che alla fine del X secolo circolava anche la versione delle Categoriae, sempre di Boezio, mentre furono presto dimenticate o smarrite le altre versioni boeziane, alcune delle quali ricomparvero però più tardi. Agl'inizi del XII secolo le conoscenze logiche sono già molto più vaste, come dimostra il fatto che Abelardo legge gli Elenchi sophistici e cita gli Analytici priores; poi, intorno al 1141, Teodorico di Chartres, nel suo Eptateuchon, parla degli Analytici priores, dei Topici, degli Elenchi, ossia di tutti i libri dell'Organon, esclusi gli Analytici posteriores. Poco dopo, agl'inizi della seconda metà del XII secolo, l'Occidente, attraverso le nuove versioni arabo-latine, conosce ormai tutto l'Organon; e comincia appunto a delinearsi quella distinzione tra la ars o logica vetus, che comprende l'Isagoge di Porfirio, i Praedicamenta (o Categoriae) e il Perihermeneias (o De Interpretatione) e l'ars o logica nova che comprende gli Analytici, i Topici e gli Elenchi; distinzione che corrisponde alla ‛ materia ' logica conosciuta prima del XII secolo e a quella entrata nelle scuole nel corso del XII o agl'inizi del XIII secolo.
Dall'analisi del testo dantesco citato il Busnelli (Il Convivio, pp. 196-197 n.) ha tratto la conclusione che D. abbia presente e intenda mantenere la distinzione tra la logica in senso generale e la d., in senso particolare, come arte dell'argomentazione possibile e probabile. Il fatto che D. parli di sofistici e probabili argomenti che la d. usa più che altra scienza sembra appunto confermare questa conclusione; ma il riferimento, peraltro molto generico, a quello tanto testo che ne l'Arte vecchia e ne la Nuova si truova pare alludere piuttosto a tutto il complesso degli scritti dell'Organon che, del resto, al tempo di D., costituivano materia comune di studio nei corsi delle facoltà delle arti ed erano spesso legati all'insegnamento delle altre arti del discorso (artes sermocinales), ossia, delle ‛ arti del trivio '.
Bibl. - C. Prantl, Geschichte der Logik in Abendlande, voll. II-IV, Lipsia 1861-1870 (trad. ital. a c. di L. Limentani, Firenze 1937, II I); M. Grabmann, Entwiklung der mittelalterlichen Sprachlogik, in Mittelalterliches Geistesleben, I, Monaco 1926, 104-141; A. Van De Vyver, Les étapes du développement philosophique du Haut Moyen Age, in " Revue Belge de Philologie et d'Histoire " VIII (1929) 425-452; P. Boehner, Mediaeval Logic. An outline of its development from 1250-c. 1400, Chicago (Ill.) 1952; E.A. Moody, Truth and consequence in Mediaeval Logic, Amsterdam 1953; L. Miniopaluello, Twelfth Century Logic: Texts and Studies, Roma 1956-1958; E. Garin, La d. dal secolo XII ai principi dell'età moderna, in " Rivista di Filosofia " XLIX (1958) 228-253.